L’impugnazione della revoca da curatore nella disciplina della legge fallimentare novellata

Alessandro Lendvai
19 Giugno 2015

La legge fallimentare novellata pone un limite alla discrezionalità del tribunale fallimentare nel rimuovere il curatore dall'incarico, stabilendo, all'art. 23, che la revoca possa avvenire solo “per giustificati motivi” e prevedendo, all'art. 37, che il decreto di revoca sia motivato e sia soggetto a reclamo ai sensi dell'art. 26
Massima

La legge fallimentare novellata pone un limite alla discrezionalità del tribunale fallimentare nel rimuovere il curatore dall'incarico, stabilendo, all'art. 23, che la revoca possa avvenire solo “per giustificati motivi” e prevedendo, all'art. 37, che il decreto di revoca sia motivato e sia soggetto a reclamo ai sensi dell'art. 26.

Il decreto di accoglimento o di rigetto dell'istanza di revoca, anche dopo la riforma di cui al D.Lgs. 5/2006, ha natura meramente ordinatoria e non decisoria, non sussistendo un diritto soggettivo del curatore al mantenimento dell'ufficio. Pertanto, non è proponibile il ricorso straordinario per cassazione avverso il provvedimento, di conferma o di riforma del decreto, emesso dalla corte d'appello in sede di reclamo.

Il caso

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte può così riassumersi. Il tribunale di Napoli revocò un curatore dall'incarico attribuitogli in un fallimento dichiarato nel 2009 e “conseguentemente” dalla medesima carica rivestita in altre dieci procedure, di cui otto dichiarate prima dell'entrata in vigore della novella della legge fallimentare che ora consente il gravame della revoca, e due dopo. Il curatore propose undici distinti reclami alla corte d'appello, che, dopo averli riuniti, rigettò quello contro la revoca da curatore del primo fallimento, dichiarò inammissibili quelli relativi ai fallimenti ante riforma e accolse quelli concernenti gli altri due dichiarati post novella. Il curatore propose ricorso straordinario per cassazione, ma la Corte, con la decisione in commento, ha accolto l'eccezione di inammissibilità, ritenuta comunque rilevabile anche d'ufficio, svolta in via preliminare di rito dal primo fallimento con controricorso.

Le questioni giuridiche e la soluzione

L'iter argomentativo della Corte è il seguente. Anteriormente alla riforma di cui al D.Lgs. 5/2006, gli artt. 23 e 37 l. fall. stabilivano che il tribunale poteva revocare il curatore in ogni tempo, su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d'ufficio, sentiti il curatore medesimo ed il pubblico ministero, con decreto non sottoposto a gravame.
Attualmente le rilevanti modifiche delle due norme consentono di affermare che il tribunale può ancora revocare il curatore in ogni tempo, sempre su proposta del giudice delegato o su richiesta del comitato dei creditori o d'ufficio, ancora sentito il curatore medesimo e ora anche il comitato dei creditori (non più il pubblico ministero), ma con decreto di cui è espressamente richiesta la motivazione. Ciò in coerenza con l'introdotta necessità che la revoca possa avvenire solo per giustificati motivi e la conseguente reclamabilità in corte d'appello del decreto che la dispone, come di quello di rigetto, ai sensi dell'art. 26 l. fall.
Nel previgente quadro normativo, attesa l'espressa non reclamabilità del decreto, ci si interrogava sulla possibilità di esperire ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. La risposta costante della giurisprudenza era negativa. Infatti si legge con regolarità la formula secondo cui le norme sulla nomina e la revoca del curatore erano dettate esclusivamente a tutela del superiore interesse pubblicistico al regolare svolgimento della procedura fallimentare, coinvolgendo quindi solo indirettamente un interesse del curatore stesso o, ancora, del fallito o dei creditori. Ne conseguiva che il decreto del tribunale di revoca, avendo natura ordinatoria ed amministrativa, era privo di portata decisoria idonea ad incidere su diritti soggettivi e, quindi, insuscettibile di essere sottoposto a ricorso straordinario per cassazione.
Nella decisione annotata, tuttavia, la Corte afferma che anche in precedenza non era da ritenersi ammissibile una revoca del curatore del tutto immotivata, o fondata su motivazione irragionevole o sul mero arbitrio del tribunale, pur restando il curatore vittima di tale situazione privo di tutela.
Vede pertanto con favore che la nuova disciplina sopra delineata consenta alla corte d'appello “la caducazione dei provvedimenti di revoca che siano privi di motivazione o si fondino su una motivazione illogica e/o inadeguata”.
In ogni caso al Supremo Collegio non appare che dall'odierna normativa si possa configurare un vero e proprio diritto soggettivo del curatore alla conservazione dell'ufficio, restando conseguentemente attuale il principio di diritto sopra esposto che sosteneva nel regime previgente l'esclusione del ricorso straordinario.
Argomenta in proposito la Corte:
i) Permangono le regole dell'art. 30 l. fall., per cui il curatore è pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, e dell'art. 37 l. fall., per cui il tribunale può in ogni tempo revocare il curatore.
ii) La clausola generale dell'art. 23 l. fall., che subordina la revoca a giustificati motivi, formula ben più ampia della giusta causa, palesa che “il provvedimento può essere assunto anche quando il curatore non risulti inadempiente ai suoi specifici doveri, e dunque anche per ragioni di mera convenienza od opportunità, sempre in vista del superiore interesse della procedura”.
iii) Anche nel caso previsto dall'art. 37 bis l. fall., la richiesta di sostituzione del curatore avanzata dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi deve essere sottoposta al vaglio del tribunale sulla sussistenza dei giustificati motivi, come sopra configurati, integranti la finalità di una migliore gestione della procedura e non il perseguimento di interessi creditori particolari.
Conclude quindi la Corte che “anche nell'attuale disciplina la nomina a curatore del fallimento ed il mantenimento dell'ufficio rispondono all'esigenza, superindividuale e non riducibile al mero rapporto coi creditori, del corretto svolgimento e del buon esito della procedura”.
I provvedimenti sulla revoca, quindi, pur reclamabili in corte d'appello per espressa previsione normativa, non sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione perché insuscettibili di incidere su diritti soggettivi e in quanto privi del carattere della decisorietà.

Il quadro normativo e giurisprudenziale

Nel vigore della disciplina ante riforma, non si dubitava - come chiaramente espresso dalla seguente pronuncia, tra i numerosi precedenti citati dalla stessa decisione in commento - che “avverso il provvedimento di revoca del curatore fallimentare, pronunciato ai sensi dell'art. 37 della legge fallimentare, non è ammissibile, da parte del curatore stesso, del fallimento o di qualsiasi altro interessato, né il reclamo alla corte d'appello, ai sensi degli artt. 739 e 742-bis c.p.c., né il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., in quanto (anche) l'art. 37 è dettato unicamente a tutela dell'interesse pubblicistico al regolare svolgimento della procedura concorsuale e può incidere solo indirettamente su un interesse del curatore; con la conseguenza che il provvedimento di revoca di quest'ultimo ha natura amministrativa ed ordinataria ed è privo di portata decisoria su posizioni di diritto soggettivo” (Cass. 3 settembre 2004, n. 17879).
Dall'introduzione, ad opera del D.Lgs. 5/2006, della necessità che la revoca del curatore sia fondata su giustificati motivi e della conseguente possibilità di sottoporre a reclamo in corte d'appello il decreto che la dispone, i primi commentatori hanno fatto discendere la configurabilità di un diritto soggettivo del curatore al mantenimento dell'incarico. È stato, infatti, affermato che dagli artt. 23 e 37 l. fall. novellati “deriva che il tribunale sceglie discrezionalmente il curatore; ma non altrettanto discrezionalmente, cioè anche per semplici ragioni di opportunità, può revocarlo; e ulteriormente deriva che al curatore deve riconoscersi un diritto soggettivo o interesse protetto alla conservazione dell'ufficio” (NIGRO-VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese – Le procedure concorsuali, Bologna, 2012, 112). In sintonia anche chi ha evidenziato che le norme in oggetto hanno “elevato a diritto soggettivo quello che in precedenza era considerato un interesse al mantenimento dell'ufficio di curatore. (…) Nell'ipotesi di accoglimento del reclamo avverso il provvedimento di revoca, il curatore deve essere immediatamente reintegrato nel proprio ufficio e, ove la revoca fosse illegittima ed arbitraria, ha diritto a richiedere in via prededuttiva i danni eventualmente sofferti” (FERRETTI, Poteri, competenze e revoca del curatore, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da GHIA, PICCININNI e SEVERINI, Torino, 2011, III, 113) e, sia pure in modo meno assertivo, la dottrina che osserva che “il vincolo dei <<giustificati motivi>> (…) potrebbe intendersi come riconoscimento che alla revoca-(nomina) dell'organo si contrappone un vero e proprio diritto soggettivo degli interessati” (TISCINI, Poteri e competenza del tribunale fallimentare, in Fall., 2010, 760).
Alla luce della decisone in commento tale impostazione, che in effetti poteva ritenersi convincente, deve essere necessariamente ripensata.
Non può negarsi, tuttavia, una certa difficoltà a delineare un sistema coerente in cui convivano la necessità di una revoca fondata su giustificati motivi sindacabili dal giudice superiore con la possibilità che detta revoca non si fondi sull'inosservanza dei doveri d'ufficio, ma su mere ragioni di convenienza ed opportunità. Soprattutto appare problematico che la corte d'appello, ritenute insussistenti tali ragioni, possa imporre il reintegro nella carica del curatore se è vero che permane la prevalenza dell'interesse pubblicistico al miglior funzionamento della procedura.

Osservazioni

Un'analisi più specifica delle possibili cause di revoca può forse aiutare a trovare una soluzione equilibrata (per una distinzione tra revoca per ragioni di legittimità e revoca per ragioni di opportunità e convenienza v. ABETE, La nuova figura del curatore fallimentare – I rapporti con gli altri organi della procedura, in Fall., 2007, 1002 ss.).
In una prima categoria rientrano i casi di revoca per incompatibilità soggettiva (sopravvenuta o sfuggita al tribunale in sede di nomina) e per inadempimento a doveri funzionali.
In tali ipotesi sembra incontestabile che costituisse un monstrum giuridico l'impossibilità di contestare la revoca fondata, ad esempio, sulle circostanze di essere il curatore creditore del fallito (art. 28, comma 2, l. fall.) o di non aver versato somme di pertinenza della massa attiva nel termine di cinque giorni (che per l'art. 34 l. fall. ante riforma costituiva causa automatica di revoca), quando tali circostanze non corrispondessero al vero, ma fossero state erroneamente percepite o valutate da parte del tribunale.
La nuova disciplina consente quindi di porre rimedio all'errore del tribunale ed appare corretto che il curatore ingiustamente revocato sia reintegrato nella carica.
Diversa categoria è quella, che ancora oggi la Suprema Corte abbiamo visto ritiene configurabile, della revoca “anche quando il curatore non risulti inadempiente ai suoi specifici doveri” ma “per ragioni di mera convenienza od opportunità, sempre in vista del superiore interesse della procedura”.
Sono questi sostanzialmente i casi in cui il tribunale ha perso la fiducia nel curatore e pertanto non ritiene che si possa più realizzare la finalità superindividuale “del corretto svolgimento e del buon esito della procedura”.
Appare in questa ipotesi molto più problematico che la corte d'appello possa sindacare le ragioni della perdita di fiducia ed imporre al tribunale di proseguire la collaborazione con un curatore sgradito, se resta vero che non è in gioco il diritto soggettivo di questi al mantenimento dell'incarico, ma l'interesse superiore di tipo pubblicistico alla miglior gestione della procedura, che evidentemente non può avvenire con un tribunale ed un curatore tra loro ostili.
In un sistema così configurato, lo spazio di intervento appare coerentemente limitato, sempre seguendo la sentenza annotata, solo alla “caducazione dei provvedimenti di revoca che siano privi di motivazione o si fondino su una motivazione illogica e/o inadeguata”.
Secondo questa linea di ragionamento può ritenersi che le decisioni di revoca per casi rientranti nella prima categoria sopra ipotizzata siano in realtà caratterizzate dalla decisorietà e siano, quindi, idonee a ledere il vero e proprio diritto soggettivo del curatore a non essere rimosso per una causa di incompatibilità o per un'inadempienza inesistenti. Non si vedrebbe, pertanto, una ragione valida per escludere anche la proponibilità del ricorso straordinario per cassazione.
Per le decisioni della seconda categoria, al contrario, si conferma la tradizionale configurazione del carattere ordinatorio inidoneo ad intaccare diritti soggettivi, per cui opportunamente è stata prevista solo la necessità che la perdita di fiducia nel curatore sia adeguatamente motivata nel decreto di revoca, sottoponibile al vaglio della corte d'appello per i casi di mancanza o di illogicità e inadeguatezza di tale motivazione. Troverebbe conferma qui l'altrettanto tradizionale esclusione del ricorso straordinario per cassazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

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