Concordato in continuità con cessione dei beni: è necessario nominare un liquidatore giudiziale?

05 Novembre 2015

Il concordato fondato tanto sulla prosecuzione dell'attività d'impresa quanto sulla vendita a terzi di beni non funzionali è da qualificarsi come concordato di natura mista.
Massima

Il concordato fondato tanto sulla prosecuzione dell'attività d'impresa quanto sulla vendita a terzi di beni non funzionali è da qualificarsi come concordato di natura mista.
Anche nel contesto di un concordato qualificabile come misto, la riserva di cui all'art. 182 l. fall. (che richiede la nomina di un liquidatore se il concordato prevede la cessione dei beni e non dispone diversamente), non può essere interpretata nel senso di permettere addirittura alla società debitrice di vendere direttamente il bene, bensì ha il più restrittivo significato di consentire la nomina quale liquidatore del soggetto indicato dalla società debitrice.

Il caso

Innanzi al Tribunale di Roma veniva depositato un ricorso per l'ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale ai sensi dell'art. 186-bis l. fall.
La proposta si fondava su un piano di concordato che prevedeva, da un lato, la piena continuità aziendale della società, vale a dire la prosecuzione dell'attività d'impresa da parte del debitore senza alcuna cessione della stessa a terzi e, dall'altro, che i proventi per l'esecuzione del concordato sarebbero derivati non soltanto dagli utili risultanti dalla prosecuzione dell'attività, bensì anche dalla liquidazione di alcuni beni ritenuti non più funzionali. Alla liquidazione dei beni non funzionali la società debitrice intendeva provvedere in via autonoma.
A seguito dell'approvazione della proposta di concordato così formulata da parte della maggioranza dei creditori (circa l'88%), il Commissario Giudiziale depositava parere favorevole all'omologa. Alcuni tra i creditori dissenzienti presentavano opposizione ai sensi dell'art. 180, comma 4, l. fall.
Il Tribunale ha omologato la proposta di concordato, ha rigettato le opposizioni dei creditori dissenzienti, ha disposto la nomina di un comitato dei creditori ed ha infine nominato un liquidatore giudiziale. La nomina del liquidatore giudiziale è stata motivata dal Collegio in base alla qualificazione del concordato come di natura mista, poiché fondato tanto sulla prosecuzione dell'attività d'impresa quanto sulla vendita a terzi di beni non funzionali alla stessa, come espressamente consentito dall'art. 186-bis l. fall. (che però non qualifica il concordato come di natura mista).
Ha sottolineato il Tribunale, riprendendo la soluzione ad una questione simile recentemente affrontata nella medesima sede (Trib. di Roma, ord. n. 2051 del 22 aprile 2015), come, nonostante la prosecuzione dell'attività d'impresa, in tutti i casi in cui il piano di concordato poggi sull'offerta ai creditori anche solo di una parte del patrimonio attraverso una successiva alienazione a soggetti indeterminati, "la sua qualificazione (o riqualificazione, comunque di competenza del Tribunale), non può che essere in termini di concordato con cessione ai creditori, ossia di messa a disposizione di uno o più beni in favore dei creditori perché venga liquidato con procedura necessariamente competitiva".

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il caso portato all'attenzione del Tribunale di Roma si incentra principalmente sulla figura, di elaborazione giurisprudenziale, del concordato c.d. "misto", ovverosia basato tanto sulla prosecuzione dell'attività di impresa quanto sulla liquidazione di beni non più funzionali alla stessa.
A tal proposito, come vedremo meglio in avanti, la prima obiezione che è possibile muovere a tale qualificazione trova la sua ragione nello stesso art. 186-bis l. fall. che, disciplinando espressamente il concordato in continuità aziendale, consente al proponente di prevedere per l'appunto la liquidazione di beni non funzionali senza null'altro aggiungere. Pertanto, tale possibilità potrebbe (rectius deve) essere semplicemente considerata come una delle modalità di esecuzione della proposta di concordato in continuità aziendale, lasciata anch'essa all'autonomia gestionale del proponente.
Il Tribunale, richiamando una sua recente pronuncia avente ad oggetto una questione analoga, afferma che esiste una compatibilità della disciplina del concordato in continuità con quella del concordato con cessione di beni e giunge alla conclusione che proprio tale compatibilità giustifichi la nomina di un liquidatore giudiziale (esattamente come previsto dall'art. 182 l. fall. per il concordato con cessione dei beni) e che tale nomina sia necessaria al fine di gestire e ottimizzare la fase liquidatoria nel principale interesse dei creditori.
L'altra questione esaminata brevemente dal decreto del Tribunale di Roma riguarda le opposizioni presentate dai creditori dissenzienti. Il Tribunale ha osservato che tali opposizioni sollevano esclusivamente una questione di convenienza della proposta rispetto all'alternativa della liquidazione fallimentare e come tali, in assenza dei presupposti previsti dall'art. 180, comma 4, l. fall., non meritano di essere esaminate.

Osservazioni

Omologa in presenza di opposizione dei creditori. Il Tribunale di Roma ha ritenuto di non esaminare nel merito le opposizioni proposte dai creditori dissenzienti poiché limitate ad una valutazione della convenienza della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria.
A tale proposito, la lettera dell'art. 180 l. fall. è inequivoca nell'ammettere che il Tribunale possa valutare la convenienza della proposta a fronte di opposizioni dei creditori solo qualora tali opposizioni pervengano da creditori appartenenti ad una classe dissenziente, oppure, in ipotesi di mancata formazione delle classi, da creditori dissenzienti che rappresentino il 20% dei crediti ammessi al voto.
In tutti gli altri casi, il potere di valutare il merito e la convenienza della proposta resta in capo al solo ceto creditorio, dovendosi escludere che tale convenienza possa essere oggetto di valutazione da parte del Tribunale, poiché ciò comporterebbe un'analisi del merito della proposta che resta invece di competenza del Commissario Giudiziale al momento dell'espressione del parere favorevole o contrario e successivamente in capo ai creditori attraverso la manifestazione del voto.
Poiché nel caso specifico i creditori che hanno proposto opposizione si sono limitati a contestare la convenienza della proposta, senza però appartenere ad una delle due categorie previste dall'art. 180, comma 4, l. fall., il Tribunale ha potuto disattendere tali opposizioni senza procedere ad un esame del merito delle stesse.
Le ragioni per la nomina del liquidatore. Il Tribunale di Roma afferma che, ogni qualvolta il piano di concordato preveda (anche) la liquidazione di beni aziendali non già secondo lo schema del concordato c.d. "chiuso" (vale a dire quando l'alienazione di tali beni è preceduta dalla determinazione dell'acquirente e del prezzo di vendita già in sede di proposta), bensì secondo una procedura competitiva, quel piano non può che qualificarsi come concordato con cessione ai creditori, secondo lo schema di cui all'art. 182 l. fall. e pertanto richiede la nomina di un liquidatore giudiziale.
La decisione del Tribunale si è posta in contrasto con le osservazioni della società debitrice, secondo la quale, attraverso la nomina del liquidatore, la società sarebbe stata privata della sua autonomia nella fase esecutiva di una proposta già approvata dai creditori, proposta che, trattandosi di concordato in continuità, ha carattere vincolante e pertanto non potrebbe subire alterazioni (in merito alle percentuali offerte) all'esito della vendita del bene.
Secondo il Tribunale, invece, i creditori devono essere comunque considerati come titolari di un interesse ad una piena ottimizzazione della fase liquidatoria e, anche non avendo gli stessi approvato la nomina del liquidatore (poiché non prevista dalla proposta), da tale nomina non potranno in alcun modo essere danneggiati, ma semmai ulteriormente protetti.
Il ragionamento del Tribunale muove dal presupposto che il concordato in continuità aziendale e il concordato con cessione di beni (artt. 186-bis e 182 l. fall.) siano regolati da due discipline del tutto compatibili, dal momento che, da una parte, la società continua a condurre l'azienda (schema che non richiede di per sé la nomina di un liquidatore) e, dall'altra parte, si rende necessario procedere alla vendita di beni il cui controvalore è stato messo a disposizione dei creditori. Proprio per tale ragione, il Tribunale introduce la figura del liquidatore giudiziale, attribuendogli il compito di dare esecuzione, ottimizzandola, all'intera fase liquidatoria.
La reale questione che il Tribunale di Roma si è dunque trovato ad affrontare concerne la compatibilità della disciplina del concordato con cessione dei beni con quella del concordato in continuità aziendale. Infatti, se è vero che entrambe le tipologie di concordato preventivo aderiscono ad una disciplina generale comune, ciascuna viene poi in evidenza per determinate previsioni di carattere speciale che sono, in alcuni casi, incompatibili l'una con l'altra. Rientra tra queste incompatibilità la nomina del liquidatore? Secondo il Tribunale di Roma la risposta deve essere negativa, potendosi invece procedere all'integrazione delle diverse discipline.
Nel caso di specie, per l'appunto, il Tribunale ha ritenuto possibile che l'esercizio dell'attività di impresa da parte della società proponente sia affiancato dalla nomina di un liquidatore giudiziale che, secondo quanto affermato nella parte dispositiva del decreto in esame, si dovrà occupare della procedura di vendita, della formazione dello stato passivo e della ripartizione tra i creditori del ricavato della vendita e delle risorse provenienti dalla prosecuzione dell'attività di impresa. Già qui la decisione sembra contraddire il suo presupposto: se infatti la nomina del liquidatore si giustifica solo alla luce della necessità di garantire un'ottimizzazione nella vendita del bene, resta difficile da comprendere perché il ruolo di questo soggetto debba poi essere mantenuto anche nella successiva fase di distribuzione. Fase che dovrebbe invece restare in capo alla società (con la vigilanza del commissario giudiziale).
Si deve inoltre sottolineare che la nomina del liquidatore è legislativamente prevista solo per il concordato preventivo con cessione dei beni. E del resto, se il debitore può continuare a disporre dei propri beni, come nel caso del concordato in continuità, non si vede perché non possa poi provvedere di sua iniziativa alla vendita dei singoli cespiti che sono semplicemente liquidati nell'ambito del concordato, senza che intervenga in alcun modo una cessione dei medesimi ai creditori. L'art. 182 l. fall. dispone, per contro, la nomina del liquidatore giudiziale per la gestione di una situazione nella quale la disponibilità dei beni viene invece momentaneamente persa dal debitore ed occorre quindi necessariamente che tali beni siano liquidati attraverso l'attività di un soggetto imparziale, quale è il liquidatore giudiziale, che non sia emanazione del debitore stesso (in tal senso, Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato "misto"?, in ilFallimentarista.it).
La domanda che ci si potrebbe porre è a questo punto la seguente: l'art. 182 l. fall., prevedendo che il Tribunale nomini un liquidatore se il piano di concordato non dispone diversamente, ammette che il giudice si possa spingere persino a non nominare alcun liquidatore anche nel caso di concordato con cessione dei beni, lasciando invece che sia la società debitrice a liquidare i propri asset per soddisfare i creditori? Il Tribunale di Roma risolve tale dubbio interpretativo nel senso della necessità di nominare in ogni caso un liquidatore. A tale conclusione giunge facendo leva, tra l'altro, su un orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte che ha reputato la presenza di tale figura nella fase esecutiva come "necessaria e non ovviabile" (Cass. 15699/2011); in altri termini, il Tribunale ritiene che, sulla base della lettura congiunta dei primi due commi dell'art. 182 l. fall., non sia possibile prescindere dalla nomina del liquidatore sulla base di una diversa volontà manifestata dal debitore e che pertanto la riserva di cui all'art. 182 l. fall. (che prevede la nomina di un liquidatore se il concordato consiste nella cessione dei beni e "non dispone diversamente"), non può essere interpretata nel senso di permettere alla società debitrice di vendere direttamente i propri beni (pur se non funzionali all'attività), bensì ha il più restrittivo significato di consentire all'Autorità Giudiziaria di nominare quale liquidatore il soggetto indicato dalla società debitrice.
Tuttavia, la fattispecie sottoposta all'esame del Tribunale di Roma non è affatto un concordato con cessione dei beni in cui, per seguire il ragionamento di cui sopra, la società avrebbe previsto di procedere direttamente alla vendita, quanto piuttosto una figura diversa e diversamente disciplinata, che prevede espressamente la possibilità di liquidare gli asset non funzionali alla continuità aziendale senza però rinviare alle norme in materia di concordato con cessione dei beni.
La qualificazione del concordato come misto. La soluzione al quesito va senz'altro ricercata nella distinzione tra le due tipologie di concordato preventivo - con cessione dei beni e in continuità - e dunque nell'individuazione degli elementi che possono condurre l'interprete a qualificare un concordato come di natura mista e quindi non appartenente in via esclusiva all'una o all'altra fattispecie.
È considerato in continuità aziendale il concordato che si fonda su un piano aziendale che preveda la prosecuzione dell'attività di impresa al fine del superamento della crisi e del recupero della solvenza del debitore. L'istituto è qualificato pertanto non dalla proposta quanto dalle modalità di adempimento della stessa, che presuppongono per l'appunto la prosecuzione dell'attività aziendale.
Il concordato con cessione dei beni è invece quello in cui il debitore proponente mette a disposizione dei creditori tutto il suo patrimonio (c.d. cessio bonorum), proponendo il pagamento dei crediti chirografari in una percentuale comunque tale da realizzare il soddisfacimento dei medesimi, in tempi relativamente ragionevoli.
Come visto e come previsto dalla legge, il piano di un concordato in continuità può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa. L'ovvietà è nondimeno costruttiva, in quanto utile a discriminare la liquidazione, come modalità assorbente del concordato, dalla liquidazione compatibile con il piano aziendale in continuità: che è unicamente la liquidazione di ciò che, rispetto a quella prosecuzione, non si rivela funzionale. Di modo che, quando la liquidazione dovesse coinvolgere anche asset funzionalizzabili, il concordato non potrebbe ritenersi esclusivamente in continuità, ma di liquidazione. Non ci si soffermerà in questa sede sull'analisi di una siffatta tipologia, che è evidentemente diversa da quella in esame, laddove invece il debitore proponente ha dimostrato la non funzionalità rispetto alla continuità aziendale degli asset oggetto di liquidazione.
La principale differenza tra le due tipologie risiede nel fatto che, anche in caso di vendita di beni non funzionali all'esercizio dell'attività di impresa, il concordato in continuità non prevede la cessione dei beni ai creditori; si tratta infatti soltanto di una modalità esecutiva dell'obbligazione assunta attraverso la presentazione della proposta e, come nella fattispecie, approvata dai creditori. Pertanto, ove il debitore esegua quanto previsto nel piano di concordato, la proposta deve ritenersi pienamente adempiuta. Questa è una sostanziale differenza tra le due fattispecie, poiché la prima assume le vesti dell'obbligazione di risultato, e ciò, come detto, a prescindere dalle modalità esecutive del piano (modalità esecutive che saranno in ogni caso oggetto di vigilanza da parte del commissario giudiziale), mentre la seconda è – almeno stando alle recenti decisioni di legittimità (contrastate peraltro da una parte della giurisprudenza di merito e ora apertamente contraddette dalle nuove norme – v. in particolare le modifiche agli artt. 160 e 161 l. fall. - introdotte con la cd. miniriforma di cui al D.L. n. 83/2015, conv. dalla legge n. 132/2015) - un'obbligazione di mezzi che libera il debitore già a seguito della cessione dei beni ai creditori, senza obbligo di garantire una specifica percentuale di pagamento (con tutte le possibili conseguenze legislativamente previste laddove la percentuale eventualmente realizzabile si discosti da quella inizialmente promessa). Sul punto, le Sezioni Unite hanno affermato che l'indicazione della percentuale di soddisfacimento in una proposta di concordato con cessione dei beni non avrebbe carattere vincolante (Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521).
Seguendo tale ricostruzione, sembrerebbe allora doversi arrivare ad una diversa conclusione rispetto a quella raggiunta dal Tribunale di Roma: la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'attività di impresa sembrerebbe essere autonoma rispetto alla cessione di beni di cui all'art. 182 l. fall., venendo in evidenza soltanto come strumento necessario all'acquisizione di risorse per l'adempimento del concordato. Quindi, il concordato che preveda, unitamente alla prosecuzione dell'attività di impresa, anche la vendita di beni non funzionali alla stessa, non deve essere qualificato come concordato di natura mista, ma più semplicemente come concordato in continuità.

Conclusioni

Il tema affrontato dal decreto in esame potrebbe apparire come limitato a risolvere una questione attinente la fase esecutiva del concordato in continuità, mentre in realtà è ben più sostanziale: l'affermare che esista un tertium genus (il concordato misto) tutte le volte in cui sia prevista la vendita di beni non funzionali può di fatto privare di contenuto una modalità di esecuzione del concordato in continuità già prevista dalla legge. Sul punto è interessante leggere una frase del decreto in cui, richiamando il precedente del Tribunale di Roma (citato), si qualifica la proposta come contenente un'offerta ai creditori di una parte del patrimonio. Questa sì sarebbe un'ipotesi da qualificare come concordato con cessione dei beni, diversamente dalla fattispecie in esame, laddove il bene che sarà oggetto di liquidazione non è stato offerto ai creditori, ma semplicemente indicato nel piano come asset non più funzionale e quindi da liquidare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Le norme di più immediato riferimento sono gli artt. 182 e 186-bis l. fall.
In materia di concordato preventivo qualificabile come misto, si vedano Trib. di Roma, ord. n. 2051 del 22 aprile 2015, Cass. 15699 del 23 maggio 2011, Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521.
In dottrina LAMANNA, Che cos'è e quando è configurabile il cd. concordato "misto"?, in ilFallimentarista.it; AMATORE, Il concordato cd. misto ed i limiti di compatibilità con il concordato con continità aziendale ed il concordato liquidatorio, in ilFallimentarista.it; RAVINA, Concordato preventivo misto e nomina del liquidatore giudiziale, in ilFallimentarista.it; PEDOJA, La fase esecutiva del piano di concordato.
In materia di opposizione dei creditori all'omologa del concordato preventivo, si veda GIANI, La cognizione del Tribunale in sede di omologa del concordato preventivo, in ilFallimentarista.it; FINARDI, Limiti al sindacato del Tribunale sulla probabilità di successo del concordato in sede di omologa, in Crisi d'Impresa e Fallimento, 22 settembre 2014.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario