Concordato preventivo, fattibilità economica e attestazione condizionata

09 Giugno 2015

Mentre il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica non incontra limiti particolari, quello sulla fattibilità economica è limitato alla verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, vale a dire a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso secondo le modalità indicate nella proposta, e comunque nella soddisfazione apprezzabile dei creditori chirografari in tempo ragionevole.
Massima

Mentre il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica non incontra limiti particolari, quello sulla fattibilità economica è limitato alla verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati, vale a dire a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso secondo le modalità indicate nella proposta, e comunque nella soddisfazione apprezzabile dei creditori chirografari in tempo ragionevole.

Il caso

Al Tribunale di Siena viene presentata domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo da una società il cui oggetto sociale è costituito dall'attività edilizia. Il tipo concordatario è riconducibile ad un classico modello liquidatorio. La relazione dell'attestatore contiene un giudizio positivo in ordine alla fattibilità giuridica condizionato dalla condivisione ad opera del tribunale della proposta del debitore, in particolare per quanto riguarda la falcidia dei creditori privilegiati e, soprattutto, dall'erogazione di nuova finanza, per il completamento dei lavori in corso (precisandosi che tale apporto non è certo ma, appunto, subordinato alle necessarie delibere delle banche creditrici); nonché, ulteriormente, che i complessi immobiliari la cui ultimazione è prevista nel piano siano effettivamente costruiti entro i termini fissati previsti; e, infine, che i lavori siano affidati a imprese adeguatamente organizzate, ferma restando la “naturale aleatorietà” del piano, relativo alla dismissione di immobili condizionata dalla disponibilità di credito bancario per i potenziali clienti.
Avendo il tribunale richiesto chiarimenti, gli stessi vengono forniti dalla società debitrice, con nota che si conclude con l'affermazione secondo cui le banche “si presume che… non avranno motivo di rifiutare al Liquidatore l'erogazione di nuova finanza per la realizzazione dei lavori…”.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione sottoposta alla decisione del tribunale toscano riguarda l'ammissibilità di una domanda concordataria che si contraddistingue per un piano in cui l'esito finale, liquidatorio, è preceduto da una fase in prosecuzione dell'attività d'impresa, ideata come necessaria per il completamento di complessi immobiliari in corso di costruzione, ultimazione inserita nel programma come funzionale alla successiva liquidazione e, quindi, alla realizzazione delle risorse necessarie per la soddisfazione delle ragioni dei creditori; il punto centrale, ovvero più delicato dell'intera programmazione dal punto di vista economico e, per l'effetto, della costruzione giuridica, è rappresentato dal fatto che lo stesso attestatore, pur concludendo la relazione con un giudizio positivo, subordina lo stesso giudizio, nella sostanza, ad una serie di condizioni, tra cui, in particolare, la disponibilità delle banche creditrici ad erogare nuova finanza, e, oltre ad altro, nella risposta positiva del mercato, e cioè nella possibilità di trovare acquirenti degli immobili, in una situazione di difficoltà finanziaria generale e di restrizione creditizia per l'acquisto di immobili, in particolare.
Il tribunale affronta la questione distinguendo, in via preliminare, tra fattibilità giuridica e fattibilità economica; richiamato al proposito l'insegnamento della nota sentenza delle Sezioni Unite n. 1521/2013 (di cui un ampio stralcio motivazionale è riportato testualmente), i giudici senesi distinguono, correttamente, tra fattibilità giuridica, con ciò intendendo la non contrarietà degli atti e del piano in generale rispetto a norme imperative, e fattibilità economica, definita, nella motivazione stessa, come “realizzabilità nei fatti del piano medesimo” con la precisazione che tale valutazione sarebbe “intrisa di valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore e di rischio del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori”. Tali essendo le premesse, il tribunale conclude favorevolmente per l'ammissione alla procedura di concordato osservando che, nel caso di specie, non si ravvisano perplessità di sorta quanto alla fattibilità giuridica; e che, quanto alla fattibilità economica, il relativo giudizio è nelle mani dei creditori, di talché il tribunale non può arrogarsi valutazioni che non gli spetterebbero.

Osservazioni

Se l'affermazione del tribunale circa la non sindacabilità da parte dell'autorità giudiziaria della fattibilità economica del piano concordatario non può che meritare piena condivisione, saldamente collocandosi nella scia della pronunzia della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 1521 del 2013 che, esattamente, ha delineato il confine del sindacato di fattibilità del piano distinguendo fra fattibilità giuridica e fattibilità economica, pare a chi scrive che il tribunale abbia omesso di considerare che la valutazione circa la fattibilità economica è in tanto riservata ai creditori in quanto il complesso dei dati e delle informazioni che debbono loro essere fornite sia assistito da veridicità, completezza e certezza; e, di più, che la legge espressamente prescrive che il piano debba essere accompagnato da una relazione di un professionista avente particolari qualificazioni e caratteristiche d'indipendenza e che tale relazione “attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo” (art. 161, comma 3, l. fall.).
È proprio perché la legge espressamente prescrive che la fattibilità del piano sia attestata dal professionista che la valutazione – economica – di tale fattibilità è poi, in ultima analisi, riservata ai creditori. In altri termini, la legge prescrive che il professionista dichiari che il piano potrà essere realizzato e, secondo l'insegnamento oramai consolidato, la realizzabilità del piano può essere predicata allorquando il livello di probabilità dell'attuarsi dei fatti previsti nel piano sia particolarmente elevato; ovvero, se non si vuole arrivare alla tesi più rigorosa, a tenore della quale il realizzarsi del piano dovrebbe essere “il naturale sviluppo” dei fatti prefigurati (Trib. Firenze 7 gennaio 2013, e Trib. Firenze 9 febbraio 2012, in ilcaso.it), di talché il mancato risanamento dovrebbe essere la conseguenza unicamente di fatti eccezionali o imprevedibili (ovvero, s'intende, della mancata attuazione del piano), pure il realizzarsi del piano deve, sia pure con giudizio prognostico, essere giudicato come probabile.
In altri termini, se il piano non si realizza, ciò deve dipendere da eventi ragionevolmente imprevedibili; la realizzazione del piano non può essere un'ipotesi o una speranza; e quindi anche la previsione di condizioni per la realizzazione del piano va considerata ammissibile soltanto nell'ipotesi in cui il piano prefiguri una soluzione alternativa (ad esempio, se le banche non forniranno nuova finanza, i soci sono pronti ad un aumento di capitale: e l'alternativa è ragionevolmente certa, in presenza di garanzie).
Ora, non può essere che un piano possa considerarsi attestato se il professionista dichiari che il giudizio è positivo se le banche forniranno nuova finanza (e non è affatto certo che lo faranno); ovvero se si troveranno acquirenti (ma, allora, si doveva forse prevedere un prezzo di realizzo minore, in modo che la liquidazione potesse considerarsi certa, a prezzo pur inferiore).

Le questioni aperte

Fondamentalmente due sono i temi (il primo di grande attualità) che la decisione pone all'interprete: in primo luogo quello della distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica; il secondo, afferente al giudizio prognostico circa la realizzabilità del piano.

Conclusioni

Del secondo tema abbiamo già detto: quale deve essere il contenuto del giudizio di fattibilità del piano? Sono ammesse conclusioni dubitative? Sul punto la risposta non pare dover essere se non negativa; nessuno ha mai affermato che può dirsi assolto, da parte dell'esperto, l'onere di attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano se il professionista conclude affermando di non poter formulare alcun giudizio ovvero di non poter pervenire ad una conclusione positiva.
Ma la crux interpretum si pone per le attestazioni condizionate. Se le stesse possono ritenersi ammissibili per i piani attestati di risanamento (giacché, all'avverarsi della condizione, l'effetto esentativo ed immunitario può considerarsi conseguito), nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti il tema presenta maggiori difficoltà interpretative: se la condizione è, per definizione, un accadimento futuro, oggettivamente incerto, l'attestazione potrà considerarsi validamente rilasciata se il professionista non effettui un'attendibile valutazione circa il grado d'incertezza? Posto che, astrattamente, l'avverarsi di un fatto può dirsi più o meno probabile, sulla base di una serie di valutazioni (di esperienza, di prospettiva, etc.), è legittimo subordinare il giudizio positivo di fattibilità sulla semplice considerazione che un certo evento potrebbe verificarsi, così come potrebbe non verificarsi? Ad esempio, sarà ammissibile assoggettare il giudizio positivo di affidabilità alla condizione che si rinvenga un acquirente di beni che hanno scarsa appetibilità ovvero difficilmente collocabili sul mercato?
Più complessa appare l'altra questione, quella cioè del discrimine tra fattibilità economica e fattibilità giuridica. Se nessuno contesta che comporti una valutazione di fattibilità giuridica quello del piano che prevede violazioni di norme imperative (come nel caso in cui il piano si basasse su un patto commissorio; ovvero prevedesse finanziamenti a tassi usurari, etc.), il dibattito è invece aperto in ordine alla qualificazione di fattibilità giuridica o meno nel caso in cui il tribunale reputi inidoneo il piano ad assicurare la soddisfazione pur minimale e in tempi ragionevoli dei creditori chirografari. Secondo un orientamento che ha trovato espressione in una serie di pronunzie della giurisprudenza di merito, nel caso in cui l'autorità giudiziaria esprima una valutazione prognostica negativa in ordine alla soddisfazione dei creditori, tale conclusione, recando seco la conseguenza della previsione dell'impossibilità di realizzazione della causa concreta del concordato, si risolverebbe in una valutazione non circa la fattibilità economica, bensì in ordine alla stessa fattibilità giuridica, difettando ovvero essendo invalida la causa stessa del concordato, e, quindi, invalido il relativo negozio e, infine, la stessa procedura. Tale conclusione, ad avviso di chi scrive, finisce per confondere la stessa nozione di fattibilità e la distinzione tra quella giuridica e quella economica. Per fattibilità s'intende la possibilità che un certo accadimento si verifichi; la possibilità può considerarsi dal punto di vista giuridico, nel senso che un certo risultato non può verificarsi, se gli atti divisati per la sua attuazione sono vietati dalla legge; la possibilità va intesa in senso economico con riferimento agli aspetti materiali, economici, finanziari degli interventi inclusi nel piano; la stima circa l'impossibilità che gli interventi portino alla realizzazione del piano non attiene alla fattibilità economica, posto che ciò di cui la fattibilità va attestata non è il concordato, bensì il piano; e infatti l'art. 161, terzo comma, l.fall. (e l'art. 67, comma 3, lettera d), nonché l'art. 182-bis) parlano di fattibilità “del piano” (attuabilità, per gli accordi); se questa valutazione, ha affermato la corte regolatrice (nella sentenza a sezioni unite e, poi, in altre successive pronunzie, tutte nella stessa direttrice) è riservata ai creditori, non può essere che i tribunali se la arroghino, invocando una pretesa attribuzione di controllo sulla causa del concordato che è questione diversa da quella della fattibilità del piano (e, né più, né meno, nessuno può affermare che il contratto di vendita di un bene ad un indigente è privo di causa, o che la causa è comunque viziata perché si dubita fortemente ch'egli potrà adempiere).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sul tema del contenuto dell'attestazione di fattibilità vanno segnalate le seguenti pronunzie: Trib. Firenze 7 gennaio 2013, e Trib. Firenze 9 febbraio 2012, (per la tesi per cui la realizzabilità del piano deve essere il “naturale sviluppo dei fatti”); Trib. Palermo 31 maggio 2011, e Trib. Pordenone 13 gennaio 2010, per la tesi per cui è necessaria un'alta o elevata probabilità; in dottrina: A. Zorzi, I finanziamenti alle imprese in crisi e le soluzioni stragiudiziali (piani attestati e accordi di ristrutturazione), in Giur. comm. 2009, I, 1249; G. Verna, I nuovi accordi di ristrutturazione (art. 182 bis, legge fallim.), in Dir. fall. 2007, I, 947 afferma che la valutazione dell'attestatore dev'essere di elevata probabilità, entrambi gli AA propendono per la tesi per cui occorre che la valutazione sia nel senso di alte o elevate probabilità.
Quanto alla dicotomia fattibilità giuridica/fattibilità economica, si rimanda, innanzi tutto, alla fondamentale sentenza Cass. Sez. Un. 23 gennaio 2013, n. 1521; nonché le pronunzie successive, che hanno ribadito il principio per cui il vaglio di fattibilità economica compete ai creditori: Cass. 9 maggio 2013, n. 11014 ha confermato la decisione della Corte d'appello che aveva riformato la sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di concordato preventivo sulla base della considerazione che le previsioni di realizzo della vendita degli immobili, contenute nel piano non potevano ritenersi certe; Cass. 6 novembre 2013, n. 24970 ha ritenuto infondato il motivo di ricorso basato sulla tesi per cui erroneamente la Corte d'appello non aveva vagliato i rilievi circa la fattibilità economica del piano di concordato; Cass. 22 maggio 2014, n. 11423 ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che il giudice fosse legittimato a sindacare la possibilità, in concreto, che il piano potesse trovare attuazione esprimendo dubbi circa la capacità della società affittuaria dell'azienda (secondo il piano) di “produrre risultati imprenditoriali sufficienti ad assicurare il pagamento del canone d'affitto occorrente al soddisfacimento delle esigenze del concordato”; Cass. 4 luglio 2014, n. 15345 ha affermato che , dopo l'approvazione della proposta da parte dei creditori, non è consentito al tribunale il sindacato di fattibilità economica del concordato, quand'anche appaia prevedibile un inadempimento del debitore tale da legittimare i creditori a chiedere la risoluzione del concordato.
Per l'orientamento della giurisprudenza di merito che ammette il sindacato giudiziario circa la fattibilità economica sulla scorta della valutazione della causa concreta del concordato, cfr. App. Ancona 26 marzo 2014; Trib. Siracusa 15 novembre 2013; Trib. Bergamo 9 ottobre 2014.
In dottrina, cfr. Pagni, Del controllo del tribunale sulla proposta di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 (e sui rapporti tra concordato e fallimento), in Corriere giur. 2013, 641; D. Finardi, Limiti al sindacato del tribunale sulla probabilità di successo del concordato in sede di omologa, in ilcaso.it; ci permettiamo infine di menzionare C. Trentini, Fattibilità economica del piano e controllo del tribunale dopo l'approvazione: la Cassazione ribadisce che il controllo spetta ai creditori, in Fall. 2015, 167 (nota a Cass. 4 luglio 2014, n. 15345, cit.).

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