Revocatoria fallimentare e pagamento nei termini d’uso

Valentino Lenoci
31 Gennaio 2012

Ai fini dell'individuazione dei pagamenti nei termini d'uso, che sono esentati dall'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., deve farsi riferimento sia alle modalità solutorie, che ai tempi di pagamento che risultino abitualmente utilizzati - già nei pregressi rapporti - fra il fallito e il convenuto in revocatoria, oppure, in mancanza di una particolare consuetudine invalsa inter partes o in presenza di atti di pagamento unici o sporadici, che risultino abitualmente utilizzati dai comuni contraenti nell'adempimento di rapporti negoziali posti in essere nell'esercizio normale dell'attività d'impresa.
Massima

Ai fini dell'individuazione dei pagamenti nei termini d'uso, che sono esentati dall'azione revocatoria ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., deve farsi riferimento sia alle modalità solutorie, che ai tempi di pagamento che risultino abitualmente utilizzati - già nei pregressi rapporti - fra il fallito e il convenuto in revocatoria, oppure, in mancanza di una particolare consuetudine invalsa inter partes o in presenza di atti di pagamento unici o sporadici, che risultino abitualmente utilizzati dai comuni contraenti nell'adempimento di rapporti negoziali posti in essere nell'esercizio normale dell'attività d'impresa (massima Trib Milano 18.07.2011).

Ai fini dell'individuazione delle condizioni di esenzione dall'azione revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. (“pagamento nei termini d'uso”), deve farsi riferimento, da un lato, alla “qualità” e tipologia del pagamento, che deve risultare eseguito con un mezzo fisiologico ed ordinario; dall'altro, al dato cronologico, cioè al tempo dell'adempimento, con la conclusione che, per l'operatività della causa di esenzione da revocatoria, è necessario che il pagamento sia effettuato nei tempi previsti dal regolamento negoziale accettato dalle parti (massima Trib Milano 7.06.2010).

Il caso

Le pronunce del Tribunale di Milano che si riportano riguardano due azioni revocatorie promosse da curatele fallimentari, in relazione a pagamenti avvenuti nel periodo sospetto (sei mesi prima della dichiarazione di fallimento), e per i quali è stata eccepita dalle convenute la sussistenza della causa di esenzione dall'azione revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., e cioè che i pagamenti in questione erano da considerare nei termini d'uso.
In entrambi i casi i giudici hanno escluso la sussistenza di tale causa di esenzione, anche se, la sentenza del 18 luglio 2011 ha comunque rigettato la domanda per mancanza della prova della conoscenza dello stato di insolvenza (art. 67, comma 2, l. fall.), mentre la sentenza del 7 giugno 2010 ha invece ritenuto che tale prova vi fosse, condannando pertanto la convenuta alla restituzione delle somme oggetto di pagamento.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La nozione di pagamento di beni e servizi “effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso” non appare di immediata percezione e definizione.
Innanzitutto, deve trattarsi di pagamenti funzionali allo svolgimento dell'attività imprenditoriale, e dunque, nei casi di impresa individuale, non di pagamenti effettuati per fini personali dell'imprenditore.
È quindi il caso dei contratti di “fornitura” (conclusi per l'acquisto di beni e servizi), dei contratti di subfornitura nelle attività produttive (L. n. 192 del 18 giugno 1998), dei contratti di locazione, dei contratti di appalto (anche, se del caso, di servizi, quali quelli relativi alla manutenzione di macchinari), dei contratti di trasporto e di deposito merci, dei contratti d'opera e di prestazione intellettuale (ove non riconducibili alla esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. f), l. fall.), dei contratti di leasing e franchising.
Quanto alla nozione di “termini d'uso”, nei primi commenti successivi alla riforma si discuteva se dovesse farsi riferimento esclusivamente ai tempi dell'adempimento, o anche (o soltanto) alle sue modalità. Ulteriore questione riguardava poi il criterio di valutazione della sussistenza della causa di esenzione, se cioè dovesse farsi riferimento a un criterio oggettivo (e quindi tenere conto di quanto comunemente praticato in quel determinato settore di mercato) o al criterio soggettivo delle modalità utilizzate abitualmente dai contraenti.
Le due pronunce del Tribunale di Milano valorizzano decisamente l'aspetto soggettivo, ritenendo necessario che, ai fini della individuazione dei termini d'uso, debba comunque farsi riferimento al regolamento negoziale vigente tra le parti, o comunque ai tempi ed alle modalità di pagamento normalmente utilizzate dalle stesse parti, escludendo pertanto che, a tali fini, possa farsi riferimento a tempi e modalità - peraltro di difficile individuazione - propri dei rapporti commerciali di un determinato settore economico (anche se la pronuncia del 18 luglio 2011 ritiene utilizzabile tale criterio oggettivo in via residuale, in assenza di una consuetudine commerciale invalsa tra le parti).

Osservazioni

Le ragioni dell'esenzione dalla revocatoria di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. sono state generalmente individuate, da una parte della dottrina nell'esigenza di tutelare l'accipiens, che, presumibilmente, non è in grado di conoscere l'insolvenza del debitore, né ha sufficienti incentivi per approntare misure atte a percepire i sintomi di tale situazione nei propri clienti. Nei confronti di tali creditori, dunque, la revocatoria “non potrebbe esercitare la sua funzione tipica, disincentivante, e la limitazione drastica dei giudizi azionabili, con elisione altresì di quelle situazioni potenzialmente ambigue, ove le incertezze del meccanismo probatorio presuntivo potrebbero indurre le curatele ad agire comunque, persegue anche obiettivi di riduzione dei costi transattivi, in particolare dei c.d. costi amministrativi diretti della lite” (così D. Galletti, Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. comm., 2007, 2, 163 ss.).
Secondo un'altra impostazione, invece, l'esenzione in esame tutelerebbe l'esigenza di prosecuzione dell'impresa da parte del solvens, al fine di evitare il blocco delle forniture di beni e servizi da parte degli accipientes, in presenza di situazioni di insolvenza, in modo da favorire il superamento della crisi, e, comunque, non precludere l'accesso dell'imprenditore a modelli di soluzione alternativi al fallimento, capaci di sfociare nella conservazione, e non nella distruzione, dei complessi aziendali in difficoltà (v., sul punto, G. Cavalli, L'esenzione dei pagamenti eseguiti nell'esercizio dell'impresa nei termini d'uso, in Fallimento, 2007, 8, 981 ss.; G. Terranova, La nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, in Dir. fall., 2006, I, 252 ss.)
È importante, in ogni caso, notare come l'esenzione in oggetto operi oggettivamente, nel senso che la conoscenza o la conoscibilità dello stato di insolvenza del debitore da parte dell'accipiens è del tutto irrilevante: il che è logico, posto che, ove difettasse l'elemento soggettivo della conoscenza, il pagamento non sarebbe comunque revocabile, mentre la finalità della norma è proprio quella di salvare atti solutori che, altrimenti, ricadrebbero nell'area della revocabilità.
Appaiono decisamente condivisibili, poi, le decisioni in esame, allorquando valorizzano, per la determinazione dei “termini d'uso”, la pratica normalmente incorsa tra i contraenti nei rapporti pregressi, facendo così riferimento ad un criterio prettamente soggettivo, stante anche la difficoltà di individuare dei “termini d'uso” (nel senso inglese di terms, e cioè riferiti al coacervo delle condizioni contrattuali, e quindi ad es. anche alle modalità oggettive, e non cronologiche, di pagamento) in determinati settori di mercato o merceologici.

Le questioni aperte

Permangono aperte alcune questioni, in relazione alla causa di esenzione dalla revocatoria in oggetto, con riferimento alla delimitazione della nozione di “attività d'impresa”, nel corso della quale deve essere stato effettuato il pagamento esente.
In particolare, si discute se l'esenzione operi soltanto per i pagamenti nel corso dell'esercizio ordinario dell'impresa, o anche per i pagamenti effettuati nella fase di liquidazione.
Una parte della dottrina ritiene che - coerentemente alla funzione di prevalente tutela dell'accipiens - l'espressione utilizzata dalla legge non escluda l'applicazione dell'esenzione durante la fase di liquidazione, soprattutto nelle ipotesi di liquidazione societaria con prosecuzione dell'attività d'impresa, laddove, invece, sarebbero escluse dall'esenzione soltanto le operazioni che non si inseriscano nel programma imprenditoriale, per essere espressione di propensioni personali dell'imprenditore, oppure di prospettive del tutto eccentriche rispetto alla pianificazione corrente dell'attività (D. Galletti, op. cit.)
Secondo un'altra opinione, invece, l'applicazione dell'esenzione alle società in stato di liquidazione dovrebbe essere esclusa, in quanto mancherebbe in questi casi un'attività imprenditoriale proiettata verso il futuro, e quindi idonea a prospettare una finalità di conservazione o ristrutturazione aziendale (U. De Crescienzo - L. Panzani, Il Nuovo diritto fallimentare, Dal manxiemendamento alla legge n. 80 del 2005 , Milano, 2005, 94 ss.; G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, Padova, 2006, 864).
Incertezze sussistono anche in ordine all'estensione della causa di esenzione in esame ai pagamenti fatti non già per una fornitura, per così dire, “diretta” di beni o servizi, ma a quelli aventi una diversa ragione causale, in particolare agli adempimenti di debiti contratti a titolo di finanziamento.
Secondo una parte della dottrina, infatti, tra i “servizi” oggetto di corrispettivo pagabile nei termini d'uso vi sarebbero anche i servizi bancari, di talché rientrerebbero nell'esenzione i pagamenti di interessi passivi e commissioni, nonché il versamento delle rate di mutuo o altro finanziamento, mentre non vi rientrerebbero le rimesse in conto corrente bancario, perché espressamente disciplinate dall'art. 67, comma 3, lett. b), l. fall., o comunque i pagamenti non riconducibili alle normali dinamiche del rapporto banca-cliente [in questo senso S. Ambrosini, La revocatoria fallimentare nell'evoluzione della disciplina, in S. Ambrosini (a cura di), Le nuove procedure concorsuali, Bologna, 2007, 108].
Altra opinione, invece, ritiene che il pagamento dei debiti bancari non possa ritenersi assimilabile al pagamento per la fornitura di un bene o un servizio, stante la sostanziale differenza tra fornitori e finanziatori (F. Iozzo, Pagamento nei termini d'uso: primi orientamenti giurisprudenziali, in Giur. it., 2011, 126).

Conclusioni

L'esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. è chiaramente diretta a salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici in situazione di “normalità” negoziale. Tale normalità, tuttavia, va riferita a quello che avviene nei rapporti tra fallito e accipiens, e non già a quello che avviene di norma in quel determinato settore economico; tutt'al più, quest'ultimo criterio (peraltro di difficile delimitazione) potrà operare in via residuale, allorquando non vi siano stati pregressi rapporti tra le parti.
La norma, per come è strutturata, si presenta eccezionale rispetto al principio di generale revocabilità dei pagamenti, in presenza delle condizioni di cui al primo e secondo comma dell'art. 67 l. fall., oltre che rispetto al più generale principio della par condicio creditorum. Di qui l'esigenza, comunque, di un'interpretazione restrittiva della norma, con riferimento alla determinazione dell'ambito applicativo della stessa.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La giurisprudenza in materia è ancora limitata. Si segnala Trib. Torino 4.5.2010 (Giur. it., 2011, 123), secondo la quale le esenzioni di cui all'art. 67, comma 3, lett. a), l. fall., vanno individuate avendo esclusivo riguardo al loro profilo oggettivo, e devono quindi ritenersi operanti anche quando il beneficiario dell'atto compiuto abbia la consapevolezza dell'insolvenza del dante causa; la stessa decisione, peraltro, ritiene che costituiscano pagamento nei termini d'uso quelli eseguiti secondo modalità correnti tra le parti, che si collochino, tuttavia nell'alveo delle normali e ordinarie attività di un'impresa operante in un determinato settore (con una valorizzazione, quindi, anche dell'elemento oggettivo nella determinazione dei “termini d'uso”, e ciò nell'ottica di una maggiore tutela dell'accipiens, che non sarà soggetto a revocatoria quindi anche quando vi sia un mutamento delle modalità solutorie, purché esse siano conformi alla prassi del settore in cui le parti operano). V. anche Trib. Marsala 24.6.2011 (Il Caso.it), secondo la quale l'art. 67, comma 3, lett. a) l. fall., nel testo modificato dalla L. 14.5.2005, n. 80, includendo nel regime delle esenzioni dalla revocatoria fallimentare i pagamenti relativi a forniture rientranti nella corrente conduzione dell'azienda a condizione che siano eseguiti "nei termini d'uso", si riferisce tanto alle modalità quanto al tempo dell'esecuzione di guisa che occorre verificare se, sotto entrambi i profili indicati, la prestazione eseguita dall'imprenditore in bonis nel periodo sospetto si collochi nell'area delle normali relazioni commerciali intrattenute fra le parti, ovvero sia connotata da profili di anormalità o atipicità.
Per un'analisi dell'ambito applicativo della norma, in dottrina, L. Salamone, L'esenzione dall'azione revocatoria fallimentare dei “pagamenti di beni e servizi effettuati nell'esercizio dell'attività d'impresa nei termini d'uso (art. 67, comma 3, lett. a), l. fall.), in Banca borsa tit. cred., 2008, 4, 430 ss.; con specifico riferimento all'applicabilità dell'esenzione ai pagamenti in favore delle banche, v. G. Rebecca - G. Sperotti, Le operazioni bancarie esenti da revocatoria, in Dir. fall., 2009, I, 710 ss.

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