Sussistenza di ipotesi penalmente rilevanti: è competente il giudice che ha dichiarato il fallimento

03 Giugno 2015

La dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo del reato e non già condizione oggettiva di punibilità del reato di bancarotta, reato che quindi si perfeziona in tutti i suoi elementi costituivi allorché il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito.
Massima

La dichiarazione di fallimento è elemento costitutivo del reato e non già condizione oggettiva di punibilità del reato di bancarotta, reato che quindi si perfeziona in tutti i suoi elementi costituivi allorché il soggetto, che abbia commesso anche in precedenza attività di sottrazione dei beni aziendali, sia dichiarato fallito.
Il successivo conflitto di competenza, la cui risoluzione individua la competenza in capo ad un tribunale diverso rispetto a quello che per primo ha dichiarato il fallimento, non comporta la cassazione della relativa sentenza con la caducazione dei suoi effetti sostanziali, conseguendone che la competenza a giudicare su fatti penalmente rilevanti permane in capo al tribunale che ha pronunciato per primo sentenza di fallimento, non operando il principio di unitarietà di cui all'articolo 9 - bis della legge fallimentare.

Il caso

La Corte di Cassazione è stata chiamata a dirimere un conflitto di competenza tra il G.U.P. del Tribunale di Velletri ed il Tribunale di Roma, in ordine alla competenza a giudicare in relazione al reato di bancarotta, contestato all'imputato in seguito alla dichiarazione di fallimento della MX S.p.A. pronunciata dal Tribunale di Roma, cui era seguita sentenza dichiarativa di fallimento resa successivamente anche dal Tribunale di Velletri, ritenuto, in sede civile, giudice competente in relazione alla procedura fallimentare.
Il conflitto di competenza veniva sollevato dal Giudice per l'udienza preliminare presso il Tribunale di Velletri, che, richiesto di confermare decreto di sequestro preventivo, emesso nell'ambito del procedimento penale in forza della dichiarazione di incompetenza a decidere resa dal Tribunale di Roma, giudice dichiarato competente a conoscere in materia fallimentare a seguito di pronuncia resa dalla Suprema Corte, rimetteva gli atti rilevando la sussistenza di un conflitto di competenza improprio ai sensi dell'articolo 28, comma 1, .c.p.p., richiedendo altresì che la Corte qualificasse la pronuncia del tribunale capitolino quale sentenza abnorme.
La Corte, ritenendo sussistente il conflitto, ha assunto la decisione in commento, con la quale ha dichiarato essere giudice competente il Tribunale di Roma

Le questioni giuridiche e la soluzione

La "sentenza abnorme". Assume un certo interesse il concetto di “sentenza abnorme” anche al fine di indicare, così come ha fatto la Corte, a quali soggetti processuali spetti il diritto di lagnarsi contro il provvedimento, richiedendo l'intervento del giudice della nomofiliachia.
Innanzitutto va ricordato come la suddetta tipologia di atti, che consente l'immediato ricorso per cassazione, sia frutto di creazione giurisprudenziale, ovvero figlia di quel “diritto vivente” che da qualche tempo, sempre con maggior vigore e forza, sta mostrando i propri effetti capaci di trasformare il sistema giuridico vigente in modo tale dal renderlo sempre più simile a quello adottato dai paesi di common law.
Ovviamente, stante la creazione di origine giurisprudenziale del vizio, si tratta di un cosiddetto vizio atipico del provvedimento.
La giurisprudenza ha dunque identificato il provvedimento abnorme, affetto come tale da nullità, come quello viziato da anomalie così gravi dal renderlo - in forza della singolarità e stranezza del contenuto - avulso dall'intero ordinamento processuali ovvero quello che, pur essendo manifestazione di un legittimo potere, veda esplicarsi quest'ultimo al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di la di ogni ragionevole limite.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Corte Cass. - Sez. Un., 12 febbraio 1998, n. 17, sent.) così hanno definito detto provvedimento:
“É affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall'intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite.
L'abnormità dell'atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l'atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo.”
Il potere di dolersi dell'abnormità dell'atto, proprio a cagione della sua struttura, è necessariamente ed esclusivamente posto in capo alle parti, posto che il Giudice ha il potere di modificare il provvedimento, ove investito di gravame, o, come nel caso di specie, di sollevare conflitto di competenza.
Non dimeno la Corte, pur in presenza di richiesta inammissibile, in ossequio ai principi di economia processuale ed ai canoni del giusto processo che impongono una sua ragionevole durata, ha inteso dirimere la vicenda nel senso prospettato.
Il conflitto di competenza – articolo 28 c.p.p.. La norma, come è noto, recita:
“1. Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo:
a) uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona;
b) due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona.
2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo.
3. Nel corso delle indagini preliminari, non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione”.
Nel caso di specie il conflitto di competenza, operante ai sensi del comma 1 della disposizioni codicistica, è stato in realtà sollevato dal giudice rimettente con riferimento al disposto del comma secondo, ovvero ritenendolo operante tra decisioni assunte da due distinti giudici.
In questo caso la norma indica quale decisione prevalente quella assunta dal Tribunale rispetto a quella assunta dal GIP; proprio per porre rimedio a quella che il rimettente giudicava essere un'erronea ricostruzione processualistica, egli ha qualificato la pronuncia resa dal tribunale di Roma quale sentenza abnorme e come tale sottoponibile al vaglio della S. Corte.
La Corte chiarisce immediatamente come la qualificazione processuale fornita dal GUP del Tribunale di Velletri sia errata, posto che la regola della prevalenza opera esclusivamente per l'ipotesi in cui ricorra un “caso analogo”.
Ovvero essa “non è applicabile allorché i giudici in conflitto, appartenenti a diversi uffici, siano stati investiti, mediante esercizio dell'azione penale da parte dei rispettivi organi del pubblico ministero, della cognizione dei medesimi fatti, ricorrendo, in tale ipotesi un conflitto (di competenza) vero e proprio” (così nella pronuncia in commento).
Dunque un conflitto negativo su cui la Corte è chiamata a decidere.
Il principio di unitarietà ex art. 9 - bis l. fall. Gli artt. 9 - bis (Disposizioni in materia di incompetenza) e 9 - ter (Conflitto positivo di competenza) l. fall. norme di natura processuale, si preoccupano di fissare in capo ad un unico giudice la competenza relativa alle controversie fallimentare in modo da consentire una piena, completa e totale conoscenza della vicenda fallimentare in capo ad un unico ufficio, non incidendo sulla validità della sentenza resa da uno dei due Tribunali, ma disponendo unicamente che la procedura, scaturita dalla pronuncia, prosegua e si dispieghi in capo ad un unico giudice.
Se ne deduce che la sentenza dichiarativa di fallimento, resa da uno qualsiasi dei giudici fra loro in conflitto, dispiega i propri effetti e la propria efficacia a prescindere dal Giudice che sarà dichiarato competente a conoscere della procedura.
Altrettanto evidente è che le norme succitate nulla dicono circa i criteri di competenza da adottarsi in sede penale.
La natura della sentenza dichiarativa di fallimento rispetto ai reati fallimentari. La S. Corte ribadisce una ben nota, e per vero assolutamente pacifica, teoria, ai sensi della quale la dichiarazione di fallimento assume la natura di elemento costitutivo del reato di bancarotta.
Se così è, e giurisprudenza e dottrina sono concordi ormai nell'affermarlo, occorre considerare come, integrato l'elemento materiale del reato attraverso l'intervenuta dichiarazione di fallimento, esso assuma ed abbia natura di reato istantaneo, ovvero di reato che si è consumato nel momento stesso in cui si sono venuti a completare gli elementi tipici che lo caratterizzano. Fuor di ogni dubbio, nel momento dunque in cui è stata pronunciata la prima sentenza di fallimento. Sentenza le cui sorti, sotto il profilo relativo alla competenza, sono destinate a subire quel regolamento indicato e richiamato dagli articoli 9 - bis e 9 - ter legge fallimentare, ma che mantiene assolutamente integra la propria efficacia in riferimento ad ogni altra statuizione diretta o mediata, fra le quali certamente rientra quella di costituire elemento materiale di un reato che, al momento della sua pronuncia, certamente non è stato ancora contestato.
Dunque il reato di bancarotta ha, per espressa affermazione della Corte, natura di reato istantaneo che si consuma nel momento della intervenuta pronuncia di fallimento da parte del Tribunale.
I differenti criteri di competenza civile e penale. Così ricostruita la vicenda, emerge in totale chiarezza come la disciplina della competenza a conoscere del fallimento, protetta dal principio dell'unitarietà, abbia e dispieghi la propria vis attractiva nei soli confronti dei procedimenti di natura civile, non potendo intervenire nelle vicenda di natura penale.
Vicende per le quali, e francamente non potrebbe essere diversamente stante il disposto di natura costituzionale dettato in tema, continuano ad applicarsi le normali regole dettate dal codice di rito.
È dunque ben possibile, anche se raro nella pratica, che competente a conoscere di vicende fallimentari di natura civilistica sia un Tribunale individuato in forza del principio di unicità, mentre a conoscere delle vicende di natura penale sia competente altro e differente ufficio giudiziario.

Osservazioni

La sentenza in commento lascia aperti alcuni dubbi.
Il dibattito, nel quale e sul quale la dottrina necessariamente dovrà intervenire, avrà uno sviluppo reso difficoltoso dalla scarsa probabilità del verificarsi di eventi simili, anche se, il turismo fallimentare, potrebbe portare alla genesi di interessanti episodi.
Allo stato dell'arte pare doveroso rilevare come l'introduzione di due distinti giudici capaci di conoscere delle vicende generate e scaturite dal fallimento, seppur in sede civile ed in sede penale, appaia come fonte di possibili e probabili difficoltà per la curatela, tenuta a tutelare le esigenze della massa dei creditori.
L'assenza di immediato e costante dialogo tra gli organi della procedura e la magistratura inquirente-requirente e financo giudicante, che comunque delle vicende processuali è posta a conoscenza attraverso le informazioni che ben possono e debbono giungerle persino dal notorio, potrà dar corso a qualche problema di coordinamento, di informazione e, in ultima analisi, di raccolta della prova e di suo utilizzo processuale.

Conclusioni

È indubitabile la pregevolezza della ricostruzione della norma processuale, vuoi civile vuoi penale, effettuata dalla S. Corte, che, nel rispetto della attuale normativa, ha certamente reso una pronuncia di grande valore e portata.
La opportunità di un intervento chiarificatore da parte del legislatore non è però da escludere, anche perché, in tutta franchezza, l'indicare quale giudice competente a conoscere del fatto penale quello competente a conoscerne in sede civile non pare essere in contrasto insanabile con il disposto costituzionale, atteso che il giudice naturale non subirebbe sostanziali mutamenti ex post imprevisti ed imprevedibili da parte del reo per effetto dello spostamento della competenza presso il secondo giudice ritenuto competente.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sullo specifico argomento si segnalano Cassazione penale 12 novembre 2003, n. 805; 24 novembre 2011, n. 13276; 6 novembre 2006 n. 1825; Sez. Un., 12 febbraio 1998, n. 17 ; Cass. civ. - Sez. Un. 4 - 18 dicembre 2007, n. 26619.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario