Onere della prova più agevole per il curatore nella revocatoria ordinaria

01 Luglio 2015

Per esperire l'azione revocatoria ordinaria in ambito fallimentare ex art. 66 l. fall. non occorre che il debitore sia insolvente, né che il creditore abbia consapevolezza dello stato di decozione del debitore, o della società di cui quest'ultimo è socio.
Massima

Per esperire l'azione revocatoria ordinaria in ambito fallimentare ex art. 66 l. fall. non occorre che il debitore sia insolvente, né che il creditore abbia consapevolezza dello stato di decozione del debitore, o della società di cui quest'ultimo è socio.

Il caso

La fattispecie al centro della controversia in esame riguarda l'esercizio di un'azione revocatoria ordinaria nella procedura fallimentare ai sensi degli artt. 66 l. fall. e 2901 c.c. al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia di un contratto di locazione di un immobile stipulato tra il proprietario (socio di una s.a.s.) e il di lui figlio. Il giudice di primae curae, con sentenza confermata in sede di appello, ha accolto la domanda proposta dalla curatela.
Il giudizio è quindi proseguito innanzi alla Corte di cassazione, adita dal figlio-locatario il quale ha sostenuto che la Corte di appello sarebbe caduta in errore nel ritenere raggiunta la prova della conoscenza, da parte di lui, dello stato di insolvenza del socio F.R. e delle società; e nel ritenere raggiunta la prova dell'eventus damni. Inoltre, il ricorrente lamentava la mancata disamina della situazione patrimoniale del debitore, poiché il patrimonio immobiliare del fallito sarebbe stato in realtà sufficiente al soddisfacimento dei crediti, non essendosi perciò perpetrata alcuna deminutio rilevante della garanzia patrimoniale, senza integrare quindi il necessario requisito dell'eventus damni.

Le questioni giuridiche

Caratteristiche della revocatoria ordinaria esperita dal curatore ex art. 66 l. fall. Valga premettere come l'azione revocatoria ordinaria esperita dal curatore ex art. 66 l. fall. presenti struttura e disciplina eclettiche, in quanto partecipi di quella ordinaria e fallimentare. Infatti tale azione, pur presupponendo gli stessi requisiti dell'actio pauliana di cui all'art. 2901 c.c., si caratterizza rispetto a questa per il fatto che è rivolta a tutelare la garanzia patrimoniale di tutti i creditori presenti e futuri dell'imprenditore. Pertanto, un orientamento adottato da una giurisprudenza afferma come non sia necessario distinguere fra atti negoziali (compiuti in frode) posteriori e anteriori al sorgere dei crediti altrui, giacché l'essenza del rimedio si basa sull'unico pregiudizio possibile, costituito dal fatto che l'atto dispositivo abbia concretamente pregiudicato o reso più difficile il soddisfacimento dei crediti. Di conseguenza, secondo tale indirizzo – pur non recente - nell'esercizio in sede fallimentare dell'azione revocatoria ordinaria il curatore non è tenuto a provare, relativamente ai creditori posteriori all'atto revocato, la dolosa preordinazione di cui all'art. 2901 n. 2 c.c., essendo sufficiente la prova in capo al terzo della consapevolezza dell'eventus damni (Cass., n. 9122/1987; Cass., n. 2055/1978).
Per una migliore comprensione della questione attinente alla differenza tra revocatoria ordinaria esperita in ambito concorsuale e la stessa azione esercitata invece al di fuori della procedura fallimentare, giova rammentare che, secondo la Cassazione, per quanto attiene al presupposto soggettivo dell'azione revocatoria ordinaria in sede concorsuale l'unica condizione per l'esercizio della stessa è che il debitore fosse a conoscenza del pregiudizio per le ragioni del creditore, e, trattandosi di atto a titolo oneroso, che di esso fosse consapevole il terzo. La prova di tale atteggiamento soggettivo ben può essere fornita tramite presunzioni (Cass., n. 7452/2000). In particolare, per giurisprudenza pacifica, allorché l'atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, l'elemento soggettivo è integrato dalla semplice conoscenza, cui va equiparata la agevole conoscibilità nel debitore e (in ipotesi di atto a titolo oneroso) nel terzo di tale pregiudizio, senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (consilium fraudis) e la partecipazione o la conoscenza del terzo in ordine all'intenzione fraudolenta del debitore (partecipatio o scientia fraudis) (Cass., n. 7262/2000). Peraltro, anche nell'ipotesi di atto anteriore al sorgere del credito, secondo la giurisprudenza della Cassazione, per integrare il c.d. animus nocendi è sufficiente il mero dolo generico, e cioè la mera previsione, da parte del debitore, del pregiudizio dei creditori, e non è, quindi, necessaria la ricorrenza del dolo specifico, e cioè la consapevole volontà del debitore di pregiudicare le ragioni del creditore. Trattandosi di un atteggiamento soggettivo, tale elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni (Cass., n. 24757/2008).

Osservazioni

Nella sentenza in esame la Suprema Corte afferma che l'art. 66 l. fall. ripropone, in ambito fallimentare, la revocatoria ordinaria codicistica. L'unica differenza fra la revocatoria ai sensi dell'art. 66 l. fall. e la revocatoria ordinaria al di fuori della procedura concorsuale ex art. 2901 c.c. è l'ambito di efficacia. Infatti la prima, esercitata dal curatore, giova a tutti i creditori, mentre la seconda giova soltanto al creditore che ha esercitato l'azione. Tuttavia le caratteristiche dell'azione sono le medesime, trattandosi dello stesso istituto trasposto in un diverso settore dell'ordinamento.
L'onere della prova in capo al curatore. Di conseguenza, in tema di revocatoria ordinaria, il curatore non è gravato dalla prova della conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza del debitore, come avviene in caso di revocatoria fallimentare ai sensi dell'art. 67 l. fall. È invece sufficiente che sia dimostrato il semplice pregiudizio, per la massa dei creditori, dell'atto dispositivo. Pertanto, nel caso di specie, è necessario unicamente provare la conoscenza, da parte del terzo, del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore, ossia la menomazione della garanzia generica di cui all'art. 2740 c.c. in seguito all'atto dispositivo, che nella fattispecie è costituito dalla stipula del contratto di locazione: la norma non richiede, per la sua applicazione, che il debitore sia insolvente, né che il creditore abbia consapevolezza dello stato di decozione del debitore, o della società di cui è parte.
Il requisito della conoscenza del terzo in ordine all'intenzione fraudolenta del debitore. La Suprema Corte ha affermato che la prova dell'elemento soggettivo in capo al terzo (al pari di quello in capo al debitore) può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, massimamente se fondate sulla qualità delle parti del negozio fraudolento e sulla sua tempistica rispetto alla pretesa del creditore (Cass., n. 25016/2008). Nella fattispecie, quindi, legittimamente il giudice del gravame ha ritenuto che il requisito della partecipatio fraudis – ossia il requisito della conoscenza del terzo in ordine all'intenzione fraudolenta del debitore - sussista, in virtù di alcuni indici sintomatici riscontrati: la sussistenza del rapporto parentale (padre-figlio) fra debitore e terzo (Cass. n. 5359/2009) e la situazione di convivenza.
Il presupposto oggettivo dell'eventus damni. In ordine al requisito oggettivo della diminuzione patrimoniale, la Cassazione precisa che in tema di revocatoria ordinaria non è necessaria una totale compromissione del patrimonio del debitore, ma è sufficiente che la soddisfazione dei crediti sia resa più incerta o difficile, come nel caso di modifica qualitativa e non quantitativa del patrimonio del debitore che metta a rischio la fruttuosità dell'azione esecutiva (Cass. n. 26723/2011). Più in particolare, la Suprema Corte ha precisato che l'onere probatorio del creditore si restringe alla dimostrazione della variazione patrimoniale, senza che sia necessario provare l'entità e la natura del patrimonio del debitore dopo l'atto di disposizione, non potendo il creditore valutarne compiutamente le caratteristiche; per contro, il debitore deve provare che, nonostante l'atto di disposizione, il suo patrimonio ha conservato valore e caratteristiche tali da garantire il soddisfacimento delle ragioni del creditore senza difficoltà (Cass., n. 15265/2006).

Conclusioni

Nel caso in specie, posto che – secondo l'orientamento pacifico in giurisprudenza - affinché possa richiamarsi l'esistenza del pregiudizio, non occorre alcuna valutazione sul danno, essendo sufficiente la dimostrazione da parte del creditore istante della pericolosità dell'atto impugnato, in termini di una possibile quanto eventuale infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore, la Cassazione rigetta il ricorso ritenendo nella fattispecie il carattere pregiudizievole dell'atto – ossia l'eventus damni - insito nelle caratteristiche dell'atto stesso (lunga durata del contratto, prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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