La verifica della fattibilità del piano attraverso l'analisi dei criteri adotatti dall'attestatore ex art. 161 l. fall.

17 Febbraio 2012

Se il tribunale non può estendere il suo sindacato fino all'autonomo accertamento della veridicità dei dati aziendali sovrapponendo sul punto la sua valutazione in termini di fattibilità o non fattibilità del piano a quella già svolta al riguardo dall'attestatore, ciò non significa che debba limitarsi a un controllo meramente formale della completezza della documentazione, essendo piuttosto chiamato a una valutazione più penetrante che deve avere a oggetto i criteri attraverso i quali il professionista attestatore è giunto ad affermare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso.
Massima

Se il tribunale non può estendere il suo sindacato fino all'autonomo accertamento della veridicità dei dati aziendali sovrapponendo sul punto la sua valutazione in termini di fattibilità o non fattibilità del piano a quella già svolta al riguardo dall'attestatore, ciò non significa che debba limitarsi a un controllo meramente formale della completezza della documentazione, essendo piuttosto chiamato a una valutazione più penetrante che deve avere a oggetto i criteri attraverso i quali il professionista attestatore è giunto ad affermare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano stesso.

Sebbene l'art. 162, comma 1, l. fall. consenta di concedere un termine non superiore a 15 giorni per apportare integrazioni al piano o produrre nuovi documenti, ciò costituisce una facoltà e non un obbligo per il Tribunale, a fronte dell'onere del debitore proponente di formulare fin dall'origine una proposta conforme a quanto previsto dagli artt. 160 e 161 l. fall.

Il caso

Il Tribunale di Napoli ha dichiarato l'inammissibilità di una proposta di concordato ritenendo che il piano concordatario, così come la relazione del professionista ex art. 161 l. fall., non rispondessero ai criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
In particolare il Tribunale partenopeo, dopo aver esposto le caratteristiche del piano concordatario e dopo aver dato atto dei presupposti di legge, sottolineava alcuni aspetti caratteristici della procedura esaminata, evidenziando come il concordato si caratterizzava per la presenza di numerosissimi crediti che costituivano la gran parte dell'attivo della procedura.
Poiché non venivano indicati i criteri in forza dei quali tali crediti erano stati ritenuti sussistenti, il Tribunale riteneva che non fossero presenti i criteri previsti dagli artt. 160 e 161 l. fall. e dichiarava inammissibile il concordato pronunciando il successivo fallimento del ricorrente, essendo state già presentate istanze di fallimento che erano state nel frattempo sospese.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con la pronuncia in commento il Tribunale aderisce all'orientamento giurisprudenziale di legittimità maggioritario, escludendo la possibilità per l'Autorità giudiziaria di svolgere un autonomo giudizio in ordine alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano concordatario proposto dal debitore; da parte del Tribunale partenopeo, si precisa, tuttavia, come tali limitazioni indicate dalla Corte di Cassazione fin dalla sentenza n. 21860 del 2010 non comportano che l'Autorità giudiziaria debba limitarsi solo a un controllo meramente formale della completezza della documentazione fornita dal debitore, ben potendo, in tale preciso e specifico ambito, effettuare una valutazione più penetrante.
In particolare, il Tribunale partenopeo aderisce a quell'indirizzo della giurisprudenza di merito secondo cui, se l'organo giudiziario non può direttamente verificare la fattibilità del piano, così come attestato nella relazione del professionista allegata alla proposta di concordato (la quale - secondo l'orientamento della Corte di Cassazione - deve ritenersi riservata al controllo del Commissario giudiziale), tuttavia può sicuramente verificare i criteri e le modalità con cui la relazione del professionista ex art. 161 è stata concretamente redatta.
Ritenendo possibile estendere il controllo di regolarità formale anche al contenuto della relazione del professionista, si è affermato in giurisprudenza che in tale documento non dovranno essere presenti “errori logici” che supportano le conclusioni dell'attestatore.
Tale soluzione è stata condivisa da altra giurisprudenza, specificandosi che in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, il controllo del Tribunale deve vertere: a) sotto il profilo della regolarità, sull'accertamento della rispondenza dei dati considerati e attestati dal professionista qualificato, ai sensi dell'art. 161, comma 3, l. fall., alla documentazione di supporto o degli elementi comunque acquisiti; b) sotto il profilo della completezza, sull'accertamento dell'offerta di un'informazione, esauriente ed argomentata, dell'effettiva situazione economica e finanziaria del debitore richiedente, in relazione al piano proposto ai creditori, in modo che esso sia davvero spiegato, sulla base di un'indicazione, critica e ragionata, dei mezzi offerti rispetto agli obiettivi perseguiti”.
Si è ancora affermato che il controllo del Tribunale non può ritenersi limitato a una verifica meramente formale e della completezza e regolarità della documentazione, dovendo, invece, procedere a un sindacato - sia pure indiretto - anche sul merito della fondatezza (cioè sulla fattibilità) della proposta, esclusa ogni valutazione della sua convenienza, ora integralmente rimessa - attraverso la votazione - al ceto creditorio, salvo il caso del giudizio in termini di cram down in presenza di classi dissenzienti; la riaffermata prospettiva pubblicistica dell'istituto è dunque orientata all'espressione di un voto pianamente informato.
L'orientamento giurisprudenziale è stato pertanto, fin dai primi momenti applicativi delle disposizioni della legge fallimentare sul concordato preventivo, nel senso di una lettura delle norme che consentisse un'ampia valutazione da parte del Tribunale in ordine alla sussistenza dei requisiti di ammissibilità.
In tale prospettiva, particolare attenzione da parte della giurisprudenza è stata attribuita - così come ha fatto il Tribunale di Napoli nel caso concreto - al contenuto della relazione del professionista. In particolare, da parte della giurisprudenza si è precisato che “…ai fini dell'ammissibilità del debitore al concordato preventivo, il professionista incaricato di cui al terzo comma dell'art. 161 l. fall., pur non essendo soggetto ad alcun sindacato di merito da parte del Tribunale, deve rendere manifesti, nel contesto della relazione, i criteri e le metodologie seguite nel procedimento di revisione detta contabilità della debitrice, destinato a sfociare nell'attestazione della veridicità dei dati aziendali”.
Vanno richiamati, in tale prospettiva, alcuni precedenti giurisprudenziali: da parte del Tribunale di Monza del 16 ottobre 2005, pur dando atto che nel nuovo concordato preventivo, che valorizza fortemente l'autonomia privata, il controllo affidato al Tribunale non attiene alla valutazione di merito circa la convenienza del piano proposto, bensì alla "possibilità" di una sua concreta attuazione, si è evidenziato come “… il controllo di garanzia del Tribunale non può essere ridotto a una verifica formale dell'avvenuto deposito della documentazione indicata dall'art. 161 l. fall. Al contrario, il ruolo di garanzia del Tribunale deve concretizzarsi: da un lato, nella verifica della completezza e regolarità dei documenti alla luce della loro idoneità a svolgere la funzione informativa e dimostrativa che la legge loro attribuisce per l'ammissione dell'imprenditore alla procedura; dall'altro, nell'assicurare che la relazione del commissario giudiziale fornisca a ciascun creditore tutte le informazioni necessarie per compiere la valutazione in ordine alla convenienza del piano proposto; da un altro lato ancora, nell'interrompere in qualsiasi momento la procedura qualora emergano elementi che dimostrino la non fattibilità del piano proposto, anche se nel frattempo il concordato sia stato già approvato dai creditori e sia in corso il giudizio di omologa”.
Nella medesima prospettiva interpretativa - da parte del Tribunale di Udine, 13 gennaio 2006 - si è evidenziato in modo condivisibile che se al Giudice non è consentito vagliare la convenienza della proposta di concordato, allo stesso è comunque “…affidato un controllo di legalità, che si estende non solo alla completezza e regolarità della documentazione fornita, ma anche alla ragionevolezza e completezza della relazione dell'esperto (a cui la legge ha affidato il giudizio sulla attendibilità dei dati esposti e sulla fattibilità del piano), la cui validità e affidabilità sono presupposti dalla legge nel delineare i requisiti del giudizio su cui i creditori devono basarsi per esprimere il loro voto, in base ai principi generali dell'ordinamento che nel vaglio di legalità del giudice includono sempre il sindacato sulla omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Anche da parte della Corte di Cassazione si è giunti a delineare il ruolo, la natura ed il contenuto della relazione del professionista, affermando che quest'ultima "... non può essere equiparata ad una semplice consulenza di parte; la legge stabilisce, infatti, che il professionista deve "attestare", vale a dire certificare e garantire al Tribunale chiamato a pronunciarsi sull'ammissibilità della proposta, che i dati aziendali sono veritieri e che il piano presenta il carattere della fattibilità".
La Corte di Cassazione dà poi atto dell'orientamento dei giudici di merito che, nostro avviso, appare preferibile, giustificandolo "... con l'esigenza di salvaguardare interessi di carattere pubblicistico ed evitare che la procedura di concordato preventivo possa essere utilizzata dagli imprenditori insolventi con finalità meramente dilatorie", giungendo, peraltro, alla conclusione che tale orientamento"... non appare condivisibile, essendo in contrasto con il dettato normativo dal quale si ricava che il legislatore ha inteso dare una netta prevalenza alla natura contrattuale, privatistica del concordato, che da decisivo rilievo al consenso dei creditori", concludendo poi nel senso che "...da tale disposizione si evince chiaramente che la decisione in ordine alla convenienza del concordato spetta esclusivamente ai creditori; al Tribunale, in mancanza di opposizione, spetta il solo potere di verificare che la procedura si sia svolta regolarmente e se il concordato è stato effettivamente approvato dalla maggioranza".
In altre parole, se la Corte di Cassazione esclude che il Tribunale sia in sede di ammissione del concordato sia in sede di omologa possa svolgere una valutazione in ordine alla convenienza del concordato e sulla fattibilità del piano, e nemmeno possa estendere il suo sindacato all'accertamento della veridicità dei dati aziendali, da parte del Giudice di legittimità si giunge allo stesso tempo ad affermare che "...ciò non significa ...che al Tribunale la legge attribuisca il solo controllo formale della completezza della documentazione. Il Tribunale chiamato ad effettuare una valutazione più penetrante deve garantire che i creditori siano messi in condizione di prestare il loro consenso con cognizione di causa, vale a dire che abbiano a manifestare un consenso informato e non viziato da una falsa rappresentazione della realtà se la veridicità dei dati da valutare al fine della manifestazione del consenso deve essere garantita soprattutto dal commissario giudiziale, come si ricava dalle disposizioni che lo riguardano, l'assolvimento del suo compito richiede, come anche la necessità che la proposta di concordato sia seria e non abbia finalità meramente dilatorie, che la documentazione, prodotta dal debitore, che costituisce la base di partenza delle sue indagini e valutazioni, sia completa e soprattutto che possa essere inquadrata effettivamente nel tipo richiesto dal legislatore".
Alla luce della sentenza della Corte di Cassazione consegue (e questo è in sostanza l'interpretazione del Tribunale di Napoli), lo spostamento della soglia di attenzione dell'Autorità Giudiziaria dal “piano del debitore” alla relazione ex art. 161, poiché il Tribunale dovrà verificare "... che la relazione del professionista attestante la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano, sia adeguatamente motivata indicando le verifiche effettuate, nonché la metodologia ed i criteri seguiti per pervenire alla attestazione di veridicità dei dati aziendali e alla conclusione di fattibilità del piano. Solo in tal modo il commissario giudiziale può essere messo in condizione di valutare criticamente detta documentazione e conseguentemente elaborare una relazione idonea a rendere possibile, da parte dei creditori chiamati a votare la proposta, la percezione quanto più esatta possibile della realtà imprenditoriale, della natura e delle dimensioni della crisi, di come la si intenda affrontare”.
Nel caso concreto, da parte del Tribunale di Napoli, in conformità a tale criterio interpretativo, si è affermato che la proposta di concordato, così come la relazione del professionista, devono contenere un'adeguata e motivata indicazione delle verifiche effettuate e dei criteri seguiti per pervenire all'attestazione di veridicità dei dati aziendali in ordine ai crediti offerti, sottolineando, poi, come tali criteri incidano direttamente sulle conclusioni di fattibilità del concordato.
L'attenzione del Tribunale di Napoli, pertanto, sembra essersi spostata, così come peraltro richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sopra richiamata, almeno nella fase di ammissibilità della procedura, dal contenuto del ricorso e dalla sua fattibilità, alla verifica del contenuto dell'attestazione di fattibilità redatta dal professionista ex art. 161, rendendo attuale quella che è una delle problematiche più interessanti del nuovo concordato preventivo e che riguarda l'eventuale responsabilità del professionista in caso di falsa attestazione sulla veridicità dei dati o di dichiarazione di fattibilità palesemente infondata.
La conclusione cui giunge il Tribunale di Napoli, una volta indicati i criteri cui deve attenersi l'attestatore nel redigere la propria relazione in cui afferma la fattibilità del piano, è che nel caso concreto la proposta concordataria non conteneva una specifica indicazione sulla effettiva sussistenza dell'attivo concordatario; in particolare era carente l'analitica indicazione delle singole pretese creditorie asseritamente vantate dalla società ricorrente nei confronti dei terzi, nonché la descrizione del relativo titolo costitutivo, l'indicazione delle azioni già intraprese in sede giudiziale o stragiudiziale (ovvero in itinere) per la loro riscossione.
Il Tribunale rilevava, altresì, come da parte della ricorrente non sia stato indicato alcun elemento di analisi circa la solvibilità dei singoli debitori e dei tempi di riscossione.
Quest'ultima carenza inciderebbe anche in ordine all'omessa indicazione dei tempi occorrenti per la liquidazione dei beni e l'incasso dei crediti, che nella fattispecie concreta è stato stimato in 36 mesi, ma di cui non è stato fornito alcun elemento finalizzato a chiarire sulla base di quali criteri si sia giunti a tali previsioni.
Da ultimo, da parte del Tribunale si evidenziano ancora con le carenze del piano con riferimento alla tempistica, e all'incidenza, sulla esatta misura del fabbisogno concordatario, degli interessi che sarebbero maturati sui crediti privilegiati prima, durante e dopo la procedura di concordato.

Osservazioni

Così delineata in sintesi la soluzione offerta dal Tribunale campano, si osserva come la citata pronuncia si collochi nell'ambito delle indicazioni fornite dalla citata pronuncia della Corte di Cassazione in ordine alla verifica dei criteri di ammissibilità del concordato preventivo.
Il Tribunale di Napoli, pur essendo formalmente rispettoso delle indicazioni dei Giudici di legittimità, aderisce a quell'orientamento che ha spostato l'attenzione del Tribunale dal giudizio di fattibilità alla verifica dei criteri attraverso i quali si è giunti, da parte dell'attestatore, ad affermare la fattibilità del piano e la veridicità delle scritture contabili.
Si tratta, com'è noto, di criteri piuttosto rigorosi, la cui validità risulta avvalorata confermata anche dal fatto che il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti sembra essersi orientato in tal senso.
Va peraltro segnalato come tale orientamento sia ora contrastato da un altro orientamento, che tende a individuare un autonomo potere del Tribunale di verifica in ordine alla fattibilità del piano, che ha reso necessaria la trasmissione del quesito all'attenzione delle Sezioni Unite in ordine proprio all'ambito del controllo di fattibilità del piano da effettuarsi da parte del Tribunale sia momento dell'ammissione al concordato preventivo, sia con riferimento alla persistenza di tale fattibilità al momento del giudizio di omologazione.
L'ulteriore questione d'interesse esaminata e decisa da parte del Tribunale di Napoli è quella relativa alla portata dell'art. 162 l. fall.
Come si è già ricordato, a seguito delle norme introdotte dal Legislatore con il decreto legislativo n. 169 del 2007, emerge come il Legislatore abbia scelto di rafforzare il potere di indirizzo o di intervento del Tribunale al momento dell'ammissione.
L'art. 162, comma 1, l. fall. prevede infatti che: “Il Tribunale può concedere al debitore un termine non superiore a quindici giorni per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti.”; nella medesima prospettiva si è provveduto a confermare il potere del Tribunale di interrompere l'iter procedurale allorché si verifichino i fatti gravissimi contemplati dall'art. 173 l. fall. o vengano meno i presupposti di ammissibilità.
La necessità di procedere ad una verifica della completezza della documentazione richiesta dall'art. 162, ha portato, parte della giurisprudenza, a valutare la fattibilità, la completezza e la ragionevolezza del piano proposto dal professionista, giungendo, in assenza di tali requisiti, a dichiarare inammissibile il concordato preventivo.
Tale soluzione interpretativa troverebbe conferma, secondo tale dottrina, “…all'impiego, ben diverso, del termine valutazione (contenente, invece, i suddetti elementi di sindacato nel merito), in riferimento esclusivo, tuttavia, alla correttezza dei criteri di formazione delle varie classi di creditori”.
A ciò conseguirebbe “… la totale assenza di ogni compito valutativo, qualora la proposta di concordato non contenga la suddivisione in classi dei creditori, ma soltanto un attento riscontro, sotto i suindicati profili, di adeguatezza informativa, della documentazione da allegare al ricorso”.
In senso contrario a tale soluzione - che vedeva di fatto il Tribunale confinato ad un ruolo di mero controllore della regolarità formale delle condizioni di ammissione - si è posta parte della giurisprudenza, la quale, in numerose e motivate pronunce, ha rivendicato il potere di svolgere il controllo sulla “completezza e regolarità” della documentazione attraverso la verifica della fattibilità del piano e delle attestazioni di veridicità dei dati aziendali”, sottolineando come l'autorità giudiziaria non possa “limitarsi ad un controllo di formale regolarità e completezza della documentazione depositata, come sembrerebbe ad una lettura restrittiva delle norme”.
Il controllo della possibile coerenza del piano e della sua concreta fattibilità è stato riconosciuto in capo al Commissario giudiziale, secondo quanto previsto dall'art. 172 l. fall., e ciò nella prospettiva di una informazione completata ai creditori, perché possano esprimere in “modo consapevole”, nel contraddittorio fra debitore e Commissario giudiziale, il proprio voto.
In questa prima fase il passaggio dal Tribunale al Commissario giudiziale del potere di valutare la sussistenza dei presupposti di ammissibilità del concordato, troverebbe conferma anche in quanto previsto dall'art. 173, comma 2, l. fall., ove si prevede (ancora) che è tale organo che provvede ad informare il Tribunale circa la mancanza delle condizioni per la prosecuzione della procedura.
A questa prima soluzione si è affiancato un secondo filone interpretativo, che pur recependola nella sua sostanzialità, ha operato alcuni distinguo, consentendo di recuperare, attraverso un'attenta verifica della relazione del professionista ex art. 162 l. fall., una possibilità di controllo da parte del Tribunale fallimentare sulla proposta di concordato, sotto il profilo della rispondenza della stessa ai concetti di “completezza e regolarità”.
Si è detto a questo proposito - pur escludendo comunque qualsiasi controllo sulla convenienza e fattibilità del piano proposto ai creditori - che la valutazione del contenuto della relazione del professionista, nel suo duplice contenuto, appunto di attestazione di veridicità (dei dati aziendali, con espressione sintetica, ma tecnica) e di prognosi favorevole (sulla fattibilità del piano), dovrà essere particolarmente rigorosa: tale relazione - infatti - “...istituisce per il professionista qualificato un compito, se non proprio costitutivo di una totale privatizzazione del controllo di corrispondenza dei dati informativi rilevanti, certamente di estrema delicatezza e di cruciale importanza”.
Anche con riferimento alla verifica del contenuto della relazione del professionista sono stati individuati limiti oltre i quali il giudizio del Tribunale non potrebbe spingersi, ribadendosi che “…anche qui i limiti del sindacato giudiziario debbano essere individuati in un accertamento (sia pure dall'esterno, senza alcun controllo di merito) di indicazioni effettive, basate su un'attestazione oggettivamente motivata, necessaria per la formulazione di un giudizio serio ed approfondito sulla fattibilità del piano proposto dal debitore, con una sua valutazione critica e ragionata ed esplicitazione dei criteri e delle metodologie osservati nei controlli compiuti”.
La necessità di una dichiarazione di fattibilità che si fondi su una seria valutazione critica delle condizioni patrimoniali e finanziarie della società che propone il concordato, si rendeva necessaria al fine di evitare che l'indicazione di fattibilità sia “…soltanto apoditticamente affermata, senza alcuna illustrazione argomentata delle ragioni, ricavate dal combinato e coordinato esame dei vari elementi della proposta, sia pure in un'ottica prognostica (e quindi non di certezza scontata, ma comunque di verosimile e ragionevole probabilità di successo).
Peraltro, in presenza di una documentazione incompleta, nell'accezione sopra fornita, da parte della citata dottrina si è affermato che la conseguenza non sarebbe quella dell'inammissibilità, a norma dell'art. 162, comma 1, o dell'improcedibilità della domanda “…quanto piuttosto della concessione di un termine per l'integrazione dei documenti mancanti, cosi come previsto nei progetti di riforma per la procedura di composizione concordata della crisi”.
Accanto a queste due prime soluzioni, dottrina e giurisprudenza ne hanno elaborata una terza, avente natura intermedia, in cui è stato analizzato il concetto di “completezza sostanziale” della documentazione posta a corredo dell'istanza di concordato preventivo.
Si è ritenuto, infatti, che “ …nella fase di ammissione della proposta di concordato preventivo è demandato al Tribunale essenzialmente il compito di effettuare un controllo di regolarità e completezza della documentazione, da intendersi come controllo sostanziale della adeguatezza informativa del piano e dei documenti allegati, ivi compresa la relazione ex art. 161 l. fall. del professionista”.
Il legislatore ha voluto attribuire alla relazione, evidenzia il Tribunale di Roma, 22 ottobre 2007, “ …una funzione innanzitutto accertativa, non ritenendo sufficiente che la veridicità dei dati aziendali sia meramente allegata dalla impresa proponente, ma esigendo che detta attendibilità, e cioè la veridicità dei valori esposti nella proposta e la loro rispondenza ai dati emergenti dalle scritture contabili e dal bilancio, sia attestata da un professionista già in sede di presentazione del ricorso. Di qui la certezza che la attendibilità dei dati aziendali costituisca una condizione di ammissibilità della procedura. La verifica affidata al professionista, in vista di una corretta informazione da rendere ai creditori, ha ad oggetto non solo la rispondenza dei dati posti a base della proposta ed emergenti dalla situazione patrimoniale con le risultanze contabili, ma anche la esistenza e completezza di quei dati, dovendo il professionista procedere ad una valutazione della correttezza dei criteri di stima delle singole poste contenute nel piano di liquidazione. Ma nella conduzione di questo accertamento, per giungere ad una attestazione di veridicità dei dati aziendali, l'esperto non può esimersi dall'effettuare controlli tesi a verificare la esistenza o meno di un sistema di contabilità affidabile, restando altrimenti la funzione accertativa attribuita alla relazione, priva di un vero contenuto di garanzia della informazione dei creditori. Di qui la necessità che il controllo del Tribunale si dispieghi in maniera pregnante sulla relazione, verificando le procedure seguite al fine della affermazione di veridicità dei dati aziendali”.
Precisa poi il Tribunale, introducendo il concetto di “completezza sostanziale”, che allo stesso non si sottrae il contenuto valutativo della relazione, vale a dire il giudizio di fattibilità del piano.
Secondo il Tribunale di Roma, infatti, è necessario “…effettuare un controllo che, pur non entrando nel merito della proposta, garantisca una informazione corretta e completa ai creditori sia in ordine ai dati aziendali posti a base della proposta, sia in ordine al piano medesimo, illustrandone i punti critici e non trascurando circostanze rilevanti, venendo altrimenti ad essere viziato il giudizio sulla convenienza della proposta riservato ai creditori. In tale direzione, quindi, quanto alla valutazione di fattibilità del piano espressa dal professionista, va verificato che la stessa non sia contraddetta dalle stesse risultanze della documentazione allegata al ricorso o compromessa dalla mancata valutazione di dati rilevanti o addirittura dalle stesse riserve formulate dal professionista. In definitiva il percorso logico che porta l'esperto ad affermare la fattibilità del piano, non può che essere criticamente vagliato dal Tribunale nell'esercizio del controllo di completezza sostanziale della documentazione al fine di smascherare apodittiche affermazioni di fattibilità o attestazioni di fattibilità fondate su circostanze contraddittorie che non possono dirsi integrare la condizione di ammissibilità in parola”.
Sulla scorta di tali premesse, la rigorosa - ma coerente - conclusione cui giunge il Tribunale capitolino nel caso scrutinato è che “… la carenza della relazione ex art. 161 l. fall. sia sotto il profilo accertativo sia sotto il profilo valutativo, verosimilmente perché come visto condizionata la attività del professionista da limiti obiettivi incontrati nello svolgimento delle proprie verifiche (di qui anche la inutilità di una eventuale ulteriore richiesta di integrazione) e peraltro evidenziati dallo stesso nella relazione medesima, è tale da doversi pronunciare ai sensi dell'art. 161 l. fall. la inammissibilità della proposta. L'assorbente rilievo del difetto di regolarità e completezza della documentazione, con specifico riferimento alla relazione ex art. 161 l. fall. esime il Collegio dal valutare la correttezza dei criteri di formazione delle classi e della ammissibilità della transazione fiscale, così come proposta”.
Secondo altra giurisprudenza, il Tribunale può “suggerire” integrazioni al piano ex art. 162 l. fall., riservandosi in ogni caso di intervenire, anche dopo l'approvazione, per interrompere la procedura.
Peraltro appare indubitabile come il testo dell'art.162 l. fall., oggetto della modifica apportata dal decreto legislativo n. 169 del 2007, nel prevedere al primo comma che il “il Tribunale può concedere al debitore un termine per apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti”, ed al secondo comma che “il Tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli artt. 160, commi 1 e 2, e 161 l. fall., dichiara inammissibile la proposta di concordato”, sancisca, in maniera espressa e definitiva, il riconoscimento al Tribunale (nuovamente) di un potere autonomo di controllo sulla concreta fattibilità del piano.
L'eventuale potere di “integrazione” da parte del Tribunale deve, pertanto, esercitarsi, in una prima fase, attraverso lo svolgimento di un'attività di “indirizzo” del debitore, rivolta alla modifica di quegli aspetti della domanda inidonei a garantire la fattibilità in concreto del piano e, in una seconda fase, quando l'attivazione del potere-dovere di indirizzo si sia rivelata infruttuosa, attraverso l'arresto della procedura.
La modifica attuata con il “correttivo” del 2007 ha quindi evidenziato la necessità che il “piano” non sia solo teoricamente “fattibile”, ma che tale fattibilità risulti in concreto ed emerga dallo scrutinio attento del Tribunale.
La giurisprudenza più attenta ha sùbito colto l'importanza della modifica, sottolineando come “…la tesi secondo cui il terzo requisito di ammissibilità sarebbe integrato dalla mera presentazione di un piano concordatario, non connotato intrinsecamente dalla fattibilità, ma la cui fattibilità sia semplicemente attestata dalla relazione del professionista trova, dunque, espressa smentita nel dato normativo introdotto dal decreto legislativo n. 169 del 2007 il quale ha recepito l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza di merito successivamente al primo intervento di cui al decreto legge n. 35 del 2005, indirizzo secondo cui all'organo giurisdizionale è riconosciuto sia nella fase di ammissione del concordato, che in quella successiva di approvazione, il potere-dovere di valutare autonomamente la fattibilità in concreto del piano”.
Recentemente, da parte della Corte di Cassazione si è evidenziato che la possibilità offerta al Tribunale dall'art. 162 l. fall. (come modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007) di concedere al debitore un termine per integrare il piano e produrre nuovi documenti va intesa nel senso che essa è diretta a soddisfare maggiormente la completezza informativa del piano e non nel senso di riconoscere al giudice il potere di formulare un giudizio di merito sulla fattibilità del piano stesso.
Alla luce di tali principi possono essere espresse alcune considerazioni sulla pronuncia in commento: sebbene ineccepibile dal punto di vista formale, la conclusione cui giunge il Tribunale partenopeo nella seconda massima in commento, appare forse eccessivamente rigorosa, in quanto vede il Tribunale in una prospettiva di “scarsa collaborazione” con il debitore: se infatti è vero che il Giudice ha solo una facoltà e sicuramente non un obbligo, di richiedere ex art. 162 l. fall. l'integrazione della documentazione mancante o di richiedere al ricorrente di esplicitare i criteri attraverso i quali si è giunti alla dichiarazione di fattibilità del piano, appare opportuno e consigliabile - salvo situazioni particolari (si pensi al caso di concordati presentati strumentalmente al fine di bloccare ricorsi fallimentari presentati dai creditori), in cui sembra collocarsi la fattispecie concreta decisa dal Tribunale di Napoli, proprio perché il Legislatore ha previsto questa possibilità, che, qualora vi siano elementi di perplessità, carenza di documentazione, oppure ci si trovi in presenza di criteri scarsamente intelligibili (si pensi più in generale, ad esempio, al problema dei criteri attraverso i quali sono state formate le classi dei creditori), pronunciare un provvedimento interlocutorio che consenta al debitore di integrare, non solo da un punto di vista documentale o formale, il piano concordatario.
Da parte del Tribunale di Napoli si è affermato che se il Tribunale, in presenza di un concordato carente dal punto di vista della documentazione e dei criteri attraverso i quali si è giunti all'affermazione di fattibilità, può chiedere l'integrazione dei presupposti previsti dalla legge, ciò costituisce una mera facoltà e non un obbligo, ben potendo l'Autorità Giudiziaria limitarsi a dichiarare l'inammissibilità della domanda non conforme alle indicazioni dell'art. 161, sussistendo un preciso onere del debitore di formulare, fin dall'origine, una proposta conforme a quanto previsto dagli artt. 160 e 161 l. fall.
Tale soluzione, seppure rigorosa, ha comunque trovato riscontro nella giurisprudenza di merito, ed appare in alcuni casi particolari imposta dalla necessità di evitare che, attraverso il prolungamento ingiustificato della procedura, possono essere pregiudicate eventuali azioni revocatorie esercitabili nel successivo fallimento, e ciò in quanto, com'è noto, alla dichiarazione di inammissibilità del concordato, non segue automaticamente il fallimento del debitore.

Le questioni aperte

La questione aperta di grande rilievo interpretativo, come attesta l'attuale dibattito giurisprudenziale e dottrinale, appare indubbiamente quella della portata della verifica che deve effettuare il Tribunale al momento dell'ammissibilità della proposta di concordato in ordine alla fattibilità del piano concordatario, nonché la possibilità per lo stesso Tribunale di effettuare, al momento dell'omologazione del concordato, un 'ulteriore accertamento circa la persistenza della fattibilità del piano.
La problematica, come già osservato, è stata posta all'attenzione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la quale nei prossimi mesi fornirà (si spera) indicazioni precise e argomentate agli operatori giuridici, alla luce anche del contrasto giurisprudenziale emerso all'interno della stessa Corte di Cassazione.

Conclusioni

Alla luce della soluzione cui è giunto il Tribunale di Napoli, può giungersi alle seguenti conclusioni: in ambito giudiziario appare sempre più sentita la necessità di un controllo sull'effettiva sussistenza delle condizioni di fattibilità del piano concordatario; tale controllo - come la concreta e quotidiana esperienza insegna - non può essere devoluto, in una prospettiva marcatamente “contrattualistica”, esclusivamente all'attestatore o successivamente al Commissario giudiziale, riservando infine ai creditori il giudizio sulla convenienza della proposta; è infatti evidente come la convenienza del piano sia indissolubilmente legata al concreto raggiungimento degli obiettivi indicati nella proposta del debitore.
Del resto, l'istituto del concordato preventivo presenta ancora evidenti momenti di natura pubblicistica (si pensi all'intervento del P.M. o al controllo ex art. 173 l. fall.), che giustificano il mantenimento del controllo dell'Autorità giudiziaria in ordine alla fattibilità del piano.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In dottrina si vedano Ambrosini, Il concordato preventivo. Concordato preventivo: profili generali e limiti del controllo giudiziale, in ilcaso.it; Ambrosini, La domanda di concordato preventivo, l'ammissione alla procedura e le prerogative del Tribunale, in ilcaso.it; Arato, La domanda di concordato preventivo dopo il d. lgs. 12.9.2007, n. 169, in Dir. Fall., 2008; Azzaro, Concordato preventivo e autonomia privata, in Fall., 2007; Fabiani , Per la chiarezza delle idee su proposta, piano e domanda di concordato preventivo e riflessi sulla fattibilità, in Fall., 2011; Genoviva, I limiti del sindacato di merito del Tribunale nel nuovo concordato preventivo, in Fall., 2006; Giani, La cognizione del Tribunale in sede di omologa del concordato preventivo, in questo portale; Lamanna, Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l'intervento delle SS.UU., in questo portale; Lamanna, Richiesta la rimessione alle SS.UU. sull'ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato preventivo, in questo portale; Patti, Il sindacato dell'autorità giudiziaria nella fase di ammissione, in Fall., 2006, 1021.; Rago, I poteri del Tribunale sul controllo della fattibilità del piano nel concordato preventivo dopo il decreto correttivo, in Fall., 2008; Vacchiano, I poteri di controllo del Tribunale in sede di ammissione del debitore al concordato preventivo, in Fall., 2007,1322.
Per la giurisprudenza, oltre alle sentenze già citate, si vedano: Cass. Civ. n. 18864 del 2011; Cass. Civ. n. 13818 del 2011; App. Torino del 19 giugno 2007, in Fall.; Trib. Terni del 4 maggio 2009, in Giur. Merito; Trib. Piacenza del 1° luglio 2008, in Il Caso.it; Trib. Milano del 9 febbraio 2007, in Fall.; Trib. Palermo del 17 febbraio 2006, in Fall.; Trib. Pescara del 20 ottobre 2005, in Fall.; Trib. Monza del 17 ottobre 2005, in Dir. e prat. Soc.; Trib. Ancona del 13 ottobre 2005, in Fall.

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