Fallimento di società commerciali e legittimazione attiva del P.M. ex artt. 6 e 7, n. 1, l. fall.

Walter Mapelli
15 Marzo 2012

L'iniziativa del Pubblico Ministero per la dichiarazione di fallimento di una società commerciale risulta legittimamente esercitata ai sensi degli artt. 6 e 7, n. 1, l. fall. qualora l'insolvenza emerga nel corso di un procedimento penale a carico di una persona fisica, non potendo intendersi limitata la sua legittimazione al solo caso in cui vi sia identità soggettiva tra l'imputato di un procedimento penale rispetto al quale emerga lo stato d'insolvenza e la persona fisica (imprenditore individuale) di cui si chieda il fallimento.
Massima

L'iniziativa del Pubblico Ministero per la dichiarazione di fallimento di una società commerciale risulta legittimamente esercitata ai sensi degli artt. 6 e 7, n. 1, l. fall. qualora l'insolvenza emerga nel corso di un procedimento penale a carico di una persona fisica, non potendo intendersi limitata la sua legittimazione al solo caso in cui vi sia identità soggettiva tra l'imputato di un procedimento penale rispetto al quale emerga lo stato d'insolvenza e la persona fisica (imprenditore individuale) di cui si chieda il fallimento.

Il caso

La sentenza della Corte di Appello di Milano affronta una questione di particolare importanza attinente al ruolo del Procuratore della Repubblica nell'attivazione della procedura fallimentare.

Il primo dei due motivi di impugnazione portato all'attenzione della Corte riguarda infatti una pretesa carenza di legittimazione attiva del Pubblico Ministero a chiedere il fallimento di una società commerciale ai sensi dell'art. 7, n. 1, l. fall.; mentre il secondo motivo di reclamo è di merito e riguarda l'insussistenza in fatto della condizione di insolvenza.
Come noto, il citato art. 7 attribuisce al Pubblico Ministero il potere di chiedere il fallimento dell'imprenditore “quando l'insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale”.
Nel caso di specie, appunto, il P.M. aveva richiesto il fallimento di una società commerciale traendo la notitia decoctionis da un procedimento penale a carico degli amministratori. Il Tribunale, ritenendo fondata la richiesta, dichiarava il fallimento della società, che proponeva poi reclamo innanzi alla Corte.

Le questioni giuridiche

Secondo la società reclamante una lettura equilibrata e coordinata delle norme che disciplinano l'iniziativa in materia fallimentare del Pubblico Ministero implicherebbe:
• da un lato, l'attribuzione al Pubblico Ministero, ad opera dell'art. 6 R.D. n. 267/1942, della legittimazione a presentare richiesta di fallimento degli imprenditori in stato di insolvenza;
• dall'altro, la specifica individuazione, ai sensi dell'art. 7, nn. 1 e 2, dei casi in cui è consentito al Procuratore della Repubblica l'esercizio del potere ex art. 6 e quindi la limitazione di detto potere, nell'ipotesi prevista dall'art. 7 n. 1, al solo caso in cui l'insolvenza risulti nel corso di un procedimento penale nei confronti della stessa persona della quale si chieda il fallimento.
Secondo questa tesi, l'elemento che lega le varie ipotesi di cui al n. 1 dell'art. 7 sarebbe proprio la figura dell'imprenditore, perché è costui a poter essere sottoposto ad indagine, ad essere in fuga, irreperibile, o latitante, o autore della chiusura dei locali dell'impresa, o del trafugamento, della sostituzione o della diminuzione fraudolenta dell'attivo. A tale proposito, la congiunzione “ovvero” dovrebbe intendersi come esplicativa delle condotte ovvero delle situazioni in cui si potrebbe trovare l'imprenditore.

La soluzione

La Corte, ribaltando il suo pregresso orientamento, respinge finalmente e nettamente questa interpretazione limitativa della portata della norma, osservando come la prima parte dell'articolo parli genericamente di insolvenza accertata nel corso di un procedimento penale, mentre le altre ipotesi, riferibili ad evidenti manifestazioni dello stato d'insolvenza per “comportamento concludente” dell'imprenditore, sono specifiche ed alternative alla prima previsione; in tale contesto, la congiunzione “ovvero” assume pertanto valenza “disgiuntiva se non avversativa” e non esemplificativa.
Oltre alla valorizzazione del dato testuale, in senso peraltro conforme all'orientamento della Corte di Cassazione, la Corte milanese sottolinea come una diversa interpretazione avrebbe natura “quasi abrogativa dell'art. 7”.
Come noto, infatti, il procedimento penale può riguardare soltanto persone fisiche e perciò solo l'insolvenza dell'imprenditore individuale - non quella di società commerciali - potrebbe risultare da un procedimento penale. Di conseguenza, se la condizione legittimante fosse quella della piena identità tra indagato e imprenditore insolvente (di cui poter chiedere il fallimento), il P.M. non potrebbe mai richiedere il fallimento di una società commerciale quando pure nel corso di un procedimento penale venisse a conoscenza del suo stato d'insolvenza: conclusione palesemente assurda e come tale confermativa, “a contrario”, della correttezza dell'interpretazione della Corte.

Le questioni ancora aperte nella prassi operativa

La sentenza offre l'occasione per illustrare i protocolli operativi del Pubblico Ministero nella trattazione della notizia dello stato di insolvenza dell'imprenditore, nel contesto di prassi operative ancora fluide.
Alcune Procure, infatti, adottano un modello “interventista”, basato sulla sistematica presentazione di richiesta di fallimento in ogni caso di emersione dello stato di insolvenza. Il fondamento dogmatico di tale impostazione è costituito dall'interpretazione estensiva degli artt. 6 e 7 l. fall.: in estrema sintesi, nei casi di cui all'art. 7 la presentazione della domanda di fallimento è obbligatoria per il Pubblico Ministero, mentre nella generica previsione dell'art. 6 la decisione è rimessa all'autonoma e discrezionale valutazione del Pubblico Ministero.
In sostanza, l'art. 6 legittimerebbe l'acquisizione di notizie circa la situazione di insolvenza da varie ed indifferenziate fonti, come ad esempio, singoli lavoratori, creditori per importi modesti, creditori che non intendono sostenere le spese di una personale iniziativa per la domanda di fallimento, clienti “insoddisfatti”: a questo punto, previa iscrizione della segnalazione nel registro dei fatti non costituenti notizia di reato, sarebbe possibile (ma non obbligatorio) da parte del Pubblico Ministero approfondire la vicenda e prendere una decisione. Tra le fonti varie ed indifferenziate ben si potrebbe collocare la comunicazione del Tribunale Fallimentare conseguente a desistenza del creditore richiedente, superando in tal modo il contrasto interpretativo tra Cassazione e Giudici di merito sulla qualità di giudizio civile del giudizio fallimentare per gli effetti dell'art. 7, n. 2, l. fall.
A tal fine, l'Ufficio deve essere organizzato in modo strutturale con magistrati dedicati alla trattazione degli affari fallimentari, una segreteria civile per la distribuzione e registrazione dei fascicoli, le comunicazioni con il Tribunale Fallimentare, le notifiche, la gestione dei pareri e delle iniziative su concordati e accordi di ristrutturazione.
É assolutamente coerente con l'impostazione “interventista” un'attenzione particolare alla crisi d'impresa. Ciò si traduce ovviamente nell'interlocuzione obbligatoria della Procura con il Tribunale Fallimentare in ogni situazione di composizione giudiziale della crisi, dalla presentazione di accordi di ristrutturazione alle domande di ammissione al concordato preventivo.
L'attività deve essere svolta in sintonia con le investigazioni sui reati tributari e di criminalità economica, naturali serbatoi di conoscenza dello stato d'insolvenza appreso “nel corso di un procedimento penale”, dando così concretezza e spessore alla previsione dell'art. 7, n.1, l. fall.
In altre Procure, lo schema operativo potrebbe dirsi “classico”. Le richieste di fallimento avanzate dal Procuratore della Repubblica sono basate su una lettura “tradizionale” degli artt. 6 e 7 l. fall., con limitazione della legittimazione attiva alle sole ipotesi di cui all'art. 7, sia pure nella loro massima estensione (ciò significa una chiave di lettura dell'art. 7, n. 1, secondo le linee chiaramente indicate dalla sentenza della Corte di Appello di Milano e dell'art. 7, n. 2, con inclusione, nel concetto di insolvenza rilevata dal Giudice Civile, anche di quella constatata dal Giudice Fallimentare).
Il Pubblico Ministero, dunque, presenta in tal caso richiesta di fallimento se (e solo se) casualmente si imbatta in situazioni di insolvenza o se venga “sollecitato” a tal fine attraverso segnalazioni di tipo istituzionale: per questo tipo di approccio, una struttura amministrativa “dedicata” non è necessaria e configura uno spreco di risorse.
Entrambi i modelli sono sostenibili e la scelta, oltreché dalle diverse sensibilità dei Magistrati, dipende dalle diverse realtà territoriali. Certamente però, nell'attuale fase di recessione economica con aumento esponenziale delle situazioni di crisi di impresa e di insolvenza, un modello operativo strutturato per un sistematico ruolo attivo del Pubblico Ministero consente di portare all'attenzione del Tribunale Fallimentare le situazioni di dissesto in tempo reale e da parte di un interlocutore che persegue l'interesse pubblico e collettivo (e dunque di tutti coloro che sono in rapporto con l'impresa) e non solo di colui che, attraverso l'istanza di fallimento, mira legittimamente, ma esclusivamente, al soddisfacimento del proprio credito.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La pronuncia della Corte milanese si pone in senso contrario ad un precedente del medesimo Giudice: cfr. App. Milano, IV sez., 20 dicembre 2010.
In senso conforme, invece, Cass. 8 febbraio 2011, n. 9260, in Fall., 2010, 1163, con nota di Farina e Trib. di Torino, sez. VI, 3 dicembre 2010, inedita; Corte di Appello di Torino, 5 luglio 2011, con nota di Spadavecchia, su IlFallimentarista.it.
In giurisprudenza cfr., fra gli altri, Ruggero, Richiesta del Pubblico Ministero, in Ferro-Di Carlo (a cura di), L'istruttoria prefallimentare, Milano, 2010, 329; Fabiani, sub. art. 6-7, in Comm. Jorio - Fabiani, I, 104 ss.

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