Esercizio individuale di attività di impresa utilizzando società-strumento

Michele Sandulli
26 Aprile 2012

Assume la qualità di imprenditore commerciale (individuale) e quindi è assoggettabile a fallimento, chi svolga l'attività di agente dello spettacolo artistico o sportivo, da un lato utilizzando società a lui pacificamente riferite e da lui, di fatto, gestite, dall'altro valorizzando la sua notorietà derivante da rapporti, conoscenze e relazioni proprie.
Massima

Assume la qualità di imprenditore commerciale (individuale) e quindi è assoggettabile a fallimento, chi svolga l'attività di agente dello spettacolo artistico o sportivo, da un lato utilizzando società a lui pacificamente riferite e da lui, di fatto, gestite, dall'altro valorizzando la sua notorietà derivante da rapporti, conoscenze e relazioni proprie.

Il caso

Viene richiesto il fallimento nei confronti di un notissimo agente dello spettacolo e procuratore di immagine, il quale ha svolto la propria attività utilizzando una serie di società a lui riferibili. La Corte di Appello di Milano, confermando la decisione del Tribunale, ritiene che l'attività svolta sia attività commerciale e chi la abbia esercitata sia imprenditore commerciale individuale. Entrame le Corti fondano tale conclusione sulla circostanza che il soggetto ha liberamente disposto delle risorse finanziarie delle diverse società a lui riferite e dallo stesso di fatto gestite (pur non rinvenendo in esse né la qualità di amministratore né di socio), creando una confusione di patrimoni, ai quali ha attinto secondo le necessità della propria attività di agente, a prescindere da quelli che fossero gli interessi delle singole società; nonché da un'altra serie di fatti convergenti (quali l'inserimento dell'acronimo del proprio pseudonimo nella denominazione sociale di quasi tutte le società; la comune sede delle società presso il proprio domicilio, la dichiarata qualità di imprenditore in una richiesta amministrativa, l'utilizzo del conto corrente bancario a lui intestato con una «impressionante» movimentazione di prelievi e versamenti, ecc.).

Le questioni giuridiche e la soluzione

La Corte ha accertato, confermando quanto già statuito dal Tribunale, che: i) il soggetto ha svolto l'attività di agente da molti anni con continuità, quindi professionalmente, e in modo organizzato, avvalendosi delle diverse società che in vari tempi ha costituito o amministrato di fatto o di diritto, e comunque a lui sicuramente riferibili; ii) l'utilizzo delle società, al fine di esercitare l'attività d'agente, è reso palese dalle modalità con le quali il soggetto ha disposto delle risorse facenti capo ai singoli enti, creando una confusione di patrimoni ai quali attingere, secondo le necessità della sua attività di agente, a prescindere da quelli che fossero gli interessi delle singole società; iii) l'utilizzo degli immobili di una delle società a cui era formalmente estraneo per lo svolgimento dell'attività di promozione; iv) l'utilizzo dei fondi di una società per sovvenire la proposta di concordato preventivo di altra società; v) la coincidenza della sede delle società con il domicilio della persona fisica; vi) l'andamento del rapporto di conto corrente bancario con “impressionante” movimentazione; vii) altri episodi specifici, in cui il soggetto ha agito come imprenditore.
In conclusione, si è ritenuto acquisito che, per l'esercizio della propria attività d'imprenditore, il soggetto si è avvalso delle risorse e dei beni materiali delle “sue” società.
Tanto il Tribunale, quanto la Corte d'Appello hanno ritenuto che tale acclarata qualità di imprenditore individuale rendesse superfluo l'accertamento della configurazione di una holding individuale, pur dando per acquisito che, nella specie, fosse stata svolta un'attività di direzione e coordinamento delle società riferibili alla persona fisica.
Le Corti hanno ritenuto che l'organizzazione richiesta dall'art. 2082 c.c., ai fini dell'assunzione della qualifica di imprenditore, attraverso la quale è stata esercitata l'attività, fosse costituita dai beni e dai servizi prestati dalle società “appartenenti” al soggetto.
La soluzione è stata adottata senza alcun riferimento alle figure dell'imprenditore occulto o della società occulta o della società apparente.
Come accennato, il riferimento alla holding individuale costituisce un mero obiter dictum ritenuto, comunque, ininfluente nella fattispecie.

Osservazioni

Innanzi tutto, è pacifico che la mancata iscrizione nel registro delle imprese non costituisce motivo ostativo all'acquisizione della qualità di imprenditore commerciale, che deriva “automaticamente” dall'esercizio professionale di un'attività (commerciale) organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni e servizi (art. 2082 c.c.).
L'art. 2082 c.c. non menziona tra i requisiti, per la sussistenza di tale qualità, quello della spendita del nome. Nondimeno larga parte della dottrina e la prevalente giurisprudenza ritengono essenziale, per l'acquisto della qualità di imprenditore, la spendita del nome, per cui tale qualità viene negata al c.d. «imprenditore occulto».
Tale soluzione suppone che il concetto di «spendita del nome» venga inteso in senso giuridico e non sociologico; cioè vada riferito al soggetto che assume formalmente la titolarità di crediti e di obbligazioni. Da ciò, innanzi tutto, la conclusione che, se un soggetto agisce per conto di altri soggetti, in ragione di un rapporto organico o rappresentativo, (autonomo o dipendente) non assume la qualità di imprenditore.
Alla stessa stregua non viene considerato imprenditore un soggetto che agisca direttamente nel mondo degli affari, entrando in rapporto con i terzi, ma facendo contrarre formalmente a diverso soggetto obbligazioni o acquisire diritti nel proprio interesse. Si deve ritenere che tale soluzione vada superata.
La fattispecie de qua contempla l'attività di un soggetto il quale, prescindendo da ogni rapporto formale (organico o dipendente) con una pluralità di società, certamente ha realizzato la propria attività utilizzando il patrimonio delle stesse. Ciò può essere avvenuto attraverso contratti stipulati dagli organi societari (asserviti al dominus) con i terzi, ovvero attraverso l'utilizzazione di fatto del patrimonio di tali società.
Come si è detto, la qualità di imprenditore discende dall'esercizio in via professionale di un'attività e suppone la disponibilità di una “organizzazione” e non la proprietà della stessa, né un titolo di legittimazione formale ad usarla. Se la qualità di imprenditore discende dal mero fatto dell'esercizio dell'attività, così è sufficiente che la organizzazione in fatto sia riscontrabile, a prescindere dal titolo in forza del quale se ne dispone.
Quindi, l'imprenditore come può disporre della struttura organizzativa aziendale a titolo di proprietà, di affitto, di comodato, così ne può disporre in quanto “comunque” messa a disposizione da un soggetto (apparentemente) terzo, che stipula anche contratti nell'interesse dell'imprenditore.
In quest'ultimo caso, i rapporti negoziali costituiscono elemento della complessiva organizzazione dell'imprenditore, che dagli stessi trae, se pure a mezzo di interposizioni reali, utili e perdite.
Tali contratti, benchè facciano capo al diverso soggetto, componente dell'organizzazione dell'imprenditore, in ogni caso sono contratti che costituiscono elemento della struttura organizzativa della sua attività.
Può dirsi che tra l'imprenditore e le società-strumento asservite via sia un rapporto che potremmo definire di “dominio”; l'organo societario è ridotto a nudus minister, in forza di vincoli extrasociali, sicché le società sono asservite alle decisioni dell'imprenditore, realizzando interessi dello stesso, che prescindono dagli interessi delle società stesse e dei soci.
Non credo, quindi, possano sussistere dubbi che nella specie ci si trovi di fronte ad un imprenditore a pieno titolo, che, esercitando un'impresa commerciale, sia assoggettabile a fallimento.
Superato tale profilo, resta quello della responsabilità patrimoniale: qual è il patrimonio, inteso come coacervo di attivo e di passivo ricompenso sulla procedura concorsuale?
Una volta ritenuto che i contratti posti in essere dalle società in attuazione di “ordini” dell'imprenditore costituivano meri strumenti dell'organizzazione, si deve ritenere che, comunque, nonostante l'abuso, il patrimonio della società non si sia confuso con il patrimonio personale dell'imprenditore. Ciò in quanto avere la disponibilità di un bene non significa esserne necessariamente proprietario, salvo la rigorosa prova dell'interposizione fittizia, in sede di esecuzione (individuale o concorsuale). Da ciò deriva che la massa fallimentare sarà costituita solo dai beni e dalle obbligazioni che sono in capo all'imprenditore.
Per le società, poi, avrà efficacia tutta la specifica disciplina societaria in ordine alla identificazione di un eventuale amministratore di fatto, che in quanto tale impegna il patrimonio sociale, ed in ordine alle fattispecie di responsabilità degli organi amministrativi, nel caso abbiano recato pregiudizio alla società o ai creditori o ai terzi.

Questioni aperte

L'asservimento di una o più società agli interessi di un dominus, sovente apparentemente estraneo alle stesse, è un fenomeno molto diffuso nella sociologia societaria.
Infatti, la possibilità (molto) agevolata dal legislatore di esercitare l'attività di impresa commerciale con limitazione della responsabilità viene sovente abusata attraverso l'utilizzazione della società come mero scudo formale di un'attività di impresa caratterizzata da una confusione dei patrimoni e dei rapporti societari, con quelli individuali.
Come strumento per colpire tale diffusa patologia potrebbe essere utilizzata la nozione, ormai frequente e diffusa nella giurisprudenza, di abuso del diritto, con conseguente violazione di norme imperative quale quelle del diritto societario.
Peraltro, stante la presenza di interessi di terzi “ignari”, tale soluzione non potrebbe portare alla nullità assoluta di tutti i rapporti posti in essere, bensì solo ad una sorta di nullità (relativa) di protezione della società (e quindi dei suoi creditori) nei rapporti con il “dominus”.
Ciò suppone, peraltro, che vengano definite le regole di diritto “ordinarie”, rispetto alle quali il comportamento del dominus configuri l'abuso o anche la sola elusione. Tanto, anche al fine di consentire che la valutazione del giudice, sul punto, possa essere sottoposta non solo al riesame nel merito, ma anche pienamente al giudizio per Cassazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

La sentenza di fallimento, oggetto del reclamo deciso con il provvedimento che si commenta, è Trib. Milano, 11 aprile 2011, in Fallimento, 2011, 1229.
La teoria dell'imprenditore occulto è stata sostenuta, come a tutti noto, da BIGIAVI, L'imprenditore occulto, Padova, 1954; id., Difesa dell'imprenditore occulto, Padova, 1962. Per le opinioni contrarie vedi, tra i molti, GRAZIANI, MINERVINI, BELVISO, Manuale di diritto commerciale, 14 ed., Padova, 2011, 45; BUONOCORE, L'impresa, in Trattato di diritto commerciale diretto da V. Buonocore, I, 2.1, Torino, 2002, 209; e, in giurisprudenza, Cass., 18 novembre 2010, n. 23344; Cass., 13 marzo 2003, n. 3724; per le quali, ai fini della qualificazione quale imprenditore della holding, è necessario che «si agisca in nome proprio». Di recente, tuttavia, per il superamento del requisito necessario della spendita del nome, vedi App. Ancona, 5 marzo 2010 e Trib. Ancona, 10 agosto 2009, entrambe in Giur. comm., 2011, II, 633 ss, secondo le quali, ai fini dell'assoggettamento della holding individuale a fallimento, non è necessaria «l'esteriorizzazione di atti» o la «spendita formale del nome». In dottrina vedi, in questo senso, MENTI, Fallisce un'altra holding personale: anzi no, è un noto imprenditore occulto, in Fallimento, 2011, 1233.
Per l'assoggettamento a fallimento della società occulta, vedi Cass., 17 gennaio 1998, n. 366; Cass., 30 gennaio 1995, n. 1106, in Foro it., 1995, I, 3227. Sulla società apparente, vedi Cass., 22 febbraio 2008, n. 4529; Cass., 20 giugno 2006, n. 14280; Cass., 20 aprile 2006, n. 9250. Per i requisiti che consentono di configurare una holding personale, costituente impresa commerciale e suscettibile di fallimento, vedi le già richiamate Cass., 18 novembre 2010, n. 23344, Cass., 13 marzo 2003, n. 3724.
Sull'abuso del diritto, vedi, tra le tante, Cass., sez. un., 15 novembre 2007, 23726; Cass., 19 dicembre 2008, n. 29776; Cass., 31 maggio 2010, n. 13208; con specifico riferimento alla materia concorsuale, vedi Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274; Cass., 23 giugno 2011, n. 13817.

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