La “discontinuità” tra concordato in bianco e concordato “pieno”: un evidente abuso processuale

07 Aprile 2015

Non può ravvisarsi alcuna continuità e consecuzione tra una domanda di concordato “in bianco” già dichiarata inammissibile per mancato deposito nel termine della proposta definitiva, ed una successiva domanda di concordato “pieno”, in considerazione del fatto che il concetto di consecuzione concerne l'ipotesi in cui ad una procedura concorsuale minore faccia seguito il fallimento. Né a tale affermazione si può pervenire sulla base dell'abrogazione del comma 3-quater dall'art. 11 D.l. 145/2013, in quanto detta modifica non ha reso automaticamente prededucibili i crediti sorti in occasione della procedura di concordato “in bianco”, dovendosi in ogni caso procedere ad una valutazione concreta della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della prededuzione medesima.
Massima

Non può ravvisarsi alcuna continuità e consecuzione tra una domanda di concordato “in bianco” già dichiarata inammissibile per mancato deposito nel termine della proposta definitiva, ed una successiva domanda di concordato “pieno”, in considerazione del fatto che il concetto di consecuzione concerne l'ipotesi in cui ad una procedura concorsuale minore faccia seguito il fallimento. Né a tale affermazione si può pervenire sulla base dell'abrogazione del comma 3-quater dall'art. 11 D.l. 145/2013, in quanto detta modifica non ha reso automaticamente prededucibili i crediti sorti in occasione della procedura di concordato “in bianco”, dovendosi in ogni caso procedere ad una valutazione concreta della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della prededuzione medesima.

Anche in una ipotesi di concordato “in continuità” non è ammissibile – in assenza di transazione fiscale o di accordo specifico con il creditore privilegiato – una proposta di concordato che contempli la dilazione nel pagamento del credito del creditore privilegiato, in quanto anche la facoltà di inserire una moratoria sino ad un anno per il pagamento dei creditori privilegiati – prevista dall'art. 186-bis l. fall. - deve essere interpretata nel senso che la facoltà di avvalersi della moratoria venga meno quando sia prevista la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione.

Il caso

Un'impresa deposita, nel febbraio 2014, un ricorso “in bianco” ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., ottenendo la regolare assegnazione del termine per il deposito della proposta definitiva sino a giugno. Nel termine assegnato, tuttavia, nessuna proposta viene depositata e pertanto, con decreto del 27 luglio, il Tribunale dichiara la proposta inammissibile, e, poiché nelle more sono state presentate due istanze di fallimento, dà corso al procedimento ex art. 15 l. fall., il quale (così si legge nel decreto) “è stato trattenuto a riserva per la decisione all'udienza del 21.10.2014”.
L'impresa, tuttavia, deposita in data 10 agosto una domanda – stavolta “piena” – di ammissione alla procedura di concordato. Per quel che qui interessa, l'impresa impernia il piano sulla continuità aziendale, ma con dismissione di un bene immobile (sede di uno degli stabilimenti) ritenuto non strategico. Ulteriormente viene e prevedere il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati Erario ed Enti previdenziali mediante corresponsione di rate sino al 2018, nonché il pagamento del creditore ipotecario (già assoggettato a falcidia) “nel corso” dell'anno 2018.
Ottenuti i necessari chiarimenti, il Tribunale di Asti ha dichiarato la inammissibilità della proposta ed ha proceduto separatamente per la declaratoria di fallimento.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Per quanto la declaratoria di inammissibilità sia stata adottata sulla base di una serie di molteplici ragioni (non ultima la presenza di una attestazione caratterizzata da gravi carenze, e la presentazione di una situazione patrimoniale dell'impresa non aggiornata), in questa sede preme concentrare l'attenzione su due questioni di particolare interesse, affrontate dalla decisione in esame, e cioè:
1) se tra due diverse domande di concordato preventivo (una delle quali dichiarata inammissibile) sia configurabile una “consecuzione”; e se, conseguentemente, sia possibile (anche in virtù della abrogazione – ad opera dell'art. 22, comma 7, del D.l. 24 giugno 2014, n. 91 – della norma di interpretazione autentica dell'art. 111, comma 2, l. fall. contenuta nel D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 “Destinazione Italia”, poi convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e cioè della norma che garantiva la prededuzione ai crediti “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali (…) alla condizione che la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo del citato articolo 161 siano presentati entro il termine, eventualmente prorogato, fissato dal giudice e che la procedura sia aperta ai sensi dell'articolo 163 del medesimo regio decreto, e successive modificazioni, senza soluzione di continuità rispetto alla presentazione della domanda ai sensi del citato articolo 161, sesto comma”) riconoscere nella seconda procedura la prededuzione ai crediti sorti in occasione della prima;
2) se sia ammissibile - in una ipotesi di concordato “in continuità” – la previsione del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati mediante vera e propria rateizzazione su un arco temporale superiore all'anno e se sia possibile prevedere una dilazione del pagamento del creditore ipotecario superiore all'anno dall'omologa, nonostante la previsione di liquidazione del bene gravato dall'ipoteca.
A tali quesiti, il Tribunale di Asti, ha replicato con i seguenti principi.
1) Deve escludersi qualunque continuità tra un concordato in bianco già dichiarato inammissibile e la successiva procedura di concordato. In primo luogo si deve ritenere che, in caso di declaratoria di inammissibilità della procedura di concordato in bianco per mancata presentazione della documentazione nel termine fissato dal Tribunale, gli effetti della procedura di concordato cessino alla data di scadenza di tale termine, e non già per effetto del solo decreto di inammissibilità (con la conseguenza che nel concreto doveva escludersi quella “esiguità dello iato temporale” su cui aveva insistito l'impresa ricorrente). In secondo luogo, il concordato in bianco non costituisce “una vera e propria procedura concorsuale” bensì “una domanda attraverso la quale il debitore “prenota” alcuni effetti tipici del concordato preventivo”, ed i cui effetti sono destinati a stabilizzarsi solo ove poi avvenga l'ammissione alla procedura di concordato pieno. In questo senso, l'abrogazione della norma di interpretazione autentica di cui al comma 3-quater dell'art. 11 del D.l. 23 dicembre 2013, n. 145 non deve essere letta come affermazione del principio per cui, qualora successivamente alla declaratoria di inammissibilità di una procedura di concordato un'impresa sia ammessa immediatamente dopo ad un nuovo concordato, tutti i crediti sorti in occasione o in funzione della prima si debbano automaticamente vedersi riconosciuta la prededuzione. Per contro si impone la “scrupolosa verifica, nell'ambito della procedura fallimentare, della sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della medesima (es. atti di straordinaria amministrazione preventivamente autorizzati, crediti sorti sulla base di atti legalmente compiuti, ecc.)”. Da ultimo si deve rilevare che il meccanismo della consecuzione concerne le ipotesi in cui una o più procedure concorsuali minori precedano il fallimento, e non può essere applicato al caso portato al vaglio del tribunale piemontese.
Secondo il provvedimento in esame, il riconoscimento, nella proposta di concordato pieno, della prededuzione a tutti i crediti sorti durante il concordato in bianco si traduceva, quindi, nel caso concreto in “una violazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione (cfr. artt. 2741 c.c. e 160, comma secondo, l.fall.), atteso che i relativi crediti di natura chirografaria otterrebbero soddisfazione integrale e anticipata rispetto a quelli di natura privilegiata”.
2) In assenza di transazione fiscale e/o di accordo mediante il quale il creditore privilegiato acconsenta espressamente alla dilazione, la proposta di concordato non può prevedere, a pena di inammissibilità, il pagamento dilazionato del credito privilegiato, neppure controbilanciando tale dilazione con il riconoscimento del diritto di voto ai creditori, attesa l'assenza di una previsione che contempli il diritto di voto dei privilegiati il cui pagamento sia differito.
Non diversamente, qualora il piano preveda la liquidazione del bene gravato dall'ipoteca, il pagamento del creditore ipotecario non può essere oggetto di una dilazione (per di più superiore all'anno), in quanto la previsione della moratoria di un anno contemplata dall'art. 186-bis l. fall., non può operare quando sia prevista la liquidazione dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione, potendosi in questo caso immaginare una moratoria “nei limiti temporali strettamente necessari alla predisposizione delle condizioni per la liquidazione del bene, quali ad es lo sgombero dello stesso”.

Osservazioni

Il primo dei principi enunciati dal provvedimento in esame appare del tutto condivisibile. Non è possibile, in questa sede, ripercorrere nel dettaglio la tormentata vicenda della consecutio, la cui ammissibilità, anche a seguito della riforma della Legge Fallimentare è stata oggetto di un ampio dibattito (soprattutto in considerazione dell'ormai evidente diversificarsi dei presupposti del concordato e del fallimento). Il problema affrontato dal Tribunale astigiano, peraltro, tocca un profilo ben più specifico e delicato, in quanto il provvedimento viene ad occuparsi della configurabilità non della consecuzione “tradizionale” tra concordato e fallimento, bensì della possibilità di immaginare tale meccanismo tra procedure concorsuali c.d. “minori” (in particolare tra procedure concordatarie). A ben vedere, anzi, il provvedimento si occupa del problema più specifico della configurabilità della consecutio tra preconcordato e successivo concordato proposto ex novo.
Come è dato comprendere dalla motivazione, in realtà, il problema specificamente affrontato dalla decisione – e cioè se i crediti sorti in pendenza di un preconcordato poi dichiarato inammissibile godano della prededuzione nel concordato successivamente proposto – è stato “rinfocolato” dall'abrogazione del comma 3-quater dell'art. 11 del D.l. 23 dicembre 2013, n. 145, e cioè di quella previsione che, con interpretazione autentica, stabiliva, nel caso di deposito di un preconcordato, la prededuzione per i crediti “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali” alla sola condizione del rispetto del termine stabilito dal Tribunale per il successivo deposito di documentazione, proposta e piano. Di tale intervento abrogativo era possibile una interpretazione alternativa: quella (suggerita dai proponenti) di una sorta di “sdoganamento” generale della prededuzione dei crediti, con conseguente riconoscimento di tale status anche ai crediti contratti nel corso del preconcordato poi dichiarato inammissibile nell'ambito del concordato proposto successivamente, alla sola condizione dell'assenza di una soluzione di continuità; quella restrittiva (poi adottata dal Tribunale) secondo cui l'abrogazione della norma di interpretazione autentica è venuta di fatto a ripristinare i limiti generali in tema di prededuzione, permettendo ai crediti sorti nella precedente procedura di approdare alla procedura concordataria successiva con il beneficio della prededuzione esclusivamente in presenza dei presupposti di cui all'art. 182-quinquies l. fall.
In realtà, come osserva correttamente il tribunale, appare dubbia la stessa configurabilità di una consecutio tra un preconcordato poi arrestatosi prima della sua integrazione, e la successiva nuova proposta concordataria, proprio perché il c.d. “preconcordato”, ben lungi dall'essere una vera procedura, è, semplicemente, un meccanismo di anticipazione degli effetti dell'unica vera procedura, e cioè il concordato che dovrebbe inaugurarsi, appunto, con deposito di piano, proposta e documentazione definitivi. L'arresto del preconcordato prima che esso sfoci nella procedura “piena”, quindi, impedisce di ipotizzare una qualunque continuità con una procedura successiva (il “nuovo” concordato) la cui riconducibilità (nei contenuti concreti, e soprattutto nel piano) al precedente “tentativo”, peraltro, risulterebbe perfino indimostrabile, esponendo, conseguentemente, i creditori al rischio di arbitrarie violazioni di quell'ordine legittimo delle cause di prelazione che deve essere rispettato anche in sede concordataria.
Il che, si può osservare per completezza, significa affermare non solo che l'abrogata norma di interpretazione autentica altro non faceva se non esprimere un principio già ampiamente desumibile dal quadro normativo, ed in nessun modo permetteva di prospettare invece un consecuzione in una fattispecie in cui tale consecuzione non era ravvisabile; ma anche, che l'interpretazione nello specifico suggerita dai proponenti, di fatto, si sarebbe tradotta nello scardinamento e superamento dei rigorosi meccanismi di salvaguardia complessiva del sistema delle cause di prelazione comunque indirettamente confermato dagli artt. 182-quater e quiquies l. fall. nel momento in cui limitano rigorosamente la possibilità di contrarre debiti assistiti dalla prededucibilità nell'ambito del concordato.
Da questo punto di vista, le (non del tutto convincenti) argomentazioni del Tribunale di Asti in ordine alla sussistenza di uno iato temporale sufficientemente significativo tra declaratoria di inammissibilità del “preconcordato” e successiva domanda di concordato “pieno” appaiono perfino superflue, in quanto il loro articolarsi presupporrebbe comunque l'ammissibilità di una consecuzione che va invece esclusa in radice. In radice, in quanto deve ribadirsi il principio della discontinuità (non temporale bensì) funzionale tra un preconcordato “naufragato” per mancata integrazione della documentazione ed un successivo concordato proposto ex novo ed i cui contenuti in alcun modo potrebbero ritenersi ricollegabili ad una proposta concordataria rimasta indeterminata.
Un'ultima osservazione appare, tuttavia, inevitabile. Non sono ben chiare le ragioni per cui, dichiarata inammissibile la domanda di concordato in bianco il 25 luglio, il tribunale abbia “trattenuto a riserva per la decisione” il procedimento per la dichiarazione di fallimento, giungendo alla data di ottobre. Dal decreto, invero, si desume che erano state proposte due istanze di fallimento, una il 12 maggio, ed una il 26 giugno. Sfuggono i motivi per cui la declaratoria di inammissibilità del primo concordato non sia stata fatta seguire immediatamente da una declaratoria di fallimento sulla quale, in teoria, il contraddittorio si poteva già essere sviluppato. Appare evidente, in quest'ottica, che, proprio allo scopo di evitare condotte dilatorie (quale, in sostanza, appare quella di presentare una seconda proposta di concordato a pochi giorni dalla inammissibilità della prima), la decisione sulle eventuali istanze di fallimento presentate in corso di procedura di concordato venga adottata, una volta che quest'ultima venga dichiarata inammissibile, nel modo più celere possibile.
Condivisibili risultano anche le conclusioni raggiunte dal provvedimento in commento con riguardo alla inammissibilità di una moratoria che interessi i creditori privilegiati garantiti da beni la cui conservazione non sia prevista dal piano di continuità, e che anzi siano destinati ad essere liquidati come non essenziali alla esecuzione del piano. Non va dimenticato che il concordato con continuità aziendale non si sottrae alla regola generale dell'integrale soddisfazione dei creditori privilegiati, rispetto alla quale operano eccezioni limitate quali:
1) la previsione dell'art. 160, secondo comma, l. fall. (pagamento solo parziale dei creditori muniti di un diritto di prelazione “purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione”, peraltro con onere di specifica attestazione del relativo valore di mercato);
2) appunto la moratoria di cui all'art. 186-bis, comma secondo, lett. c), l. fall.., limitatamente, tuttavia, ai crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca su beni che non siano destinati alla immediata liquidazione.
La prospettazione di un concordato con continuità, quindi, non permette né di pervenire indiscriminatamente ad un trattamento non integralmente satisfattorio dei creditori privilegiati; né ad una altrettanto discriminata dilazione dei pagamenti, salvo specifico ed espresso accordo con i creditori stessi. Né tale accordo specifico può essere surrogato dalla ammissione dei creditori stessi al voto, in quanto si deve rilevare (sulla scia di autorevole dottrina, peraltro favorevole alla dilazione) come – anche nell'ipotesi in cui la dilazione ammetta il riconoscimento degli interessi – “non è accertabile in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo l'equivalenza, per ciascun creditore privilegiato, del risultato economico del pagamento dilazionato con interessi a quello che sarebbe conseguito al soddisfacimento “integrale” della propria pretesa alla data di omologazione del concordato preventivo – tenuto anche conto del grave profilo di incertezza che investe la proposta di pagamento con dilazione, a prescindere dal carattere sufficientemente remuneratorio o meno del riconoscimento di interessi in termini strettamente finanziari”.
Il dato è che si verrebbe a prospettare una distonica ipotesi di creditore cui viene riconosciuto un pagamento (asseritamente) integrale (dilazionato) ma che viene nondimeno ammesso al voto, peraltro in una situazione di assoluta arbitrarietà di qualsivoglia criterio per determinare la misura in cui il creditore stesso dovrebbe partecipare al voto.
La logica conseguenza (cui approda il provvedimento in esame), è quella della non ammissibilità di una (unilaterale) imposizione della moratoria anche ai creditori assistiti da cause di prelazione su beni estranei alla continuità non funzionali all'esercizio dell'impresa. Per tali creditori, invero, continuerà a valere la regola del pagamento immediatamente successivo all'omologa o, al più, in dipendenza dei tempi tecnici di liquidazione del bene, apparendo pertanto necessario che tali tempi siano indicati nel piano.

Questioni aperte

Si può osservare come si ponga un concreto problema di rapporti tra concordato e “prededuzione” anche all'interno dello stesso concordato. È stato correttamente osservato come la dizione degli artt. 182-quater e quinquies, nel momento in cui menziona la “prededucibilità” “sembra riferirsi alla collocazione di tali crediti in caso di successivo fallimento”. E ciò in quanto prima della introduzione delle norme in questione la prededucibilità “era un concetto giuridico estraneo alle procedure concorsuali diverse dal fallimento”. Di qui la pertinente osservazione di un'autorevole dottrina, per cui in generale nel concordato preventivo la distribuzione delle somme segue l'ordine dall'art. 160 l. fall. e non quello dell'art. 111 l. fall., essendo più corretto parlare di “integrale pagamento”. Il che deve tradursi nella consapevolezza che le ipotesi di pagamento integrale di cui alle norme in esame integrano una significativa “deroga al divieto di alterare le cause legittime di prelazione sancito dall'art. 180 l. fall.”.
In questo senso, quindi, parlare di consecutio tra procedure concordatarie creerebbe il rischio di creare un meccanismo di ampio ridimensionamento del principio della falcidia che dovrebbe interessare (salve le cause legittime di prelazione) tutti i debiti contratti prima della instaurazione della procedura concordataria successiva. Meccanismo che – è inutile sottolineare – può essere evitato solo nel momento in cui la sinergia “Tribunale-creditori-Pubblico Ministero” venga ad evitare artificiose concatenazioni di procedure concordatarie, evidentemente utili solo ad alterare il sistema generale delle cause di prelazione.
Quanto al profilo della dilazione per i creditori privilegiati, il vero problema con cui la decisione in commento viene a scontrarsi è costituito dalla infelice recente decisione della Cassazione 9 maggio 2014, n. 10112, che in una ipotesi di concordato – peraltro liquidatorio – ha affermato l'ammissibilità della proposta e del piano di concordato preventivo che prevedano il pagamento con dilazione dei creditori muniti di prelazione, anche se la dilazione sia superiore a quella imposta, in caso di concordato liquidatorio, dai tempi tecnici della liquidazione.
Decisione non condivisibile perché le argomentazioni da essa adoperate (l'ammissibilità di un pagamento dilazionato sarebbe desumibile dalla modifica – apportata con il D.lgs. n. 169/2007 - dell'art. 160 l. fall.; nonché – e qui l'equivoco appare evidente – proprio dall'art. 186-bis) vengono a configurare come emersioni di un principio generale quelle che, invece, sono e restano eccezioni ad una regola sostanziale radicalmente opposta: l'obbligo di pagamento immediato e completo dei creditori privilegiati

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In ordine alla prima delle questioni affrontate dalla decisione del Tribunale di Asti, merita particolare menzione il precedente di App. Genova, 9 gennaio 2014, in Fall., 2014, 921, la cui motivazione offre un'analisi ad ampio spettro del problema della consecuzione, giungendo a risultati del tutto convergenti con la decisione in commento, soprattutto con riferimento all'interpretazione dell'art 111 l. fall. (“(…) Non può certo affermarsi, infatti, che i crediti sorti nel corso di una determinata procedura concorsuale (…), poi estinta, siano sussumibili fra quelli "sorti in occasione o in funzione" di una successiva procedura (…); a meno di non voler fare assumere alla suddetta previsione un ambito estremamente lato ed incerto”). Per una lettura dissenziente, cfr. Cocito, La prededuzione dei crediti sorti nel concordato preventivo: limiti e criteri per il riconoscimento di un trattamento preferenziale ai professionisti.
Sul problema in generale cfr. gli approfondimenti di F. Lamanna, La limitata ultrattività della prededuzione secondo il decreto “Destinazione Italia” nella consecutio tra il preconcordato e le altre procedure concorsuali, in ilFallimentarista.it, cui sembra ispirarsi in larga misura il provvedimenti in commento, e sul complesso rapporto “prededuzione-concordato” cfr. anche Nardecchia, Art. 182-quater, in Lo Cascio, Codice commentato del fallimento, Milano, 2013, da cui sono ricavate alcune delle citazioni nel testo.
Assai vivace è tuttora il confronto dottrinale in ordine al valore normativo e interpretativo della moratoria contemplata dall'art 186-bis l. fall. anche se la decisione in esame si inserisce nel solco non solo della espressamente citata pronuncia Trib. Padova 4 dicembre 2013, su ilcaso.it; ma anche di Tribunale di Monza, 11 giugno 2013, su unijuris.it (“Il limite temporale della moratoria stabilito dall'art. 186-bis, comma 2, lett. c), l. fall. non può essere superato attraverso la formazione del consenso sulla proposta concordataria secondo il sistema delle maggioranze di cui all'art. 177 l. fall. e può essere derogato solo attraverso il ricorso a specifiche pattuizioni da stipulare su base individuale con ciascuno dei creditori privilegiati coinvolti (che dovranno essere allegate alla domanda di concordato) ovvero mediante il meccanismo di cui all'art. 182 bis l. fall. che modula l'accordo fuori dalla sede giurisdizionale”).
Per una analisi delle questioni si rinvia, in particolare a Lamanna, La pretesa indistinta ammissibilità nel concordato preventivo del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, su ilFallimentarista.it; Vitiello, La moratoria prevista, per il concordato in continuità, dall'art. 186-bis comma 2 lett. c): ambito di applicabilità e significato del mancato riconoscimento del diritto al voto, su ilFallimentarista.it; Di Marzio, Il pagamento concordatario dei creditori garantiti può essere dilazionato solo per consenso o nei casi previsti dalla legge, su ilFallimentarista.it. A favore della prospettiva di un pagamento dilazionato dei privilegiati Bonfatti, La disciplina dei crediti privilegiati nel concordato preventivo con continuità aziendale, su ilcaso.it (il quale, tuttavia, ritiene che tale differimento, quand'anche sia prevista la corresponsione di interessi, si traduca in un declassamento, e conclude – a quanto è dato comprendere – nel senso che il deposito della “relazione di stima” (giurata) ex art. 160 l. fall. “rappresenterà una costante di tutte (o quasi) le domande di ammissione al Concordato preventivo, dovendo tutti i ricorsi (o quasi) per l'ammissione alla procedura dar conto del carattere non pregiudizievole del trattamento (in senso cronologico) riservato ai creditori privilegiati rispetto al trattamento che sarebbe ipotizzabile assicurare loro in esecuzione di una liquidazione (prevedibilmente fallimentare) alternativa”).

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