La questione della competenza nel concordato preventivo e la (ir)rilevanza del trasferimento infrannuale della sede principale

Luigi Amerigo Bottai
13 Aprile 2012

I novellati artt. 9, commi 1 e 2, e 161, comma 1, l. fall. prevedono che la competenza a pronunciarsi sull'istanza (di fallimento o) di ammissione alla procedura del concordato preventivo spetta al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria “sede principale” e che il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini dell'individuazione della competenza; la riforma conferma, così, il principio per cui è territorialmente competente a pronunciarsi sulla domanda di apertura della procedura il tribunale nel cui circondario si trova la sede “reale” dell'impresa, intesa come il centro direttivo ed amministrativo dei suoi affari. (massima)
Massima

I novellati artt. 9, commi 1 e 2, e 161, comma 1, l. fall. prevedono che la competenza a pronunciarsi sull'istanza (di fallimento o) di ammissione alla procedura del concordato preventivo spetta al tribunale del luogo in cui l'impresa ha la propria “sede principale” e che il trasferimento della sede intervenuto nell'anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini dell'individuazione della competenza; la riforma conferma, così, il principio per cui è territorialmente competente a pronunciarsi sulla domanda di apertura della procedura il tribunale nel cui circondario si trova la sede “reale” dell'impresa, intesa come il centro direttivo ed amministrativo dei suoi affari.

La sede reale si presume coincidere con la sede “legale”, quale luogo istituzionalmente deputato allo svolgimento delle attività di direzione, organizzazione, amministrazione e promozione degli affari dell'impresa, a meno che sia fornita o acquisita la prova che tale sede ha carattere meramente formale e fittizio per lo svolgimento altrove delle predette attività direttive ed amministrative o della parte più significativa delle stesse.

L'esercizio dell'attività d'impresa, esecutiva dei lavori acquisiti (sede operativa), sia pure alla presenza dell'amministratore delegato, svoltosi in un luogo diverso da quello in cui vengono elaborati i dati contabili, assunte le determinazioni sociali e diramate le più importanti istruzioni gestionali, non influisce sulla potestas judicandi (e quindi sulla competenza) del giudice naturale precostituito ai sensi degli artt. 9, commi 1 e 2, e 161, comma 1, l.fall.

Il caso

Una società in liquidazione, che aveva da poco trasferito la propria sede legale (da Venezia) a Napoli, chiedeva l'ammissione alla procedura di concordato preventivo al tribunale dell'ultimo capoluogo, ove risultava compiuta la fase realizzativa degli appalti ottenuti, e dove erano stati conclusi i contratti di forniture. I giudici partenopei, ritenendo che l'istante non avesse fornito la prova del carattere solo fittizio della sede legale precedente (Venezia) - per essersi svolte a Napoli (e provincia) le “attività direttive ed amministrative o, quanto meno, la parte più significativa delle stesse” -, stante l'irrilevanza ex art. 161 l. fall. del trasferimento formale nelle more intervenuto, dichiaravano inammissibile la domanda per difetto di una delle condizioni previste dalla legge (art. 161, comma 1).

Le questioni giuridiche e la soluzione

La statuizione che desta maggiore interesse, ai fini del presente commento, appare quella in cui il Collegio specifica e chiarisce i c.d. “criteri di collegamento” determinativi della competenza. Il decreto illustra, infatti, gli aspetti sintomatici dell'attività di impresa che debbono ricorrere nel caso concreto per poter radicare la potestà giudicante di un tribunale piuttosto che di un altro: “in difetto di una prova specifica che a Napoli, mediante le riunioni degli organi sociali (ivi compresi l'assemblea dei soci ed il collegio sindacale), la società ivi svolgesse le attività di direzione ed amministrazione dei suoi affari (di tutti i suoi affari: e non soltanto di quelli inerenti la gestione degli appalti ottenuti in provincia di Napoli), a nulla, invero, può a tal fine rilevare il mero fatto che la stessa abbia, per quattro anni, svolto (principalmente) a Napoli (…) la sua attività di impresa (…), ed abbia lì stipulato i necessari rapporti contrattuali (di appalto, di lavoro subordinato, di fornitura, ecc.) e realizzato i conseguenti ricavi e sostenuto i relativi costi, e che abbia, per l'effetto, collocato a Napoli, con i relativi preposti, una sede operativa (cessata il 30/11/2010), sia pure, al limite, la più importante, come tale richiedendo la presenza costante dell'amministratore delegato ed il maggior numero di dipendenti, oggi, peraltro, cessati”.
Aggiunge il giudicante, in relazione al trasferimento della sede legale deliberato pochi mesi prima del deposito della domanda di concordato, che in siffatta ipotesi l'individuazione del tribunale territorialmente competente soggiace al principio secondo cui “la presunzione di coincidenza della sede effettiva con quella legale opera con riguardo alla sede legale precedente (cioè di provenienza), e non a quella successiva (cioè di destinazione), tutte le volte in cui:
1. il mutamento della sede legale sia stato deciso nell'anno anteriore al ricorso (artt. 9, comma 2, e 161);
2. il mutamento della sede legale sia stato deciso dopo il deposito del ricorso (Cass. ord. n. 5033/2005; Cass. ord. n. 6693/2002) ovvero prima del ricorso ma con decisione iscritta nel registro delle imprese in epoca successiva (Cass. ord. n. 11732/2006) (arg. ex art. 5 c.p.c.);
3. il mutamento della sede legale sia stato deciso prima dell'anno anteriore all'iniziativa e però quando era già insorto il suo stato di insolvenza (Cass. ord. n. 10051/2006; Trib. Milano 12/6/2006, ibidem, 1455) o, quanto meno, era imminente la sua crisi economica (Cass. n. 14462/2005; Cass. n. 4782/2005; Cass. ord. n. 6693/2002 cit.) ovvero in concomitanza alla cessazione dell'attività (Cass. ord. n. 4206/2003);
4. il mutamento della sede legale deciso prima dell'anno anteriore all'iniziativa sia, però, fittizio, in quanto non accompagnato dal trasferimento presso la nuova sede dell'attività di impresa ovvero del centro propulsore della sua attività direttiva, amministrativa ed organizzativa (Cass. n. 12285/2005; Cass. n. 14462/2005 cit.; Cass. n. 4782/2005 cit.; Cass. ord. n. 5033/2005 cit.; Cass. ord. n. 6693/2002 cit.).
In siffatte (ed in altre simili) ipotesi, infatti, il mutamento della sede si presume, di diritto (ipotesi sub 1 e 2) o di fatto (ipotesi sub 3 e 4), non già connesso alle naturali esigenze gestionali dell'impresa quanto piuttosto preordinato ad incidere sulla competenza del tribunale che deve dichiarare il fallimento”.

Osservazioni

Data la relativa frequenza (o, quantomeno, non rarità) con cui si verificano trasferimenti di sede delle società in vista della presentazione di una proposta concordataria o del possibile fallimento, sembra utile soffermarsi sulle ragioni della disciplina della competenza - in particolare della presunzione normativa - introdotta con il D.L. n. 35/2005 per il concordato preventivo (art. 161, comma 1) ed estesa poi al fallimento con il D. Lgs. n. 5/2006 (art. 9, comma 2), evidenziando alcuni profili critici della questione e valutando, infine, la parzialmente diversa regolamentazione adottata con l'art. 3 del Regolamento UE n. 1346/2000 sull'insolvenza transfrontaliera.
Premesso il rilievo (pacifico) che trattasi di competenza avente carattere funzionale ed esclusivo (vuoi per il principio di concorsualità dei procedimenti di attuazione della responsabilità patrimoniale, vuoi per l'inequivoco disposto dell'art. 28 c.p.c., il quale annovera i procedimenti camerali, come il concordato preventivo , tra quelli insuscettibili di deroga territoriale per accordo delle parti), ciò che merita particolare attenzione è : 1) l'equiparazione del concetto di sede principale con quella effettiva, peraltro in assenza di esplicite definizioni al riguardo, con prevalenza sulla nozione di sede legale o statutaria, ove non coincidente, anche se la società sia in liquidazione, come nella specie (conf. Trib. Milano, 16.7.2009, Fall., 2010, 355); e 2) la sussistenza di una sorta di presunzione assoluta di irrilevanza dei trasferimenti di sede avvenuti o deliberati nell'anno anteriore all'iniziativa concordataria o fallimentare, proprio allo scopo di neutralizzare quei fenomeni di c.d. forum shopping universalmente noti (cfr. Cass. 8.2.2011, n. 3081). Le interpretazioni pressoché univoche dei ridetti (simmetrici) artt. 9 cpv. e 161, comma 1, l. fall., mentre conducono ad identificare la sede principale dell'impresa con il luogo in cui si svolge prevalentemente l'attività direttiva ed amministrativa - dove, cioè, si forma la volontà dell'organo gestorio dell'ente -, al contempo disconoscono efficacia persino ai mutamenti effettivi di sede nel detto arco temporale. Tali aspetti, ben illustrati nel decreto in commento, con motivazione diffusa e ricca di richiami giurisprudenziali, denotano tuttavia - ad avviso di parte della dottrina - l'esistenza di un problema di rigidità (e dunque di inefficienza) normativa, distonica con il flessibile quadro regolatorio del concordato preventivo e, soprattutto, con le dimensioni e “la struttura articolata e immateriale delle moderne imprese (che) rende sempre più difficile capire qual è la sede principale” (Bassi, Lezioni di diritto fallimentare, Bologna, 2009, 67; analogamente Celentano, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro-Sandulli-Santoro, vol. I, Torino, 2010, sub art. 9, 90): in breve, ci si domanda se l'adozione di un criterio anelastico di competenza, indifferente ai veri trasferimenti di sede, agevoli ovvero ostacoli il ricorso allo strumento principale di composizione giudiziale della crisi d'impresa.
Da un lato, invero, la fittizietà (seppur presunta) dei trasferimenti è sanzionata con l'irrilevanza processuale, senza necessità di indagini istruttorie (cfr., da ultimo, Cass. 8.2.2011, n. 3081, cit; C. App. Venezia, 21.12.2011, n. 2666, in Dejure); regola che ha una logica nel fallimento, perché il curatore deve subentrare nell'amministrazione del patrimonio e dunque poter operare dove sono conservate le scritture contabili e la corrispondenza (principio di universalità, applicabile all'accertamento del passivo, alla ricostruzione dell'attivo mediante le azioni di massa e al riparto), ma non altrettanto - si direbbe - nel concordato, ove non si riscontrano le medesime necessità.
D'altro canto, persino la coincidenza fra sede reale e sede statutaria, se verificatasi nell'anno antecedente il ricorso per concordato preventivo , viene considerata intempestiva e inidonea a radicare la competenza, con una scelta legislativa di dubbia razionalità e foriera di non lievi difficoltà pratiche: si pensi ai rapporti che i professionisti dell'impresa debbono instaurare con il commissario giudiziale e il giudice delegato di un'altra città. E quando il mutamento di sede infrannuale fosse effettivo, la perdita di tempo che la decisione declinatoria della competenza comporta farebbe slittare per un periodo consistente la riproposizione del concordato dinanzi al giudice competente, con grave nocumento per il già esiguo patrimonio aziendale e, quindi, con ulteriore pregiudizio dei creditori chirografari.
L'insoddisfacente soluzione normativa ha indotto taluno ad ipotizzare l'applicabilità del criterio generale di cui all'art. 9, comma 1, - competenza fissata nel luogo della sede principale - nel caso risulti che presso la nuova sede (trasferita) si trovi anche quella effettiva (così Trib. Tivoli, 21.3.2007, ined., citata da De Santis, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna, 2010, 53). Ma il chiaro dettato dell'art. 161, comma 1, non pare avallare siffatta ricostruzione. Basterebbe, invece, prevedere che il tribunale adito si pronunci comunque sulla domanda di concordato - in base al predetto art. 9, comma 1, (specie se già pendesse un'istanza di fallimento) - e, qualora il trasferimento sia nell'anno, trasmetta gli atti a quello individuato come competente per la prosecuzione della procedura (e la nomina del nuovo commissario giudiziale), la quale intanto avrebbe iniziato a produrre gli effetti di cui agli artt. 167, 168 e 169 l. fall., in virtù del principio che stabilisce la salvezza degli atti compiuti (v. art. 9 bis, commi 1-3).
Parimenti priva di rilievo giuridico è, allo stato, l'esigenza (economica e pragmatica) di unificare le procedure concorsuali riguardanti società appartenenti a gruppi insolventi e dislocate in differenti circondari: è infatti consolidato l'orientamento (ribadito da Cass. 31.8.2011, n. 17907, Cass. 21.4.2011, n. 9260 e Cass. 18.4.2010, n. 23344) secondo cui ai fini della dichiarazione di fallimento - ma lo stesso vale per il concordato (v., ad es., il caso de I Viaggi del Ventaglio, ndr) - di una società che sia inserita in un gruppo, cioè in una pluralità di società collegate ovvero controllate da una holding, “l'accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, poiché, nonostante tale collegamento o controllo, ciascuna di dette società conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti". Eppure, talvolta, la parzialità dell'attività esercitata da alcune imprese all'interno del gruppo, laddove svolgano solo una fase o una parte della lavorazione del prodotto o del servizio (completato da altre “consorelle”), in una con le operazioni infragruppo attestanti il sostegno finanziario fornito dalla “società madre” o coordinatrice, prospettano una semplificazione del quadro fattuale che potrebbe far propendere per l'unificazione delle procedure, secondo quella logica di impresa unitaria - corretta in chiave economica ed aziendalistica - che rende efficienti e sempre più diffusi questi conglomerati. Ma, anche qui, il diritto, finora compresso negli angusti limiti delle situazioni singolari, seguirà i dettami del mercato, come già accaduto con il D. Lgs. n. 270/99, art. 81, e con la L. n. 39/04, art. 3, i quali prevedono la gestione unitaria della crisi del gruppo mediante il rimedio dell'estensione della procedura alle imprese controllanti o controllate. Una potenziale apertura in tal senso potrebbe venire, forse, dall'arresto di Cass. 12.12.2011, n. 26518 (caso Burani), per il quale “nell'ipotesi in cui l'attività di un'impresa sia in concreto esercitata in misura più o meno rilevante da un'altra, la sede effettiva della prima potrebbe essere identificata con quella della seconda solo se la prima sia in effetti totalmente inattiva, nel senso che ogni decisione viene presa dagli organi amministrativi della seconda nella totale inerzia di quelli della prima, ma non certo quando la controllante che ha delegato l'esecuzione dell'attività mantenga una sua autonomia decisionale, decida in ordine ai limiti e alle modalità con cui la delegata opera nel suo interesse, vigili sull'operato degli amministratori di quest'ultima (o sui propri presso la stessa eventualmente "distaccati") e ne influenzi le decisioni”.

Orientamento comunitario

I fatti costitutivi della fattispecie sottoposta al vaglio dei magistrati campani (trasferimento della sede principale pochi mesi prima della proposta di concordato) consentono di confrontare, in estrema sintesi, la disciplina interna con quella (omologa) posta dal Regolamento UE n. 1346/2000 (art. 3); raffronto possibile in quanto : i) in un mercato unico e di libera circolazione di merci, servizi e persone fisiche e giuridiche, i dissesti transnazionali si moltiplicano in maniera progressiva (soprattutto a livello di gruppi industriali) e richiederebbero trattamenti possibilmente uniformi; e ii) la stessa rubrica, oltre che il testo, dell'art. 3 Reg. n. 1346 recita “Competenza internazionale” per rimarcare l'identità della tematica - nella pur diversa sfera d'azione - con il diritto interno (di valenza esegetica ormai quasi residuale, ancorché il 15° considerando lo mantenga in vita).
La norma di riferimento è, come detto, l'art. 3, comma 1, del Regolamento, che pone il primo dei criteri di collegamento, vale a dire il center of main interests (COMI) e lo presume coincidente, fino a prova contraria, con la sede statutaria delle società; la sua definizione, integrata dal 13° considerando, è dunque chiarissima, a differenza che negli artt. 9 e 161 l. fall. (dove rimane implicita): “per «centro degli interessi principali» si intende il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile dai terzi, la gestione dei suoi interessi”. Non si fa alcun cenno agli spostamenti di sede e, in ogni caso, la sede reale prevale su quella legale.
Ci si deve chiedere allora: in caso di trasferimento effettivo del COMI del debitore dall'Italia in un altro Stato membro, la competenza in materia concorsuale del giudice italiano cessa immediatamente oppure perdura ancora per un anno, come vuole l'art. 161 (e il 2° comma dell'art. 9)?
Ovviamente, qualora il mutamento in oggetto avvenisse dopo la presentazione dell'istanza di fallimento o di concordato, per il principio generalissimo della perpetuatio iurisdictionis (artt. 5 c.p.c. e 9, comma 5, l. fall.), enunciato anche dalla Corte di Giustizia, la circostanza sopravvenuta sarebbe irrilevante al fine di sottrarre la competenza internazionale al giudice inizialmente competente. Se invece il trasferimento del COMI fosse anteriore al ricorso, nel silenzio del Regolamento - il quale anzi, a termini del successivo art. 4, lascia al diritto nazionale di ogni Stato membro la disciplina della procedura di insolvenza, compresa la fase prefallimentare -, si potrebbe supporre come pacifica la validità della presunzione assoluta di fittizietà del cambiamento di sede (ex artt. 9 cpv. e 161 l. fall.). Ma ove l'altro Stato membro (contro)interessato avesse una disposizione contraria alle nostre citate, il problema resterebbe intatto. Per la soluzione soccorre la Corte di Giustizia CE (1^ Sez.), che nella recente sentenza 20.10.2011, n. 396 (sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta ai sensi dell'art. 234 CE da Trib. Bari, 6.7.2009) ha statuito il seguente principio fondamentale: “La nozione di centro degli interessi principali accolta dal regolamento n. 1346/2000 è autonoma e va determinata in base al diritto dell'Unione. Occorre tenere conto del luogo di amministrazione principale della società: se esso si trova presso la sede statutaria, la presunzione a favore di quest'ultima non è superabile. Il punto di vista dei terzi è essenziale per valutare i luoghi in cui la società debitrice esercita un'attività e quelli in cui detiene beni al fine di concludere che il centro effettivo di direzione e controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, si trova in uno Stato diverso da quello della sede statutaria. La data con riferimento alla quale svolgere siffatti accertamenti è quella della proposizione della domanda di apertura della procedura. Se il trasferimento della sede statutaria ha luogo prima di essa, si presume che il centro degli interessi principali è situato presso lo Stato della nuova sede, a meno che la presunzione di cui all'art. 3 non sia superata. Qualora la società abbia cessato l'attività prima di tale data, è necessario prendere in considerazione il suo ultimo centro degli interessi principali al momento della cessazione dell'attività”.
E ciò sulla scia di quanto già affermato dalla Grande Sezione il 2.5.2006 (sent. n. 341, caso Eurofood), secondo cui la presunzione contenuta nell'art. 3, n. 1, seconda frase, del Regolamento - il centro degli interessi principali di una società è collocato nello Stato membro in cui si trova la sua sede statutaria - può essere superata soltanto se elementi obiettivi e verificabili da parte di terzi consentono di determinare l'esistenza di una situazione reale diversa da quella che si ritiene corrispondere alla collocazione della sede statutaria.
Naturalmente la stessa Corte, in altra precedente occasione (caso Staubitz-Schreiber, sentenza del 17 gennaio 2006), dopo aver ricordato come le disposizioni della disciplina comunitaria nulla prevedano a proposito degli spostamenti di sede, ha puntualizzato che l'intento del legislatore comunitario nell'adottare il regolamento (4° considerando) è stato quello di dissuadere le parti dal trasferire i beni o i procedimenti giudiziari da uno Stato membro ad un altro al fine di ottenere una migliore situazione giuridica (punto n. 25), evidenziando altresì che il trasferimento di competenza contrasta pure con l'obiettivo - enunciato al 2° e all'8° considerando - di realizzare un funzionamento efficace e più celere delle procedure, in quanto obbliga i creditori a ricercare il debitore in Stati diversi e, in pratica, allunga i tempi della procedura (punto n. 26). Ha ricordato infine anche l'obiettivo di assicurare "una maggiore certezza del diritto dei creditori, che hanno valutato i rischi da assumere in caso di insolvenza del debitore rispetto al luogo in cui si trovava il centro degli interessi principali di questi al momento in cui essi stringevano rapporti giuridici con lui" (punto 27). Senza trascurare che l'Avvocato generale, nel medesimo caso Staubitz, ebbe a replicare come la ricerca da parte di un debitore della competenza giurisdizionale in tema di insolvenza più favorevole alle sue pretese non sia in linea di principio vietata, data la mancanza di uniformità giuridica dei diversi sistemi di diritto internazionale privato, diventandolo però quando arrechi "una ingiustificata disparità tra le parti di una controversia in rapporto alla tutela dei loro rispettivi interessi".

Questioni processuali

Tornando alle questioni interne, prettamente processuali, ove il tribunale adito abbia aperto la procedura di concordato affermando la propria competenza, e il decreto non sia stato impugnato con il regolamento di competenza, dovrebbe ritenersi preclusa nel giudizio di omologazione ogni questione sulla competenza, essendosi ormai formato il giudicato interno sul punto (poiché sulla competenza si deve decidere subito: arg. ex art. 38, comma 1, c.p.c.). Legittimati a proporre il regolamento sembrano essere ciascun creditore, «qualsiasi interessato» legittimato a fare opposizione all'omologa (arg. ex art. 180, comma 2, l. fall.) e il pubblico ministero. Il termine perentorio di trenta giorni (art. 47 c.p.c.) dovrebbe decorrere per il creditore dalla comunicazione del commissario giudiziale ex art. 171, comma 2, l. fall.; per «qualsiasi interessato» dalla pubblicazione del decreto di apertura della procedura mediante «annotazione» nel registro delle imprese ex art. 166 l. fall.; e per il P.M. dalla comunicazione a cura della cancelleria.
Secondo altra tesi, l'eventuale vizio del provvedimento (decisorio) di incompetenza sulla domanda di concordato preventivo dovrebbe essere impugnato con il regolamento di competenza (artt. 42-43 c.p.c.) se non pendano istanze di fallimento o siano rigettate; in caso contrario, con il reclamo avverso la sentenza di fallimento che fosse pronunciata contestualmente (su istanza di creditori o PM), a mente dell'art. 162, commi 2 e 3, l. fall. Nel caso in cui a lamentare il difetto di potestas iudicandi fosse invece un creditore (dissenziente in sede di votazione o pretermesso), questi dovrebbe attendere il primo momento utile, ossia il giudizio di omologazione, ed opporvisi ai sensi dell'art. 180.
La Corte regolatrice ha ora affermato l'applicabilità al concordato dell'art. 9 ter l. fall. (cfr. Cass. 21.12.2010, n. 25810), ritenendo sussistere un conflitto virtuale di competenza qualora un tribunale abbia aperto per primo la procedura di concordato nei confronti di un imprenditore e altro tribunale sia poi chiamato a provvedere su analoga istanza; la regola della prevenzione ex art. 9 ter dispone che “l'organo giudiziario adito successivamente è tenuto a trasmettere gli atti al primo giudice, a meno che non sollevi conflitto positivo di competenza”.
Invece il decreto del Tribunale di Napoli in commento non ha ritenuto applicabile al concordato il disposto dell'art. 9 bis, che prevede la trasmissione degli atti al tribunale competente per territorio (nella specie, Venezia): non sappiamo se, poi, la proposta concordataria sia stata autonomamente riproposta davanti a quest'ultimo ufficio.
Un ultimo profilo d'interesse, e di concreta insorgenza, attiene al conflitto di competenza che può sorgere quando l'istanza di fallimento sia proposta davanti ad un tribunale e la domanda di concordato davanti ad un altro. Anche qui la Suprema Corte (Cass. 25.9.2009, n. 20717), “in omaggio al preminente principio della unitarietà della procedura concorsuale dettato a tutela dell'interesse dei creditori alla concentrazione delle tutele”, ha giudicato “ammissibile il regolamento di ufficio richiesto dal Tribunale presso il quale penda una procedura fallimentare, anche ove presso altro giudice penda procedura di tipo diverso, di nessun ostacolo essendo il fatto che già sia stata pronunziata la dichiarazione di fallimento o un provvedimento di ammissione ad altra procedura concorsuale, dovendo tali provvedimenti, ove emessi da giudice ritenuto incompetente, essere cassati senza rinvio dalla Corte in sede di regolamento ed in ragione della loro adozione da giudice sfornito di competenza (come rammentato da S.U. n. 26619 del 2007)”. Principio ribadito da ultimo da Cass. 13.7.2011, n. 15440, per la quale “il regolamento di competenza d'ufficio, in caso di conflitto virtuale positivo, può essere proposto anche in caso di ammissione al concordato preventivo dinanzi ad un tribunale diverso da quello avanti al quale è stata presentata istanza di fallimento, posto che la detta ammissione non comporta l'improcedibilità di quest'ultima domanda, dovendosi pregiudizialmente risolvere il problema della competenza ai sensi dell'art. 9 l. fall. Tale principio non è stato modificato dalla riforma della legge fallimentare, non potendo ritenersi che, per effetto di quest'ultima, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo determini l'improcedibilità di qualsiasi istanza di fallimento , non essendo ciò espressamente previsto dalla medesima normativa e risultando, comunque, pregiudiziale la questione della competenza; né tali conclusioni mutano, allorché sia nel frattempo dichiarato il fallimento da parte del tribunale preventivamente adito con la procedura di concordato preventivo”.
Alla luce di quanto esposto, il dibattito in materia è ben lungi dal considerarsi sopito.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Oltre alle decisioni menzionate nel commento, una completa e aggiornata raccolta della giurisprudenza sul tema della competenza territoriale nelle procedure concorsuali - troppo vasta per essere riportata in questa nota - si trova nella banca dati Dejure. Ma anche il decreto del Trib. Napoli qui annotato contiene richiami di molte recenti pronunce della Suprema Corte in argomento. In dottrina, rimandiamo principalmente a Celentano, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro-Sandulli-Santoro, vol. I, Torino, 2010, sub art. 9, 90; Censoni (-Bonfatti), Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2009, 47 ss.; De Santis, Giurisdizione e competenza, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da Jorio-Fabiani, Bologna, 2010, 45 ss.; Fabiani, Diritto fallimentare. Un profilo organico, Bologna, 2011, 146 ss.; Ferro, La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico (a cura di Ferro), Padova, 2011, sub art. 161, 1818; Filocamo, Le condizioni di ammissibilità del concordato preventivo, in Fall., 2010, 1456 s.; Ghia-Giorgetta, in Trattato delle procedure concorsuali, dir. da Ghia-Piccininni-Severini, vol. 1, Torino, 2010, 437 ss.; Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2011, 50 s.; Jachia, in Fallimento e altre procedure concorsuali, dir. da Fauceglia e Panzani, vol. 3, Torino, 2009, 1590 s.; Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011; Nigro-Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2009, 82 e 344; Norelli, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo, Riv. Es. Forz. 2008, 332 (nt. 5); Audino, in Commentario breve alla legge fallimentare, a cura di Maffei Alberti, Padova, 2009, sub art. 161, 934 s.; De Cesari, Il trasferimento all'estero della sede legale dell'impresa insolvente, in Fall. 2010, 663; Montella, La competenza internazionale del giudice italiano, in Fall. 2011, 712; Proto, Il regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza e il sistema italiano nell'applicazione giurisprudenziale, in Fall. 2009, 7; Palladino, Dichiarazione di fallimento: la giurisdizione italiana in caso di trasferimento della sede sociale del debitore all'estero, in Ilfallimentarista; Spadavecchia, Trasferimento fittizio di sede legale e giurisdizione competente, in Ilfallimentarista; Corno, Oltre Eurofood: caso Interedil, prevalenza diritto UE e rafforzata presunzione di coincidenza del COMI con sede statutaria, in Ilfallimentarista.

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