Note minime sul regresso nel fallimento

Giorgio Lener
05 Marzo 2012

Il credito di regresso tra i fallimenti dei soci sorge per effetto del pagamento in eccedenza rispetto alla quota di partecipazione alla società ed è credito concorsuale, secondo il combinato disposto degli artt. 148, comma 3, e 61, comma 2, l. fall.
Massima

Il credito di regresso tra i fallimenti dei soci sorge per effetto del pagamento in eccedenza rispetto alla quota di partecipazione alla società ed è credito concorsuale, secondo il combinato disposto degli artt. 148, comma 3, e 61, comma 2, l. fall.

Il futuro credito di regresso (del socio illimitatamente responsabile) non può considerarsi credito condizionale, ai sensi dell'art. 55, comma 3, l. fall., e non può, quindi, insinuarsi al passivo con riserva.

Il caso

Dichiarato il fallimento di una società di fatto e dei suoi due soci illimitatamente responsabili, il curatore speciale del fallimento di uno dei soci (nominato ex art. 78, comma 2, c.p.c. in ragione dell'unicità della curatela dei diversi fallimenti) chiede di essere ammesso, in regresso, al passivo del fallimento dell'altro socio, ai sensi dell'art. 148, comma 3, ultima proposizione, l. fall. La domanda d'insinuazione, tuttavia, viene svolta senza che il fallimento istante abbia proceduto ad alcun pagamento a vantaggio dei creditori sociali, bensì fondandola sull'incapienza dell'attivo della società di fatto, nonché, al contempo, sull'incapienza dell'attivo del fallimento dell'altro socio a soddisfare i creditori sociali in misura pari alla quota di partecipazione alla predetta società e, di contro, sull'ultra-capienza del proprio attivo rispetto a tale quota. Il tribunale decide per il rigetto della domanda di insinuazione, in ragione dell'inconfigurabilità del diritto di regresso, sino a che non sia intervenuto il pagamento dei creditori sociali.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale affronta - sia pur nella prospettiva “applicativa” (v. infra) del regresso tra i fallimenti dei soci in relazione a quanto pagato in eccedenza rispetto alla quota di partecipazione alla società - un tema di rilevanza centrale nella formazione del passivo fallimentare, sul quale, negli ultimi anni, la Suprema corte è intervenuta a più riprese: i limiti e le ‘modalità' dell'insinuazione al passivo del credito di regresso nelle obbligazioni solidali.
Il caso di specie, per il vero, trova diretta disciplina nell'art. 148, comma 3, seconda proposizione, l. fall. (che fa “salvo il regresso fra i fallimenti dei soci per la parte pagata in più della quota rispettiva”), ma, regolando una peculiare ipotesi di regresso tra coobbligati falliti, rinvia alla previsione generale di cui all'art. 61, comma 2, l. fall., giusta il quale “[i]l regresso tra coobbligati falliti può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l'intero”. Il tribunale - peraltro con un'impropria sovrapposizione tra venuta ad esistenza ed esigibilità del diritto - segue l'indirizzo largamente prevalente (v., tra le tante, Cass. n. 13508 del 2004 e n. 903 del 2008), secondo cui il diritto di regresso sorge per effetto del pagamento e, conformandosi all'ultimo orientamento dei giudici di legittimità, inaugurato con Cass. n. 903 del 2008, riconosce natura concorsuale al credito di regresso, anche se sorto nella pendenza del fallimento, negando l'applicabilità in via analogica dell'art. 55, comma 3, l. fall., perché norma eccezionale, siccome derogatoria al principio della cristallizzazione (cfr. Cass. n. 11953 del 2003), ed escludendo, pertanto, che, prima del pagamento, possa ammettersi al passivo, con riserva, il futuro (ed eventuale) credito di regresso (contra Cass. n. 13508 del 2004).

Osservazioni

Preliminarmente, va rilevato che la controversia portata all'attenzione del Tribunale di Messina, diversamente dalle fattispecie oggetto, negli ultimi lustri, di decisione da parte dei Supremi giudici (cfr., ancora, Cass. n. 903 del 2008), si presentava alquanto lineare, trattandosi di dare diretta applicazione agli artt. 148, comma 3, e 61, comma 2, l. fall. In altre parole, mentre la Corte di Cassazione, nel recente passato, è stata chiamata a decidere se il coobbligato in bonis, testualmente non ricompreso nella fattispecie del secondo comma dell'art. 61 l. fall., potesse insinuare al passivo il proprio credito, e con quali ‘modalità' (se necessariamente con riserva, prima dell'escussione, ma - secondo la ‘lettura' che della pregressa giurisprudenza dà Cass. n. 903 del 2008, cit. - non in applicazione analogica dell'art. 55, comma 3, l. fall., bensì in applicazione estensiva dell'art. 61, cpv., costruendosi, praeter legem, l'istituto della ‘prenotazione' [v. Cass. n. 7222 del 1990], oppure, ad escussione avvenuta, per la ravvisata natura concorsuale del credito di regresso, pur sorto a seguito del pagamento, in ragione della preesistenza al fallimento della ‘causa remota' di esso, ossia l'obbligazione solidale), nel caso in esame, assai più ‘pianamente', i giudici messinesi si sono trovati a valutare il regresso tra fallimenti, vale a dire la fattispecie espressamente regolata dall'art. 148, comma 3, l. fall. e, dal combinato disposto di tale norma e dell'art. 61, comma 2, l. fall., hanno tratto la conclusione che il credito di regresso tra i fallimenti dei soci - al quale, dunque, è il legislatore ad aver attribuito, expressis verbis, la possibilità di partecipare al concorso - implica l'avvenuto pagamento del creditore (a nulla rilevando, per quanto ora preme, se si debba ravvisare, nella norma dell'art. 61, cpv., l. fall., una deroga al principio della cristallizzazione oppure, previa reinterpretazione di essa, superandone il dettato letterale, una valenza estensiva del detto principio).
Non può, peraltro, negarsi, sul piano empirico, che l'ammissione con riserva - elaborata, in passato, dalla Suprema Corte con finalità manifestamente equitative, a tutela delle ragioni di regresso del fideiussore in bonis, altrimenti escluso dal passivo, secondo l'orientamento dominante prima di Cass. n. 903 del 2008, cit., finalità equitative nella specie non ricorrenti, in ragione dell'espressa previsione normativa - possa giovare al fallimento del socio ragionevolmente sicuro della futura escussione, perché, per tale via, partecipa ai riparti parziali ai sensi dell'art. 113 l. fall. (quantunque le quote di sua spettanza debbano essere trattenute e depositate). Sennonché, come osservano i giudici siculi - riprendendo l'antinomia tra l'art. 55, comma 3, e l'art. 61, comma 2, l. fall., con prevalenza di quest'ultima disposizione, messa in risalto da Cass. n. 903 del 2008, cit. -, il futuro credito di regresso non può considerarsi “condizionale”, ai sensi dell'art. 55, comma 3, l. fall. (o “condizionato”, come, con scarso coordinamento, si esprime il successivo art. 96, per di più aggiungendo, separatamente, il riferimento ai crediti indicati nell'ultimo comma dell'art. 55 l. fall., probabilmente alludendo al beneficium excussionis menzionato nella seconda proposizione del capoverso di detta norma): ciò perché un “credito condizionale” è un credito la cui fattispecie genetica è perfetta, ma improduttiva di effetti (se si tratti di condizione sospensiva) ovvero ad efficacia precaria (se si tratti di condizione risolutiva), laddove il futuro credito di regresso si origina da una fattispecie ancora ‘imperfetta' (qui coincidendo completamento della fattispecie e produzione dell'effetto). D'altronde, non va trascurato - come si è opportunamente rilevato in dottrina - che il futuro creditore di regresso è, in primis, condebitore del fallito; si consideri, altresì, che la sua posizione attiva, di pretesa, dipende dall(a tempestività dell)'osservanza della condotta cui è tenuto, vale a dire l'adempimento dell'obbligazione: se ne ricava il favore legislativo verso il creditore in senso stretto e non già verso l'eventuale creditore futuro, attuale condebitore. Conclusione - quella della non ammissibilità con riserva - non destinata a mutare anche ove si segua un orientamento minoritario, secondo cui la fonte dei rapporti interni ai condebitori solidali andrebbe individuata ex ante, allorché si è originata l'obbligazione solidale, e non già ex post, al tempo e in conseguenza dell'adempimento; con il portato di ritenere sorto il diritto di regresso allorché è sorta l'obbligazione solidale, ma di differirne l'esercizio ad un momento successivo al pagamento (cfr. Cass. n. 2680 del 1998, pronuncia resa in ambito non fallimentare, ad avviso della quale “non è vietata un'azione di regresso in via anticipata, proponibile cioè dal coobbligato solidale contro un altro coobbligato già nel corso dell'azione intrapresa dal creditore nei confronti di uno dei debitori. […] il coobbligato solidale, condannato a pagare l'intero al creditore, potrà recuperare la quota riconosciutagli in sede di regresso contro l'altro coobbligato, solo dopo il pagamento, da parte sua, dell'intero debito”). Una ‘terza via' (tra la preesistenza del regresso al fallimento e la venuta ad esistenza solo con il pagamento, in ipotesi eseguito a fallimento dichiarato) è stata proposta da Cass. n. 903 del 2008, cit., in vero non senza contraddizioni, vale a dire del regresso quale diritto ‘bifronte', successivo, ma, in certa misura, preesistente, in quanto diritto che si origina col pagamento, e che, tuttavia, affonda le sue ‘radici' in una ‘causa remota' (pur sempre l'obbligazione solidale), antecedente il fallimento, in quanto “[n]ulla sembra impedire, in via di principio, che siano ammessi al concorso crediti sorti successivamente al fallimento, purché in virtù di atti o fatti giuridici preesistenti o che, comunque, non siano riconducibili all'iniziativa del fallito”. Donde la concorsualità del credito di regresso (e l'inammissibilità dell'insinuazione con riserva, perché credito non condizionale), chiosando la stessa Corte, in tesi generale, che “il credito di regresso o è concorsuale, e allora la sua insinuazione prescinde dal momento in cui avviene il pagamento e può essere insinuato anche tardivamente, o non è concorsuale, ed allora non può essere insinuato neanche con riserva, né tardivamente né tempestivamente”. Nel caso del regresso tra fallimenti dei soci, di cui all'art. 148, comma 3, l. fall., il regresso è concorsuale per espresso riconoscimento normativo (senza che occorra far capo ad interpretazioni più o meno ‘coraggiose'), ma va ribadito trattarsi di credito ‘nuovo', e non di credito “condizionale”, per il quale soltanto è prevista l'ammissione con riserva (singolare, peraltro, è la recentissima Cass. n. 3472 del 2011, che, sia pur nel contesto dell'art. 6 l. fall., realizza una mistione tra indirizzi della propria giurisprudenza, in quanto, da un lato, richiamandosi a Cass. n. 13508 del 2004, cit., annovera specificamente il fideiussore non escusso tra i creditori condizionali ex art. 55, comma 3, l. fall. [il che - merita aggiungere - si traduce, in ultima istanza, oltre che nella duplicazione del concorso per il medesimo credito, nel sovvertimento della regola generale di cui all'art. 1299 c.c., che subordina il regresso al pagamento, a poco rilevando se integrale, come testualmente affermato dal legislatore, ovvero anche solo parziale, con regresso per la parte eccedente la propria quota, secondo l'orientamento della letteratura prevalente]; dall'altro, richiamandosi a Cass. n. 903 del 2008, cit., afferma che il diritto di regresso, “azionabile una volta verificatasi la condizione dell'avvenuto pagamento, tra[e] origine da un atto anteriore all'apertura del concorso”, dove è palese l'accezione atecnica del nomen “condizione”, dovendosi ribadire, esattamente all'opposto, che la norma dell'art. 55, cpv., l. fall. adotta un significato rigoroso di detto nomen, ciò che è coerente con la natura di norma eccezionale, siccome derogatoria al principio cardine della cristallizzazione).
Un ultimo profilo merita di essere segnalato nella pronuncia in epigrafe: esclusa la natura condizionale del credito di regresso, si conclude che, una volta venuto ad esistenza per effetto del pagamento (senza, per il vero, riferirsi alla ‘causa remota' propugnata da Cass. n. 903 del 2008, cit.), tale credito partecipa al concorso in deroga all'art. 52 l. fall. Ma ci si affretta a precisare che detta deroga “è solo apparente, in quanto si attua una mera modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio”: al creditore sociale si sostituisce il fallimento personale dell'altro socio. Questo ‘passaggio' conclusivo adombra una possibile sovrapposizione tra regresso e surrogazione nelle obbligazioni solidali, di cui appare opportuno dare brevemente conto. La disputa in ordine alla possibilità di ammettere al concorso il credito di regresso del coobbligato in bonis, che abbia eseguito il pagamento nella pendenza della procedura fallimentare, con l'escamotage equitativo dell'ammissione con riserva (indipendentemente dalla qualificazione di quel credito come “condizionale” ai sensi dell'art. 55, cpv. l. fall.), fa perno sul diritto di regresso in senso stretto e sui problemi posti dalla ‘novità' di esso (pacifica per la giurisprudenza, salve le precisazioni sopra operate). Se, invece, si avesse riguardo alla surrogazione legale, ex art. 1203, n. 3, c.c., che opera “a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, aveva interesse di soddisfarlo”, non si assisterebbe alla nascita di alcun nuovo diritto, bensì alla mera modificazione soggettiva del titolare di un diritto senz'altro preesistente alla declaratoria di fallimento. Non v'è dubbio che vi sia notevole somiglianza tra le due azioni (peraltro, destinatarie di differenti previsioni normative, ad es., in ambito fideiussorio: v. artt. 1949 e 1950 c.c., quanto a spese e interessi), non foss'altro perché il condebitore solidale, cui spetta il regresso ex art. 1299 c.c., è senz'altro soggetto tenuto “con altri” all'adempimento dell'obbligazione. Tant'è che in dottrina si trascorre tra chi ravvisa, tra le due azioni, identità funzionale (con il concorso, ovviamente non cumulativo, tra esse) e chi vi ravvisa una vera e propria identità, sì da ‘leggere', nell'art. 1299 c.c., la disciplina delle modalità operative della surrogazione legale nell'ambito della solidarietà debitoria, mentre la prima delle due interpretazioni è pressoché unanime in giurisprudenza (tra le tante, Cass. n. 21430 del 2007, peraltro, in distonia col precedente orientamento in punto di ammissione al passivo, perché ha negato al fideiussore l'ammissione con riserva, ritenendolo legittimato ad esperire, dopo il pagamento, la sola azione surrogatoria; nonché Cass. n. 903 del 2008, viceversa favorevole, come già rilevato in precedenza, nei riguardi dell'azione di regresso). Proprio la pronuncia di revirement del 2008 - pur tenendo a sottolineare la diversità delle due azioni e la consapevolezza, al riguardo, del legislatore fallimentare della riforma (di cui si trae conferma, tra l'altro, nell'art. 115, comma 2, ultima proposizione, l. fall.) - pone in luce la sostanziale equiparazione tra esse, in ambito fallimentare, giungendo, anzi, a concludere che “il fideiussore che paga resta surrogato nei diritti del creditore contro il debitore e, agendo in regresso, non fa valere un credito nuovo e più ampio sorto dopo il fallimento, bensì lo stesso credito insinuato o insinuabile dal creditore soddisfatto e i propri crediti, per spese e (eventuali) danni, anteriori al fallimento”. Donde quella sovrapposizione tra i due ‘rimedi' che traspare anche dalla motivazione del provvedimento in epigrafe, sebbene non dovrebbe esservi dubbio che, nel caso di specie, solo di regresso, stricto sensu, fosse dato discutere, in ragione di quanto sopra rilevato in ordine alla consapevolezza del legislatore della riforma della differenza tra regresso e surrogazione.

Le questioni aperte

Permane aperta, nel dibattito giurisprudenziale (v., da ultimo, Cass. n. 21430 del 2007, cit.), la questione, centrale, dell'ammissione con riserva del futuro credito di regresso del condebitore solidale (e della qualificazione di esso nel sistema della legge fallimentare), ma, come già rilevato in precedenza, appare condivisibile la soluzione negativa data dai giudici siculi, per di più con il diretto ‘conforto' del dettato normativo. Il Tribunale messinese, inoltre, non affronta la risalente questione della natura della responsabilità del socio illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali, se di garanzia (ex lege) ovvero diretta (limitatamente alla quota di partecipazione alla società, che si presume eguale a quella degli altri soci: cfr. art. 2263, comma 1, seconda proposizione, c.c.); ma non si tratta di omissione, dunque, censurabile, perché tale profilo controverso non assumeva rilevanza ai fini della decisione. Piuttosto, un minimo rilievo può muoversi per la mancata precisazione che il regresso del fallimento del socio presuppone non soltanto il pagamento in misura eccedente la quota di partecipazione (e per tale eccedenza), ma, altresì, l'integrale pagamento del creditore sociale, conformemente al disposto dell'art. 61, comma 2, l. fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In dottrina, tra i tanti, v. Jorio, Il fallimento a cura di Ambrosini, Cavalli e Jorio, Trattato di diritto commerciale diretto da Cottino, XI, Padova, 2009, 765 ss.; Fici, Sull'ammissibilità al passivo del credito di regresso del fideiussore adempiente dopo il fallimento del debitore garantito, Fall., 2008, 929 ss.; Lamanna, Il nuovo diritto fallimentare diretto da Jorio e Fabiani, Bologna, 2006, sub art. 55, 798 ss.; Martorano, Il nuovo diritto fallimentare diretto da Jorio e Fabiani, cit., sub art. 61, 845 ss.; Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2007, 128; Bozza, L'ammissione del fideiussore solidale non ancora escusso, Dir. fallim., 2003, I, 1346 ss.; Inzitari, Effetti del fallimento per i creditori, Commentario Scialoja-Branca alla legge fallimentare, Bologna-Roma, 1988, 157 ss.; Blatti, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico a cura di Ferro, Padova, 2011, sub art. 148, 1662 ss.; Pirazzoli (- Maffei Alberti), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2009, sub art. 148, 892 ss.; G. Corapi, Regresso e surrogazione nelle obbligazioni solidali, Padova, 2010, passim, spec. 35 ss. Per la giurisprudenza, Cass. 12.7.1990, n. 7222, Dir. fallim., 1990, II, 1327; 11.3.1998, n. 2680, Dir. ed economia assicuraz., 1999, 741; 8.8.2003, n. 11953, Fall., 2004, 1091; 21.7.2004, n. 13508, Fall., 2005, 399; 12.10.2007, n. 21430, Fall., 2008, 647; 17.1.2008, n. 903, Foro it., 2008, I, 1125. Le norme che vengono in rilievo nel caso in esame sono quelle di cui agli artt. 52, 55, 61 e 148 l. fall., nonché all'art. 1299 c.c.

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