La richiesta di revoca del concordato per atti di frode e mancata suddivisione dei creditori in classi

Michele Vigna
09 Marzo 2012

L'omessa comunicazione di fatti di mala gestio, giustificanti l'esercizio di azioni risarcitorie, non costituisce ai sensi dell'art. 173 l. fall. atto di frode in assenza di un danno effettivo alle ragioni della società e/o dei terzi creditori e qualora il risarcimento da responsabilità gestoria sia qualificabile solo come attività potenziale.
Massima

L'omessa comunicazione di fatti di mala gestio, giustificanti l'esercizio di azioni risarcitorie, non costituisce ai sensi dell'art. 173 l. fall. atto di frode in assenza di un danno effettivo alle ragioni della società e/o dei terzi creditori e qualora il risarcimento da responsabilità gestoria sia qualificabile solo come attività potenziale.

La valutazione sulla necessità della formazione di classi fra creditori spetta al Tribunale e non ai commissari, ben potendo comunque il debitore ricorrente, pur in presenza di interessi disomogenei, non suddividere in classi i creditori.

Il caso

In una procedura di concordato preventivo, i Commissari in sede di relazione ex art. 173 l. fall. richiedono la revoca del concordato in base a due ordini di osservazioni.
In primis rilevano come, da una serie di operazioni societarie poste in essere anteriormente alla domanda di concordato, emergano ipotesi di mala gestio degli organi amministrativi con la conseguenza che il fatto di non aver incluso nei propri asset possibili azioni risarcitorie, verrebbe a configurare un atto fraudolento teso all'occultamento dell'attivo.
I commissari censurano, altresì, la mancata suddivisione in classi in presenza di interesse economici disomogenei.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Le questioni giuridiche affrontate dal Tribunale di Milano nel provvedimento in questione sono tutte di estremo interesse e rilievo. In particolare spicca il tema sollevato dai Commissari della configurazione degli atti di mala gestio come possibili ipotesi di atti fraudolenti ai sensi dell'art. 173, comma 1, l. fall.
Ad avviso del Tribunale la fraudolenta pretermissione di fatti di mala gestio può costituire, in via astratta e di principio, atto di frode. E ciò tanto più ove si consideri che l'azione di responsabilità non è implicitamente compresa nell'attività del patrimonio del debitore, non potendo il liquidatore giudiziale esperire tale azione ove la stessa non sia stata deliberata dall'assemblea.
Peraltro, affinchè questa fattispecie sia configurabile occorre - afferma il Tribunale - che sia presente un danno alle ragioni della società e/o dei terzi creditori sicché, quando questo sia solo potenziale, non si può richiedere che il debitore debba inserire nella redazione del bilancio, nella parte attiva, anche un ipotetico risarcimento del danno da responsabilità gestoria, violandosi diversamente le regole di prudenza e di valutazione dei crediti poste dal codice.
Ne deriva - conclude ancora il Tribunale - che, in assenza di prove concrete in ordine alla esistenza del requisito del danno, non sussistono gli estremi per una revoca del concordato ex art. 173 l. fall.
Quanto alla seconda questione, attinente all'asserito obbligo di suddivisione in classi in presenza di interessi disomogenei, rilevano i Commissari come tale mancata formazione, violando il rispetto della necessaria omogeneità degli interessi economici, avrebbe potuto di per sé mettere in discussione l'ammissione del concordato.
A questo riguardo il Tribunale in termini netti e concisi obietta come la valutazione in questione non riguardi i Commissari, ma il Tribunale, che sul punto si è già espresso, il tutto senza considerare che, alla stregua del costante orientamento del Tribunale medesimo e della Cassazione, si ritiene comunque non necessaria la formazione delle classi, con la conseguenza che solo ove tali classi siano previste nella domanda del debitore vi è spazio per valutarne la loro corretta formazione.

Osservazioni

Il decreto affronta, come si è detto, un tema di sicuro rilievo e oggetto di valutazioni discordi, costituito dalla individuazione della nozione degli atti di frode commessi dal debitore anteriormente alla ammissione alla procedura.
Come è noto, in argomento si confrontano due orientamenti di massima.
L'uno, portato avanti da alcune pronunce di merito, tende a circoscrivere gli atti di frode di cui al comma 1 dell'art. 173 l. fall. ai fatti in grado di incidere sulla veridicità dei documenti allegati alla domanda e comunque alle condotte miranti a fornire una falsa rappresentazione dell'attivo e degli elementi previsti dalla legge come condizione per l'ammissione alla procedura.
L'altro orientamento, a cui aderisce la pronuncia in questione, ritiene che il primo comma dell'art. 173 l. fall. sanzioni non solo tutti gli atti finalizzati ad una falsa rappresentazione documentale della situazione patrimoniale del debitore, ma anche tutte le condotte che hanno depauperato o possono depauperare il patrimonio e in genere quelle sanzionate dagli artt. 216 e 236 l. fall.; in questo ambito rientrerebbe altresì, oltre alle sottrazioni e dissipazioni, qualsivoglia condotta rivolta intenzionalmente a incidere sulle condizioni di ammissibilità del concordato o/a pregiudicare i creditori anche su un piano informativo, quali le false comunicazioni sociali.
In altre parole, secondo questa visuale, la nozione di atti di frode tende ad assumere un valore di principio generale operante, al di fuori di specifiche classificazioni, nei confronti di ogni atto o fatto potenzialmente fraudolento o comunque produttore di danni nei confronti dei creditori.
Si discute invece, nell'ambito di questo orientamento, se fra tali condotte fraudolente rientrino anche gli addebiti di mala gestio degli amministratori.
Come si è visto, la pronuncia qui commentata ritiene ammissibile l'ipotesi di frode nel compimento di atti di mala gestio, ma condiziona l'avveramento di tale fattispecie alla comprovata esistenza di un danno.
Altri invece escludono dalla categoria degli atti di frode i semplici addebiti di mala gestio, oppure, in via alternativa, sostengono che tale carattere fraudolento verrebbe meno qualora il debitore elimini prima della proposta tali effetti, ad esempio, con l'esercizio tempestivo di azioni di responsabilità contro gli amministratori, non bastando al riguardo la semplice rimozione e sostituzione degli stessi.
Secondo altri, invece, sarebbe sufficiente informare i creditori di tali atti frodatori per impedire la revoca del concordato.
Dunque siamo in presenza di una questione controversa e delicata, nei cui confronti il Tribunale di Milano ha indicato un percorso, per certi versi di mediazione, che rappresenta una possibile realistica soluzione al problema.
Meno controversa appare invece allo stato della evoluzione di giurisprudenza e dottrina la seconda questione, relativa all'obbligo o meno di formazione della classi in presenza di situazioni disomogenee.
Come è noto, a favore dell'obbligatorietà del “classamento”, sia pure in un magmatico groviglio di posizioni parzialmente distinte, si trovano coloro che, vedono nella formazione di classi omogenee di creditori uno strumento anche - se non soprattutto - a tutela del creditore, in quanto mezzo di espressione di una volontà “per classi” basata su una uniformità di situazioni non solo giuridiche, ma anche economiche.
In quest'ambito l'obbligatorietà del classamento è sostenuta in quanto funzionale alla tutela dell'interesse dei creditori all'espressione di un voto di aderenza agli interessi di classe e “genuino”.
Più in particolare, poi, in ordine alla nozione di omogeneità dei crediti di una classe, merita rilevare come il legislatore parrebbe presupporre un elemento di omogeneità non solo con riguardo a situazioni giuridiche, ma anche fattuali e quindi economiche.
Mentre, peraltro, il primo profilo è facilmente identificabile, il secondo può presentare elementi di estrema soggettività di giudizio.
Ed è anche a fronte di tale difficoltà che ha preso vigore, consolidandosi, il diverso orientamento che esclude l'obbligatorietà del ricorso al classamento lasciando al debitore la massima autonomia in merito. È del resto la stessa legge, all'art. 160 l. fall., che esclude tale obbligatorietà lasciando appunto all'autonoma scelta del debitore l'opzione ritenuta più opportuna.
In questo senso si è espressa - se vogliamo - la Corte Costituzionale e la stessa Cassazione, nonché un numero sempre più esteso di sentenze di merito, da cui si possono estrapolare le seguenti linee guida in materia, ovverossia:
a) non esiste un obbligo di classamento essendo questo lasciato all'autonomia del debitore per precisa scelta del legislatore;
b) ove il debitore opti per il classamento, esso dovrà essere effettuato rispettando i principi posti dalla legge (rappresentati dal rispetto dell'ordine legale delle cause di prelazione) e senza attuare trattamenti discriminatori fra creditori. In tale evenienza è consentito un sindacato del Tribunale sull'adozione dei criteri adottati e sulla loro ragionevolezza in ragione anche delle situazioni concrete che si possono prospettare e che, in fatto, possono essere scriminanti.
In altri termini, e conclusivamente, si può quindi ritenere che la tesi dell'obbligatorietà del classamento di un ceto creditorio non necessariamente omogeneo non sia sostenibile (pur potendo essere opportuna) alla luce del chiaro dettato normativo, che lascia sul punto al debitore facoltà di scelta.
Peraltro, ove l'imprenditore opti per il classamento, ritenendo tale soluzione per lui più favorevole in vista dell'approvazione del concordato, si impone a questo punto l'obbligo del Tribunale di sindacare l'omogeneità delle classi secondo criteri non solo giuridici, ma anche fattuali ed economici. Ed è quanto ha opportunamente statuito la stessa pronuncia commentata, che ha altresì stabilito la esclusiva competenza a riguardo del Tribunale e non dei Commissari in sede di relazione ex art. 173 l. fall.

Le questioni aperte

Il decreto del Tribunale di Milano se per un verso contribuisce a consolidare ulteriormente l'orientamento contrario alla obbligatorietà del classamento, per altro verso, con riguardo al tema della configurabilità di atto fraudolento dell'addebito di atti di mala gestio, lascia aperte alcune questioni.
Non vi è dubbio che fra le tesi che escludono dagli atti fraudolenti gli addebiti di mala gestio e coloro che li includono senza particolari riserve, l'opinione della pronuncia del Tribunale di Milano, che àncora tale configurabilità alla esistenza di un danno, appaia allo stato la più equilibrata.
Essa però potrebbe “scivolare” verso versanti di pericolosa incertezza mano a mano che la prova del danno si faccia più incerta: un conto è il danno provocato da un'evidente negligenza di un amministratore che ha fatto scattare una penale contrattuale a sfavore, un altro il danno, ad esempio, provocato dalla continuazione di un'attività in violazione di norme di legge, ma compensato dalla salvaguardia dell'attività e quindi dal mantenimento di un certo valore patrimoniale dell'impresa. E infatti non mancano decisioni che in questi casi escludono la frode.
È a fronte di questa prospettiva di incertezza che si può comprendere, senza necessariamente condividerne le tesi, perché, risalendo la china sul versante contrario alla configurabilità della frode nella mala gestio, alcuni abbiano ritenuto sufficiente ad evitare la revoca del concordato la scelta di palesare al Commissario gli atti frodatori e, in particolare, quelli relativi alla mala gestio amministrativa, lasciando quindi ai creditori non solo la decisione in ordine all'a accettazione o meno della proposta, ma anche quella di coltivare le azioni di responsabilità.

Conclusioni

La pronuncia del Tribunale offre risposte convincenti non solo sul punto del “non obbligo” al classamento, ma anche sulla più spinosa questione della riconoscibilità come atti di frode degli addebiti di mala gestio in quanto produttivi di comprovati danni.
Una soluzione che per un verso mette un freno all'idea di considerare il concordato un comodo mezzo per evitare responsabilità e, dall'altro, evita che possa rientrare surrettiziamente dalla finestra quel giudizio di meritevolezza che la riforma ha espunto, ma che qualche volta aleggia nel retropensiero di qualcuno.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sullo specifico argomento dell'interpretazione dell'art. 173, comma 1, l. fall. e in particolare della individuazione degli atti di frode sanzionati dalla norma, a favore di una lettura estensiva comprendente le condotte sanzionate dagli artt. 216 e 236 l. fall. e in genere qualsiasi condotta a contenuto documentale o patrimoniale, si veda con varietà di accenni fra gli altri, in dottrina, Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 858, De Crescenzo, sub. art. 173, in Comm. Jorio-Fabiani, 2007, 2466; Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. Comm., 2009, 748; e in giurisprudenza Trib. Milano 20 luglio 2007, in Giur. It., 2008, 1, I, 118.
Opina invece per una lettura più restrittiva della norma, ritenendo che le condotte sanzionate si debbano riferire unicamente ai documenti allegati alla domanda, Trib. Bari 9 giugno 2010, in Fall., 2010, 1216.
Con specifico riguardo alla riconducibilità dei semplici addebiti di mala gestio agli atti di frode v., in senso negativo, Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Tratt. Cottino, 2008, 81, nonché, in parte, Trib. Mondovì 17 dicembre 2008, in Ilcaso.it, che ha escluso la frode per atti di mala gestio giustificati “da ragionevoli valutazioni gestionali”.
Sulle precauzioni e misure da adottare in presenza di atti di mala gestio prima del deposito della domanda, quali la rimozione degli amministratori e l'esercizio di azione di responsabilità o la reintegra del patrimonio, cfr. Trib. Milano 20 luglio 2007, in Giur. It., 2008, 1, 118; Trib. Cagliari 19 novembre 2009, in osservatorio-oci.org.
Nel senso invece di ritenere sufficiente la semplice denuncia di tali atti di mala gestio per evitare la revoca del concordato, in dottrina Schiano di Pepe, È possibile rifondare l'art.173 legge fallimentare?, in Dir. Fall., 2008, 451; e in giurisprudenza Trib. Milano 25 ottobre 2007..
Sulla questione della non obbligatorietà delle classi cfr., a parte la sentenza Corte Cost., 12 marzo 2010, n. 98, anche Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274; App. Torino 3 novembre 2009, ivi, in Fall. 2010, 248. In senso contrario si veda in giurisprudenza Trib. Monza 7 aprile 2009, in Giur. mer., 2009, 91; nonché l'ampia rassegna in Minutoli, Il controllo giudiziale sul mancato o insufficiente “classamento” dei creditori: il punto nella prassi e in dottrina, in Fall., 2010, 48.

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