La controversa questione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari

Luca Jeantet
Alfonso Parziale
20 Aprile 2015

La proposta di concordato preventivo che preveda una soddisfazione dei creditori chirografari inferiore al 3% del credito dagli stessi vantato non è idonea a garantire la realizzazione della causa concordataria, intesa come funzione economica, ed a riconoscere al debitore il beneficio della liquidazione concorsuale del suo patrimonio con lo strumento, alternativo al fallimento, del concordato preventivo.
Massima

La proposta di concordato preventivo che preveda una soddisfazione dei creditori chirografari inferiore al 3% del credito dagli stessi vantato non è idonea a garantire la realizzazione della causa concordataria, intesa come funzione economica, ed a riconoscere al debitore il beneficio della liquidazione concorsuale del suo patrimonio con lo strumento, alternativo al fallimento, del concordato preventivo.

Il caso

Una società deposita ricorso ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall. e, nel termine assegnato dal Tribunale, presenta la proposta di concordato, che viene giudicata inammissibile. La società viene quindi dichiarata fallita. La relativa sentenza viene impugnata innanzi alla Corte d'Appello, la quale, accolto il gravame, revoca la dichiarazione di fallimento e rimette gli atti al Tribunale. La società presenta la stessa proposta di concordato, accompagnata dallo stesso piano, che era stata giudicata inammissibile, evidenziando alcune minime variazioni dipendenti dal decorso del tempo. Il Tribunale rende un nuovo giudizio d'inammissibilità, anche in considerazione del fatto che la percentuale offerta ai creditori chirografari è inferiore rispetto alla soglia, ritenuta minima a pena d'inammissibilità, del 3%.

La questione giuridica e le soluzioni

Il decreto in commento affronta la questione della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari e, ponendosi nel solco tracciato da altro, analogo provvedimento del Tribunale di Modena del 3 settembre 2014, afferma che una percentuale inferiore alla soglia del 3% dev'essere considerata ex se giuridicamente inammissibile, siccome inidonea a garantire la realizzazione della causa del concordato preventivo e, quindi, a consentire al debitore di accedere al beneficio di tale strumento.

Osservazioni

Il decreto del Tribunale di Bergamo offre lo spunto per fare una riflessione in merito a quale possa, o addirittura debba, essere la percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari in una procedura di concordato preventivo, al di sotto della quale la proposta deve considerarsi inammissibile.
La questione si riporta evidentemente ad un tema di natura più generale, vale a dire dei limiti e delle modalità con cui il giudice può esaminare le proposte di concordato e, quindi, della possibilità per tale organo di sindacare la fattibilità e/o la convenienza economica di una proposta concordataria.
Come noto, il legislatore delle riforme concorsuali (tra cui si ricordano, per rilevanza, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, D. Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, al D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, e da ultimo al D.L. 22 giugno 2012, n. 83) ha sostanzialmente innovato l'istituto del concordato preventivo, introducendo spiccati elementi di negozialità. La nuova fisionomia della procedura è quindi la sintesi di due diverse posizioni: da un lato, l'istituto resta carico di rilevanti interessi pubblicistici, anche in considerazione degli effetti che il concordato dispiega su chi, ad esempio, non vota o è dissenziente; dall'altro, le norme che rimettono ai creditori la valutazione della fattibilità economica della proposta di concordato, attraverso la sua accettazione, costituiscono l'espressione di quel nuovo spirito di negozialità e flessibilità che investe il sistema riformato delle procedure.
È evidente quindi che la valutazione del giudice sulla proposta di concordato (in sede di ammissione, di omologa e di revoca) deve tenere in considerazione le due anime della procedura, a tutela di tutti gli interessi dei soggetti coinvolti e nel rispetto dell'autonomia decisionale degli attori individuati nella procedura. In tal senso va richiamato l'insegnamento della Suprema Corte a Sezioni Unite, che nella ormai celebre pronuncia 1521 del 23 gennaio 2013 ha analizzato il tema del controllo giudiziale esercitabile nelle varie fasi del procedimento concordatario.
Al riguardo, la Corte è chiara nel ribadire che il giudizio sulla convenienza economica della proposta concordataria è rimessa alla piena discrezionalità dei creditori. Ciò non significa naturalmente che il giudice debba limitarsi a recepire acriticamente il contenuto di una domanda di concordato preventivo come presentata dal debitore e validata dall'attestatore - non può quindi considerarsi il “convitato di pietra” richiamato in molte pronunce -, ma deve, piuttosto, operare un più completo controllo di fattibilità giuridica della proposta, verificando il rispetto dei principi giuridici, civili e concorsuali, da cui dipende l'ammissibilità della proposta concordataria.
Nelle argomentazioni poi recepite nelle pronunce successive sia di merito che di legittimità, la valutazione del giudice circa la fattibilità giuridica della proposta si compone di un'indagine da condurre su tre livelli.
Il primo livello di analisi è volto ad accertare il tipo di concordato che è stato proposto, distinguendo tra proposta di concordato liquidatorio oppure in continuità c.d. indiretta e proposta di concordato diretta, essendo noto che, nel primo caso, la percentuale di soddisfazione offerta ai creditori chirografari non è vincolante, a meno che non venga assunto uno specifico obbligo di ripagamento di un determinato importo, mentre, nel secondo caso, la percentuale di soddisfazione offerta ai creditori chirografari è vincolante, consentendo, in caso di mancato effettivo incasso, l'attivazione del rimedio risolutivo.
Il secondo livello di analisi è diretto a valutare se la proposta di concordato sia meritevole d'essere portata all'attenzione dei creditori e, pertanto, non si risolva nella violazione di norme giuridiche imperative. La Suprema Corte muove dalla constatazione secondo cui il giudice deve condurre tutte le verifiche di regolarità della proposta, ai fini di valutarne la compatibilità con le norme imperative ad essa applicabili: innanzitutto, andrà verificata la regolarità della documentazione prodotta assieme alla proposta, ex art. 161, comma 2, l. fall. e la sua completezza, sia sotto un profilo formale che contenutistico (esaustività ed analiticità del piano). Alla verifica di tipo meramente formale deve poi affiancarsi una valutazione circa il rispetto di tutti i profili di diritto da cui dipende l'ammissibilità della proposta, con lo scopo di fornire ai creditori concreti elementi di giudizio, attraverso la presentazione di un piano che sia analitico, esaustivo e conforme ai principi civili e concorsuali applicabili.
Il terzo livello di analisi è volto ad appurare che il piano di concordato sia effettivamente idoneo a realizzare la causa della procedura di concordato preventivo, vale a dire, in assenza di contenuto fisso e predeterminato, che sia finalizzato a consentire il superamento della situazione di crisi del debitore, attraverso il soddisfacimento dei creditori in un lasso di tempo ragionevolmente breve. La massima flessibilità e la libertà nella determinazione del piano concordatario costituiscono cardini della rinnovata disciplina del concordato preventivo (il piano non è più soggetto ad alcun vincolo di tipicità); ciò nondimeno, il giudice dovrà valutare se la proposta sia concretamente idonea ad essere attuata, con un richiamo al concetto di causa in concreto ormai affermatosi in giurisprudenza. La valutazione del giudice quindi deve risolversi in un ulteriore controllo di razionalità delle argomentazioni dell'attestatore, direttamente collegato ad un raffronto tra le argomentazioni proposte dal professionista nella sua relazione asseverata ed i dati del relativo piano.
Posto tutto quanto sopra, la statuizione dei Giudici di legittimità, secondo cui la causa comune a tutti i tipi di concordato va individuata in un pur minimale soddisfacimento dei creditori chirografari in un tempo ragionevole, è per sua stessa natura una statuizione di principio che, come tra l'altro asserito dalla recente pronuncia modenese, deve essere successivamente “colorata” dal giudice di merito nella valutazione del caso concreto.
Emerge quindi la sfida per l'interprete di adattare al caso concreto il principio di diritto con riferimento alla ragionevole durata della procedura e, come nel caso del decreto in esame, all'effettiva capacità del concordato di assicurare il soddisfacimento dei creditori mediante la proposizione di un, se pur minimo e parziale, pagamento.
Sotto un primo profilo, sembra potersi affermare con maggiore certezza che, “laddove elementi di valutazione determinino un'assenza di possibilità di soddisfare i creditori chirografari, si verifica quell'accertamento di impossibilità di soddisfare la causa concreta che spetta comunque al giudice”, di talché il concordato preventivo che non consente l'attribuzione di alcun soddisfacimento ai chirografi è di per sé inammissibile.
Quando invece la proposta prevede un qualche minimo grado di soddisfacimento, occorre registrare l'esistenza di un orientamento in base al quale, invece, spetta al giudice la determinazione della soglia percentuale, al di sotto della quale la soddisfazione dei creditori chirografari diviene “irrisoria” o “irrilevante” (dunque tale da escludere la ricorrenza dalla causa concordataria) con una duplice precisazione: il parametro valutativo non è rappresentato da una soglia percentuale predeterminata e ricorre un'ipotesi d'inammissibilità soltanto nel caso in cui le somme destinate a servizio dei creditori chirografari siano talmente irrisorie da non giustificare l'accesso ad una procedura concorsuale alternativa al fallimento.
In tutti i casi sopra citati, dunque, il giudice non entra nel merito della proposta economica formulata ai creditori, ma si domanda, piuttosto, “se l'offerta in esame non sia manifestamente irragionevole; così da apparire, ma non essere in concreto, una offerta di pagamento parziale”. L'orientamento in esame sembra essere pienamente aderente ai principi sopra descritti per cui, come detto, la causa concreta della procedura di concordato preventivo non ha (anzi, non può avere) contenuto fisso e predeterminato, essendo dipendente dal tipo di proposta che un imprenditore in stato di crisi sottopone ai propri creditori.
Ferme restando le considerazioni che precedono, occorre provare a verificare se il ragionamento proposto dalla giurisprudenza in tema di soddisfacimento minimo dei creditori possa essere spinto alle sue estreme conseguenze, determinando l'esistenza di una soglia minima invariabile di soddisfazione del ceto chirografario, quale condizione di ammissibilità della domanda di concordato preventivo.
Ad una prima, sommaria verifica questa prospettazione potrebbe essere ritenuta ragionevole e addirittura vantaggiosa per una serie di concorrenti, e tutte rilevanti, ragioni: un sistema che preveda una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori è maggiormente intellegibile per il debitore, i creditori ed i professionisti che assistono tali soggetti; consente di conoscere in via preventiva un dato che, ad oggi, costituisce una variabile, rimessa alla discrezione dell'organo giudicante; aiuta il sistema processuale ad indirizzare verso la procedura maggiormente confacente le imprese in crisi e quelle decotte, selezionando in via preventiva le imprese “meritevoli” di accedere alla procedura di concordato, perché, di fatto, capaci di ripagare una minima somma di denaro in favore dei creditori.
Se questo è vero, occorre però chiedersi se sia anche coerente con l'attuale sistema delle procedure concorsuali, nonché conforme all'insegnamento della Suprema Corte di Cassazione, giacché, in caso contrario, potrebbe essere messo in discussione e, forse, essere ritenuto non ammissibile.
Allo scopo di verificare la tesi proposta dai Tribunali di Modena e Bergamo, possono allora immaginarsi quattro prove di resistenza: la prima di fattibilità/convenienza economica, la seconda di classamento, la terza di cram down e la quarta di comparazione con l'alternativo scenario fallimentare.
In ordine alla prima prova di resistenza, merita rammentare il principio per cui la valutazione commissariale di un attivo concordatario inferiore oppure di un passivo concordatario superiore rispetto a quanto indicato nel piano non ne pregiudica automaticamente la fattibilità giuridica oppure non comporta l'emersione d'una ipotesi rilevante nella prospettiva di cui all'art. 173 l. fall., salvo che l'accertata diversa consistenza patrimoniale non ne causi un'effettiva impossibilità di realizzazione del piano concordatario. La statuizione non concerne un'ipotesi di divergenza di valutazioni collegata a circostanze obiettive, quale sarebbe ad esempio l'accertamento di una diversa consistenza giuridica del patrimonio oppure di un occultamento di poste passive, ma un'ipotesi di divergenza di valutazioni collegata a stime prognostiche di realizzo e/o di ricavo, con conseguente possibilità di discussione unicamente in termini di fattibilità economica del piano che deve, comunque, essere sottoposto al voto dei creditori. In altre parole, non può ritenersi che ogni qual volta gli organi della procedura valutino l'attivo concordatario oppure il passivo concordatario in misura inferiore oppure superiore rispetto a quanto indicato nel piano, anche quando divenga incerta (ma non impossibile) la stessa possibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati, ricorre sempre e comunque una fattispecie di assoluta impossibilità di realizzazione del piano; e ciò perché non può escludersi la probabilità di successo economico del piano medesimo. Con il che, le eventuali censure del commissario giudiziale sull'andamento economico futuro dell'attività aziendale oppure sulle stime di realizzo dei beni aziendali oppure ancora sulle consistenze del passivo non sono, sempre e comunque, sindacabili dal Tribunale, non comportando una manifesta irrealizzabilità del piano e spettando unicamente ai creditori la valutazione se votare favorevolmente alla proposta concordataria, nella consapevolezza dei rilevi, anche critici, mossi nella relazione di cui all'art. 172 l. fall.. Così, tuttavia, più non sarebbe se si assumesse l'esistenza di una percentuale fissa di soddisfacimento dei creditori chirografari e questa fosse rispettata in sede di presentazione della proposta, ma poi non confermata nella relazione commissariale, giacché, per coerenza, si dovrebbe concludere che questa mancata conferma equivalga ad una condizione di sopravvenuta inammissibilità della domanda di concordato ed imponga l'attivazione dei rimedi prescritti dall'art. 162 l. fall., con conseguente e finale possibilità d'affermare un sindacato giudiziale invece negato dalla Suprema Corte di Cassazione.
In ordine alla seconda prova di resistenza, va considerato il caso in cui un imprenditore in stato di crisi presenti un domanda di concordato con suddivisione dei creditori chirografari in classi e con indicazione, rispetto ad una o più di queste classi, di una percentuale di soddisfazione inferiore a quella stabilita come minima da un determinato Tribunale, ma, fatta una media tra le percentuali offerte ai vari creditori, di consistenza non modesta. Se si assumesse l'esistenza di una percentuale fissa di soddisfacimento dei creditori chirografari, allora una proposta quale appena ipotizzata dovrebbe essere giudicata inammissibile, giacché una parte dei creditori chirografari, appositamente classati, riceverebbe meno di quello che un determinato Tribunale ritiene ammissibile. Ma così non dovrebbe essere, giacché, come recentemente evidenziato dalla giurisprudenza di merito, ciò che conta al fine di verificare la sussistenza della causa concreta concordataria non è la percentuale offerta alla singola classe, ma quella complessivamente offerta al ceto chirografario, ripartito in modo omogeneo e per comunanza di interessi, anche e soprattutto economici.
In ordine alla terza prova di resistenza, occorre chiedersi se vada giudicata inammissibile una proposta di concordato che preveda una percentuale inferiore a quella stabilita come minima da un determinato Tribunale, ma che, al tempo stesso e nel pieno rispetto dell'ordine delle prelazioni, ne preveda il pagamento mediante il ricorso a finanza esterna, che verrebbe a mancare nello scenario alternativo fallimentare. Al riguardo e prima di dare una risposta alla domanda posta, va ricordato, in linea generale, che il decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (c.d. Decreto Sviluppo), ha significativamente modificato la disciplina concorsuale, intervenendo su numerosi profili, tutti contenuti in un capo rubricato “misure per facilitare la gestione delle crisi aziendali” ed orientati a contenere il ricorso a soluzioni liquidatorie in favore, principale e preferenziale, di soluzioni gestorie concordate. E ciò in vista d'una sempre maggiore privatizzazione dell'insolvenza ed in aderenza alla teoria del c.d. going concern, secondo cui un'impresa operativa genera, a beneficio dei suoi creditori, ricchezza maggiore rispetto a quella ricavabile in un contesto concorsuale liquidatorio. La direttrice dell'intervento riformatore, come anche espressamente dichiarata nella relazione al Decreto Sviluppo, è dunque “quella di incentivare l'impresa a denunciare per tempo la propria situazione di crisi, piuttosto che quella di assoggettarla a misure di controllo esterno che la rilevino”, con l'espresso invito a fare ricorso alla procedura di concordato preventivo. Tutto ciò porta a ritenere che la soluzione liquidativa fallimentare abbia assunto un ruolo marginale, anzi residuale, dovendosi preferire, sino a quando sia giuridicamente ed economicamente possibile, una soluzione concordataria. Così, tuttavia, più non sarebbe se si assumesse l'esistenza di una percentuale fissa di soddisfacimento dei creditori chirografari e questa non fosse rispettata in sede di presentazione della domanda, anche se, grazie all'apporto di finanza esterna, maggiore rispetto a quella ricavabile in sede fallimentare.
Da ultimo, si può ipotizzare una quarta prova di resistenza, che in parte amplia le considerazioni svolte dalla precedente prova, basata su un'analisi comparativa dell'alternativo scenario fallimentare, anche in assenza di finanza esterna. Indubbiamente, uno degli obbiettivi principali delle procedure concorsuali è dato dalla soddisfazione dei creditori, nell'ovvio rispetto delle cause legittime di prelazione e della par condicio creditorum. E' però vero che l'esperienza degli ultimi anni mostra l'affermarsi di un ulteriore (e ragionevole) principio di miglior soddisfacimento dei creditori, nato con riferimento ad ipotesi particolari, ma ritenuto ormai alla stregua di un principio interpretativo generale “di sistema”. E' naturale e legittimo ritenere che la procedura debba tendere alla massima utilità possibile per i creditori, tanto in termini di celerità e speditezza nel riparto, quanto nell'ammontare delle somme attribuibili: se ciò è vero, allora, l'ammissibilità di una bassa soglia di soddisfacimento dei chirografari non potrà che essere valutata anche in opposizione all'alternativo scenario liquidatorio fallimentare, che potrebbe garantire ritorni inferiori, a fronte di un procedimento maggiormente defatigante. Da questo punto di vista, già alcune pronunce di merito hanno ritenuto ammissibili percentuali di soddisfacimento modeste (1 e 3 %), anche in considerazione del fatto che in fase di realizzo fallimentare i creditori non sarebbero riusciti ad ottenere una migliore soddisfazione: con la conseguenza che, ammettendo l'esistenza di una soglia fissa per l'ammissibilità del concordato, si rinuncerebbe ad un soddisfacimento minimo dei creditori per non ottenerne, in prospettiva, alcuno.
Considerando quanto precede, e dunque combinando l'insegnamento dei giudici di legittimità e i principi ispiratori della riforma della disciplina delle procedure concorsuali, è ragionevole concludere nel senso che il sistema concorsuale non preveda ancora che un imprenditore in stato di crisi debba proporre e rispettare, quale condizione d'ammissibilità della propria domanda di concordato preventivo, una percentuale minima e fissa di soddisfazione dei creditori chirografari.
Ciò nondimeno, occorre chiedersi se le decisioni adottate dal Tribunale di Bergamo e, prima di esso, dal Tribunale di Modena possano essere comunque confermate alle luce delle specifiche situazioni. Nel primo caso, come anticipato, una società aveva depositato una domanda di concordato preventivo che è stata giudicata inammissibile, con conseguente pronuncia di sentenza dichiarativa di fallimento, poi revocata e tale da riaprire la procedura originaria nella quale non solo non viene modificata la domanda proposta già giudicata inammissibile, ma questa viene formulata in modo tale che, di là dalla percentuale indicata, non risulta oggettivamente idonea a consentire il pagamento dei creditori chirografari e, addirittura, di parte dei creditori privilegiati generali. Nel secondo caso, il debitore aveva proposto una degradazione dei crediti dei professionisti al rango chirografario in assenza di una valida motivazione e senza rispettare il principio, in rapporto al termine biennale, dell'unicità della prestazione di consulenza ed assistenza.
Avuto riguardo alle fattispecie concrete, appare evidente che i giudici di Bergamo e di Modena, nell'affermare il principio dell'esistenza di una soglia percentuale, minima e fissa, di soddisfazione dei creditori chirografari, abbiano correttamente inteso sanzionare due ipotesi concordatarie c.d. “abusive”. Al riguardo, non sfugge come la giurisprudenza in materia di abuso del diritto viva una seconda giovinezza dopo la celebre Cass., 18 settembre 2009, n. 20106 e che, al contempo, la giurisprudenza abbia anche affermato la piena applicabilità al sistema del diritto concorsuale di tale istituto, che mira a censurare i casi in cui gli istituti tipizzati dal legislatore siano deviati dalla loro funzione tipica. I risultati cui si è pervenuti in materia di abuso del diritto nelle procedure concorsuali sono noti, in particolar modo in tema di successione di domande di concordato e di impiego dello strumento della domanda di concordato c.d. “in bianco” con scopo dilatorio rispetto a precedenti istanze di fallimento o per effettuare pagamenti di crediti anteriori all'apertura della procedura.
Con riferimento al tema della percentuale di realizzo dei creditori chirografi, non si può escludere che, con un ragionamento “rovesciato”, un imprenditore che non sia in grado di proporre una percentuale di realizzo apprezzabile per i chirografari versi non soltanto in stato di crisi, ma sia già insolvente, da ciò derivandone le varie conseguenze, eventualmente anche di natura penale, ricollegabili al possibile fallimento. In continuità con lo spirito delle giurisprudenze sin qui citate, quindi, appare corretto che un giudice sanzioni la proposta di concordato che, anche all'esito delle quattro prove di resistenza sopra ipotizzate, sia comunque stata presentata dall'impresa decotta per finalità diverse da quelle proprie della procedura (ad es., con il solo obiettivo di bloccare eventuali domande di fallimento e dilatare i tempi di soddisfacimento per i creditori). La valutazione sull'abusività della proposta di concordato, però, può prescindere dalla fissazione di una soglia minima di soddisfazione dei creditori, in quanto basata esclusivamente sulla verifica circa l'uso distorto dello strumento concordatario. Nei due casi analizzati dai giudici di Modena e Bergamo, dunque, si può ritenere che la medesima soluzione adottata dai giudici si sarebbe potuta raggiungere anche all'esito di un diverso percorso argomentativo.
La conclusione finale dovrebbe, quindi, essere che il sistema concorsuale non prevede che un imprenditore in stato di crisi deve proporre, quale condizione d'ammissibilità della propria domanda di concordato preventivo, una percentuale minima e fissa di soddisfazione dei creditori chirografari, spettando al giudice il potere (e, in alcuni casi, il dovere) di sanzionare condotte abusive, le conseguenze delle quali non dovrebbero però essere collegate ad una misura predeterminata di ripagamento dei creditori non assistiti da cause di prelazione.

Conclusioni

La statuizione per cui una percentuale inferiore alla soglia del 3% dev'essere considerata, ex se, giuridicamente inammissibile, siccome inidonea a garantire la realizzazione della causa del concordato preventivo ed a consentire al debitore di accedere al beneficio dello strumento del concordato preventivo, non appare coerente con l'attuale sistema concorsuale e con i principi dettati dalla Suprema Corte di Cassazione, spettando comunque al giudice il potere (e, in alcuni casi, il dovere) di sanzionare condotte abusive, le conseguenze delle quali non dovrebbero però essere collegate ad una misura predeterminata di ripagamento dei creditori non assistiti da cause di prelazione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Sul sindacato del Tribunale sulla fattibilità del piano di concordato: in giurisprudenza, Cass., 26 giugno 2014, n.14552; Cass., 30 aprile 2014, n. 9541; Cass., 6 novembre 2013, n. 24970; Cass., 25 settembre 2013, n. 21901; Cass., 27 maggio 2013, n. 13083; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521; App. Milano, 25 ottobre 2013, ilFallimentarista.it, 2014; Trib. Busto Arsizio, 29 maggio 2013, in ilFallimentarista.it, 2014; Trib. Siracusa, 15 novembre 2013, in ilFallimentarista.it, 2014; in dottrina e tra i molti possibili riferimenti, R. Amatore, Mancata omologazione del concordato preventivo per non realizzabilità della “causa in concreto”, in ilFallimentarista.it, 2014; F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, in Fall., 2013, 279; A. Didone,, Le Sezioni unite e la fattibilità del concordato preventivo, in Dir.Fall., 2013, 1; A. Di Majo, La fattibilità del piano concordatario nella lettura delle Sezioni Unite, in Fall., 2013, 279; A. Farolfi, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del Tribunale, in ilFallimentarista.it, 2014; G. Fauceglia, La Cassazione ed il Concordato preventivo, in Giur. It., 2013, 2538; D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo; prove tecniche di action finium regundiorum, in www.ilfallimentarista.it, 2014; G.B. Nardecchia, La fattibilità del concordato preventivo al vaglio delle sezioni unite, in Fall., 2013, 185; I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano dopo la sentenza del 23 gennaio 2013, in Fall., 2013, 286; M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, in ilFallimentarista.it, 2013. La tematica è oggetto di approfondimento anche nella manualistica più recente, tra cui si può rimandare al Commento sub. Art. 161 in Ferro, La legge fallimentare, Padova 2014 e Amatore-Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 143 ss.. Sulla percentuale di soddisfazione dei creditori chirografari: Trib. Terni, 26 gennaio 2015, inedita; Trib. Torino, 20 maggio 2014, in ilcaso.it; App. Genova, 9 gennaio 2014, in ilcaso.it; Trib. Pesaro, 13 novembre 2014, in ilcaso.it; Trib. Modena, 3 settembre 2014, in ilcaso.it; Trib. Palermo, 4 giugno 2014, in ilcaso.it; Trib. La Spezia 19 settembre 2013, in ilcaso.it, Trib. Rovigo, 3 dicembre 2013, in ilFallimentarista.it, Trib. Sant'Angelo dei Lombardi, 7 maggio 2013, in expartecreditoris.it; Trib. Firenze, 27 luglio 2012, in ilcaso.it. Si può inoltre richiamare un pioneristico precedente in materia di offerta irrisoria ai creditori chirografari in Trib. Roma, 16 aprile 2008, in Dir. Fall., 2008, 550 e Banca, Borsa, tit. cred., 2009, 732, con nota di Macario, e con un corposo approfondimento in S.Ambrosini, L'ammissione al concordato, in AA.VV., Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, vol. IV, Le altre procedure concorsuali, Torino, 2014, 241 ss
In materia di abuso del diritto, è possibile richiamare pronunce ed analisi dottrinali che hanno avuto specifico riguardo alle concordato preventivo. Si segnalano in primo luogo le considerazioni generali contenute in Trib. Milano 12 giugno 2014, in ilFallimentarista.it, con nota di M. Furno, Il sindacato di legittimità sostanziale e la verifica dell'abuso del diritto nella proposizione della domanda di concordato. Si vedano poi, in giurisprudenza, App. Salerno 28 luglio 2014 in ilcaso.it; Trib. Prato 24 aprile 2013, in ilcaso.it; Trib. Pesaro 26 luglio 2013, in ilcaso.it; Trib. Prato 24 aprile 2013, in dirittodegliaffari.it; Trib. Forlì 15 marzo 2013, in ilFallimentarista.it; Trib. di Messina 1 febbraio 2013 e Trib. Monza 15 gennaio 2013, entrambe in ilcaso.it e; il tema inoltre è analizzato anche nella giurisprudenza di legittimità; si vedano, al riguardo, Cass., 15 settembre 2011, n. 18864; Cass., 29 luglio 2011, n. 16738; Cass., 23 giugno 2011, n. 13817; Cass., 10 febbraio 2011, n. 3274 tutte reperibili in Banca dati DeJure. In dottrina, ex multis, Farina, Il nuovo regime della domanda di concordato preventivo: abuso del diritto ed effetti sulle procedure esecutive e cautelari, in Dir. Fall., 2013, 72; Lamanna, Possibilità di “consecutio” solo unidirezionale tra pre-concordato e concordato. Profili di abuso del diritto, in ilFallimentarista.it, 6/02/2013; Id., Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcordato, di concordato e di omologa di accordi, in ilFallimentarista.it, 13/11/2013; Macrì, L'abuso del diritto nel concordato con riserva, in Fall., 2014, 13; Penta, L'abuso dello strumento concordatario, in Dir. Fall., 2014, 116.

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