Limiti della legittimazione attiva della Procura ad esercitare l’azione ex artt. 6 e 7, n. 1, l. fall.

Dario Spadavecchia
15 Marzo 2012

L'iniziativa del Pubblico Ministero per la dichiarazione di fallimento, qualora l'insolvenza emerga nel corso di un procedimento penale, risulta legittimamente esercitata ai sensi degli artt. 6 e 7 n. 1 l. fall. essendo espressione di un principio generale non circoscritto alle fattispecie di cui alla seconda parte dell'art. 7 n. 1 l. fall.
Massima

L'iniziativa del Pubblico Ministero per la dichiarazione di fallimento, qualora l'insolvenza emerga nel corso di un procedimento penale, risulta legittimamente esercitata ai sensi degli artt. 6 e 7 n. 1 l. fall. essendo espressione di un principio generale non circoscritto alle fattispecie di cui alla seconda parte dell'art. 7 n. 1 l. fall.

Il caso

Il legale rappresentante di una società dichiarata fallita a seguito di una richiesta del Pubblico Ministero ricorre contro la sentenza di fallimento adducendo la carenza di legittimazione della Procura ad esercitare l'azione prevista dagli artt. 6 e 7, n. 1, l. fall. Il reclamante pone come motivo di gravame il fatto che il PM abbia richiesto il fallimento della società sulla base di una notitia decoctionis acquisita nell'ambito di un procedimento penale a carico di altri soggetti, risultando quindi privo di legittimazione attiva dal momento che la richiesta si è rivolta verso una società non assoggettata ad indagine.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il reclamo proposto ai sensi dell'art. 18 l. fall. concerne il tema relativo ai limiti che incontra il PM nel poter richiedere il fallimento di un soggetto giuridico al di fuori delle ipotesi tassativamente stabilite dall'art. 7, n. 1 e n. 2, l. fall.
La società reclamante, sulla base di un'interpretazione letterale della norma, lamenta il fatto che, non sussistendo un procedimento penale direttamente a carico proprio, bensì indagini penali nei confronti di un'altra società del cui gruppo solo originariamente essa faceva parte, sussisterebbe un invalicabile limite da parte del PM alla presentazione della richiesta di fallimento, rappresentato dall'insussistenza di un procedimento penale direttamente a proprio carico. In altri termini si appella ad una pretesa tassatività delle ipotesi di iniziativa del PM circoscritte alle sole previsioni di cui al n. 1 dell'art. 7 l. fall.
Avverso tale lettura della norma la Corte d'Appello obietta che la notitia decoctionis dev'essere intesa nell'accezione di una sua obiettiva inerenza ad un procedimento penale nel quale sia a qualche titolo coinvolto l'imprenditore.
Per tale ragione la Corte non ha condiviso la lettura, definita indebitamente riduttiva, proposta dalla parte reclamante, secondo cui lo stato d'insolvenza che legittimerebbe l'iniziativa del PM dovrebbe emergere da un procedimento penale nel quale il soggetto sia parte con imputazione a proprio carico. E ciò tanto più ove si osservi che, relativamente al caso in esame, vi erano ipotesi di reato direttamente coinvolgenti la società dichiarata fallita, il che ha ulteriormente determinato il rigetto del reclamo.

Osservazioni

La sentenza qui commentata affronta la rilevante questione dei potenziali limiti all'iniziativa del PM ai sensi degli artt. 6 e 7 l. fall.
L'art. 7 l. fall. elenca una serie di casi che impongono al PM l'iniziativa di cui all'art. 6 l. fall., statuendo che essa è obbligatoria quando “l'insolvenza risulti in un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell'imprenditore, dalla chiusura dei locali dell'impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell'attivo da parte dell'imprenditore”.
La norma pare strutturata in due parti distinte; nella prima, di carattere generale, si prevede la legittimazione del PM quando l'insolvenza emerga nell'ambito di un procedimento penale, mentre nella seconda, di carattere particolare, vengono elencate alcune specifiche situazioni, accertate le quali, l'iniziativa del PM deve intendersi come obbligatoria.
La questione sottoposta all'attenzione della Corte implicava di accertare se la congiunzione disgiuntiva “ovvero” debba intendersi come “oppure” od “ossia”.
Nel primo caso, ne deriverebbe l'obbligatorietà di iniziativa del PM all'atto dell'accertamento delle condotte descritte nella seconda parte della norma, ma il PM stesso sarebbe legittimato ad agire in qualunque altro caso nel quale l'insolvenza emerga nell'ambito di un procedimento penale.
Se, invece, la lettura di “ovvero” fosse da intendersi come “ossia”, il Legislatore avrebbe tipicizzato l'ambito di legittimazione del Pubblico Ministero, limitandolo alle ipotesi di cui alla seconda parte della norma accertate nell'ambito di un procedimento penale.
Non vi è chi non veda come tale ultima chiave di lettura della norma restringerebbe, di gran lunga, le figure sintomatiche di insolvenza che potrebbero essere rilevate in sede penale.
È indubbio che, in fatto, il Pubblico Ministero potrebbe individuare una situazione di insolvenza, emergente da un procedimento penale, in presenza di circostanze ben diverse da quelle elencate nella seconda parte della norma.
Valga, a mero titolo esemplificativo, la possibilità che il PM stia procedendo per reati fiscali, o per utilizzo di lavoratori non regolarizzati, o per reati di carattere ambientale, ovverosia per ipotesi penalmente censurate e tipiche dell'attività d'impresa: un'interpretazione restrittiva della norma presupporrebbe che, pur eventualmente accertandosi un'ipotesi di insolvenza in capo all'impresa, egli non sarebbe legittimato alla richiesta di fallimento.
A questo proposito pare utile richiamare il testo della relazione illustrativa al Decreto Legislativo di riforma della legge fallimentare che, commentando le modifiche dell'art. 7, specificamente afferma: “l'articolo in commento disciplina tutti i casi di iniziativa obbligatoria del pubblico ministero, ed in tal senso è stata modificata la rubrica. Al primo comma, esso aggiunge, tra i fattori sintomatici dell'insolvenza emersi in sede penale che rendono attivabile l'iniziativa del Pubblico Ministero, la nozione tecnica di “irreperibilità” dell'imprenditore”.
Si tratta di affermazioni che appaiono determinanti al fine di poter affermare che nei casi analiticamente descritti dalla norma - segnatamente nella seconda parte del n. 1 dell'art. 7 - il PM è obbligato a richiedere il fallimento, mentre la prima parte dell'articolo individuerebbe una macroarea legittimativa non analiticamente determinata (che peraltro non sarebbe particolarmente semplice delimitare) nella quale, sempre e solo nell'ambito di un procedimento penale, il Pubblico Ministero potrebbe procedere alla richiesta di fallimento di un'impresa insolvente nell'ambito delle indagini dallo stesso poste in essere o anche in corso di istruzione.
Una siffatta lettura della norma risulta del resto confermata dalla considerazione che, mentre la prima parte fa esplicito riferimento all'insolvenza risultante nel corso di un procedimento penale, la seconda parte, elencando esplicitamente alcune condotte, fa riferimento ad alcune fattispecie, ed una in particolare, che di per sé non costituisce autonoma ipotesi di reato.
È il caso della fuga dell'imprenditore. Tale condotta, di per sé, non costituisce alcuna ipotesi di reato, nulla ostando che un imprenditore totalmente in bonis fugga o si renda irreperibile. Ne consegue che l'inserzione di tale ipotesi nel secondo periodo, per il quale è obbligatorio l'intervento del PM, sarebbe inconciliabile con il primo periodo se, e solo se, si volesse intendere - tale secondo periodo - come la tipicizzazione delle condotte per le quali è legittimata ad agire la parte pubblica.
Ne consegue, in conclusione, che, anche a tutela del pubblico interesse, la legittimazione del PM alla richiesta di fallimento di un'impresa, qualora l'insolvenza emerga nell'ambito di un procedimento penale, debba intendersi come potere di carattere generale e non tipicizzato o comunque non delimitato alle ipotesi di cui alla seconda parte dell'art. 7, n. 1, l. fall.

Le questioni aperte

La sentenza pone l'attenzione su una questione di ampia portata processuale relativamente alla quale vi sono, allo stato, divergenze interpretative nella giurisprudenza di merito. Non vi è dubbio che un generalizzato potere di iniziativa del Pubblico Ministero sia assai importante per la tutela degli interessi pubblicistici che continuano ad investire le procedure fallimentari. Per contro, non si può negare che un'eccessiva generalizzazione di un tale potere, disancorato dalle ipotesi specifiche indicate dalla norma o dall'esistenza di un procedimento penale in corso (comunque coinvolgente il soggetto insolvente), potrebbe ridimensionare drasticamente le aperture di stampo più privatistico pur presenti nella riforma.

Conclusioni

La Corte d'Appello di Torino, con ampie e circostanziate motivazioni, giunge a determinare una legittimazione d'iniziativa del Pubblico Ministero ai sensi del combinato disposto degli articoli 6 e 7 l. fall. di carattere generalizzato e non limitata alle ipotesi previste nella seconda parte del n. 1 dell'art. 7 l. fall.
La Corte giunge ad affermare, condivisibilmente, che la legittimazione del PM a chiedere il fallimento di una società deriva anche da elementi di per sé non costituenti specifiche ipotesi di reato, purché emergenti nell'ambito di un procedimento penale.
Tale conclusione si giustifica in base a una lettura della norma per la quale il primo periodo dell'art. 7 n. 1 assume carattere generale, mentre la seconda parte, legata alla prima dalla congiunzione “ovvero”, tratta i fatti per i quali in ogni caso il PM ha il potere-dovere di adire il Tribunale competente per la declaratoria fallimentare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sullo specifico argomento si segnala in senso contrario App. Milano, IV sez., 20 dicembre 2010.
In senso conforme Cass. 8/02/2011, n. 9260, in Fall., 2010, 1163 con nota di Farina e Trib. di Torino, sez. VI civ., 3 dicembre 2010, inedita; Corte d'appello di Milano, 24 gennaio 2012, con nota di Mapelli, su IlFallimentarista.it.
In giurisprudenza v., fra gli altri, Ruggero, Richiesta del Pubblico Ministero, in Ferro-Di Carlo (a cura di), L'istruttoria prefallimentare, Milano, 2010, 329; Fabiani, sub. art. 6-7, in Comm. Jorio - Fabiani, I, 104 ss.

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