Crediti verso un patrimonio destinato e interruzione del processo per sopravvenuto fallimento della Società costituente

Filippo Lamanna
03 Maggio 2012

Pur essendo il Patrimonio Separato Destinato ad uno Specifico Affare, ex art. 2447-bis, lett. a), c.c., un complesso di beni e rapporti distinto rispetto al restante patrimonio della Società per Azioni che lo abbia costituito, deve dichiararsi l'interruzione del giudizio civile in cui si controverta di un rapporto obbligatorio riferibile a un Patrimonio Destinato, quando sia dichiarata fallita la Società per Azioni che lo abbia costituito, stante il disposto dell'art. 155 l. fall., a tenore del quale i rapporti prima riferibili al patrimonio separato fanno capo, a partire dal fallimento, alla gestione separata attribuita ex lege al curatore del fallimento, che è chiamato a provvedere a norma dell'art. 107 l. fall. alla cessione del patrimonio a terzi al fine di conservarne la funzione produttiva, o, se la cessione non è possibile, a provvedere alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili.
Massima

Pur essendo il Patrimonio Separato Destinato ad uno Specifico Affare, ex art. 2447-bis, lett. a), c.c., un complesso di beni e rapporti distinto rispetto al restante patrimonio della Società per Azioni che lo abbia costituito, deve dichiararsi l'interruzione del giudizio civile in cui si controverta di un rapporto obbligatorio riferibile a un Patrimonio Destinato, quando sia dichiarata fallita la Società per Azioni che lo abbia costituito, stante il disposto dell'art. 155 l. fall., a tenore del quale i rapporti prima riferibili al patrimonio separato fanno capo, a partire dal fallimento, alla gestione separata attribuita ex lege al curatore del fallimento, che è chiamato a provvedere a norma dell'art. 107 l. fall. alla cessione del patrimonio a terzi al fine di conservarne la funzione produttiva, o, se la cessione non è possibile, a provvedere alla liquidazione del patrimonio secondo le regole della liquidazione della società in quanto compatibili.

Il caso

Pendendo Innanzi al tribunale di Torino un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto un debito riferibile ad un Patrimonio Separato Destinato ad uno Specifico Affare ex art. 2447-bis, lett. a), c.c., viene dichiarata fallita la Società per Azioni (opponente) che lo ha costituito. Il tribunale, preso formalmente atto dell'intervenuto fallimento di tale Società, dispone con ordinanza l'interruzione del processo, respingendo l'obiezione della parte creditrice opposta, secondo cui la declaratoria di fallimento della Società non potrebbe impedire la prosecuzione del giudizio, essendo stato contratto, il debito oggetto di causa, dal Patrimonio Destinato - da considerarsi soggetto autonomo rispetto al fallimento -, sì da restare estraneo al complesso dei rapporti travolti da quest'ultimo.

Le questioni giuridiche e la soluzione

A quanto consta è la prima volta che la giurisprudenza affronta uno specifico aspetto - nel caso di specie, di carattere squisitamente processuale - nell'ambito della più vasta problematica riguardante i rapporti tra fallimento e Patrimoni Destinati ad uno specifico affare ex art. 2447-bis, lett. a), c.c.
Si trattava di stabilire, in particolare, se un procedimento civile in cui si controverteva di un rapporto obbligatorio riferibile ad un Patrimonio Separato/Destinato che a tale procedimento partecipava sia pure solo attraverso la mediazione soggettiva della Società costituente, dovesse o meno essere dichiarato interrotto ai sensi dell'art. 43, ultimo comma, l. fall. (secondo cui: “L'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo”) a causa del sopravvenuto fallimento della Società costituente.
Il Tribunale di Torino ha risposto positivamente - e del tutto condivisibilmente - al quesito, dando in particolare rilievo, nella motivazione della sua ordinanza, all'art. 155 l. fall., in forza del quale: “Se è dichiarato il fallimento della società, l'amministrazione del patrimonio destinato previsto dall'articolo 2447-bis, comma 1, lettera a), del codice civile è attribuita al curatore che vi provvede con gestione separata”. Alla luce di tale norma, secondo il tribunale, sarebbe del tutto evidente e conseguente che i rapporti obbligatori riferibili in origine al Patrimonio Separato non facciano più capo ad esso una volta dichiarata fallita la Società costituente, bensì alla gestione separata attribuita ex lege in capo al curatore del fallimento. Da qui - in asserto - l'irrilevanza dell'obiezione (mossa dalla creditrice opposta), secondo cui proprio la separatezza patrimoniale del Patrimonio Destinato avrebbe reso irrilevante ai fini interruttivi il fallimento della Società costituente.

Osservazioni

Il Ttribunale di Torino giunge ad una soluzione condivisibile, anche se sulla base di una motivazione non del tutto esaustiva. Da un lato, infatti, è indubbiamente vero che, alla stregua dell'art. 155 l. fall., una volta dichiarato il fallimento della Società che l'abbia costituito, il Patrimonio Destinato viene amministrato in via esclusiva dal curatore (che deve provvedervi con gestione separata), e del resto anche l'art. 2447-nonies, comma 4, c.c. equipara il fallimento della Società agli «altri casi di cessazione della destinazione del patrimonio» che possono essere stati previsti nella deliberazione costitutiva del patrimonio. Dall'altro, però, tale segregazione patrimoniale e tale esclusività gestoria del Patrimonio-cellula non paiono di per sé idonee a giustificare il perché il processo in cui sia stato fatto valere un rapporto obbligatorio inerente ad un siffatto Patrimonio debba interrompersi una volta dichiarato il fallimento della Società costituente, tenuto conto proprio del fatto che la separatezza patrimoniale dovrebbe ex se giustificare l'estraneità del debito riferibile al Patrimonio Destinato rispetto alle vicende della Società e alle sue restanti passività.
In realtà la conclusione tratta dal Tribunale s'imponeva - più semplicemente - per il difetto di autonoma soggettività/capacità/legittimazione processuale del Patrimonio Separato cui il debito oggetto di causa si riferiva. È opinione ampiamente condivisa, infatti, che i beni assegnati al Patrimonio Separato restino parte del patrimonio dell'unico titolare costituente e che il vincolo di destinazione non modifichi il rapporto giuridico dei beni con il soggetto titolare (Guizzi, 639; Lamanna, 295). Ciò che rilevava dunque ai fini della soluzione del problema era solo la sussistenza o meno di una propria soggettività giuridica sostanziale in capo al Patrimonio Destinato e del suo riflesso processuale in termini di capacità e legittimazione nel processo. Pertanto, allo stesso modo in cui sarebbe stato arduo immaginare, nel caso di specie, che il Patrimonio Destinato potesse essersi costituito in causa come tale, ossia indipendentemente dalla costituzione della Società gemmante (in bonis) che lo aveva costituito, vero ed unico soggetto processualmente legittimato sia in senso attivo che passivo; allo stesso modo sarebbe stato impensabile - una volta condivisa tale premessa - che il giudizio dovesse interrompersi per l'intervenuto fallimento della Società, ma proseguire tra parti una delle quali fosse un ente - il Patrimonio Destinato - del tutto privo di tale soggettività, legittimazione e capacità, o addirittura non interrompersi affatto, nemmeno verso la Società fallita, sull'ipotetico presupposto - chiaramente incongruo - che il suo fallimento, e il venir meno della sua autonoma capacità processuale, non avesse rilievo in relazione a rapporti obbligatori riferibili solo al Patrimonio Destinato.
A parte il caso, infatti, di cui però non vi è traccia nella motivazione del provvedimento torinese (che forse non ha avuto né il modo, né la necessità di esaminare l'atto di costituzione del Patrimonio Destinato oggetto di causa, che sembrerebbe peraltro essere, a quanto emerge da informative camerali, solo uno dei molteplici Fondi segregati analogamente costituiti dalla medesima Società fallita, per l'elevato numero dei quali è ragionevole attendersi in futuro un ulteriore ed altrettanto interessante contenzioso), in cui la stessa Società costituente possa avere una diretta responsabilità obbligatoria verso i creditori particolari in relazione a rapporti inerenti al Patrimonio Destinato (il che può accadere, ai sensi dell'art. 2447-quinquies c.c., quando la delibera costitutiva preveda specificamente l'illimitata responsabilità della Società per le obbligazioni contratte per lo specifico affare; quando gli atti compiuti in relazione allo specifico affare non rechino menzione del vincolo di destinazione; e quando sorgano obbligazioni da atto illecito nel rapporto tra la Società ed il creditore particolare), caso in cui emerge un interesse e una legittimazione diretti della Società costituente a partecipare al giudizio; a parte tale caso, il fatto che la costituzione in causa possa avvenire, e non possa che essere avvenuta anche nella concreta fattispecie, solo da parte della Società per Azioni costituente il Patrimonio Destinato (e non da parte di quest'ultimo quale autonomo soggetto di diritto), rende comunque inevitabile dichiarare poi l'interruzione del giudizio ex art. 43, ult. comma, l. fall. a seguito della presa d'atto della dichiarazione di fallimento di tale Società, in quanto produttiva della compressione della sua capacità processuale (quale effetto dello spossessamento e della cessazione dei poteri dei suoi amministratori), quantunque nel giudizio si controverta soltanto di rapporti obbligatori facenti capo a quella frazione di patrimonio costituita - appunto - dal Patrimonio Destinato. Non potrebbe poi che conseguirne sempre, come ulteriore corollario, il coinvolgimento in tale evento interruttivo anche del Patrimonio Destinato, posto che, sebbene entità oggettivamente segregata e distinta sul piano patrimoniale, esso non lo è affatto sul piano della soggettività e personalità giuridica, non potendo considerarsi quindi processualmente legittimato a restare in causa indipendentemente dalla perdurante efficacia della costituzione in giudizio della Società costituente, tanto più considerato che - come appunto ha rilevato il tribunale torinese - il fallimento della Società comporta ipso jure una sorta di spossessamento - ci si passi l'espressione in tal caso puramente metaforica - anche del Patrimonio Destinato, in quanto affidato ora alla gestione esclusiva del curatore.

Le questioni aperte

Il provvedimento in esame, facendo perno motivazionale soltanto sulla specialità ed esclusività del regime liquidativo affidato al curatore una volta dichiarato il fallimento della Società costituente, allorchè si avvera in tal modo una condizione per la cessazione del vincolo di destinazione, non risolve dunque esplicitamente né la questione della soggettività del Patrimonio Destinato, che resta sullo sfondo, né la questione delle modalità processuali con cui i creditori particolari del Patrimonio Destinato possano far valere le proprie eventuali pretese una volta dichiarato - appunto - il fallimento della Società costituente.
Quanto al primo problema, le pur risalenti diatribe sull'ipotetica soggettività del Patrimonio Destinato non sembrano in effetti particolarmente gravi ed impegnative, a partire da quella stessa dell'autonoma fallibilità del Patrimonio.
Come si è già avuto modo di segnalare altrove, infatti (Lamanna, ibidem), tale questione non sembra possa avere, allo stato attuale, una soluzione diversa da quella negativa, dovendo escludersi de plano - per quanto possa apparire discriminante a sfavore dei creditori particolari del Patrimonio (Galletti) - che sia possibile una distinta dichiarazione di fallimento del Patrimonio Destinato in ipotesi “insolvente”, visto che nel nostro ordinamento può fallire solo un autonomo soggetto giuridico (per quanto eventualmente estinto, ed anche se non necessariamente imprenditore, come sembrerebbe dimostrato dalla fallibilità dei soci illimitatamente responsabili, che imprenditori necessariamente non sono), e non invece un'impresa intesa in senso oggettivo. Non sembra d'altronde dubitabile che il Patrimonio Destinato non sia un autonomo soggetto giuridico, nettampoco con una propria distinta e riconoscibile qualità imprenditoriale (sull'argomento in oggetto si registrano, però, variegate opinioni in dottrina; cfr. in particolare gli scritti di Fimmanò, Galletti, D'Alessandro, Vincre, Guglielmucci, Lamandini, Rocco Di Torrepadula, Nocera, Meoli). Del resto anche gli artt. 2447-quinques e 2447-nonies c.c. e l'art. 156 l. fall. autorizzano a ritenere che l'eventuale insufficienza del Patrimonio Destinato a soddisfare le pretese dei creditori particolari (insufficienza ivi espressamente qualificata appunto nemmeno come insolvenza, ma solo come incapienza) non integri una fattispecie di possibile fallimento della Società o dello stesso Patrimonio Destinato, prevedendo essi, come unico effetto del mancato pagamento dei suddetti creditori, la sola liquidazione del medesimo Patrimonio (Comporti; Fimmanò).
Quanto al secondo e più pratico problema, riguardante le modalità processuali con cui i creditori particolari del Patrimonio Destinato possano far valere le proprie pretese una volta dichiarato il fallimento della Società costituente, ipotesi che, come già detto, determina - tra l'altro - l'interruzione dei giudizi cognitori già pendenti di cui sia parte quest'ultima in rapporto a debiti o crediti del Patrimonio, non può certo escludersi che, pur dopo il subingresso del curatore nella separata gestione del Patrimonio Destinato, si ponga la necessità di risolvere controversie cognitorie relative ai rapporti di debito/credito con i creditori particolari, o questioni attinenti alla stessa cessione o liquidazione del Patrimonio.
Ritengo però che le prime non possano essere comunque convogliate nell'ambito della generale verifica del passivo fallimentare della Società costituente (salva la possibilità residuale d'insinuazione al passivo fallimentare da parte dei creditori particolari prevista testualmente dall'art. 156, comma 2, l. fall. solo in relazione ai casi di responsabilità sussidiaria o illimitata della Società costituente), né essere oggetto di una verifica del passivo separata (e limitata quindi alle passività esclusivamente riferibili al Patrimonio Destinato). Impedisce una tale attrazione alla sede e al rito della verifica, anzitutto, proprio la reciproca incomunicabilità della responsabilità obbligatoria tra Società e Patrimonio destinato. A questo riguardo merita forse di essere segnalata, per la sua funzione esplicativa, la notevole differenza che sussiste rispetto all'ipotesi - per certi versi funzionalmente analoga - del Fondo Patrimoniale familiare, pure disciplinato in sede fallimentare (dall'art. 46, comma 1, n. 3), oltre che civilistica (artt. 167-171 c.c.), poiché, mentre in tale ipotesi l'assunzione del debito fa sempre carico al fallito titolare del Fondo, con la conseguenza che i creditori particolari del Fondo restano comunque anche creditori del fallito; viceversa, nel caso del Patrimonio Sociale Separato, i creditori particolari (quelli, cioè, i cui crediti siano sorti con riferimento all'affare alla cui realizzazione i beni sono destinati) si possono soddisfare solo ed esclusivamente sul Patrimonio Destinato, poiché il vincolo di destinazione è tale da costituire un vero e proprio sbarramento a “doppia faccia” all'estensione della responsabilità patrimoniale: nel senso che, da un lato, i creditori particolari possono aggredire - salvo le già dette tassative eccezioni - solo i beni del Patrimonio Destinato e non anche i beni del restante patrimonio sociale (o di altri eventuali Patrimoni Destinati); mentre, dall'altro, i creditori sociali (ossia i creditori per obbligazioni non correlate allo specifico affare) possono soddisfarsi solo sul patrimonio generale e non possono rivalersi né sui Patrimoni Destinati, né sui frutti o sui proventi da essi derivanti.
È giocoforza ritenere dunque che le eventuali controversie cognitorie riguardanti rapporti obbligatori riferibili al Patrimonio Destinato possano e debbano continuare ad essere coltivate solo in sede ordinaria, ma sempre attraverso una necessaria mediazione soggettiva esterna, che, dichiarato il fallimento della Società costituente, non può che essere costituita dallo stesso Fallimento di quest'ultima in persona del curatore.
In altri termini, tanto per restare al caso di specie, la causa torinese interrotta potrebbe essere riassunta da, o verso, il curatore fallimentare quale gestore del Patrimonio destinato.
Limitatamente ai rapporti obbligatori che fanno capo a quest'ultimo, del resto, non si ravvede sul piano cognitorio alcuna necessità di seguire, nemmeno in ipotesi in via autonoma (ossia senza coinvolgimento nella verifica generale del passivo della Società, ma solo con riguardo alle passività del Patrimonio Destinato), un rito speciale come quello della verifica del passivo, perché: a) manca la necessità di attuare un contraddittorio incrociato laddove - come nel caso della segregazione patrimoniale - manchi un concorso di tutti i creditori della Società sui medesimi beni [v. anche Pavone La Rosa, L'insolvenza della società per azioni con patrimoni «separati», in Abbadessa e Portale (diretto da), I, 928; ma, apparentemente contra, S. Rossi, Liquidazione dei patrimoni destinati e tutela dei creditori particolari tra codice civile e nuove norme di diritto concorsuale, in Giur. comm., 2006, I, 898, e in apparenza anche Fimmanò, op. cit., 961]; b) non è previsto in alcun luogo il carattere concorsuale neppure della liquidazione del Patrimonio Destinato, e neanche quando essa si attui al di fuori del fallimento, liquidazione che, per di più, ove sopraggiunga quest'ultimo, è solo eventuale, potendo attuarsi solo ove non sia possibile la cessione a terzi del Patrimonio Separato, cessione che, di norma, nemmeno dovrebbe determinare la necessità di un accertamento entro il fallimento dei diritti patrimoniali dei creditori particolari, trasferendosi essi direttamente al terzo cessionario; c) in ogni caso nemmeno quando la liquidazione del Patrimonio avviene al di fuori del fallimento della Società gemmante è prevista una procedura cognitoria speciale, sì che, non essendo prevista alcuna deroga alle regole ordinarie di cognizione, non vi è nemmeno un'effettiva lacuna che possa giustificare l'applicazione analogica di alcune forme di accertamento-liquidazione para-concorsuale previste per alcune fattispecie in cui vi è un conflitto fra creditori (come sembra ipotizzare, invece, De Sensi, Patrimoni destinati: l'impatto sulle procedure concorsuali, 35), tanto più che esse quasi sempre implicano comunque una correlazione diretta del patrimonio con un soggetto dotato di personalità giuridica (così è a dire ad esempio per la liquidazione generale delle persone giuridiche ai sensi degli artt. 14, 15 e 16 delle disp.att. c.c., ecc.); d) anche se il sistema della verifica del passivo faciliterebbe le modalità di accertamento, esso comporta però - alla stregua della disciplina novellata - il grandissimo svantaggio di un'efficacia sempre e solo endoconcorsuale dell'accertamento, oltre che l'impossibilità d'impugnare in appello i provvedimenti del Tribunale; limiti, questi, talmente gravi da poter giustificare l'applicazione del procedimento di verifica (sia con eventuale ed estensivo riferimento al passivo generale della Società, che con riguardo al più ristretto ambito del passivo del Patrimonio Separato) solo in presenza di controversie cognitorie riconducibili con assoluta certezza alla sfera della concorsualità secondo la concatenata previsione degli artt. 51 e 52 l. fall., in virtù dei quali deve ritenersi che solo i diritti riguardanti beni del fallito assoggettabili a concorso di tutti i creditori vadano accertati secondo le norme di cui agli artt. 92 e ss. l. fall.
Deve d'altronde osservarsi che non sembra comunque preclusa, una volta dichiarato il fallimento della Società costituente, la possibilità di ordinarie pronunce accertative e finanche condannatorie verso il curatore, sia pure riguardato - beninteso - solo nella speciale veste di gestore del Patrimonio Destinato; né sembra dirimente ipotizzare, per la soluzione del problema, la semplice possibilità che i creditori svolgano istanze agli organi fallimentari finalizzate a rappresentare la necessità di tener separati i propri crediti dalle altre passività (su cui v. Fimmanò, op. cit., 952), tenuto conto che tale possibilità non risolverebbe comunque il problema di quali mezzi di tutela utilizzare nel caso in cui sorgano vere e proprie controversie cognitorie sui rapporti obbligatori che fanno capo al Patrimonio Destinato.
Credo dunque che esse debbano risolversi secondo il rito e le ordinarie regole processuali.
Può porsi semmai un problema di competenza del tribunale presso cui radicare (o proseguire) i procedimenti cognitori, competenza che, di primo acchito, potrebbe sembrare ragionevole individuare, per gli stessi motivi, secondo le regole ordinarie, sul rilievo secondo cui la cognizione avrebbe ad oggetto rapporti obbligatori sui quali il fallimento incide poco, e proprio in ragione della già detta separatezza patrimoniale. Sennonchè il fatto stesso che l'intera gestione del Patrimonio Destinato sia affidata in via esclusiva al curatore implica che di essa facciano parte anche tutti i relativi rapporti obbligatori, e siccome il subingresso del curatore nella gestione del Patrimonio Destinato e il carattere esclusivo di tale gestione sono effetti specificamente derivanti dal fallimento, sembra conseguente affermare la competenza assorbente del tribunale fallimentare alla stregua dell'art. 24 l. fall.
Per la stessa ragione, e semmai a fortiori, va essa affermata quanto poi a tutte le possibili controversie riguardanti l'attività di cessione o di liquidazione del Patrimonio Destinato, senza nemmeno la necessità di distinguere, ai fini dei mezzi di tutela a disposizione dei creditori particolari o dei terzi, tra le controversie inerenti alla cessione del Patrimonio e quelle inerenti alla sua liquidazione. Infatti in entrambi i casi le riterrei devolute, di norma, al foro fallimentare interno, e quindi azionabili con il mezzo del reclamo vuoi ex art. 36, vuoi ex art. 26 l. fall., a seconda che a dover essere impugnato sia un atto del curatore o invece del Giudice Delegato. La soluzione mi sembra imposta sul piano procedimentale (in aggiunta a quanto già detto in tema di competenza - in relazione all'art. 24 l. fall. - circa la derivazione dal fallimento della gestione speciale affidata al curatore), dall'esplicito rinvio fatto, in tema di cessione del Patrimonio Destinato, dall'art. 155 all'art. 107 l. fall. e quindi alle modalità con cui si attuano le vendite dei beni fallimentari, e, in tema di liquidazione del medesimo Patrimonio, dalla previsione dell'art. 156, laddove tale norma esige la necessaria autorizzazione del Giudice Delegato perché il curatore possa procedere alla liquidazione del Patrimonio secondo le regole previste per la liquidazione societaria (se compatibili); previsione, questa, che lascia intendere come l'attività di liquidazione del curatore sia comunque soggetta, anche se riferita al Patrimonio Separato, alla potestà dispositiva e tutoria del sovraordinato organo di controllo fallimentare (oltre che, come ulteriore corollario, alla vigilanza del comitato dei creditori), ciò che basta - mi pare - a convogliarla nell'ambito procedimentale, e quindi anche a sottoporla alle regole impugnatorie, della più generale attività liquidatoria concorsuale.

Conclusioni

La soluzione offerta dal tribunale torinese alla questione processuale esaminata va certamente condivisa, anche se avrebbe forse meritato di essere più frontalmente e direttamente motivata in base al profilo del difetto di soggettività-legittimazione-capacità processuale del Patrimonio Destinato, in rapporto oppositivo alla soggettività della Società costituente e al venir meno della sola capacità processuale di quest'ultima in caso di suo fallimento. Restano ferme le problematiche riguardanti la tutela dei creditori particolari in caso di controversie cognitorie aventi ad oggetti rapporti obbligatori riferibili ai Patrimoni Destinati, per la cui soluzione è parso comunque utile in questa sede sinteticamente formulare le proposte interpretative di cui al precedente paragrafo.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sullo specifico argomento oggetto della decisione del Tribunale torinese non si rinviene alcun precedente.
Per i rapporti tra Trust e Patrimoni Destinati cfr. invece Trib. Milano, 16 giugno 2009, in Giustizia a Milano, 2009, 9, 62; per l'applicazione in via analogica dell'art. 155 l. fall. al fondo patrimoniale cfr. Cass., 22 gennaio 2010, n. 1112, in Notariato, 2010, 247 s., con nota di F. Fimmanò, Destinazione patrimoniale e separazione delle masse.
Sulla materia in generale la bibliografia è già sconfinata. Si vedano soprattutto in dottrina: C. D'Aprea, Negozi di destinazione: ruolo e responsabilità del notaio, in Riv. Notariato, 2011, 4, 801; M. Antinolfi, Separazione patrimoniale e tutela dei creditori «involontari», in Riv. Notariato, 2010, 5, 1281; F. Fimmanò, Patrimoni destinati e tutela dei creditori nelle società per azioni, Milano, 2008; Id., sub artt. 155 e 156, in Commentario a cura di Jorio e Fabiani, 2007, 2229 ss. e aggiornamento 2010, 929 ss.; I. L. Nocera, Fallimento e patrimoni destinati a uno specifico affare, in Fall. 2007, 873; D. Galletti, La ripartizione del rischio d'insolvenza, Bologna, 2006, 294; G. F. Campobasso, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2006; F. Lamanna, Il nuovo procedimento di accertamento del passivo, Milano, 2006, 293 ss.; C. D'Ambrosio, I patrimoni di destinazione nell'insolvenza, in Giur. comm., 2005, I, 550; B. Meoli, Patrimoni destinati e insolvenza, in Fall., 2005, 113; S. Vincre, Patrimoni destinati e fallimento, in Giur. comm., 2005, 129; S. Locoratolo, Patrimoni destinati e insolvenza, Napoli, 2005; F. Gennari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, Padova, 2005; R. Santagata, I patrimoni destinati a «specifici affari», in Il nuovo diritto societario, a cura di S.Ambrosini, Torino, 2005, 357; F. Terrusi, I patrimoni delle s.p.a. destinati a uno specifico affare: analisi della disciplina e verifica degli effetti, 2005, in Judicium.it; V. De Sensi, Patrimoni destinati e procedure concorsuali, in Luiss.it, 2005, 2 ss.; Id., Patrimoni destinati: l'impatto sulle procedure concorsuali, in Dir. prat. soc., 2004, 4, 34; N. Rocco Di Torrepadula, Patrimoni destinati ed insolvenza, in Scritti in onore di Federico Martorano, in Giur. Comm., 2004, I, 40; F. D'Alessandro, Patrimoni separati e vincoli comunitari, in Società, 2004, 1061; G. Giannelli, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società di capitali, AA.VV. a cura di G. Niccolini e A. Stagno D'alcontres, Napoli, 2004, 1210; G. Mignone, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Il nuovo diritto societario, a cura di G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P.Montalenti, II, Bologna, 2004, 1635; L. Salamone, Sui patrimoni destinati a specifici affari, Profili patrimoniali e finanziari della riforma, a cura di M. L. Montagnani, Milano, 2004; F. Toschi Vespasiani, I patrimoni ed i finanziamenti destinati ad uno specifico affare nella riforma del diritto societario, in Studium iuris, 2004, 587; F. Ciampi, Patrimoni e finanziamenti destinati in rapporto con le regole del concorso fallimentare, in Società, 2004, 1212; Gatti, Finanziamenti destinati e procedure concorsuali, in Riv. dir. comm., 2004, 245; G. Guizzi, Patrimoni separati e gruppi di società (articolazione dell'impresa e segmentazione del rischio: due tecniche a confronto), in Riv. dir. comm., 2003, I, 639; M. Pollio, La liquidazione dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Pollio, Bartolomucci, Mandrioli, Viotti, Scioglimento e liquidazione delle società di capitali, Milano, 2004, 214 ss.; T. Manferoce, Soggezione alle procedure concorsuali dei patrimoni dedicati, in Fall., 2003, 1249; B. Inzitari, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Società, 2003, 300; F. Di Sabato, La disciplina dei patrimoni dedicati, in Italia Oggi, XVI, 2003, 190; G. Fauceglia, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Fall., 2003, 815; M. Lamandini, I patrimoni destinati nell'esperienza societaria. Prime note sul d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, 502; C. Comporti, Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in La riforma delle società. Commentario del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, a cura di M. Sandulli e V. Santoro, II, Torino, 2003, 971; P. Ferro Luzzi, Dei creditori dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in Riv. dir. comm., 2003, I, 107; R. Lenzi, I patrimoni destinati ad uno specifico affare, in La riforma del diritto societario a cura di D. Cerri, Pisa, 2003, 225; L. Rizzi - E. Tosti, Patrimoni destinati ad uno specifico affare, in PMI, fasc. 12, IX, 2003, 15; D. U. Santosuosso, I patrimoni destinati, in Dir. e prat. società, X, 2003, 24; A. Zoppini, Primi appunti sul patrimonio separato della società per azioni, in Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, a cura di P. Benazzo, S. Patriarca, G. Presti, Milano, 2003.
Le norme che disciplinano la tematica sono: gli artt. 43, 72 ter, 155 e 156 l. fall., e gli artt. da 2447-bis a 2447-decies c.c.

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