Considerazioni critiche alla tesi della Cassazione sull’infalcidiabilità dell’IVA

Enrico Stasi
12 Aprile 2012

È inammissibile la proposta di concordato preventivo che non preveda alcun soddisfacimento per i creditori chirografari e che chieda pertanto agli stessi di rinunciare integralmente alle loro ragioni di credito. Da ciò l'irrilevanza della pur plausibile questione di costituzionalità, in rapporto agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art.182 ter l. fall. così come interpretato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 22931/2011, che, nell'affermare il carattere meramente facoltativo della transazione fiscale, ha tuttavia ritenuto l'intangibilità dell'imposta sul valore aggiunto. (Massima non ufficiale)
Massima

È inammissibile la proposta di concordato preventivo che non preveda alcun soddisfacimento per i creditori chirografari e che chieda pertanto agli stessi di rinunciare integralmente alle loro ragioni di credito. Da ciò l'irrilevanza della pur plausibile questione di costituzionalità, in rapporto agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art.182 ter l. fall. così come interpretato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 22931/2011, che, nell'affermare il carattere meramente facoltativo della transazione fiscale, ha tuttavia ritenuto l'intangibilità dell'imposta sul valore aggiunto. (Massima non ufficiale)

Il caso

Una società in liquidazione, che aveva chiesto al Tribunale di Milano l'ammissione alla procedura di concordato preventivo proponendo il pagamento in misura percentuale dei soli creditori privilegiati, tra cui i crediti dell'erario per l'IVA, si è difesa dalla contestazione di inammissibilità della domanda eccependo l'incostituzionalità, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell'art. 182-ter, della lettura data dalla Cassazione a tale norma.
Il Tribunale, per condividendo i dubbi della società ricorrente sulla ragionevolezza dell'interpretazione accolta dal Supremo Collegio, ha tuttavia ritenuto inutile verificare la sussistenza delle condizioni per sollevare la questione di illegittimità costituzionale in considerazione del fatto che la domanda, offrendo zero ai creditori chirografari, doveva, in ogni caso, dichiararsi inammissibile.
La decisione in commento, che ritengo personalmente condivisibile in punto inammissibilità di una domanda di concordato che preveda la remissione totale dei crediti chirografari, offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni critiche sulla chiave di lettura fornita dalla Cassazione in merito delle disposizioni dettate dall'art. 182-ter.

Alcune considerazioni critiche alla tesi della Cassazione

Come è noto, la Suprema Corte, con due sentenze di pari data (Cass. 4 novembre 2011, n. 22931 e n. 22932; per un approfondito commento a quest'ultima sentenza, si veda: S. Ambrosini – M. Aiello, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. nella sentenza n. 22932/2011 della Cassazione: contribuenti allegri…ma non troppo, in Ilfallimentarista.it), ha mostrato di aderire alla tesi, già prospettata nei lavori scientifici di colui che delle sentenze è il relatore (V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino, 2010, 277 ss.), secondo la quale il ricorso alla transazione fiscale in sede concordataria sarebbe bensì facoltativo, ma i crediti relativi all'imposta sul valore aggiunto, alle ritenute fiscali operate e non versate e ai tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea dovrebbero essere in ogni caso soddisfatti per il loro intero ammontare, pena l'inammissibilità della domanda di concordato, stante la natura sostanziale della previsione di cui al primo comma del menzionato art. 182-ter in tema di trattamento dei crediti erariali.
Ed invero, sul punto la Cassazione ha osservato come “non sia credibile che il legislatore abbia inteso lasciare alla scelta discrezionale del debitore assoggettarsi all'onere dell'integrale pagamento dell'IVA […] optando per la transazione fiscale oppure avvalersi della possibilità di proporre un pagamento parziale decidendo per il concordato senza transazione e quindi rimanendo vincolato solo all'obbligo di pagare integralmente il debito nei limiti del valore dei beni su cui grava la garanzia, peraltro spesso insussistenti come nel caso di imposta gravante sul valore della prestazione di servizi”. Ma, prosegue la Corte, “ciò che più convince dell'inderogabilità della disposizione qualunque sia l'opzione del creditore è la natura stessa in quanto non si tratta di norma processuale come tale connessa allo specifico procedimento di transazione fiscale ma di norma sostanziale in quanto attiene al trattamento dei crediti nell'ambito dell'esecuzione concorsuale dettata da motivazioni che attengono alla peculiarità del credito e prescindono dalle particolari modalità con cui si svolge la procedura di crisi”. In altre parole, nella visione della Corte regolatrice, la statuizione contenuta nel primo comma dell'art. 182-ter attribuirebbe ai crediti di cui trattasi una sorta di “superprivilegio” destinato ad operare solamente nell'ambito della procedura di concordato preventivo anche sulle risorse estranee al patrimonio oggetto di garanzia in quanto messe a disposizione da terzi.
Come mi è parso di poter sostenere in altra sede (E.Stasi, La transazione fiscale, in corso di pubblicazione nel Codice commentato del fallimento on line, diretto da Lo Cascio), questo modo d'intendere la norma dell'art. 182-ter solleva consistenti perplessità anche sul piano costituzionale.
Anzitutto, appare difficilmente condivisibile, e va pertanto respinta, l'affermazione secondo la quale ammettere la falcidiabilità dell'IVA sarebbe come riconoscere in capo al debitore l'esistenza di un potere discrezionale di scelta se assoggettarsi o meno all'onere dell'integrale pagamento del tributo. Atteso che il credito erariale per l'IVA è assistito non già da un privilegio speciale, così come erroneamente ritenuto dalle sentenze in commento, bensì da un privilegio generale su tutti i beni mobili del debitore (cfr. art. 2752, comma 2, c.c.) e con collocazione sussidiaria sul prezzo degli immobili, il pagamento parziale del tributo, lungi dal costituire il frutto di una scelta discrezionale del debitore, è possibile solamente nell'ipotesi in cui – come previsto dal secondo comma dell'art. 160 l. fall. - il patrimonio dello stesso (comprensivo dei beni immobili) non sia sufficiente a coprire integralmente anche questo grado di privilegio e vi sia, pertanto, l'apporto di nuova finanza da parte di un terzo.
Ma anche l'assunto in forza del quale i precetti che disciplinano, dal punto di vista sostanziale, il contenuto economico della transazione fiscale avrebbero una portata che va oltre lo speciale ambito normativo in cui sono destinati ad operare, rovesciando, per la sola procedura di concordato preventivo, l'ordine delle prelazioni mobiliari, sembra poco persuasivo. In primo luogo, perché di una simile volontà del legislatore non vi è traccia né nei lavori preparatori, né nelle relazioni illustrative che hanno accompagnato l'introduzione dell'art. 182-ter e le sue successive modificazioni ed integrazioni e neppure nella legge di delega per la riforma del diritto fallimentare (l. n. 80/2005), il che già potrebbe schiudere la porta a censure di incostituzionalità sotto il profilo dell'eccesso di delega. In secondo luogo, perché una norma che dovesse davvero anteporre ai crediti privilegiati ex art. 2777 c.c. i crediti del Fisco posti ai gradini più bassi della scala dei privilegi di cui all'art. 2778 c.c. difficilmente riuscirebbe a superare il vaglio di ragionevolezza, attesa la rilevanza che la Costituzione attribuisce ai crediti dei lavoratori (artt. 1, 2, 3, 35 e 36 Cost.). Ed è appunto a questa inaccettabile conseguenza che conduce la tesi qui criticata, tutte le volte in cui il patrimonio del debitore sia appena sufficiente a fronteggiare i crediti fiscali che l'art. 182-ter esclude dall'area della falcidia, giacché, in tale evenienza, sarebbero proprio i titolari di quei crediti lavorativi ad essere sacrificati per primi. Né, per superare questa obiezione, appare conferente il richiamo della Corte regolatrice alla diversa fattispecie della prededuzione, trattandosi, come autorevole dottrina non ha mancato di sottolineare, “di istituto peculiare (destinato ad operare per quei soli crediti muniti, ex art. 111, comma 2, l. fall., di un nesso di occasionalità o funzionalità con la procedura concorsuale, oltre che negli altri casi espressamente previsti dalla legge) e comunque inidoneo a sovvertire l'ordine dei privilegi, che, come è noto, per il caso di incapienza dell'attivo trova applicazione anche nell'ipotesi di conflitto tra pretese prededucibili” (S.Ambrosini – M.Aiello, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. cit.).
Sfugge inoltre la ragione per la quale una deroga analoga non sia prevista nell'ambito del concordato fallimentare, che pur presenta indubbi aspetti di affinità con il concordato preventivo, quanto a contenuto economico dell'offerta del debitore, applicabilità del principio maggioritario, oggetto ed effetti del giudizio di omologazione del concordato nei confronti dei crediti anteriori. Sicché per superare l'impasse, sfuggendo a quella che in altre occasioni ho definito come un'impropria forma di tassazione del concordato preventivo (E.Stasi, Profili istituzionali della transazione fiscale, in Jorio (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2011, 1199), ai creditori ed allo stesso debitore in crisi non resterebbe altra soluzione se non quella di percorrere la più tranquillizzante e vantaggiosa strada del fallimento seguito dal concordato fallimentare, dove anche l'IVA ed i tributi costituenti risorse proprie per l'Unione Europea soggiacciono alle regole generali sui privilegi sancite dal codice civile, senza che a nessuno sia mai venuto in mente di contestare la violazione del principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria e/o quello della capacità contributiva. E tutto ciò con buona pace dell'obiettivo perseguito dalla legge di riforma, di favorire, o quanto meno non ostacolare, il superamento della crisi mediante il ricorso a soluzioni alternative al fallimento (questi rilievi sono condivisi da S. Ambrosini – M. Aiello, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall., cit.).

Osservazioni

Questi ed altri rilievi convincono, a mio modo di vedere, della preferibilità della soluzione, proposta dalla dottrina prevalente (ex multis, E. Stasi, Profili istituzionali della transazione fiscale, cit. 1193 ss.; G. Fauceglia, La transazione fiscale e la domanda di concordato preventivo, in Dir.fall., 2009, II, 487 ss.; S. Ambrosini – M. Aiello, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. nella sentenza n. 22932/2011 della Cassazione, cit.) e già adottata da alcune corti di merito (App. Torino, 6 maggio 2010; App. Firenze, 13 aprile 2010; App. Genova, 19 dicembre 2009, in DeJure, 2010; Trib. Bergamo, 10 febbraio 2011; Trib. Ravenna, 21 gennaio 2011; Trib. Asti, 3 febbraio 2010, in Dejure, 2010; Trib. Bologna, 17 settembre 2009, citata da C. Attardi, in Il fisco, 2009, 6435; Trib. La Spezia, 2 luglio 2009, in Dir. fall., 2009, II, 487 ss.), che reputa che la possibilità di soddisfare in percentuale qualsiasi tipologia di crediti erariali sia già prevista, in via generale, dal 2° comma dell'art. 160 l. fall.; e che ritiene parimenti che i problemi di coordinamento con il precetto dettato dal secondo periodo di quella medesima disposizione (che sancisce il divieto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione) possano essere risolti ritenendo, in conformità ad un'opinione che va vieppiù diffondendosi (S.Ambrosini, Il piano di concordato, in S. Ambrosini - P.G. Demarchi - M. Vitiello, Il concordato preventivo e la transazione fiscale, Torino, 2009, 42; G. Bozza, L'utilizzo di nuova finanza nel concordato preventivo e la partecipazione al voto dei creditori preferenziali incapienti, in Fall., 2009, 1441 ss.; P. Felice Censoni, I diritti di prelazione nel concordato preventivo, in Giur. comm., 2009, I, 34 ss. Secondo Trib. Treviso, 11 febbraio 2009, in Fall., 2009, 1439 ss., la regola della inalterabilità dell'ordine delle preferenze troverebbe applicazione anche nel caso di apporto di nuova finanza), che il pagamento dei crediti, anche tributari, muniti di prelazione che non trovino integrale capienza nel patrimonio del debitore possa essere effettuato in misura parziale utilizzando risorse rivenenti da nuova finanza.
In altre parole, qualora il debitore, all'esito di un'attenta analisi dei costi e dei benefici, decida di fruire dei vantaggi connessi alla definizione transattiva di una o più tipologie di tributi o di contributi, non soltanto in termini di definitiva chiusura delle partite debitorie e di consumazione dei correlativi poteri di accertamento, ma pure per la prevista possibilità di offrire al Fisco una percentuale di pagamento pari a quella proposta ai creditori privilegiati di grado immediatamente successivo a quelli contributivi o erariali, potrà avvalersi dell'istituto della transazione fiscale attivando la disciplina speciale posta dall'art. 182-ter ed assoggettandosi a tutte le prescrizioni ivi contenute, compresa quella che esclude dall'area della falcidia i crediti IVA, le ritenute fiscali ed i tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, i quali dovranno essere pertanto soddisfatti per il loro intero ammontare mediante l'apporto di risorse aggiuntive, rispetto al patrimonio del debitore oggetto di garanzia, al fine di superare l'eventuale verifica di convenienza della proposta concordataria da parte del tribunale nell'ipotesi prevista dal secondo periodo del quarto comma dell'art. 180 l. fall. Per converso, quando l'utilizzo della transazione fiscale non sia ritenuto conveniente, il debitore potrà sempre proporre un soddisfacimento parziale dei debiti tributari e/contributivi incapienti con risorse estranee al patrimonio assoggettato al concorso e ove la proposta di concordato così formulata ottenga l'approvazione dei creditori che costituiscano la maggioranza dei crediti ammessi al voto e la successiva omologazione del concordato, anche in virtù dell'esercizio del potere di cram down, tutti i crediti pregressi, ivi compresi quelli di natura fiscale o contributiva, saranno soggetti alla falcidia concordataria, senza che a ciò possa essere di ostacolo l'eventuale astensione dal voto o il voto contrario espresso dagli enti o dall'amministrazione finanziaria secondo le modalità previste dal tuttora vigente art. 90 D.P.R. n. 602/73 sulla base dei ruoli emessi ai sensi degli artt. 11, comma 3, e 15-bis D.P.R. n. 602/1973 nonché degli artt. 36-bis D.P.R. n. 600/1973 e 54-bis D.P.R. n. 633/1973. Naturalmente, in questo caso non si produrranno gli effetti tipici della transazione, vale a dire la definitiva quantificazione della posizione debitoria verso il Fisco (nei limiti sopra indicati) e la correlata cessazione dei contenziosi pendenti.
Questa interpretazione, oltre ad assicurare il leale rispetto della scelta operata dal legislatore della riforma, di privilegiare la soluzione concordataria, mi sembra quella che meglio si armonizzi sia con la logica del sistema nel quale la norma è inserita ed è destinata ad operare, sia con i principi della Costituzione.

Conclusioni

Alla luce delle considerazioni sopra svolte, è, dunque, auspicabile che la Consulta venga quanto prima chiamata a pronunciarsi sulla ragionevolezza dell'interpretazione fornita dalla Cassazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Cass. 4 novembre 2011, n. 22931; Cass. 4 novembre 2011, n. 22932. Per un approfondito commento a quest'ultima sentenza, v. S.AMBROSINI – M.AIELLO, La transazione fiscale ex art. 182-ter l.fall. nella sentenza n. 22932/2011 della Cassazione: contribuenti allegri…ma non troppo, in Ilfallimentarista.it. In dottrina si veda: E. STASI, Profili istituzionali della transazione fiscale, in JORIO (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2011, 1199.

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