L’azione di responsabilità ex art 146 l. fall. tra prescrizione e prova del danno risarcibile

Pietro Genoviva
15 Febbraio 2012

Nel caso di fallimento di una s.r.l. il curatore è legittimato a far valere la responsabilità di amministratori e sindaci per violazione dell'art. 2486 c.c. (che prevede che gli amministratori rispondano dei danni indirettamente cagionati ai creditori sociali attraverso atti di gestione non strumentali alla conservazione del patrimonio sociale compiuti dopo il verificarsi della causa di scioglimento) anche attraverso l'azione dei creditori sociali.
Massima

Nel caso di fallimento di una s.r.l. il curatore è legittimato a far valere la responsabilità di amministratori e sindaci per violazione dell'art. 2486 c.c. (che prevede che gli amministratori rispondano dei danni indirettamente cagionati ai creditori sociali attraverso atti di gestione non strumentali alla conservazione del patrimonio sociale compiuti dopo il verificarsi della causa di scioglimento) anche attraverso l'azione dei creditori sociali.

Il termine quinquennale di prescrizione dell'azione di responsabilità dei creditori sociali inizia a decorrere dal momento in cui l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei debiti sia divenuta conoscibile ai creditori: pertanto, nel caso di patrimonio netto negativo risultante dal bilancio, il dies a quo della prescrizione può essere individuato nel giorno di deposito del bilancio presso il registro delle imprese.

Quando al verificarsi della causa di scioglimento di cui all'art. 2484 n. 4 c.c. ricorra già una situazione di sbilancio patrimoniale negativo, l'aggravamento del dissesto conseguente a “nuove operazioni” vietate ex art. 2486 c.c. non costituisce per i creditori sociali una danno risarcibile.

L'art. 2393, comma 4, c.c. non è applicabile all'azione sociale di responsabilità proposta dal curatore contro i componenti del collegio sindacale: pertanto, il termine di prescrizione di tale azione inizia a decorrere non dalla data di cessazione dell'amministratore dalla carica né da quella di cessazione dei sindaci dall'ufficio, ma dal momento in cui il danno si sia verificato, a prescindere dalla sua esteriorizzazione, salvo che non ricorra la causa di sospensione di cui all'art. 2941 n. 8 c.c. e cioè il doloso occultamento del danno.

IL CASO 

Il curatore fallimentare di una S.r.l. esercita l'azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. nei confronti dell'amministratore unico e dei sindaci, cumulando in essa sia l'azione sociale di responsabilità che quella dei creditori sociali; in particolare contesta al primo l'aggravamento del dissesto, per aver proseguito l'attività imprenditoriale nonostante il verificarsi della causa di scioglimento costituita dall'azzeramento del capitale sociale, ed ai secondi di aver avallato bilanci che occultavano le ingenti perdite; il danno risarcibile viene quantificato in misura pari alla differenza tra il passivo accertato in sede fallimentare ed il deficit patrimoniale già esistente alla data in cui la società avrebbe dovuto essere messa in liquidazione.
La S.r.l. era stata dichiarata fallita nel settembre 2004, dopo essere stata messa in liquidazione nell'aprile dello stesso anno, mentre, a seguito della riclassificazione dei bilanci operata dal curatore sulla scorta delle verifiche della GdF, era emerso, già alla data del 31 dicembre 2001, un patrimonio netto negativo per svalutazione di crediti inesigibili e maggiori oneri previdenziali ed erariali .

LE QUESTIONI GIURIDICHE ESAMINATE  

Il Tribunale si è innanzitutto posto il problema della legittimazione del curatore fallimentare di una S.r.l. ad esercitare l'azione di responsabilità dei creditori sociali, ma ha facilmente risolto in concreto la questione richiamando l'art. 2486 c.c. (applicabile a tutte le società di capitali), secondo cui gli amministratori sono personalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi per gli atti di gestione compiuti dopo il verificarsi di una causa di scioglimento e non strumentali alla conservazione dell'integrità e del valore del patrimonio sociale.
Ha poi affrontato due importanti questioni in tema di prescrizione, l'una (meno complessa) relativa all'azione di responsabilità dei creditori sociali, l'altra (assai più controversa) concernente l'azione sociale di responsabilità nei confronti dei sindaci. Sulla prima ha rilevato che il termine quinquennale di prescrizione inizia a decorrere non dal momento in cui si verifica l'incapienza del patrimonio sociale, ma da quando tale circostanza si sia manifestata, diventando conoscibile ai creditori sociali, il che normalmente avviene con la dichiarazione di fallimento, pur non potendo escludersi la prova (che incombe ai chiamati in responsabilità) della sua retrodatazione ad un momento anteriore, quale, per esempio, il deposito presso il registro delle imprese di un bilancio sociale negativo.
Per quanto invece riguarda l'azione sociale di responsabilità nei confronti dei sindaci, questa si prescrive nel termine quinquennale previsto dall'art. 2949 c.c., decorrente dal momento in cui si è verificato il danno, a prescindere dalla sua esteriorizzazione, mentre non sono applicabili le cause di sospensione di cui all'art. 2941, n. 7, c.c. o di decadenza di cui all'art. 2393, comma 4, c.c., dettate unicamente in riferimento agli amministratori e non estensibili ai loro controllori .
La parte più interessante della decisione commentata è però quella in cui si afferma il principio che l'incremento del passivo verificatosi dopo l'azzeramento del patrimonio sociale non danneggia i creditori, i quali possono lamentarsi del compimento di nuove operazioni non meramente conservative soltanto quando, prima di dette operazioni, il patrimonio fosse sufficiente a soddisfare, almeno in parte, le loro ragioni, mentre quando risulti che già prima ed indipendentemente da ciò i loro crediti non avrebbero potuto trovare capienza nell'attivo della società poi fallita (essendo il patrimonio netto già negativo) l'aggravamento del dissesto conseguente a tali operazioni non può per loro costituire un danno risarcibile.

BREVI OSSERVAZIONI CRITICHE

Non è il caso di soffermarsi sull'annosa questione dell'esperibilità o meno dell'azione di responsabilità dei creditori sociali nella S.r.l., querelle sorta a seguito della Riforma societaria del 2003 ed ormai abbastanza univocamente e positivamente risolta, se non dalla dottrina, almeno dalla giurisprudenza di merito, dovendo registrarsi anche un recente e conforme approdo di quella di legittimità, come si evidenzierà nel finale riferimento ai precedenti. Il Tribunale leccese bene comunque ha fatto a “dribblare” la complessa problematica, rilevando che nella specie si contestava all'amministratore di aver compiuto operazioni non puramente conservative, anzi aggravanti il dissesto, dopo l'avvenuto azzeramento del capitale sociale e quindi veniva in considerazione il chiaro divieto posto dall'art. 2486 c.c., norma dettata per tutte le società di capitali e non a caso frequentemente invocata dai sostenitori della tesi maggioritaria sulla conservazione nel nostro ordinamento dell'azione di responsabilità dei creditori della S.r.l.
Con riferimento a tale azione, costituisce principio consolidato anche la decorrenza del relativo termine prescrizionale quinquennale dal momento in cui si è manifestato lo squilibrio patrimoniale (normalmente coincidente con la dichiarazione di fallimento) e non dal suo mero verificarsi, con la possibilità per gli amministratori o i sindaci convenuti di dimostrarne la possibile retrodatazione ad un momento anteriore (cioè al deposito di un bilancio negativo al registro delle imprese, ma anche alla diffusione di allarmanti notizie di stampa ovvero alla massiva corrispondenza intervenuta con il ceto creditorio).
Maggiori perplessità suscita invece la soluzione, peraltro ormai affermatasi anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, di assegnare una differente decorrenza della prescrizione quinquennale in materia di azione sociale di responsabilità nei confronti dei componenti del collegio sindacale (a partire dal momento in cui il danno si è verificato e senza possibilità di sospensione durante il loro ufficio) rispetto a quella prevista per gli amministratori (che parte invece dalla cessazione dalla carica).
Ciò non tanto in considerazione dell'indubbia tassatività delle ipotesi di sospensione della prescrizione e quindi anche del disposto di cui all'art. 2941, n 7, c.c., che appunto menziona i soli amministratori delle persone giuridiche, quanto della possibile estensione analogica (ed anche “logica”, cogliendone l'evidente ratio) ai sindaci del principio posto dal quarto comma dell'art. 2393 c.c., non a caso richiamato dall'art. 2407, ultimo comma, c.c. ed esteso alle S.r.l. dal successivo art. 2477, comma 5.
È peraltro facilmente intuibile, da un lato, che la parificazione del termine di decorrenza della prescrizione per tutti gli organi, amministrativi e di controllo, delle società di capitali non potrebbe eliminare il problema dello “sbilanciamento” delle rispettive chiamate in causa nell'ipotesi, non infrequente, di differenti momenti di cessazione dalle rispettive cariche, e, dall'altro, che, rispetto agli amministratori, i sindaci abbiano ben più limitate possibilità di ostacolare l'esercizio dell'azione di responsabilità durante il loro mandato. Sostenere poi, come opina il Tribunale salentino, che la prescrizione per i sindaci debba decorrere non dall'esteriorizzazione del danno, ma dal suo verificarsi, sul presupposto (non certo riferibile anche alle S.p.A.) che “in una compagine sociale ristretta come la S.r.l. i soci seguono molto da vicino l'attività gestoria”, è affermazione che obiettivamente “incoraggia” comportamenti non certo virtuosi da parte dei controllori, che potrebbero essere tentati di avallare (come sembra essere appunto avvenuto nel caso di specie) occultamenti di perdite nei bilanci; né può costituire efficace “contrappeso” a tale principio il richiamo all'art. 2941, n. 8, c.c., che sospende il decorso della prescrizione in ipotesi di doloso occultamento dell'esistenza del debito (la cui dimostrazione però - e non è poco - incombe al creditore) .
Infine, pur in assenza di precedenti in termini, desta parecchi dubbi la correttezza del principio, pure affermato in sentenza, secondo cui non vi sarebbe alcun danno risarcibile per i creditori sociali nel caso in cui le attività gestorie vietate dall'art. 2486 c.c. abbiano aggravato il dissesto in una situazione in cui al verificarsi della (occultata) causa di scioglimento “il patrimonio netto” fosse già negativo.
In particolare, va colta la sottile “contraddizione” in cui sembra cadere il collegio leccese, laddove da un lato menziona “l'azzeramento del patrimonio sociale” (che escluderebbe ulteriori danni risarcibili per i creditori sociali), mentre, dall'altro, fa riferimento alla diversa ipotesi (foriera di positiva azione di responsabilità) in cui “il patrimonio della società fosse sufficiente a soddisfare, almeno in parte, le loro ragioni”. Intendiamoci, se la società (caso peraltro assai raro) al momento del verificarsi della causa di scioglimento non avesse più alcuna posta attiva (né beni mobili o immobili, né crediti o altro), è evidente che ulteriori perdite conseguenti ad azioni gestorie vietate dall'art. 2486 c.c. non potrebbero in concreto danneggiare i creditori, ma se (come normalmente avviene) un sia pur minimo ed incapiente attivo dovesse ancora sussistere in tale momento, appare evidente che l'incremento delle passività potrebbe (eccome !) danneggiare ulteriormente i creditori.
È proprio la situazione che sovente si verifica nel fallimento, in cui, per definizione, il patrimonio netto è negativo, le perdite superando l'attivo, sicchè l'incapiente (ma pur esistente) patrimonio, dopo la liquidazione concorsuale, va ripartito tra i creditori concorrenti: in tale situazione è chiaro che l'aumento della massa passiva, per effetto di operazioni gestorie non meramente conservative, compiute dopo l'azzeramento del capitale, oltre a costituire reato (aggravamento del dissesto ex art. 217 ,nn. 3-4, l. fall.), danneggia ulteriormente i creditori, perché vedranno ridursi la loro ipotetica percentuale di soddisfacimento .

Conclusioni

La procedura fallimentare si conferma il terreno elettivo per le azioni di responsabilità nei confronti degli organi sociali (dal momento che, nel corso della normale vita societaria, è ben difficile ipotizzare un danno per i creditori ed appaiono improbabili iniziative ostili della maggioranza nei confronti di soggetti di sua fiducia), ma la strada da percorrere è per il curatore assai ardua. Rimosso (così sembra) ogni ostacolo all'ammissibilità dell'azione di responsabilità dei creditori sociali della S.r.l., rimangono da fare i conti con la decorrenza dei termini di prescrizione, differente per amministratori e sindaci (quando la fonte della loro responsabilità è sovente comune) e soprattutto con la necessità di dimostrare in modo rigoroso l'an ed il quantum del danno risarcibile. A tal proposito, l'abbandono del (comodo, ma assai approssimativo) criterio della differenza tra attivo e passivo, sostituito dall'indagine sull'esatto e concreto ammontare del danno subito da parte dei creditori per l'incapienza del patrimonio sociale, rischia, nelle sue più esasperate ricadute interpretative (come quella che qui si critica), di travolgere anche la più tradizionale e piana ipotesi di responsabilità degli amministratori per violazione del precetto di cui all'art. 2486 c.c.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla legittimazione del curatore fallimentare all'esercizio dell'azione di responsabilità dei creditori sociali della S.r.l. cfr. da ultimo e tra le tante Trib. Milano 18 gennaio 2011, in Fall. 2011, 588 con nota di M. Spiotta, e Trib. Padova 24 giugno 2009, ivi, 2010, 729, con commento di C. Proto, cui si rimanda per gli ampi richiami alle differenti opzioni interpretative, sia giurisprudenziali che dottrinali, mentre Cass. 21 luglio 2010, n. 17121 (che sembra confermare l'orientamento largamente dominante) si può leggere in Soc. 2011, 701, con nota di Porreca.
Sulla decorrenza della prescrizione dell'azione dei creditori sociali dal momento in cui si è manifestata l'insolvenza e sui vari aspetti della questione, cfr. sempre la citata Cass. 21 luglio 2010, n. 17121 ed i suoi precedenti (Cass. 25 luglio 2008, n. 20476, in Fall. 2009, 826, con nota di Meoli e Cass. 18 gennaio 2005, n. 941, in Dir. Prat. Soc. 2005, 72).
Sull'assai più complessa problematica relativa alla decorrenza della prescrizione dell'azione sociale di responsabilità nei confronti dei sindaci cfr., nel senso condiviso dalla sentenza qui in commento, Cass. 19 settembre 2011, n. 19051, in Soc. 2011, 1340, e Cass. 12 giugno 2007, n. 13765, ivi 2007, 1349, ma, contra, si segnalano Trib. Roma 17 settembre 2001, ivi 2002, 744, con nota di Collia, e la più risalente App. Milano 22 gennaio 1974 , in Giur. Comm. 1974, II, 174 .
Sull'ormai pacifica residualità del criterio della differenza tra attivo e passivo nella determinazione del danno risarcibile ai creditori sociali, in mancanza di prova concreta del suo preciso ammontare, desunto dai dati contabili o anche aliunde, cfr. Cass 23 giugno 2008, n. 17033, in Fall. 2009, 565, con nota di G.M. Zamperetti ove ampi richiami a dottrina e giurisprudenza; Cass. 23 luglio 2007, n. 16211, in Soc. 2008, 1364, con nota di D. Finardi ; Trib. Milano 18 gennaio 2011, cit.; Trib. Milano 29 dicembre 2010, in Soc. 2011, 349; Trib. Padova 24 giugno 2009, cit. ; Trib. Lecce 3 novembre 2009, in Dir. fall. 2010, II, 429, con nota di Restuccia.
Le norme di riferimento delle varie questioni qui trattate, oltre all'art 146 l. fall., sono gli artt. 2393-2394-2407-2477-2484-2486-2941-2949 c.c.

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