L’omologazione degli accordi di ristrutturazione tra rito e merito

09 Febbraio 2012

La società esercente attività di intermediazione finanziaria ai sensi dell'art. 113 d.lgs. n. 385 del 1993 - anche se in Amministrazione Straordinaria - può avvalersi, come strumento di risoluzione della crisi, dell'accordo di ristrutturazione, senza che a ciò osti il disposto di cui all'art. 57 d.lgs. n. 58 del 1998 (o la previsione affine stabilita per le banche dall'art. 80 d.lgs. n. 385 del 1993). Ciò in quanto una molteplicità di caratteri (assenza sia di una fase di ammissione e di un provvedimento di apertura, sia di organi concorsuali, sia dello spossessamento o limitazione dei poteri di direzione e gestione; vincolatività dell'accordo soltanto per i creditori aderenti; disapplicazione del principio di concorsualità e della par condicio creditorum) induce a ritenere che l'accordo di ristrutturazione non sia riconducibile nell'ambito delle procedure concorsuali, ed abbia natura privatistica.
Massima

La società esercente attività di intermediazione finanziaria ai sensi dell'art. 113 d.lgs. n. 385 del 1993 - anche se in Amministrazione Straordinaria - può avvalersi, come strumento di risoluzione della crisi, dell'accordo di ristrutturazione, senza che a ciò osti il disposto di cui all'art. 57 d.lgs. n. 58 del 1998 (o la previsione affine stabilita per le banche dall'art. 80 d.lgs. n. 385 del 1993). Ciò in quanto una molteplicità di caratteri (assenza sia di una fase di ammissione e di un provvedimento di apertura, sia di organi concorsuali, sia dello spossessamento o limitazione dei poteri di direzione e gestione; vincolatività dell'accordo soltanto per i creditori aderenti; disapplicazione del principio di concorsualità e della par condicio creditorum) induce a ritenere che l'accordo di ristrutturazione non sia riconducibile nell'ambito delle procedure concorsuali, ed abbia natura privatistica.

Nel procedimento di omologa degli accordi di ristrutturazione, in quanto disciplinato dalle norme in materia di procedimenti in camera di consiglio, devono ritenersi ammissibili tutte e tre le forme di intervento di terzi previste dal codice di rito. Tuttavia, nel caso di intervento adesivo autonomo, poiché l'interveniente è titolare di una posizione giuridica che lo avrebbe legittimato a proporre opposizione in via principale, è inammissibile l'intervento effettuato dopo la scadenza del termine per la proposizione dell'opposizione all'omologa. Per contro, non è inammissibile il successivo intervento adesivo dipendente, spiegato da alcuni creditori aderenti all'accordo di ristrutturazione, se ed in quanto con detto intervento non vengano proposte domande nuove e non si ampli il thema decidendum, ma si tenda solo a non subire gli effetti negativi riflessi, quale il rigetto dell'omologa per i creditori che hanno aderito all'accordo.

L'art. 182-bis, nel riconoscere il potere di opporsi all'omologa a "qualunque interessato", attribuisce la legittimazione anche ai creditori contestati, anche in considerazione dell'assenza, negli accordi di ristrutturazione, di una fase procedimentale di ammissione dei crediti e di voto. In sede di omologa, tuttavia, il tribunale, al momento di valutare l'idoneità dell'accordo di ristrutturazione ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, potrà procedere ad una delibazione sia pure sommaria delle pretese creditorie, onde valutare se la loro eventuale futura trasformazione in pretese concretamente esigibili non venga a compromettere nel complesso l'idoneità dell'accordo ad assicurare il regolare pagamento dei creditori non aderenti.

Non è legittimato a proporre opposizione il socio della società di capitali, che, a propria volta, sia titolare di una partecipazione nella società di capitali che ha concluso l'accordo di ristrutturazione. Ciò perché, in virtù della distinta personalità giuridica e dell'autonomia patrimoniale della società di capitali, l'interesse del singolo socio alla tutela del valore della propria partecipazione è tutelabile esclusivamente con strumenti interni alla gestione della società medesima, ma non comporta la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni, e ad impugnare negozi giuridici stipulati con terzi dalla società medesima.

Ai fini del calcolo della soglia del 60% necessaria per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione, non si deve tener conto di crediti contestati, a meno che le contestazioni non risultino ictu oculi talmente infondate da apparire dilatorie e strumentali proprio al fine di influire sul raggiungimento di quella soglia. Con riguardo ai crediti contestati, quindi, l'attività delibativa del tribunale si sposta sul terreno della verifica dell'attuabilità concreta del piano di ristrutturazione, dovendosi valutare in che modo la posizione instabile del creditore, suscettibile di trasformarsi in pretesa esigibile nei confronti dell'imprenditore in crisi, possa impattare sulle possibilità di riuscita del tentativo di salvataggio nel rispetto dei diritti dei creditori, anche futuri, di vedersi onorato il credito in maniera del tutto regolare e alla scadenza.

L'oggetto della valutazione del tribunale in sede di omologa dell'accordo di ristrutturazione si estende anche al profilo dell'attuabilità e dell'idoneità al pagamento dei creditori estranei, indipendentemente dalla proposizione o meno di opposizioni. La presenza di queste ultime può rendere doverosi approfondimenti in tutti i casi in cui evidenzino al collegio giudicante specifici temi non colti d'ufficio, ma il Tribunale è tenuto a compiere le necessarie valutazioni su tutti i profili che possano mettere seriamente in discussione l'attuabilità del piano anche indipendentemente da sollecitazioni contenute in eventuali opposizioni.

Sebbene l'attestazione circa la veridicità dei dati aziendali non sia prevista dalla legge, quanto agli accordi di ristrutturazione, come elemento specifico della relazione del professionista, è tuttavia vero che la verifica dell'attendibilità dei dati costituisce un presupposto logico della attestazione di attuabilità del piano, e deve conseguentemente essere effettuata dal professionista (anche se non necessita di essere trasfusa in una formale attestazione).

Il caso

Una società finanziaria, capogruppo di un articolato gruppo (del quale facevano parte società operanti nel settore del credito al consumo, dell'attività bancaria, dell'attività assicurativa, del factoring, etc.), viene assoggettata alla procedura di amministrazione straordinaria dopo lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo, per gravi irregolarità ai sensi degli artt. 70 e 98 T.U.L.B.. Dopo alcune proroghe della procedura, i commissari straordinari formalizzano un accordo di ristrutturazione di cui chiedono poi l'omologazione al tribunale.
Avverso il ricorso per omologazione vengono presentate molteplici opposizioni da parte di soggetti con posizioni giuridiche disomogenee, trattandosi in alcuni casi di creditori contestati, ed in un caso del socio di una società di capitali a sua volta detentrice di una partecipazione in una delle società del gruppo che hanno concluso l'accordo. Si registra, poi, anche una serie di interventi, alcuni adesivi rispetto all'istanza di omologa, alcuni adesivi alle già proposte opposizioni.
Il merito delle opposizioni ha avuto ad oggetto sia l'impossibilità per le società esercenti attività finanziaria o bancaria di porre in essere accordi di ristrutturazione, sia una serie di svariati profili di interesse di soggetti spesso non direttamente creditori delle società proponenti l'accordo.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Partendo dal problema dell'ammissibilità degli interventi, il provvedimento in esame ha ritenuto compatibili con il rito camerale tutti i tipi di intervento, da quello principale, a quello litisconsortile, a quello adesivo dipendente. Nell'affermare il principio, però, il tribunale ha altresì ribadito la necessità, nel caso di intervento adesivo autonomo o litisconsortile, che quest'ultimo avvenga prima della scadenza del termine per la proposizione dell'opposizione all'omologa, onde evitare che con il ricorso allo strumento dell'intervento sia di fatto aggirata la preclusione processuale. Proprio l'assenza di autonomia dell'intervento adesivo dipendente, invece, ha indotto il tribunale a concludere nel senso dell'ammissibilità di detto intervento anche dopo il decorso del termine per proporre opposizione. Affermata l'ammissibilità degli interventi, pur con i limiti appena visti, il tribunale è poi passato allo specifico esame dell'idoneità degli interessi di cui erano portatori i vari intervenuti, affermando la piena legittimazione ad intervenire dei creditori che avevano aderito all'accordo, proprio in considerazione delle ricadute che la mancata omologazione avrebbe avuto sulle rispettive sfere giuridiche.
Passando invece al problema della legittimazione dei singoli opponenti, il tribunale ha affermato il principio di cui alla terza massima, ammettendo quindi l'intervento, ma rimettendo al momento della valutazione finale sull'omologa il giudizio sulla fondatezza delle varie pretese creditorie e sulla compatibilità di queste ultime con la valutazione di attuabilità dell'accordo. Poste tali premesse il tribunale ha ritenuto ammissibile l'intervento: 1) di una serie di società formalmente vincolate da un rapporto di agenzia nei confronti di altre società del gruppo estranee all'accordo, ma sostenitrici della tesi dell'esistenza di una interposizione, tale per cui il rapporto effettivo sarebbe intercorso con società partecipanti all'accordo medesimo; 2) di una società creditrice di una delle ricorrenti in omologa, sulla base di un lodo arbitrale impugnato in un giudizio ancora pendente.
Il Tribunale ha invece affermato l'inammissibilità dell'intervento della cliente di una delle società ricorrenti, operante quale società di gestione finanziaria, per una somma che la società stessa, depositaria fiduciaria, aveva a propria volta conferito in deposito fiduciario ad un'altra società del gruppo non partecipante all'accordo di ristrutturazione. In relazione a tale intervento - il cui interesse veniva dedotto dal fatto che la mancata omologa dell'accordo avrebbe comportato per quest'ultima società l'apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa, consentendo all'opponente di esperire nei confronti della sub-depositaria azioni di restituzione per separazione ex art. 22 d.lgs. n. 58 del 1998 - il tribunale ha rilevato che la separazione si sarebbe potuta chiedere unicamente in relazione agli strumenti finanziari e non, come nel caso di specie, al denaro, con la conseguenza che anche nel caso di apertura della procedura di liquidazione coatta amministrativa l'opponente non avrebbe potuto in realtà chiedere la separazione, ma insinuarsi solo come creditore chirografario.
Il tribunale ha poi affrontato la questione della legittimazione a proporre opposizione di una società socio di maggioranza di altra società di capitali, a propria volta titolare di una partecipazione di quasi il 50% in una delle società partecipanti all'accordo. La legittimazione è stata esclusa, enunciandosi il principio di cui alla quarta massima e rilevandosi che, nella specie, l'opponente non aveva impugnato la decisione di proporre l'accordo di ristrutturazione assunta dagli organi della società cui partecipava. Il tribunale ha comunque ritenuto di operare un'astratta valutazione del merito dell'opposizione (basata sulla tesi secondo cui la procedura concorsuale avrebbe tutelato il valore della quota di partecipazione in modo più incisivo rispetto all'accordo di ristrutturazione), rilevando come tale opposizione fosse in realtà non suffragata da concrete argomentazioni e come, in particolare, fosse errata la tesi secondo cui l'apertura di una procedura concorsuale avrebbe portato un vantaggio costituito dalla proposizione delle azioni revocatorie. Il tribunale ha, infatti, osservato che tale vantaggio sarebbe andato a favore della massa dei creditori, ma non della società in sé, e quindi, a maggior ragione, non a vantaggio del singolo socio di essa, la cui quota non avrebbe ricevuto alcun incremento, considerato che i creditori "revocati" si sarebbero poi insinuati nel passivo della società stessa.
Risolte in tal modo le questioni relative alla legittimazione dei singoli opponenti, il tribunale è passato all'esame diretto dell'accordo, in primo luogo disattendendo l'eccezione di difetto di legittimazione dei commissari straordinari (basata sulla dedotta illegittimità dei provvedimenti di proroga dell'amministrazione straordinaria emessi dalla Banca d'Italia e dal Ministero dell'Economia e Finanze), ribadendo per contro la piena legittimità dei provvedimenti che avevano prorogato la procedura, proprio sul presupposto e con la finalità di consentire il perfezionamento e la presentazione degli accordi di ristrutturazione. Sempre in tale ottica il tribunale ha ritenuto che, ai fini della richiesta di omologa dell'accordo di ristrutturazione, non occorresse una specifica autorizzazione della Banca d'Italia, proprio perché il ricorso a tale procedura era già stato contemplato e tacitamente autorizzato nel provvedimento di proroga della procedura di amministrazione straordinaria.
Il tribunale ha poi affrontato il profilo di maggior interesse del provvedimento in esame, e cioè la possibilità, per imprese operanti nell'intermediazione finanziaria o nell'attività bancaria, di avvalersi dello strumento dell'accordo di ristrutturazione. La soluzione positiva al quesito è partita, in primo luogo, dall'affermazione della totale autonomia dell'accordo di ristrutturazione rispetto alla procedura di concordato preventivo, e dalla conseguente impossibilità di ridurre la prima ad ipotesi particolare della seconda. Il secondo passaggio argomentativo è invece consistito nell'affermare la natura non concorsuale dell'accordo di ristrutturazione sulla base dei parametri evidenziati nella prima delle massime. La ridotta procedimentalizzazione dell'accordo di ristrutturazione; l'assenza di una fase di ammissione; la mancanza di una fase di accertamento dei crediti; la carenza di veri e propri organi della procedura; il mancato spossessamento dell'azienda; la vincolatività dell'accordo per i soli aderenti; la possibilità che l'accordo stesso non rispetti l'ordine delle cause di prelazione e quindi il principio generale della par condicio creditorum; tutti elementi che hanno indotto il tribunale ad affermare la natura privatistica dell'accordo di ristrutturazione e quindi la non applicabilità della disciplina che limita l'accesso alle procedure concorsuali delle imprese esercenti attività finanziaria o bancaria. Dato normativo significativo è stato rinvenuto dal tribunale anche nel Regolamento 1346/2000/CE relativo alle procedure di insolvenza, il quale non menziona tra gli insolvency proceedings, appunto, gli accordi di ristrutturazione.
Passando alla valutazione del raggiungimento della soglia del 60%, il tribunale ha enunciato il principio di cui alla quinta massima, riconoscendo quindi ai creditori contestati la legittimazione a proporre opposizione, ma escludendo il diritto dei medesimi di essere computati ai fini del calcolo delle maggioranze, salvi i casi di contestazione palesemente infondata. Il provvedimento evidenzia opportunamente che la soglia di legge non deriva (come nel caso del concordato preventivo) dall'applicazione del principio maggioritario e dalla necessità di vincolare creditori dissenzienti (visto che nel caso degli accordi di ristrutturazione i dissenzienti non sono affatto vincolati), ma dall'esigenza di valutare la serietà ed affidabilità della proposta, che, appunto, deve essere tale da riscuotere l'adesione di una percentuale significativa di creditori.
Esclusi i creditori contestati dall'ambito del calcolo delle adesioni, il tribunale ha tuttavia riconosciuto un significativo ruolo a tali crediti sotto il diverso, ma risolutivo profilo della verifica dell'attuabilità concreta dell'accordo “dovendosi valutare in che modo la posizione instabile del creditore, suscettibile di trasformarsi in pretesa esigibile nei confronti dell'imprenditore in crisi, possa impattare sulle possibilità di riuscita del tentativo di salvataggio nel rispetto dei diritti dei creditori, anche futuri, di vedersi onorato il credito in maniera del tutto regolare e alla scadenza (…)”. In altri termini, nell'ottica del tribunale, la valutazione di attuabilità dell'accordo si estende alla verifica della capacità dello stesso di "resistere" alla sopravvenienza di nuove passività non contemplate, e quindi alla previsione, in sostanza, di adeguati meccanismi che assicurino l'esistenza di liquidità idonee a far fronte a tali sopravvenienze.
Verificata la validità formale dell'accordo, la legittimazione dei commissari straordinari, la possibilità per tutte le proponenti di avvalersi della procedura speciale, il regolare raggiungimento della soglia minima di adesione stabilita dalla legge, al tribunale non residuava che passare alla valutazione vera e propria dell'accordo. Nel far ciò, enunciando il principio di cui alla sesta massima, il collegio ha individuato i caratteri e il contenuto della valutazione in sede di omologa dell'accordo di ristrutturazione, affermando l'identità di tale valutazione sia nell'ipotesi in cui siano proposte opposizioni, sia nell'ipotesi in cui tali opposizioni manchino. È stata quindi affermata la necessità di verificare non il mero dato formale del deposito della relazione del professionista, bensì l'effettiva attuabilità e idoneità del piano, intesa come capacità dello stesso di superare lo stato di crisi e di assicurare il regolare e tempestivo adempimento delle obbligazioni nei confronti dei creditori non aderenti.
Superando l'ultima delle eccezioni degli opponenti, il tribunale ha ritenuto che l'attestazione del professionista non fosse inficiata dall'assenza di una formale certificazione di veridicità dei dati aziendali. Il tribunale, sulla scia di precedente giurisprudenza, ha infatti ribadito che, presente o meno questa formale certificazione, il dato essenziale è che in ogni caso la relazione del professionista non venga a prescindere da una verifica preliminare dei dati aziendali che costituiscono il punto di partenza imprescindibile per la elaborazione del piano. Di qui la conclusione per cui lo svolgimento della verifica fatta dal professionista dovrà emergere dal tenore complessivo dell'attestazione senza che però tale controllo fondamentale debba poi necessariamente tradursi in un enunciato formale. Compito dell'attestatore, evidenzia la decisione, è verificare e dimostrare che i flussi di tesoreria ragionevolmente prevedibili saranno in grado di soddisfare i non aderenti nonché i creditori sopravvenuti; e quindi di valutare la capacità del piano di liberare le necessarie risorse di liquidità. Nella specie, la relazione del professionista è stata ritenuta idonea in quanto nella sua parte iniziale aveva in ogni caso proceduto ad una verifica preliminare sull'attendibilità della contabilità delle imprese ed aveva proceduto, nei casi dubbi, ad una nuova analisi dei dati, effettuata appositamente con i commissari straordinari e con gli organi di gestione contabile delle imprese, oltre che con l'intervento di consulenti esterni.
Nel verificare in concreto l'attuabilità dell'accordo, il tribunale ha infine compiuto una delibazione delle pretese dei creditori contestati, affermandone le ridotte prospettive di accoglimento, e comunque ritenendo la sussistenza di idonei fondi per rischi ed oneri, tali da garantire la copertura di sopravvenienze senza mettere a repentaglio l'operatività del piano.
L'accordo è stato, conseguentemente, omologato.

Osservazioni

Due appaiono i profili di maggior interesse della decisione del tribunale bolognese. Il primo è una netta presa di posizione circa la natura non concorsuale dell'accordo di ristrutturazione, che viene quindi ricondotto entro una sfera fortemente privatistica, separata dalle procedure concorsuali vere e proprie. La scelta interpretativa adottata nella decisione si pone sulla scia di autorevoli opinioni dottrinali cui però si sono contrapposte altre opinioni più favorevoli all'affermazione della natura di procedura concorsuale dell'accordo di ristrutturazione. È indubbio che gli indici elencati e valorizzati da decreto in esame evidenzino in ogni caso una profonda degiurisdizionalizzazione di questo istituto, il quale è soggetto all'intervento dell'autorità giudiziaria solo nella fase finale dell'omologa. Altrettanto significativo, peraltro, è il fatto che la legge non abbia previsto alcun organo deputato all'attuazione diretta o alla sorveglianza all'attuazione dell'accordo, che rimane in questo modo rimesso alla totale gestione delle sue parti, che ben potrebbero quindi successivamente rinegoziarlo o sostituirlo con un nuovo accordo. La figura dell'accordo di ristrutturazione rappresenta quindi una sorta di figura intermedia tra quella entità assolutamente non concorsuale costituita dai piani attestati di risanamento, e le procedure concorsuali vere e proprie come il fallimento e il concordato preventivo. Si può solo rilevare come, curiosamente, l'attuale assetto dell'art. 182-bis registri una disciplina assai più dettagliata della cosiddetta misura di protezione anticipata che non dell'accordo vero e proprio. La scelta ermeneutica del tribunale è risultata peraltro fondamentale, perché solo in tal modo si è potuto aprire l'accesso ad un'impresa che, esercitando attività di intermediazione finanziaria, avrebbe altrimenti incontrato la preclusione stabilita dall'art. 57 d.lgs. n. 58 del 1998, parallela a quella stabilita per le banche dall'art. 80 d.lgs. n. 385 del 1993. Ci si può solo domandare ulteriormente come questa ricostruzione possa riflettersi sull'opinione generalmente diffusa, secondo cui possono accedere all'accordo di ristrutturazione unicamente gli imprenditori assoggettabili al fallimento ai sensi dell'art. 1 l. fall. La soluzione del tribunale felsineo rende inevitabile interpretare tale presupposto unicamente sotto il profilo dimensionale e non anche sotto il profilo formale, giacché in tal caso il ricorso all'accordo di ristrutturazione risulterebbe precluso anche per quei soggetti che, pur rientrando dimensionalmente nelle soglie dell'art. 1, sono tuttavia sottratti, per uno speciale regime legale, alla declaratoria di fallimento.
Secondo profilo di particolare interesse è dato dalla individuazione della platea dei soggetti legittimati a proporre opposizione. La scelta del tribunale appare coerente con il dato letterale del quarto comma dell'art. 182-bis, laddove la facoltà di proporre opposizione è riconosciuta a "ogni altro interessato", oltre che ai creditori veri e propri. Si deve peraltro osservare che, nel concreto, la scelta del tribunale si è tradotta nell'ampliamento dell'ambito dei soggetti legittimati ai soli creditori contestati, visto che altre posizioni meno qualificate sono state escluse dall'ambito della legittimazione a proporre opposizione. L'analisi della motivazione con cui sono state disattese queste opposizioni evidenzia che il tribunale ha rilevato, condivisibilmente, l'assenza di un concreto effetto positivo nel caso di accoglimento dell'opposizione, dovendosi ritenere che, comunque, l'interesse ad opporsi debba basarsi sulla prospettiva del conseguimento di un vantaggio concreto dalla mancata omologa dell'accordo. Vi è poi da notare come l'affermazione astratta della legittimazione dei creditori contestati si traduca nella necessità di operare una delibazione sommaria della fondatezza delle loro pretese ai fini della verifica della idoneità del piano a garantire il soddisfacimento dei non aderenti. Il creditore contestato si traduce quindi in un “non aderente potenziale” con la necessità di operare un giudizio prognostico sia sull'eventualità che i crediti ricevano un definitivo riconoscimento, sia sull'incidenza che tali crediti, una volta riconosciuti, avrebbero sulla operatività del piano. Si tratta di una valutazione non significativamente diversa da quella che potrebbe aversi in sede di adunanza dei creditori ai sensi dell'art. 176 l. fall. Rispetto a quest'ultima ipotesi, però, il tribunale di Bologna giustamente sottolinea un fondamentale dato differenziale: mentre nell'ipotesi inerente al concordato la decisione sul credito contestato ha incidenza in primo luogo sulla formazione delle maggioranze e solo in secondo luogo sulla attuabilità del concordato medesimo; nel caso dell'accordo di ristrutturazione la valutazione del credito contestato dispiega i suoi riflessi unicamente sul piano del giudizio di attuabilità, mentre può incidere sul raggiungimento della percentuale minima di legge solo nel caso dei crediti contestati in modo palesemente specioso . Ciò per la fondamentale ragione costituita dall'assenza di un principio maggioritario all'interno del procedimento di A.D.R., e della rilevanza del raggiungimento della percentuale minima di legge unicamente come presupposto di ammissibilità individuato dal legislatore quale soglia minima per ritenere il piano sufficientemente serio ed attendibile.

Le questioni aperte

Per quanto il profilo non sia stato espressamente affrontato dalla decisione, si deve rilevare come, almeno apparentemente, l'accordo di ristrutturazione, per quanto proposto da una pluralità di società facenti capo al medesimo gruppo, fosse in realtà unico. Se fosse davvero così, il tribunale di Bologna si sarebbe discostato da altra giurisprudenza di merito, la quale invece ha affermato la necessità, nel caso di accordi di ristrutturazione proposti da una pluralità di società, della presentazione di tanti accordi quante sono le compagini, accompagnando a ciascun A.D.R. una specifica relazione del professionista, cui aggiungere poi una relazione complessiva su tutto il gruppo (Trib. Monza 26 maggio 2011).

Conclusioni

Provvedimento esemplare sia per l'ampiezza e profondità argomentativa, sia per l'indubbia abilità con cui ha affrontato una fattispecie di grande complessità sia giuridica che fattuale, il decreto del tribunale di Bologna per alcuni versi amplia una linea di sviluppo già tracciata da altri precedenti giurisprudenziali, ma per altri versi risulta un vero e proprio “apripista”, soprattutto per quanto concerne la soluzione di alcune questioni procedurali relative alla fase di opposizione, nonché per quanto riguarda l'importantissimo e delicato problema dell'accesso agli accordi di ristrutturazione da parte delle imprese esercenti attività finanziaria o di credito. Da quest'ultimo punto di vista il decreto felsineo spalanca a tali soggetti le porte della soluzione concordata alle crisi di impresa, creando in tal modo una strada alternativa - auspicabilmente più rapida e compatibile con le esigenze dell'economia - rispetto a quella delle specifiche procedure concorsuali ammesse dalla legge.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La decisione in commento tocca quasi tutti i punti salienti della disciplina degli accordi di ristrutturazione. Si rinvia, quindi, in via onnicomprensiva a Didone, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis l. fall.), in Dir. fall. 2011, I, 8; Inzitari, Nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., reperibile sul sito ilcaso.it; Nardecchia, Art. 182-bis Accordi di ristrutturazione dei debiti, in Cavallini (diretto da), Commentario alla legge fallimentare, Milano, 2010,89; Paluchowski, Gli accordi di ristrutturazione del debito a 5 anni dalla loro introduzione: un appuntamento mancato?, in unisi.it.
La prima massima registra il complesso confluire di una serie articolata di previsioni normative. La previsione fondamentale, naturalmente, è l'art. 182-bis l. fall., ma nel caso di specie risultano coinvolte le norme in tema di Amministrazione Straordinaria (d.lgs. n. 270 del 1999), ma, soprattutto le previsioni speciali che regolamentano l'insolvenza dei soggetti esercenti attività di intermediazione finanziaria (artt. 80 d.lgs. n. 385 del 1993 e 57 d.lgs. n. 58 del 1998). In giurisprudenza non constano precedenti in termini, mentre la tematica della natura concorsuale o meno degli accordi di ristrutturazione viene affrontata, con soluzioni contrapposte, dagli scritti sopra citati.
Il principio di cui alla seconda massima non trova precedenti in termini esatti, ma sui rapporti con i procedimenti in camera di consiglio (artt. 737 ss. c.p.c.) lo stesso provvedimento richiama il precedente di App. Brescia, 8 febbraio 2001, in Foro It., 2001, I, 3383.
Afferma la legittimazione degli altri creditori ad intervenire nel procedimento per risoluzione o annullamento del concordato preventivo Trib. Ascoli Piceno, 18 dicembre 2009, in Il caso.it, 2010.
Non pienamente conforme Trib. Roma, 13 luglio 2000, in Giur. It., 2000, 2103, secondo il quale nel procedimento ex art. 2409 c.c. è ammesso solo l'intervento adesivo autonomo di altri soci legittimati alla denuncia che, a loro volta, denuncino gravi irregolarità, mentre non sono ammessi invece l'intervento adesivo dipendente proposto meramente "ad adiuvandum", nè quello dei sindaci e/o degli amministratori cessati dalla carica.
Contrario all'intervenuto adesivo del socio di minoranza che sia titolare di una quota di partecipazione inferiore al decimo del capitale sociale nel procedimento ex art. 2409 c.c. Trib. Bologna, 12 aprile 1994 in Dir. Fall., 1995, II, 424.
In tema di omologa del concordato preventivo con le modalità ante riforma (sentenza) cfr. Cass. civ. 17 febbraio 2006, n. 3535, in Fall., 2006, 10, 1208, che aveva configurato quale mero intervento la partecipazione dei singoli soci nel giudizio di omologazione del concordato preventivo proposto da una società di persone e non anche dai singoli soci medesimi.
Sulla legittimazione dei creditori ad intervenire, il provvedimento cita Trib. Casale Monferrato, 29 novembre 1984, in Giur. Comm., 1987, II, 505 e Trib. Roma, 5 aprile 1983, in Giust. Civ., 1983, I, 2099 e in Dir. Fall., 1983, II, 890.
Sull'opposizione dei creditori in generale, cfr. da ultimo Trib. Bergamo, 12 maggio 2011, in Foro It., 2011, I, 2533.
Il ruolo dei creditori contestati in sede di opposizione ed omologa - sia sul piano della legittimazione attiva, sia ai fini del calcolo delle maggioranze (oggetto della terza e quinta massima) - non risulta oggetto di specifici precedenti.
Anche nel caso della (non) legittimazione del socio a proporre opposizione (quarta massima) il Tribunale di Bologna ha dovuto far riferimento a giurisprudenza formatasi con riguardo ad altre fattispecie, ed in particolare al concordato preventivo. Si tratta di Cass. 5 maggio 1995, n. 4919, in Giur. It., 1996, I,1, 206 (con nota di Lombardi); Fallimento, 1996, 4, 323 (con nota di Ambrosini). In generale cfr. Cass. 25 febbraio 2009, n. 4579, in Foro It., 2010, 3, 1, 979; Cass. 15 novembre 1999, n. 12615, in Dir. e prat. soc., 2000, f.4, 92.
Assai più noti e sviscerati i profili toccati dalla ultime due massime.
Natura e contenuto del giudizio di omologazione sono stati affrontati da Trib. Roma, 20.05.2010, in Fallimento, 2010, 999; Trib. Milano, 25.03.2010, in Fallimento, 2010, 743; Trib. Milano, 10.11.2009, in Fallimento, 2010, 195 Trib. Milano, Sez. II, 23.01.2007, in Fallimento, 2007, 6, 701; Trib. Milano, 11.01.2007, in Dir. Fall., 2008, II, 136.
La necessità del controllo preliminare di attendibilità dei dati contabili dell'impresa (anche se non oggetto di specifica e formale attestazione) è stato affermato da Trib. Piacenza, 2.03.2011 reperibile sul sito ilcaso.it; Trib. Roma, 20.05.2010; Trib. Roma, 5.11.2009 Corr. Giur., 2010, 2, 241; Trib. Milano, 25.03.2010; Trib. Milano, 10.11.2009; Trib. Milano, 15.10.2009; Trib. Udine, 22.06.2007, in Fallimento, 2008, 6, 701.
Sul ruolo del professionista si rinvia ai due interventi di Ranalli, L'attestazione del professionista degli accordi di ristrutturazione: presupposti, contenuti e finalità, e di Vitiello, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa: profili problematici.

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