L’opposizione all’omologa del concordato preventivo e l’accertamento del credito

Nicola Bottero
23 Gennaio 2012

Il termine per la costituzione nel giudizio di omologa di un concordato preventivo previsto dall'art. 180, comma 2, l. fall. non ha natura perentoria, con la conseguenza che l'opposizione depositata da un creditore dissenziente in sede di udienza dev'essere considerata ammissibile.
Massima

Il termine per la costituzione nel giudizio di omologa di un concordato preventivo previsto dall'art. 180, comma 2, l. fall. non ha natura perentoria, con la conseguenza che l'opposizione depositata da un creditore dissenziente in sede di udienza dev'essere considerata ammissibile.

Il voto contrario all'omologazione del concordato preventivo espresso da un creditore che si afferma privilegiato, non comporta rinuncia implicita al privilegio.

I crediti derivanti dall'applicazione della c.d. TOSAP (Tassa Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche) hanno natura tributaria e dunque privilegiata ex art. 2752 c.c., mentre quelli derivanti dall'applicazione del c.d. COSAP (Canone Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche) hanno natura di corrispettivo contrattuale per la concessione di spazi pubblici, sicché vanno considerati crediti chirografari.

Non può ritenersi in alcun modo preclusa dall'avvenuta omologazione del concordato preventivo l'instaurazione da parte di un creditore di un ordinario e autonomo giudizio di cognizione volto alla verifica dell'importo e del rango (privilegiato o chirografario) del suo credito, in quanto il giudizio effettuato in sede di omologa ha natura esclusivamente delibativa onde consentire il necessario calcolo delle maggioranze.

Il caso

Nell'ambito di una procedura di concordato preventivo di società, un creditore, in sede di udienza di omologa, propone opposizione ex art. 180, comma 2, l. fall. lamentando che al suo credito fosse stato erroneamente riconosciuto il rango chirografario, anziché privilegiato come sarebbe stato invece corretto, con ciò ingiustamente pregiudicando i suoi interessi (nella specie si trattava del pagamento del c.d. COSAP - Canone Occupazione Spazi ed Aree Pubbliche). Sulla scorta di tali considerazioni l'opponente denuncia quindi un vizio della proposta concordataria per la pretesa disomogeneità di classificazione degli interessi dei creditori con conseguente necessità di negare l'omologazione del concordato.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La prima questione affrontata dal Tribunale torinese attiene alla tempestività - e alla conseguente ammissibilità - dell'opposizione, posto che la stessa, come detto, era stata proposta solo in sede di udienza di omologa e non, come stabilito dall'art. 180, comma 2, l. fall., dieci giorni prima di tale udienza. Il Tribunale, nel caso in commento, afferma la natura non perentoria di tale termine, considerando dunque ammissibile l'opposizione proposta in udienza.
Un secondo tema, pure richiamato dal collegio, riguarda la questione se possa considerarsi come implicita rinuncia al privilegio la manifestazione del voto in sede di adunanza da parte del creditore collocato al chirografo che però si assuma privilegiato. Anche in questo caso, i giudici torinesi hanno optato per una lettura meno rigorosa, affermando che la rinuncia al privilegio deve necessariamente essere esplicita e la manifestazione del voto in sede di adunanza non è fatto idoneo a produrla.
Viene poi affrontato il merito della natura del credito relativo al c.d. COSAP, anche con riferimento a una recente pronuncia della Corte Costituzionale in materia. Sotto questo profilo, il Tribunale afferma la natura contrattuale del Canone (considerato alla stregua di un corrispettivo per l'occupazione del suolo pubblico), contrapposta alla natura tributaria della c.d. TOSAP (vera e propria tassa applicata dai comuni).
Infine viene affrontato il tema della natura del giudizio di omologa e della possibilità, che il Tribunale afferma senza esitazioni, di ogni creditore di incardinare un giudizio autonomo al fine di far accertare importo e rango del proprio credito.

Osservazioni

Il Tribunale di Torino, nell'affrontare la questione avente ad oggetto la natura del termine per la costituzione delle parti nel procedimento di omologa del concordato preventivo, ha aderito al più recente orientamento di legittimità volto a riconoscere al termine de quo una natura ordinatoria.
A sostegno di tale assunto, il Tribunale adduce un'argomentazione di carattere sistematico; ai sensi del secondo comma dell'art. 152 c.p.c., infatti, la mancata previsione legislativa circa la natura di un termine processuale osta alla sua qualificazione in termini di perentorietà.
In altre parole ciò significa che l'assunzione del carattere della perentorietà postula una precisa volontà del legislatore, resa manifesta dal dettato della norma che prevede il termine.
Ebbene, appare chiaro che nessuna volontà legislativa emerge dal disposto di cui al secondo comma dell'art. 180 l. fall.: la norma, non solo non prevede la natura perentoria del termine concesso per la costituzione delle parti, ma neppure sanziona il mancato rispetto del termine in oggetto.
Tuttavia va osservato come l'argomentazione ora riportata non possa di per sé ritenersi dirimente: la giurisprudenza assolutamente maggioritaria, infatti, seguendo la tesi meno rigoristica, ha più volte ribadito che, in mancanza di un'esplicita previsione, il Giudice non deve senz'altro escludere la perentorietà del termine, essendo pur sempre tenuto ad indagare se, a prescindere dal dettato della norma, un termine, per lo scopo che persegue, debba o meno essere rigorosamente osservato a pena di decadenza.
Inoltre, va rilevato che, da un punto di vista letterale, l'utilizzo del verbo “dovere” sembrerebbe implicare l'inammissibilità di una costituzione tardiva, anche alla luce di esigenze di speditezza, particolarmente cogenti nel procedimento in esame.
Secondo una diversa impostazione, la soluzione prospettata dal Tribunale torinese può invece ritenersi condivisibile, e ciò avendo riguardo al procedimento di opposizione all'omologa, così come modificato dal D.Lgs., 12 settembre 2007, n. 169.
Tale procedimento, infatti, appare ora improntato alla libertà delle forme, nella fase introduttiva, accompagnata dalla possibilità che le allegazioni e le difese di ciascuna parte processuale possano essere integrate anche in un momento successivo. Invero, il testo dell'art. 180 scaturito dal decreto correttivo non contiene più il riferimento all'obbligo di costituirsi “depositando memorie difensive contenenti le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d'ufficio, nonché l'indicazione dei mezzi istruttori e dei documenti prodotti” (in questi termini si esprimeva la disposizione introdotta con il D.L. del 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 205 n. 80, e successivamente abrogata dal D.Lgs., 12 settembre 2007, n. 169).
Il venir meno delle predette preclusioni rispetto a eccezioni in senso stretto o alla possibile indicazione di mezzi istruttori fa ritenere che le parti non siano più tenute a svolgere tutte le proprie difese - a pena di decadenza - con l'atto introduttivo, ma porta a concludere per una loro facoltà di integrazione anche in un secondo momento.
In un simile contesto normativo, la tesi più condivisibile deve, dunque, ritenersi quella che, attribuendo un significato esplicativo all'eliminazione della disposizione contemplante le preclusioni, propende per un'interpretazione meno rigorosa circa i tempi di costituzione delle parti.
Da ciò deriva l'ammissibilità dell'opposizione anche se proposta dopo il termine a ritroso di dieci giorni dall'udienza fissata dal Giudice Delegato.
In questa prospettiva l'utilizzo della locuzione “devono costituirsi”, lungi determinare qualsivoglia preclusione, risulta una semplice manifestazione del principio di accelerazione e speditezza processuale, cui - come si è detto - il procedimento di omologazione risulta improntato.
Quanto alla seconda questione, il Collegio, uniformandosi anche in questo caso al prevalente orientamento giurisprudenziale, ha affermato che il voto contrario all'omologazione del concordato preventivo espresso da un creditore che si assuma privilegiato, non comporta un'implicita rinuncia al privilegio.
La problematica si colloca nell'ambito del più ampio tema avente ad oggetto la forma che la rinuncia deve assumere affinché il prelazionario possa validamente ed efficacemente votare. In argomento, l'opinione più accreditata ritiene necessario che la rinuncia sia esplicitata in una dichiarazione del creditore privilegiato; in questa prospettiva, dunque, qualsiasi voto pronunciato da costui (favorevole o contrario) senza previa o contestuale espressa rinuncia non può avere alcun significato implicito e deve, pertanto, considerarsi nullo o comunque inefficace.
Tale interpretazione risulta avvalorata dal mutamento della disciplina di cui all'art. 177 l. fall. che, a seguito della novella del 2005, non contempla più l'ipotesi di rinuncia tacita alla prelazione.
La natura non tributaria del COSAP è ius receptum a seguito di numerose pronunce rese dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in sede di regolamento di giurisdizione nonché di alcune pronunce della Corte Costituzionale sempre in tema di giurisdizione tributaria (v. infra nei riferimenti giurisprudenziali). La soluzione del Tribunale di Torino, sebbene proposta nell'ambito di un giudizio di omologa di concordato preventivo e dunque, come ricorda lo stesso Tribunale, non avente efficacia decisoria con riferimento al merito della questione, appare in linea con tale consolidato orientamento nella misura in cui, riconosciuto il carattere extratributario del COSAP, nega che esso possa godere del privilegio che la legge assegna specificamente ai tributi dello stato e della finanza locale. L'impostazione è certamente da condividersi nella misura in cui, coerentemente con la giurisprudenza e con la dottrina unanime in tema di privilegi, procede a una stretta interpretazione dell'art. 2752 c.c. che, in quanto norma speciale come tutte quelle che riconoscono ragioni di prelazione in deroga al principio della par condicio creditorum, non è suscettibile di essere applicata analogicamente a fattispecie in essa non contemplate.
Anche la natura non definitiva del giudizio di omologa con riguardo all'accertamento dell'ammontare e del rango dei crediti ammessi è principio pacifico. Sulla medesima linea del provvedimento in commento si è espressa in più occasioni la Corte di Cassazione ante riforma (v. infra nei riferimenti giurisprudenziali) sul presupposto che il giudizio del Tribunale dovesse essere volto esclusivamente alla verifica del raggiungimento delle maggioranze per l'approvazione del concordato e che l'eventuale valutazione della natura e dell'ammontare del credito nell'ambito del giudizio di omologa doveva essere intesa come volta esclusivamente a verificare la correttezza delle operazioni di voto e del calcolo delle maggioranze. Nulla invece impedisce al creditore insoddisfatto con riguardo alla collocazione o all'ammontare del suo credito nell'ambito del passivo concordatario di instaurare un autonomo giudizio di accertamento, come peraltro suggerisce anche la formulazione dell'art. 176 l. fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Con riferimento al tema della natura ordinatoria del temine di proposizione dell'opposizione all'omologa del concordato preventivo, si veda la recente Cass. 16 settembre 2011, n. 18987. Nello stesso senso anche, Trib. Siracusa 1 aprile 2011, in Mass. Giur. It., 2011.
Prima della modifica legislativa operata dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, la giurisprudenza era assolutamente unanime nel ritenere la natura perentoria del termine di costituzione di cui all'art. 180 l. fall. In tal senso, Trib. Firenze 28 aprile 2010, in Il Fallimento, 2010, 999; Trib. Messina 30 novembre 1998, in Foro It., 2000, I, 1327; Cass. 7 dicembre 1990, n. 11728; Cass. SS.UU. 6 settembre 1990, n. 9201; Trib. Milano 19 luglio 1986, in Il Fallimento, 1987, 1062; Trib. Torino 30 gennaio 1986, in Il Fallimento, 1986, 1008.
In dottrina, nel senso della natura ordinatoria del termine di costituzione Ferro, Il nuovo concordato preventivo, la privatizzazione delle procedure riorganizzative nelle prime esperienze, in Giur. Mer., 2006, 689; contra Bozza, L'omologazione della proposta (i limiti alle valutazioni del Giudice), in Il Fallimento, 2006, 1328; De Marchi, in Ambrosini-De Marchi, Il Nuovo Concordato preventivo, Milano, 2006, 150, secondo cui il decorso del termine di cui all'art. 180, comma 2, l. fall. rende inammissibile una costituzione tardiva.
Prima della riforma, sulla rilevabilità d'ufficio della mancata costituzione tempestiva delle parti, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2002, 761, opinione confermata anche nell'edizione del 2011, 616.
Sulla necessità che la rinuncia del creditore privilegiato risulti da un'espressa dichiarazione - con conseguente inefficacia del voto espresso in assenza di tale previa o contestuale rinuncia - si veda, Trib. Taranto 1 luglio 2005, in Dir. Fall., 2006, 98. Analogamente, App. L'Aquila 16 marzo 2011, in Il Fallimento, 2011, 1211.
In dottrina si veda, Filocamo, La legge fallimentare, a cura di Ferro, Milano, 2008, 1334. Contra Nardecchia, Commento sub. art. 177, in Commentario Iorio-Fabiani, Bologna, 2007, 2495, secondo il quale, “... come già nella vecchia disciplina, deve ritenersi che l'espressione del voto favorevole senza previa rinuncia al privilegio o ad una parte comporti rinuncia totale (tacita) alla prelazione”.
In ordine alla questione relativa alla natura del COSAP, si vedano le numerose ordinanze delle Sezioni Unite della Cass. in giudizi di regolamento di giurisdizione, 28 giugno 2006, n. 14864, ; 21 gennaio 2005, n. 1239; 19 agosto 2003, n. 12167, dove, affermata la sua natura non tributaria, si nega la giurisdizione delle Commissioni Tributarie in merito alle controversie che lo riguardano. La questione è poi stata affrontata ex professo anche dalla Corte Cost. 14 marzo 2008, n. 64, con riferimento alla legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2, D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248 che stabiliva la giurisdizione dei giudici tributari per le controversie relative al COSAP. Il Giudice delle leggi, affermata, sulla scorta dei precedenti delle Sezioni Unite della Cass., la natura non tributaria del COSAP, ha dichiarato la illegittimità costituzionale della predetta norma per violazione dell'art. 102 Cost. Cfr. poi la sentenza della Corte Cost. 8 maggio 2009, n. 141. Il riferimento normativo resta invece il D. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, “Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali”, art. 63, nonché le circolari del Ministero delle Finanze n. 256/E del 3 novembre 1998 e n. 247/E del 29 novembre 1999 che hanno confermato espressamente il carattere “extratributario” del COSAP (v. art. 7). In dottrina, hanno affrontato il tema Migliori, Le novità in materia di fiscalità per gli enti locali, in Corr. Trib., 2000, 611; Pasquini, La sostituzione della Tosap con la Cosap, in I regolamenti Ici e Cosap, Milano, 1098.
Come detto, sulla natura del giudizio di omologa in rapporto all'accertamento incidentale dei crediti contestati, la Suprema Corte si è espressa ante riforma considerandolo non preclusivo rispetto all'instaurazione di un autonomo giudizio in cui il creditore opponente possa far valere pienamente le sue ragioni. In tal senso, cfr. Cass. 14 febbraio 2002, n. 2104, in Il Fallimento, 2003, 25, con nota di Trentini, citata nel decreto in commento, nonché Cass. 17 giugno 1995, ivi, 1996, 50 e Cass. 12 marzo 1987, n. 2650, ivi, 1987, 812, con nota di Lugaro. Anche dopo la riforma, ha affermato la non definitività delle decisioni sui crediti prese nell'ambito della procedura di concordato preventivo Cass. 9 giugno 2010, n. 13897, ivi, 2010, 924, con nota di Cataldo. In dottrina, cfr. per tutti, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 492 e segg.

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