Il classamento dei creditori: omogeneità giuridica ed interessi economici

13 Aprile 2015

Nel concordato preventivo il controllo del tribunale sulla formazione delle classi è finalizzato a garantire una formazione genuina della maggioranza.Poiché il classamento deve avvenire secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, ex art. 160 l. fall., il sindacato deve rilevare quelle disomogeneità che siano funzionali all'espressione del diritto di voto, cioè quelle disomogeneità che portano un soggetto ad esprimersi in senso difforme per la tutela di un interesse singolare proprio e diverso da quello degli altri appartenenti alla classe.
Massima

Nel concordato preventivo il controllo del tribunale sulla formazione delle classi è finalizzato a garantire una formazione genuina della maggioranza.


Poiché il classamento deve avvenire secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei, ex art. 160 l. fall., il sindacato deve rilevare quelle disomogeneità che siano funzionali all'espressione del diritto di voto, cioè quelle disomogeneità che portano un soggetto ad esprimersi in senso difforme per la tutela di un interesse singolare proprio e diverso da quello degli altri appartenenti alla classe.

In tema di rapporti tra procedure concorsuali, pur dovendosi escludere che vi sia una necessaria prevalenza del concordato preventivo rispetto al fallimento, bensì un fenomeno di consequenzialità eventuale di quest'ultimo all'esito negativo della procedura concordataria, una volta che l'esigenza di coordinamento sia stata espressa dal primo giudice nella direzione di una previa definizione del concordato, l'accertamento di vizi del decreto di inammissibilità del concordato può legittimare una revoca, ex art. 18 l. fall., anche della successiva sentenza di fallimento, posto che l'esito positivo della prima procedura avrebbe impedito la pronuncia della sentenza.

Il caso e la decisione

Con la sentenza in commento la Corte d'Appello di Roma ha accolto i reclami avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di una società operante nel settore della comunicazione radiotelevisiva (di seguito, per brevità, “la Società”) promossi, oltre che dalla Società, dai soci, da tre creditori della stessa e dall'amministratore giudiziario della quota societaria pari al 98% del capitale sociale, e per l'effetto ha revocato tanto la declaratoria di fallimento, emessa dal Tribunale di Roma in data 10 aprile 2014, quanto il decreto di improcedibilità del ricorso per concordato preventivo reso dal Tribunale di Roma in pari data.
Si trattava, nella specie, di un concordato avente quale oggetto della proposta la cessione di beni ai creditori con: (i) pagamento integrale dei creditori prededucibili e privilegiati; (ii) pagamento dei creditori chirografari appartenenti alla prima classe nella misura del 100% (la proposta non garantiva il pagamento di tali creditori nella misura del 100% e prevedeva altresì che l'eventuale esubero dal loro soddisfacimento integrale sarebbe stato di spettanza della Società tornata in bonis); (iii) pagamento dei creditori chirografari della seconda classe, in denaro nella misura dello 0,1%, e per il 99,9% mediante cessione del 20% delle quote della Società tornata in bonis, da ripartire tra i creditori stessi pro quota.
La seconda classe di creditori era composta esclusivamente da tre creditori, due dei quali fornitori di beni e servizi, uno finanziatore nel contenzioso pendente tra la Società e lo Stato italiano, ritenuti nella proposta di concordato portatori di un interesse omogeneo per aver sostenuto economicamente la Società - sebbene con modalità diverse -, facendo affidamento sulle sue possibilità di sviluppo.
Il Tribunale di Roma: (i) ha ritenuto non corretto il criterio di formazione delle classi per difetto del requisito di omogeneità delle posizioni giuridiche dei creditori facenti parte della seconda classe (trattandosi in parte di crediti derivanti da forniture, in parte di crediti derivanti da puri finanziamenti, in parte di crediti contestati, in parte di crediti non contestati) e per carenza di un interesse economico in capo ai creditori della medesima classe, attesa la natura liquidatoria del piano di concordato; ha inoltre rilevato (ii) che non era provato il raggiungimento di un'intesa con tali creditori sul trattamento loro riservato, e (iii) che difettava una stima attendibile al fine di verificare se la quota societaria del 20% loro offerta potesse considerarsi satisfattiva del 99,9% del loro credito, concludendo conseguentemente per l'inammissibilità della domanda di concordato e, con separata sentenza, per il fallimento della Società.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La Corte d'Appello ha superato la ricostruzione operata dal Tribunale ed ha accolto i reclami rilevando in primo luogo come i creditori della seconda classe, con la proposizione del reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, avessero espressamente accettato la postergazione operata dalla proposta concordataria, così svuotando di significato l'argomento svolto dal Tribunale sub (ii).
La Corte ha inoltre ritenuto rispondente al requisito della omogeneità di interessi economici di cui all'art. 160, comma 1, lett. c) l'interesse economico individuato nel piano in termini di “sostegno finanziario da molti anni offerto” alla Società dai tre creditori appartenenti alla seconda classe, assunto altresì come non incompatibile con il carattere liquidatorio della proposta concordataria, in quanto tale proposta prevedeva espressamente la restituzione alla società debitrice di quanto risultasse in eccedenza dal soddisfacimento integrale dei creditori chirografari della prima classe, ed ha infine superato la censura del Tribunale sulla carenza di omogeneità di posizione giuridica in ragione della natura contestata di uno soltanto dei crediti appartenenti alla classe qualificandolo come dato formalistico e marginale, non rilevante rispetto alla ritenuta “indubbia omogeneità di motivazione al voto“ .
Il Giudice del reclamo, infine, ha superato anche il rilievo del Tribunale sul difetto di prova della ragionevole possibilità di soddisfacimento dei creditori della seconda classe, argomentando nel senso che l'informazione resa dalla Società proponente il concordato con le perizie e la relazione attestativa del professionista doveva ritenersi più che sufficiente ad illustrare ai creditori della seconda classe l'alea della proposta concordataria medesima e a consentire loro l'espressione di un voto adeguatamente informato. Quanto sopra non senza aver escluso, nel caso di specie, la sussistenza del rischio che il ricorso al classamento fosse strumento per determinare abusivamente la formazione della maggioranza necessaria all'approvazione del concordato in quanto, essendo le classi soltanto due, l'approvazione del concordato dipendeva dal raggiungimento della maggioranza in entrambe le classi.

Osservazioni

La pronuncia in esame è di estremo interesse in quanto offre occasione di riflessione su uno strumento, quello del classamento dei creditori, sicuramente innovativo nel dettato normativo italiano (l'istituto è infatti ispirato all'esperienza normativa statunitense e tedesca), ma nella prassi non ampiamente utilizzato anche in ragione delle incertezze interpretative ingenerate dalla genericità del concetto di “posizione giuridica e interessi economici omogenei” introdotto dall'art. 160, primo comma, lett. c), l. fall., incertezze che si riverberano sulla portata della “valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle classi” riservata al tribunale in sede di delibazione sull'ammissibilità stessa della proposta.
La Corte, traendo spunto da una delle poche pronunce di legittimità in materia (la sentenza n. 13284 del 26 luglio 2012) e condividendone le premesse, mostra in primo luogo di aderire all'orientamento di parte della dottrina (De Simone, Formazione delle classi dei creditori e controllo giudiziale, in il caso.it, 2011; Ferro, art. 163 L. Fall., in La legge Fallimentare, Padova, 2007; Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Torino, 2011, 331; Lo Cascio, L'intervento correttivo ed integrativo del D.lgs. 5/2006, in Fall.,2009, 1132; Lo Cascio, Art. 163 L. Fall., in Codice Commentato del fallimento, 2013; Nardecchia, Le classi e la tutela dei creditori nel concordato preventivo, in Giur. Comm., 2011, I, 83), secondo il quale l'osservanza dei criteri di omogeneità della posizione giuridica e degli interessi economici deve essere verificata con riferimento ad entrambi i criteri - che devono quindi sussistere congiuntamente e non alternativamente -, nonché all'opinione che l'omogeneità della posizione giuridica non si esaurisca nella distinzione tra crediti privilegiati e chirografari, ma si estenda alla considerazione della natura oggettiva del credito (e quindi, a titolo esemplificativo, alla natura contestata o meno degli stessi, all'esistenza o meno di un titolo esecutivo ecc.). Tuttavia, pur affermando tali principi, la Corte conclude nel senso della necessità sia di evitare di attribuire rilievo a dati “formalistici”, sia di superare non giustificate “rigidità” (evidenziate le espressioni che si leggono nella pronuncia in commento ), illustrando con estrema chiarezza la ratio cui deve ispirarsi il controllo del tribunale, identificata con l'obiettivo di assicurare che con la formazione delle classi non sia leso l'ordine di graduazione dei privilegi e non vi siano rischi di formazioni abusive della maggioranza. Sulla base di queste premesse la Corte ha da un lato correttamente ritenuto marginale, e non idonea a far venire meno il requisito della omogeneità giuridica, la circostanza che solo uno dei crediti appartenenti alla seconda classe fosse contestato (si trattava infatti di un credito che per la sua entità – assai inferiore a quella degli altri due creditori – non era idoneo ad incidere sulla maggioranza). Dall'altro lato, pur non rifuggendo, in astratto, da quello che è stato definito un approccio “interventista” (per tale terminologia, Minutoli, Il controllo giudiziale sul mancato o insufficiente “classamento” dei creditori: il punto nella prassi e nella dottrina, in Fall., 2010, 43 e ss.) in materia di classi creditorie - che legittima il giudice a reprimere eventuali abusi del procedimento, per il tramite del richiamo alla categoria, a lungo silente, ed oggi riscoperta in svariati settori del diritto (si citano, tra gli ultimi contributi, gli Atti del Convegno “Compliance normativa e abuso del diritto: una difficile convivenza. L'esame della fattispecie in una prospettiva intersettoriale", pubblicati in Il nuovo diritto delle società, n. 20/2014) - dell'abuso del diritto, la Corte ha escluso, in concreto, il rischio della formazione abusiva della maggioranza in ragione della considerazione che nel caso di specie l'approvazione del concordato richiedeva il raggiungimento della maggioranza in entrambe le classi, essendo esse soltanto due. Allo stesso modo, nel concludere per la sussistenza del requisito dell'omogeneità dell'interesse economico, la Corte ha fatto applicazione dell'assunto, ampiamente affermato in dottrina e in giurisprudenza, secondo il quale tale omogeneità deve valutarsi in relazione al piano in concreto proposto, ravvisandolo nel caso di specie, così come prospettato nella proposta concordataria, nel sostegno finanziario da molti anni offerto alla Società dai tre creditori riuniti nella seconda classe, a prescindere quindi dalle modalità in cui tale sostegno è stato dato e dalla tipologia dell'attività svolta dalle creditrici (delle quali due erano fornitori di beni e servizi, ed una un finanziatore “puro”), e facendo in tal modo acquisire rilevanza ad una categoria più ampia, individuata dal giudicante nella “motivazione al voto”, comune a tutti gli appartenenti alla classe. In altri termini, la sentenza in commento può ben definirsi un pregevole esempio di equilibrio e di contemperamento tra rigore giuridico e flessibilità di giudizio nel caso concreto - che presentava oggettive particolarità - sotto la guida della ratio dell'istituto come sopra individuata. Un ultimo cenno meritano due questioni di natura processuale pure affrontate dalla sentenza in esame, l'una attinente al coordinamento tra la procedura di concordato e quella di fallimento, e l'altra relativa alla legittimazione all'impugnazione della sentenza di fallimento da parte di due soci e dell'ex amministratore della società dichiarata fallita. Quanto al primo aspetto, la Corte, per effetto dei vizi del decreto di inammissibilità del concordato, ha revocato la sentenza dichiarativa di fallimento, sul presupposto che il Giudice Delegato, nell'esercizio del suo potere di coordinamento tra la procedura concordataria e l'istruttoria fallimentare, si era riservato di provvedere sull'istanza di fallimento all'esito della definizione del procedimento di concordato. Così facendo la Corte si è attenuta, esplicitamente, all'orientamento della giurisprudenza maggioritaria, e ai principi espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, n. 1521/2013, secondo la quale il principio della prevenzione della procedura concordataria rispetto al fallimento deve ritenersi superato alla luce del novellato art. 160 l. fall., sussistendo tra le due procedure una mera esigenza di coordinamento, che deve essere assolta dal Giudice verificando in concreto che la soluzione pattizia proposta con il concordato non esprima un proposito meramente dilatorio manifestando un abuso di diritto del debitore. Occorre segnalare, peraltro, che la questione è tutt'altro che risolta, essendo stata nuovamente portata al vaglio delle Sezioni Unite con l'ordinanza resa in data 30 aprile 2014, n. 9476 dalla Sezione I della Corte di Cassazione che, in disaccordo con le precedenti pronunce, ed invocando il dato letterale degli artt. 161, comma 10, 162, comma 2, 173 e 180, l. fall., afferma invece la sopravvivenza del suddetto principio di prevenzione e, dunque, la natura impeditiva della procedura concordataria alla declaratoria di fallimento. Anche sulla questione della legittimazione dei soci ed ex amministratori ad impugnare il provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato e la successiva declaratoria di fallimento la Corte d'appello ha mutuato la posizione della costante giurisprudenza. E' invero largamente condiviso in dottrina e in giurisprudenza che tra gli interessati all'impugnazione ai sensi dell'art. 18 l. fall., e quindi tra i titolari di quelle posizioni giuridiche alle quali potrebbe derivare pregiudizio dalla procedura fallimentare, rientrino tanto gli ex amministratori, passibili di effetti pregiudizievoli sul piano morale (in relazione ad eventuali contestazioni di reati) e patrimoniale (in relazione ad eventuali azioni di responsabilità), quanto i soci, alla luce della posizione creditoria che la loro qualità comporta (Maffei – Alberti, Art. 18 L. Fall, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013; Pajardi, Art. 18 L. Fall., in Codice del Fallimento, Milano, 2013; Cass. Civ., 24 febbraio 1997, n.1663).

Minimi riferimenti bibliografici e giurisprudenziali

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i riferimenti dottrinali e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

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