Decorrenza del termine annuale ex artt. 137 e 186 l. fall. per la richiesta di risoluzione del concordato

Roberto Amatore
07 Marzo 2012

Nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l. fall, il dies a quo della decorrenza del termine annuale entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato, questo termine decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive.
Massima

Nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l. fall, il dies a quo della decorrenza del termine annuale entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato, questo termine decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive.

Il caso

Il fallito veniva ammesso a concordato fallimentare in virtù di sentenza di omologazione emessa dal Tribunale di Trapani in data 22 aprile 2003. Con la detta statuizione il Collegio, nel disporre il pagamento delle spese di giustizia e dei creditori privilegiati per intero, nonchè dei creditori chirografari nella misura del 40%, ammetteva l'intervento di un terzo assuntore, prevedendo l'accollo cumulativo dei debiti fallimentari in capo al predetto assuntore.

A distanza di più di due anni dall'omologazione, il curatore proponeva innanzi al Tribunale di Trapani giudizio di risoluzione del concordato fallimentare ai sensi dell'art. 137 l. fall., deducendo che il fallito non aveva ancora dato adempimento agli obblighi contratti in seno alla proposta di concordato come approvata dal Tribunale.
Nel predetto giudizio si costituiva il fallito, il quale opponeva che la ragione della mancata esecuzione del concordato doveva essere ricercata nell'accertata errata ammissione nello stato passivo decretata per il credito del Banco di Sicilia S.p.A., dal quale non erano stati sottratti alcuni versamenti effettuati a deconto dell'esposizione debitoria del fallito anteriormente alla dichiarazione di fallimento; eccepiva, in ogni caso e preliminarmente, la decadenza dall'azione di risoluzione di cui all'art. 137 l. fall., stante il decorso, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, del temine di sei mesi fissato in sentenza per l'ultimo pagamento stabilito nel concordato.
Il Tribunale di Trapani, con la sentenza poi oggetto di impugnazione, dichiarava risolto il concordato fallimentare e disponeva la riapertura della procedura fallimentare.
Avverso la detta sentenza ricorreva per Cassazione il fallito, deducendo, da un lato, l'erroneità della sentenza impugnata, laddove questa aveva ritenuto che non si fosse verificata alcuna decadenza dal termine perentorio stabilito dall'art. 137 l. fall. per chiedere la risoluzione del concordato, e lamentando, dall'altro, la mancata pronuncia del Tribunale sulla domanda di annullamento del concordato proposta dal fallimento.

Le questioni giuridiche

Il Tribunale di Trapani ha pronunziato la risoluzione ritenendo che il termine decadenziale di cui all'art. 137 l.fall. cominciasse a decorrere dopo l'ultima delle operazioni di liquidazione.
Tale assunto è stato ritenuto erroneo dalla Corte di legittimità, nella sentenza in commento, sulla base del presupposto che - solo nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato, la data di scadenza dell'ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l. fall., il dies a quo della decorrenza del termine annuale entro cui può richiedersi la risoluzione del concordato - questo termine decorra dall'esaurimento totale di tutte le operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonchè con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive.
Ebbene, va precisato che la risoluzione, ai sensi - ora - del sesto comma dell'art. 137 e dell'art. 186, comma 3, l. fall., non può essere domandata decorso un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto nel concordato e, ove proposta oltre detto termine, va dichiarata inammissibile (Minutoli, Comm. Ferro, 1079; Ruosi, Comm. Nigro Sandulli, 831; Sanzo, Comm. Jorio, 2085; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 501).
La ratio del limite all'esercizio dell'azione di risoluzione è stata individuata, da taluno, nella necessità di porre un termine all'incertezza dei rapporti riconducibili al fallito (così, Satta, Diritto Fallimentare, Padova, 2006, 431), mentre da altri è stata posta l'attenzione sull'esigenza di certezza e stabilità dei rapporti sostanziali (Pajardi, Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 565).
Va aggiunto (anche se la sentenza in commento non si pronuncia sul punto) che si ritiene che nel termine annuale sopra ricordato debba avvenire, nell'attuale sistema normativo, la presentazione del ricorso, potendo la sentenza essere successiva (Ruosi, op. cit., 831; Ferrara, Enc. D., voce “Conc. Fall.”, 506; cfr. anche Cass. n. 1485/1985; Cass. n. 2103/1973). Ciò a differenza di quanto accadeva nel precedente regime normativo, giacchè la norma di cui all'art. 137 l. fall. affermava che “la risoluzione non può essere pronunziata, trascorso un anno dalla scadenza dell'ultimo pagamento stabilito nel concordato”.
La locuzione "ultimo adempimento"di cui al sopra ricordato sesto comma della norma in commento ricorda la completa esecuzione ex art. 136 l. fall. ed è sostenibile che sia omnicomprensiva di ogni attività prescritta dal decreto e finalizzata all'esecuzione della procedura (Nardecchia, Tr. Ferro, App., 41).
Circa la natura giuridica del termine in esame, la dottrina ritiene che lo stesso sia decadenziale nella forma e nel regime (e non prescrizionale), non potendo essere sospeso ed interrotto (Satta, op. cit., 431; Cuneo, Le procedure concorsuali, Milano, 2002, 1371; cfr. anche in giurisprudenza, Cass. n. 9118/1987).

Osservazioni

La sentenza di commento si inscrive nel filone di una consolidata e risalente giurisprudenza di legittimità.
Ed invero, già con la sentenza n. 2423 del 6 sttembre 1974 la Corte di Cassazione aveva espressamente statuito che: “Nel caso in cui non sia stata fissata, nel concordato preventivo, la data di scadenza dell'ultimo pagamento, costituente, ai sensi degli artt. 137 e 186 l. fall., il dies a quo della decorrenza del termine annuale entro cui richiedersi la risoluzione del concordato, questo termine decorre dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione, che si compiono non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, nonché con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto, ma anche con gli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ed eventuali sopravvenienze attive”.
Sul punto, va pertanto affermato che appare principio orami consolidato in giurisprudenza ed in dottrina quello secondo cui, qualora il piano non preveda un termine per l'esecuzione del concordato, il termine di decadenza decorrerà dall'ultimo atto di esecuzione. In realtà, con riferimento al concordato preventivo per cessione di beni, si riteneva che il termine in esame decorresse dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione (così, in giurisprudenza, Cass. 2423/1974; Cass. 2425/1974; Trib. Napoli, 6.3.1997, D. Fall., 97, II, 1055; Trib. Napoli 27.11.1992, Fall. 93, 746; in dottrina, Ferrara-Borgioli, Il Fallimento, Milano, 1995).
Va anche aggiunto che, nell'ambito della procedura di concordato preventivo, nulla vieta che il ricorso sia depositato nel corso della fase esecutiva, e ciò indipendentemente dalla definitività del decreto di omologazione, a fronte della mancata esecuzione delle azioni programmate o dell'inosservanza di modalità esecutive (così, Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2008, 848), ove tali comportamenti pregiudichino la fattibilità del piano (Marano, Comm. Jorio, II, 1894; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tr. Cottino, 152). Lo stesso vale nell'ipotesi di cessione dei beni, potendo i creditori richiedere la risoluzione, senza dover necessariamente attendere l'esito della liquidazione, quando emerga l'impossibilità di soddisfare i creditori nella percentuale promessa o comunque in misura non irrisoria (Ambrosini, ibidem). In realtà, l'ammissibilità della risoluzione prima della conclusione della liquidazione è stata sempre ammessa e sostenuta anche dalla giurisprudenza anteriore alla riforma (Cass. 709/1993; Cass. 5790/1981; Trib. Sulmona, 3.6.1999, Fall., 99, 1153; Trib. Milano, 26.9.1985, Fall., 86, 778).
Ciò detto, va ulteriormente osservato che il termine annuale in parola risulta essere di difficile comprensione tutte le volte in cui non vi siano previsioni negoziali riferibili a termini precisi entro i quali determinate attività previste nel piano devono essere adempiute, come per i pagamenti, le costituzioni di garanzie, le cessioni di beni ovvero la costituzione di nuove società o la distribuzione di quote. Ne discende la necessità che le domande di ammissione ai benefici del c.p. devono uniformarsi ad un modello di chiarezza e trasparenza, affinchè i creditori possano essere correttamente informati ed aderire alla proposta in modo consapevole e con la conoscenza effettiva dei termini e scadenze negoziali entro cui le principali attività previste nel piano devono essere realizzate ed il cui mancato rispetto può pertanto costituire un grave inadempimento perturbatore della funzionalità del piano concordatario.

Conclusioni

Come detto, la sentenza in commento si inscrive nell'alveo di una interpretazione ermeneutica degli artt. 137 e 186 l. fall. da parte giurisprudenza di legittimità già consolidata e non contrastata ed appare pienamente condivisibile nella sua ratio decidendi e nelle sue argomentazioni.
Deve infatti ritenersi che, (solo) in mancanza della fissazione negoziale ovvero giudiziale del termine di adempimento delle obbligazioni discendenti dal concordato fallimentare o preventivo (termine costituente, come detto, il dies a quo al quale ancorare la decorrenza del termine annuale decadenziale sopra menzionato), il termine in parola decorra dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione. Tali operazioni si compiono peraltro non soltanto con la vendita dei beni dell'imprenditore, ma anche con la predisposizione e comunicazione del piano di riparto e con l'esecuzione degli effettivi pagamenti, compresi quelli conseguenti ad eventuali sopravvenienze attive.
Sul punto, va aggiunto che il termine contrattualmente fissato nel concordato, a decorrere dal quale viene computato l'ulteriore termine decadenziale per la presentazione della domanda di risoluzione, rappresenta invero un termine d'adempimento che soggiace alla disciplina generale di cui all'art. 1183 cod. civ., sicchè deve ritenersi che, in mancanza della fissazione nella proposta concordataria del predetto termine da parte del proponente, occorra procedere alla sua fissazione giudiziale, che, secondo la giurisprudenza di legittimità sopra ricordata, deve essere ancorata, anche agli effetti della decorrenza del dies a quo per la presentazione della domanda di risoluzione, all'esaurimento delle operazioni di liquidazione. Ed invero, solo da tale momento può ritenersi terminata l'esecuzione del concordato e le parti possono pertanto valutare, nel termine decadenziale in esame, la presenza – nella fase esecutiva del concordato - di eventuali elementi perturbatori della funzionalità del piano concordatario che abbiano determinato un'erronea esecuzione delle obbligazioni da esso discendenti, sì da legittimare la richiesta di una sua giudiziale risoluzione.

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