Crediti professionali maturati nel corso del concordato preventivo

10 Aprile 2012

Ai fini dell'opponibilità alla massa del credito del professionista, l'incarico al medesimo conferito dall'imprenditore in concordato preventivo non è da annoverare automaticamente nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione e dunque da autorizzarsi dal giudice delegato, ma vanno applicati i seguenti principi: a) escluso che il criterio discretivo utile sia quello del rapporto proporzionale tra spese e condizioni dell'impresa, viene in evidenza il solo criterio per cui è atto di ordinaria amministrazione quello connotato dalla pertinenza e idoneità dell'incarico stesso - anche se di costo elevato - allo scopo di conservare e/o risanare l'impresa; b) il criterio di proporzionalità non va ridotto al vaglio della crisi aziendale, ma deve invece riferirsi al merito della prestazione in termini di rapporto di adeguatezza funzionale (o non eccedenza) della stessa alle necessità risanatorie dell'azienda, con giudizio da formulare "ex ante"; c) si deve escludere comunque l'ammissione tra le passività concorsuali tutte le volte in cui l'incarico sia conferito per esigenze personali e al solo fine di allontanare nel tempo la dichiarazione di fallimento
Massima

Ai fini dell'opponibilità alla massa del credito del professionista, l'incarico al medesimo conferito dall'imprenditore in concordato preventivo non è da annoverare automaticamente nella categoria degli atti di straordinaria amministrazione e dunque da autorizzarsi dal giudice delegato, ma vanno applicati i seguenti principi:

a) escluso che il criterio discretivo utile sia quello del rapporto proporzionale tra spese e condizioni dell'impresa, viene in evidenza il solo criterio per cui è atto di ordinaria amministrazione quello connotato dalla pertinenza e idoneità dell'incarico stesso - anche se di costo elevato - allo scopo di conservare e/o risanare l'impresa;
b) il criterio di proporzionalità non va ridotto al vaglio della crisi aziendale, ma deve invece riferirsi al merito della prestazione in termini di rapporto di adeguatezza funzionale (o non eccedenza) della stessa alle necessità risanatorie dell'azienda, con giudizio da formulare "ex ante";
c) si deve escludere comunque l'ammissione tra le passività concorsuali tutte le volte in cui l'incarico sia conferito per esigenze personali e al solo fine di allontanare nel tempo la dichiarazione di fallimento

Il caso

In entrambi i casi esaminati dalla Suprema Corte, un professionista ricorre per cassazione, sotto il profilo della motivazione e della violazione di legge, nei confronti di un decreto del Tribunale di Ancona che ha rigettato l'opposizione ex art. 98 l. fall. avverso il decreto di esecutività dello stato passivo con il quale il giudice delegato non aveva ammesso il suo credito professionale, insinuato in via privilegiata, in quanto l'attività professionale sarebbe stata da considerarsi non utile alla conservazione del patrimonio dell'imprenditore e quindi atto eccedente l'ordinaria amministrazione, come tale inopponibile alla massa dei creditori in difetto di preventiva autorizzazione del giudice delegato, nel caso di specie mancante.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Entrambe le vicende esaminate dalla Suprema Corte riguardano il riconoscimento, da parte della procedura fallimentare, del credito per compensi professionali maturati a seguito di incarichi conferiti dall'imprenditore in pendenza di procedimento di concordato preventivo senza la preventiva autorizzazione del giudice delegato, richiesta dall'art. 167 l. fall. per alcuni atti specifici, ed in genere per quelli eccedenti l'ordinaria amministrazione, ai fini della loro efficacia e opponibilità ai creditori concorsuali. La Corte, nel censurare entrambe le decisioni del giudice di merito per carenza di motivazione e per violazione di legge, ha invocato i criteri enunciati in tema dalla giurisprudenza più recente del Supremo Collegio. In particolare, la Corte ha riaffermato il principio secondo cui, ai fini dell'opponibilità alla massa del credito del professionista, l'incarico al medesimo conferito dall'imprenditore in concordato preventivo non è da annoverare automaticamente nella categoria degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, potendo al contrario rientrare nella categoria degli atti di ordinaria amministrazione in presenza dei seguenti elementi: a) la pertinenza e l'idoneità dell'incarico - anche se di costo elevato - allo scopo di conservare e/o risanare l'impresa; b) la proporzionalità, intesa come adeguatezza funzionale (o non eccedenza) della prestazione alle necessità risanatorie dell'azienda, da valutarsi con giudizio “ex ante”. Corollario dei suesposti principi è la precisazione in ordine alla necessità di escludere comunque l'ammissione tra le passività concorsuali dei crediti attinenti ad incarichi conferiti per esigenze personali e dilatorie dell'impresa, in quanto atti non funzionali alle finalità perseguite nella procedura minore e dunque inopponibili alla massa (ed insuscettibili di autorizzazione). I parametri interpretativi sinteticamente enunciati nelle due sentenze in esame sono stati per la prima volta compiutamente affermati ed ampiamente sviluppati nella sentenza della Suprema Corte n. 9262 del 25 giugno 2002 in tema di amministrazione controllata, di cui meritano di essere riportati alcuni passi della motivazione. La Cassazione, muovendo dal presupposto “che connotato comune agli atti esemplificativamente indicati nell'art. 167 cpv. è la loro idoneità oggettiva ad incidere negativamente sul patrimonio del debitore, pregiudicandone la consistenza attraverso atti dispersivi o compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, alla cui tutela la misura della preventiva autorizzazione è predisposta”, rileva che, in linea generale, devono qualificarsi atti di ordinaria amministrazione “gli atti di comune gestione dell'azienda, strettamente aderenti alle finalità dell'impresa e alle dimensioni del suo patrimonio, e ancor più quelli che lo migliorano o semplicemente lo conservano”, restando invece nell'area della amministrazione straordinaria “gli atti che nel loro risultato finale lo riducano o lo gravino di pesi e vincoli, cui non corrispondano acquisizioni di utilità reali, su di essi prevalenti”. Conseguentemente, dovendosi la natura dell'atto riguardare sotto il profilo del pregiudizio che il patrimonio riceve, viene in evidenza - con riferimento all'incarico professionale - il criterio che reputa atto di ordinaria amministrazione quello connotato dalla pertinenza ed idoneità dell'incarico stesso, anche se di costo elevato, allo scopo di conservare e/o risanare l'impresa in amministrazione controllata o a prevenire, nel concordato preventivo, la dissoluzione e il pregiudizio ai creditori, mediante soluzioni esdebitatorie, purché idoneo a raggiungere il risultato prefissato, nel rispetto primario degli interessi dei creditori. Precisa altresì la Corte che la valutazione sulla proporzionalità della prestazione, che va compiuta con un giudizio da formulare “ex ante”, deve necessariamente riferirsi al merito della prestazione, in termini di adeguatezza funzionale (o non eccedenza) della prestazione rispetto alle finalità risanatorie dell'azienda, e non già tradursi, come in precedenza affermato in alcune pronunce, in un giudizio di adeguatezza della spesa alle condizioni di precarietà dell'azienda, potendosi l'assistenza tecnica, sia legale che aziendale, giustificare proprio in quanto “necessaria a concepire, mettere in atto e gestire gli strumenti operativi utili al superamento della insolvenza, o mediante il risanamento e la conservazione dell'impresa e del suo valore economico o con la sistemazione collettiva delle passività, garantendo il soddisfacimento dei creditori in modo e termini migliori di quanto la esecuzione individuale e collettiva consentano”.

Osservazioni

Le due sentenze in esame s'innestano nel filone giurisprudenziale a cui ha dato avvio la succitata pronuncia della Suprema Corte nr. 9262/2002 che, parzialmente discostandosi dall'orientamento precedente, ha colto l'occasione per fare chiarezza sulla natura dell'atto di nomina del professionista in pendenza della procedura di amministrazione controllata (o di concordato preventivo). L'opinione prevalente formatasi nella giurisprudenza di legittimità anteriore alla citata pronuncia, pur senza dare per scontata ed automatica la qualificazione del conferimento del mandato professionale come atto di straordinaria amministrazione, aveva comunque individuato come elementi discretivi per la qualifica dell'atto medesimo, e quindi per la sua eventuale straordinarietà, la rilevanza quantitativa dell'onere del compenso professionale in rapporto alle condizioni economiche dell'impresa e la sua concreta utilità rispetto allo scopo della procedura (così Cass. n. 3369/1983 e Cass. n. 3771/1979). L'orientamento giurisprudenziale da ultimo affermatosi ha invece ritenuto irrilevanti tali elementi ed invece conferenti i criteri di pertinenza, idoneità ed adeguatezza funzionale dell'incarico alla conservazione e/o risanamento dell'impresa, conseguentemente ampliando la categoria degli atti di ordinaria amministrazione, seppure all'interno dei suindicati limiti ben definiti. Giova da ultimo dare atto che la giurisprudenza di merito assolutamente dominante, adottando criteri estremamente restrittivi nella valutazione dell'utilità per la massa della prestazione eseguita dal professionista, tende nella maggior parte dei casi a qualificare l'incarico al medesimo affidato alla stregua di atto di straordinaria amministrazione.

Conclusioni

I principi enunciati dalla Suprema Corte nelle sentenze in commento, già in precedenza affermati in tema di amministrazione controllata, appaiono coerenti con le finalità più marcatamente conservative e non necessariamente liquidatorie del concordato preventivo post riforma. I criteri di selezione individuati dalla Cassazione per la qualificazione della natura ordinaria o straordinaria delle prestazioni professionali in pendenza di concordato sono apprezzabili, in quanto contemperano in modo equilibrato la necessità di tutelare l'interesse dei creditori a che il patrimonio sia destinato al soddisfacimento delle loro ragioni creditorie e l'esigenza di non ostacolare né rallentare l'amministrazione dei beni del debitore e l'esercizio dell'impresa con gli articolati e non sempre rapidi processi decisionali degli organi della procedura. Sotto il profilo operativo resta da accertare se, al fine di ridurre i rischi di contestazione del credito del professionista nell'eventuale successivo fallimento, possa essere utile la preventiva appostazione nella proposta concordataria tra le voci del passivo o in un apposito fondo spese dei costi di assistenza professionale successivi all'apertura della procedura medesima, garantendone ovviamente l'adeguata copertura ai fini concordatari.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sullo specifico argomento si segnalano le seguenti decisioni della Suprema Corte conformi alle sentenze in commento: Cass. 25 giugno 2002, n. 9262; Cass. 8 novembre 2006, n. 23796; Cass. 4 settembre 2009, n. 19235. Le decisioni di merito in tema sono, fra le altre: Trib. Napoli 8 maggio 1994, in Banca Dati DeJure; Trib. Foggia 7 aprile 1989, in Banca Dati DeJure; Trib. Reggio Emilia 11 gennaio 1996, Trib. Reggio Emilia 15 gennaio 1982; Trib. Modena, decr. 3 aprile 2009, in Fall., 2010, 225; Trib. Varese 11 giugno 2007; App. Milano 26 settembre 1978 in Banca Dati DeJure; App.Trieste 20 settembre 2004. Si segnalano i seguenti contributi dottrinali: S. Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottimo, Padova, 2008, vol. XI, 1, 94; F.S. Filocamo, Commento all'art. 167 l. fall., in La legge fallimentare, Commentario tecnico-pratico a cura di M. Ferro, Padova, 2007, 167; G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova, 2006, 551.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario