Omologa dell'accordo: requisiti di ammissibilità del ricorso e limiti del sindacato del Tribunale sulla fattibilità

Roberto Amatore
04 Maggio 2012

L'oggetto dell'indagine giudiziale, in ordine al profilo di ammissibilità del ricorso per la omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'art. 182-bis l. fall., deve riguardare, tra gli altri, anche la presenza della relazione di un professionista munito dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall. che attesti l'attuabilità dell'accordo con particolare riferimento all'idoneità dello stesso a liberare risorse sufficienti ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, nonché la veridicità dei dati aziendali, riguardando, invero, l'attestazione del professionista anche il controllo e la conseguente assunzione di responsabilità sulla veridicità dei predetti dati che costituiscono il presupposto logico e fattuale indefettibile della successiva valutazione di attuabilità, con la conseguente responsabilità dell'attestatore per l'eventuale colposa erroneità della verifica stessa ovvero per la dolosa falsificazione dei relativi dati.
Massima

L'oggetto dell'indagine giudiziale, in ordine al profilo di ammissibilità del ricorso per la omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'art. 182-bis l. fall., deve riguardare, tra gli altri, anche la presenza della relazione di un professionista munito dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall. che attesti l'attuabilità dell'accordo con particolare riferimento all'idoneità dello stesso a liberare risorse sufficienti ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, nonché la veridicità dei dati aziendali, riguardando, invero, l'attestazione del professionista anche il controllo e la conseguente assunzione di responsabilità sulla veridicità dei predetti dati che costituiscono il presupposto logico e fattuale indefettibile della successiva valutazione di attuabilità, con la conseguente responsabilità dell'attestatore per l'eventuale colposa erroneità della verifica stessa ovvero per la dolosa falsificazione dei relativi dati. Inoltre, quale ulteriore requisito di ammissibilità della proposta, occorre vagliare l'esistenza anche di un piano finanziario e/o industriale, atteso che, se pure la esistenza di un piano non sia espressamente prevista dalla norma (che si limita a richiamare gli accordi aventi ad oggetto la mera ristrutturazione del debito), l'allegazione dello stesso deve ritenersi necessaria a pena di inammissibilità del ricorso tutte le volte in cui l'accordo di ristrutturazione non abbia finalità meramente liquidatorie dell'impresa, ma sia funzionale alla continuazione dell'attività della impresa stessa. In tal caso, invero, l'intera operazione in tanto potrà essere considerata attuabile in quanto, accanto all'accordo, vi sia un piano che indichi le cause della crisi finanziaria e/o economica ed i rimedi che si intendono attuare per evitare che l'impresa si ritrovi nella medesima situazione.


L'autonomia negoziale riconosciuta al debitore e ai creditori nelle cc.dd. soluzioni negoziali della crisi d'impresa, fondate su piani aziendali attuati da accordi oppure oggetto di proposte di concordato, non esclude il persistente dovere del tribunale di svolgere un preliminare controllo di legalità e la natura di tale controllo risulta essere diversa a seconda che vi siano o meno opposizioni, essendo, nella prima ipotesi, il controllo di mera legalità e dovendosi il profilo di attuabilità del piano svolgere sotto il profilo della logicità del piano stesso e della coerenza e persuasività della relazione redatta dal professionista attestatore (dovendosi il tribunale limitare ad accertare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della domanda, la presenza dei documenti previsti dalla legge e la correttezza dell'iter procedimentale, nonché, in ordine al giudizio espresso dal professionista, la inesistenza di vizi logici o di contraddizioni, la esaustività e completezza delle analisi e delle argomentazioni e, da ultimo, la inesistenza di affermazioni contrastanti con la comune esperienza) e ritenendosi, invece, qualora vi siano opposizioni, che il thema decidendum del giudizio di omologazione debba subire una inevitabile estensione cognitoria, potendo il controllo del tribunale espandersi, in relazione ai motivi di contestazione, alla verifica non solo della astratta idoneità degli accordi raggiunti a liberare risorse sufficienti al pagamento integrale dei creditori estranei, ma alla attuabilità più in generale del piano di ristrutturazione o di liquidazione sottostante agli accordi.

Il caso

La società “la M. D.” S.p.A. presentava ricorso ex art. 182-bis l. fall. al Tribunale di Reggio Calabria per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, omologazione che non vedeva la presentazione di alcuna opposizione.
Il Tribunale, dopo aver esaminato, in termini generali e ricostruttivi, l'istituto in esame in merito ai requisiti di ammissibilità dell'accordo e ai limiti di giudizio del tribunale in sede di omologazione per la valutazione di attuabilità del piano, riscontrava in concreto positivamente i predetti requisiti di ammissibilità nonché la correttezza della relazione del professionista che attestava la fattibilità del piano, disponendo pertanto l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis l. fall..

Le questioni giuridiche

Il provvedimento in commento presenta profili di interesse almeno per due delle questioni trattate, e cioè, da un lato, per l'esame dei requisiti di ammissibilità del ricorso presentato per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. e, dall'altro, per la valutazione dei limiti di sindacato del tribunale sul profilo dell'attuabilità del piano in sede di omologazione.
Sotto il primo profilo, il tribunale reggino sostiene, in modo convincente e condivisibile, che l'oggetto dell'indagine giudiziale, in ordine al profilo di ammissibilità del ricorso per l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'art. 182-bis l. fall., deve riguardare, tra gli altri, non solo la presenza di una relazione del professionista (munito dei requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d) l. fall.) che attesti l'attuabilità dell'accordo - e ciò con particolare riferimento alla idoneità dello stesso a liberare risorse sufficienti ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei -, ma anche la veridicità dei dati aziendali, riguardando, invero, l'attestazione del professionista anche il controllo e la conseguente assunzione di responsabilità sulle veridicità dei predetti dati, che costituiscono il presupposto logico e fattuale indefettibile della successiva valutazione di attuabilità, con la conseguente responsabilità dell'attestatore per l'eventuale colposa erroneità della verifica stessa ovvero per la dolosa falsificazione dei relativi dati.
Sul punto, va precisato che il contenuto della relazione del professionista è stato interpretato con ampiezza di argomentazioni spesso divergenti. Sotto un primo profilo generale, si ritiene che la relazione debba contenere un esplicito giudizio prognostico del professionista, ovvero un “motivato giudizio professionale di alta probabilità” circa, innanzitutto, la attuabilità del piano in concreto, nel rispetto anche dei tempi prestabiliti, con ciò dovendosi esaminare da parte del professionista incaricato anche l'attendibilità dei dati forniti dal debitore nell'accordo, ed in particolare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del medesimo (così, Verna, D. Fall. 2007, I, 946 e ss.). Più in particolare si ritiene che, sussistendo in tal senso uno specifico obbligo, debba essere valutata anche l'idoneità dell'accordo a consentire il regolare pagamento dei creditori estranei (così anche Bello, in Riv. not., 335 e ss.). Si è invece sostenuto, in dottrina, che la relazione non debba riguardare le cause che hanno determinato la crisi né le ragioni del ricorso alla procedura, risolvendosi in una sorta di nota integrativa ridotta rispetto a quanto stabilito dall'art. 2427 c.c. (così, Verna, op. cit., 945 ).
È stato, altresì, precisato che il requisito dell'attuabilità fa riferimento ad uno scenario di “concreta realizzabilità”, mentre quello relativo all'idoneità indica piuttosto una precisa finalità dell'accordo (così Manente, in Dir. fall. 2007, II, 315; Presti, in B.B.T.C. 2006, I, 32).
Orbene, una valutazione in concreto di questi due requisiti impone di tener conto, in primis, della finalità, conservativa o liquidatoria, che si intende perseguire, e così anche delle cause che hanno generato la crisi; ma vanno anche considerati gli obiettivi prefissati e gli interventi previsti per raggiungere i primi, così come i mezzi messi a disposizione dal proponente debitore, valutandone infine la complessiva coerenza e logicità (così, Ambrosini, in Tr. Cottino, 2008, 172 ; Pagamici, Fallimento e crisi d'impresa 2007, 92). A tal fine, è stata affermata in dottrina, in senso favorevole a questa impostazione, l'esigenza che l'attuabilità dell'accordo sia valutata in rapporto agli obiettivi prefissati nel medesimo ed ai mezzi ai quali si debba far ricorso per la sua realizzazione (Patti, in Fall. 2008, 1070 ).
In definitiva, deve ritenersi che la valutazione dell'esperto si concretizzi in un esame prognostico dal quale si possa evincere che lo scenario futuro ipotizzato nell'accordo sia realistico non solo in caso di previsione di ristrutturazione del passivo, ma anche e soprattutto nel caso in cui, nel piano proposto dal debitore, si prevedano operazioni di risanamento in vista della prosecuzione dell'attività di impresa. In tal senso, una valutazione positiva deve darsi all'accordo che contenga l'espressa indicazione di una somma vincolata per il regolare pagamento dei creditori estranei (Trib. Roma, decreto 4.10.2006 ).
Ciò che invece deve essere posto in evidenza, anche in relazione a quanto statuito dal Tribunale reggino nel provvedimento che si commenta, riguarda, invero, la ulteriore circostanza secondo cui l'articolo 182 bis l. fall. non fa alcun riferimento, in relazione agli obblighi contenutistici della relazione del professionista, alla veridicità dei dati aziendali, a differenza di quanto statuito espressamente dall'art. 161 l. fall. per il concordato preventivo, sicché, per una parte della dottrina, non sarebbe necessaria l'attestazione della veridicità dei dati aziendali (così, Proto, in Fall. 2006, 133; Manente, in Dir. Fall. 2008, II, 314 ; Guglielmucci, in Diritto Fallimentare, 2008, 337).
Tuttavia, è stato anche affermato in dottrina (in modo convincente e condivisibile) che il controllo di attuabilità dell'accordo presuppone necessariamente il possesso di informazioni vere e complete sulla situazione dell'impresa, giacché si deve attestare non solo la conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili, ma anche soprattutto che si tratta di dati reali ed esistenti (Ambrosini, Trattato di diritto commerciale, 172).
Deve ritenersi, pertanto, imprescindibile, secondo unanime orientamento, l'attestazione circa l'esattezza e veridicità dei dati contabili ed aziendali, su cui il piano di ristrutturazione proposto dal debitore si basa, e ciò quale fondamentale presupposto di ogni valutazione in merito alla attuabilità ed alla idoneità dello stesso per il raggiungimento degli scopi prefissati nel piano stesso.
Sul punto, si registrano, tuttavia, divergenze di opinioni circa la modulazione del relativo obbligo informativo ed attestativo del professionista.
Secondo parte della dottrina (Verna, in Dir. Fall. 2007, II, 948 ; Valensise, in Comm. Nigro Sandulli, 1091), che ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza di merito (Trib. Udine, 22 giugno 2007, in Fall. 2008, 701), deve ritenersi la perfetta identità della relazione ex art. 182-bis l. fall. a quella prevista all'articolo 161 medesima legge, richiedendosi una vera e propria attestazione circa la veridicità dei dati.
Secondo altri Autori, invece, deve ritenersi che l'attività del professionista sia effettivamente in tutta simile a quella prevista dall'art. 161 l. fall. per il concordato preventivo, ma priva, tuttavia, del profilo formale della attestazione, mancando lo specifico obbligo in tal senso (Nardecchia, in Fall. 2007, 707), ferma restando la possibilità che in concreto il professionista possa procedere ugualmente alla redazione della predetta attestazione, magari su indicazione espressa dei creditori concorsuali (così, Pagamici, op. cit., 92 ).
Altra parte della dottrina, fondando il proprio convincimento sulla base del silenzio della norma sul punto e giudicando, peraltro, inammissibile un'applicazione analogica di quanto stabilito per il concordato, ritiene che il professionista, sebbene non possa recepire del tutto acriticamente i dati forniti dal debitore, debba effettuare un semplice controllo documentale, salva l'emersione di elementi contrari (così, secondo un primo orientamento, Proto, in Fall. 2006, 133 ; Innocenti, in Dir. fall. 2007, I, 932).
Ma il Tribunale di Reggio Calabria allarga ancora di più gli obblighi contenutistici della relazione del professionista, e corrispondentemente anche il controllo giudiziale per la valutazione di ammissibilità del ricorso ex art. 182-bis l. fall. in sede di omologazione dell'accordo, sostenendo che il controllo giudiziale debba estendersi altresì alla valutazione dell'esistenza anche di un piano finanziario e/o industriale, atteso che, sempre secondo le valutazioni contenute nel provvedimento in esame, se pure la esistenza di un piano non sia espressamente prevista dalla norma (che si limita a richiamare gli accordi aventi ad oggetto la mera ristrutturazione del debito), l'allegazione dello stesso debba ritenersi necessaria - a pena di inammissibilità del ricorso - tutte le volte in cui l'accordo di ristrutturazione non abbia finalità meramente liquidatorie dell'impresa, bensì sia funzionale alla continuazione dell'attività della impresa stessa. In tal caso, invero, l'intera operazione in tanto potrà essere considerata attuabile in quanto, accanto all'accordo, vi sia un piano che indichi le cause della crisi finanziaria e/o economica ed i rimedi che si intendono attuare per evitare che l'impresa si ritrovi nella medesima situazione.
Sul punto, giova ricordare che la fase della formazione dell'accordo di ristrutturazione è demandata integralmente all'autonomia privata, svolgendosi in via totalmente stragiudiziale e che, in ordine al suo contenuto, la norma dettata dall'art. 182 bis l. fall. nulla dispone, per cui si ritiene che questo possa variare a seconda delle situazioni e degli interessi fatti valere nella proposta
Va anche detto che il legislatore considera l'accordo di ristrutturazione come uno strumento di superamento della crisi, ma ciò in un'ottica prevalentemente conservativa per cui si ammette “la più fantasiosa varietà di iniziative” (Pajardi-Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, 2008, 915). È stato altresì affermato che gli accordi sono di regola volti a consentire il ripristino dell'equilibrio gestionale e a risanare l'impresa, ma possono anche prevedere la liquidazione dell'intero patrimonio per il soddisfacimento dei creditori (Guglielmucci, op. cit., 347) ovvero, ancora, possono contenere un piano finanziario (così, Michelotti, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti. Il nuovo diritto delle società 2005, 18). In realtà, deve dirsi, sul punto qui da ultimo in discussione, che gli accordi di ristrutturazione del debito possono assolvere anche a finalità essenzialmente ed esclusivamente liquidatorie, benchè sia prevedibile che essi vengano, invece, utilizzati più diffusamente per mantenere in vita il complesso aziendale attraverso il ripristino dell'equilibrio gestionale ed il risanamento dell'impresa.
Più in particolare, è stato coerentemente affermato, sulla base del presupposto cui da ultimo si accennava, che la ristrutturazione dei debiti, sulla quale l'imprenditore deve trovare l'accordo con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti, deve essere progettata in un piano, con la conseguenza che sarebbe preferibile, concettualmente, far riferimento, anche in sede di valutazione di ammissibilità, piuttosto che all'oggetto dell'accordo, all'oggetto di un piano, ancorchè tale ultimo termine sia estraneo alla disciplina dettata dall'art. 182-bis l. fall., al contrario di quanto prevede, invece, l'art. 161 l. fall., al quale la prima norma rimanda espressamente, ma solo però per quanto concerne le modalità di deposito del ricorso e della documentazione (Di Marzio, Le soluzioni concordate della crisi d'impresa, Ilcaso.it ; Rovelli, in Fall. 2007, 597).
Ma l'articolato provvedimento in esame si segnala anche per aver approfondito l'ulteriore questione dei limiti dei poteri giudiziali - sotto il profilo della valutazione della fattibilità del piano - da esercitarsi in sede di omologazione dell'accordo raggiunto ai sensi dell'art. 182-bis l. fall.. Ed invero, il Tribunale reggino precisa che l'autonomia negoziale riconosciuta al debitore e ai creditori nelle cc.dd. soluzioni negoziali della crisi d'impresa, fondate su piani aziendali attuati da accordi oppure oggetto di proposte di concordato, non esclude il persistente dovere del tribunale di svolgere un preliminare controllo di legalità e la natura di tale controllo risulta essere diversa a seconda che vi siano o meno opposizioni. Nella prima ipotesi il controllo dovrebbe essere ristretto alla mera legalità, dovendosi svolgere lo scrutinio del profilo di attuabilità del piano sotto il profilo della logicità del piano stesso e della coerenza e persuasività della relazione redatta dal professionista attestatore. Diversamente, qualora vi siano opposizioni, il thema decidendum del giudizio di omologazione dovrebbe subire una inevitabile estensione cognitoria, potendo il controllo del tribunale espandersi, in relazione ai motivi di contestazione, alla verifica non solo della astratta idoneità degli accordi raggiunti a liberare risorse sufficienti al pagamento integrale dei creditori estranei, ma all'attuabilità più in generale del piano di ristrutturazione o di liquidazione sottostante agli accordi
Per quanto concerne i poteri esercitabili dal tribunale in sede di omologazione, va segnalata la divergenza formatasi nell'interpretazione di dottrina e giurisprudenza nelle prime fasi applicative dell'istituto in esame, e cioè circa l'ammissibilità, in questa sede, di un giudizio di merito ovvero, al contrario, di un giudizio di mera legalità.
In realtà, la critica mossa all'indirizzo favorevole ad un giudizio di mera legalità si fonda sulla circostanza secondo la quale il tribunale non può essere relegato allo svolgimento di funzioni meramente certificative, occorrendo altresì tenere in debita considerazione l'ulteriore questione che dalla omologazione dell'accordo di ristrutturazione deriva l'effetto principale dell'istituto in esame, e cioè l'esenzione dalla revocatoria (Caifa, in Dir. fall. 2006, II, 574; Proietti, in Dir. fall. 2008, I, 143; Trib. Milano 23 gannaio 2007, in Fall. 2007, 701).
L'orientamento dottrinale che vuole invece l'oggetto del giudizio del tribunale limitato ai profili di stretta legittimità dell'accordo ha peraltro sottolineato che solo in presenza di opposizioni e nei limiti del petitum il tribunale potrà procedere ad un esame anche nel merito (Lo Cascio, Il concordato preventivo, 2008, 921 ; Verna, in Dir. fall. 2007, II, 954 ; Guglielmucci, op. cit., 340).
Nella giurisprudenza di merito è stato affermato, in un primo momento, che “agli organi giurisdizionali non è più richiesto di tutelare in via principale l'interesse dei soggetti coinvolti nella crisi … sibbene di ergersi a garante del rispetto delle regole prescelte dai soggetti privati” (così, espressamente, Trib. Roma 16 ottobre 2006, in Fall. 2007, 187; v. anche Trib. Brescia 22 febbraio 2006, in Dir. e prat. comm. 2006, 1001; Trib. Sulmona, 6 giugno 2005, in Fall. 2005, 793).
Tuttavia, si è delineato in giurisprudenza un successivo orientamento maggioritario (Trib. Milano, 23 gennaio 2007, in Fall. 2007, 701; Tribunale Udine, 22 giugno 2007, in Fall. 2008, 701; Trib. Ancona, 12 novembre 2008, Ilcaso.it), accolto anche con favore da larga parte della dottrina (Ambrosini, Comm. Jorio, II, 2540; Girone, in D. Fall. 2008, I, 636; Innocenti, in Dir. fall. 2007, I, 937), secondo il quale deve riconoscersi al tribunale fallimentare un potere di controllo più penetrante, allargato necessariamente anche al merito dell'accordo, e ciò indipendentemente dalla presentazione di opposizioni. Le ragioni poste a fondamento di tale orientamento si basano sull'indiscutibile rilievo secondo cui l'accordo generalmente produce i suoi effetti anche rispetto ai creditori estranei e ai terzi, le cui posizioni non sarebbero pertanto sufficientemente tutelate se l'omologazione si dovesse basare solamente sulla relazione del professionista e fosse ristretto ad un mero giudizio di legalità (Proietti, in Dir. fall. 2008, II, 144; Dimundo, in Fall. 2007, 708).
Pertanto, un controllo nel merito dell'accordo comporta una valutazione del giudice circa l'attuabilità dell'accordo stesso e la sua idoneità a consentire il regolare pagamento degli estranei, dovendosi verificare e tener conto delle concrete prospettive di realizzo del piano, delle entrate prospettate e dell'incidenza di queste sulle possibilità di pagamento dei creditori estranei (Dimundo, in Fall. 2007, 708; Proietti, in Dir. fall. 2008, II, 145 ; Trib. Milano 23 gennaio 2007, in Fall. 2007, 701 ).
Sul punto, è stato precisato da altri autori che il giudizio di omologazione non deve consistere in una mera presa d'atto del deposito dell'accordo, ma “in una verifica di legalità sostanziale limitata ad una valutazione sulla completezza, coerenza, ragionevolezza della relazione dell'esperto, sull'attuabilità dell'accordo e sulla idoneità a garantire il pagamento dei creditori estranei” (Fabiani, Accordi, 266).
Ebbene, appare corretto affermare che, sulla base delle considerazioni sopra svolte, l'oggetto del controllo del tribunale così inteso viene ad essere coincidente con quello del professionista che redige la relazione, assumendo rispetto allo stesso un ruolo di garanzia (Girone, in Dir. fall. 2008, I, 637; Roppo, in Dir. fall. 2008, I, 381). Altra parte della dottrina ritiene invece che il controllo giudiziale debba essere sempre mediato dalla relazione del professionista, il cui oggetto costituirebbe il primario thema decidendum della verifica giudiziale (Proto, in Fall. 2007, 192; Minutoli, in Fall. 2008, 1055).
Tuttavia, è stata prospettata una distinzione al riguardo, a seconda che siano state presentate o meno opposizioni alla omologazione del concordato, atteso che, in assenza di queste, è stato affermato che il tribunale, nella sua valutazione, potrà disattendere quanto stabilito nella relazione professionista soltanto ove quest'ultima appaia manifestamente contraddittoria, illogica, ovvero in contrasto con la documentazione prodotta o presenti, inoltre, carenze di motivazione, potendo in tal caso disporre il tribunale eventualmente una istruttoria (Proto, in Fall. 2007, 192; si reputa comunque ammissibile che il tribunale, in tal caso, si possa far coadiuvare da esperti in questa attività di valutazione: Pajardi-Paluchowski, op. cit., 924).
Nel caso, invece, in cui siano state proposte opposizioni, il tribunale deve valutare il fondamento di tutti i motivi avanzati con le stesse (Proto, ibidem). Sul punto, è stato anche affermato che, qualora le opposizioni vertano sul giudizio di attuabilità dell'accordo e sulla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, il giudizio del tribunale deve riguardare non solo la ricorrenza dei presupposti e la sussistenza effettiva della percentuale dei creditori aderenti previsti dall'articolo 182-bis l. fall., ma anche l'attuabilità dell'accordo, e ciò verosimilmente anche attraverso l'ammissione e lo svolgimento di una C.T.U. (Bonfatti-Censoni, Manuale di diritto fallimentare, 2007, 567 ).
Ciò che è indiscutibilmente precluso alla valutazione del tribunale è lo svolgimento di un controllo che investa anche la convenienza economica dell'accordo, e ciò quantomeno in assenza di opposizioni (Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.lgs. 12.09.2007 n. 169, 2008, 451), così come è preclusa, allo stesso modo, al tribunale la possibilità di modificare di sua iniziativa quanto nell'accordo stesso pattuito.

Osservazioni

Le affermazioni contenute nel provvedimento in esame appaiono, anche alla luce di quanto sopra osservato, convincenti e condivisibili, e ciò con particolare riferimento al profilo degli obblighi contenutistici della relazione del professionista attestatore e del conseguente ambito di valutazione giudiziale in ordine al giudizio di fattibilità e/o attuabilità del piano costituente l'oggetto dell'accordo di ristrutturazione, valutazione da svolgersi, nel caso dell'ipotesi in esame, nell'unico momento di controllo giudiziale demandato alla fase dell'omologazione dell'accordo stesso (a differenza di quanto accade nel diverso istituto del concordato preventivo ove lo scrutinio giudiziale in ordine all'esistenza dei requisiti di ammissibilità è anticipato già al momento della valutazione della proposta concordataria ai sensi degli artt. 163 e 164 l. fall. ).
Ebbene, va osservato che, se è vero e se appare indiscutibile il presupposto applicativo secondo cui la relazione del professionista ex art. 182-bis l. fall. deve contenere un esplicito giudizio prognostico ovvero un motivato giudizio professionale di alta probabilità in ordine, innanzitutto, all'attuabilità del piano in concreto, nel rispetto anche dei tempi prestabiliti, con ciò dovendosi esaminare da parte del professionista incaricato anche l'attendibilità dei dati forniti dal debitore nell'accordo, ed in particolare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica del medesimo, allora risulta corollario altrettanto indiscutibile ed indefettibile quello secondo cui la predetta relazione debba attestare non solo l'attuabilità dell'accordo (e ciò con particolare riferimento all'idoneità dello stesso a liberare risorse sufficienti ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei), ma anche la veridicità dei dati aziendali. Ed invero, la valutazione dell'esperto si concretizza, come detto sopra, in un esame prognostico dal quale si deve evincere che lo scenario futuro ipotizzato nell'accordo sia realistico non solo in caso di previsione di ristrutturazione del passivo, ma anche e soprattutto nel caso in cui, nel piano proposto dal debitore, si prevedano operazioni di risanamento in vista della prosecuzione dell'attività di impresa, sicchè il controllo di attuabilità dell'accordo presuppone necessariamente il possesso di informazioni vere e complete sulla situazione dell'impresa, dovendosi attestare non solo la conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili, ma anche e soprattutto la effettiva realtà ed esistenza di questi dati aziendali.
Ne consegue che appare presupposto indefettibile per l'ammissibilità del ricorso per l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione del debito e per il conseguente vaglio giudiziale di ammissibilità nella sede omologatoria, l'esistenza, nella relazione del professionista, dell'attestazione anche dell'esattezza e veridicità dei dati contabili ed aziendali, su cui il piano di ristrutturazione proposto dal debitore si basa.
Detto altrimenti, la presenza di tale attestazione da parte del professionista diviene il fondamentale presupposto di ogni ulteriore valutazione giudiziale in merito alla attuabilità ed alla idoneità al raggiungimento degli scopi prefissati nel piano.
Del resto, non appare contestabile l'affermazione secondo cui, in assenza di una preventiva attestazione da parte del professionista in ordine al profilo di esattezza e veridicità dei dati contabili ed aziendali, il successivo giudizio svolto dal tribunale, in sede di omologazione dell'accordo di ristrutturazione del debito, sull'attuabilità ovvero fattibilità dell'accordo (rectius, del piano che costituisce l'oggetto principale dell'accordo e ne riempie il profilo contenutistico) sarebbe un giudizio meramente apparente e svilito del suo principale contenuto, che si caratterizza, per stessa ammissione del Tribunale reggino, per l'attività di scrutinio dell'attuabilità del piano sotto il profilo della sua intrinseca logicità, nonché della coerenza e persuasività della relazione redatta dal professionista attestatore.
Se così è, non vi è chi non veda come solo attraverso l'attestazione della veridicità dei dati aziendali (che costituisce il presupposto logico di ogni ulteriore valutazione di coerenza e logicità del piano di ristrutturazione), il tribunale può essere posto in grado di svolgere quel giudizio, anche solo di legalità sostanziale (come predicato dal Tribunale reggino), sull'attuabilità e fattibilità del piano.
Quanto poi all'ambito di valutazione del tribunale in ordine all' esistenza di un piano finanziario e/o industriale, l'opinione del tribunale reggino appare del tutto condivisibile e convincente, nonostante l'esistenza di un piano non sia espressamente prevista dalla norma in esame, che si limita solo a richiamare gli accordi aventi ad oggetto la mera ristrutturazione del debito.
Sul punto, giova ricordare che, in realtà, il legislatore considera l'accordo di ristrutturazione come uno strumento di superamento della crisi, ma ciò in un'ottica prevalentemente conservativa, essendo volto il predetto accordo - di regola - a consentire il ripristino dell'equilibrio gestionale e a risanare l'impresa attraverso la conservazione dei valori aziendali.
Pertanto va osservato, in coerenza con quanto affermato anche dal tribunale reggino, che - in un'ottica prevalentemente ristrutturatoria del debito e rispristinatoria dei valori aziendali (non già strettamente liquidatoria di quest'ultimi), l'esistenza, nell'accordo di ristrutturazione , di un piano finanziario e/o industriale che “indichi le cause della crisi finanziaria e/o economica ed i rimedi che si intendono attuare per evitare che l'impresa si ritrovi nella medesima situazione”, debba essere considerata necessaria, a pena di inammissibilità del ricorso, tutte le volte in cui l'accordo di ristrutturazione sia funzionale alla continuazione dell'attività della impresa . Ed invero, la ristrutturazione dei debiti deve essere progettata necessariamente in un piano, ancorchè tale termine sia estraneo al tenore letterale dell'art. 182-bis l. fall. Occorre infatti che un piano finanziario ovvero industriale individui almeno le linee direttive del risanamento dei valori aziendali, di modo che, da un lato, il ceto creditorio sia adeguatamente informato sulle modalità di ripristino della funzionalità ed efficienza aziendale e che, dall'altro, il tribunale sia posto in grado, in sede di omologazione dell'accordo, di valutare l'ammissibilità dello stesso, per lo meno in ordine a quella valutazione “esterna” da svolgersi sulla relazione del professionista nei termini di coerenza interna, non contraddittorietà e logicità di quanto attestato dal professionista sulla fattibilità e/o attuabilità del piano.
In realtà, deve ritenersi che solo in presenza di un corredo informativo adeguato e coerente, come tale calato nell'accordo di ristrutturazione - il cui contenuto deve necessariamente contenere pertanto un “progetto” di risanamento individuato, così come avviene nel concordato preventivo, in un vero e proprio piano finanziario o industriale - il giudice sia posto in grado di valutare l'attuabilità del piano stesso, sotto il profilo della sua idoneità a liberare risorse sufficienti ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei e a raggiungere anche le ulteriori finalità di risanamento aziendale.
Tutto ciò introduce l'ulteriore questione dei limiti di cognizione e di giudizio del tribunale in ordine alla valutazione di attuabilità del piano da svolgere nella sede del giudizio di omologazione.
Il provvedimento in esame ritiene che non sia possibile escludere un persistente dovere del tribunale di svolgere un preliminare controllo di legalità, controllo la cui natura risulta essere diversa a seconda che vi siano o meno opposizioni.
Ritiene, tuttavia, il Tribunale reggino, che tale controllo, in assenza di opposizioni, sia da circoscrivere nell'ambito di uno scrutinio di mera legalità; solo qualora vi siano opposizioni il thema decidendum del giudizio di omologazione dovrebbe subire un'inevitabile estensione cognitoria, potendo il controllo del tribunale espandersi, in relazione ai motivi di contestazione, alla verifica non solo della astratta idoneità degli accordi a liberare risorse sufficienti al pagamento integrale dei creditori estranei, ma anche della fattibilità più in generale del piano di ristrutturazione o di liquidazione sottostante agli accordi.
Sul punto, va tuttavia osservato che, se per un verso appare condivisibile l'affermazione contenuta nel provvedimento in esame secondo cui il contenuto della relazione del professionista deve estendersi anche al profilo di veridicità dei dati aziendali, nonché alla esistenza di un piano industriale e/o finanziario, allora non dovrebbe, per altro verso, e per coerenza logica, restringersi l'ambito di giudizio del tribunale - in sede di omologazione senza opposizioni - ad una cognizione attinente solo ad una valutazione “esterna” della relazione del professionista sotto il profilo della non contraddittorietà, logicità e persuasività, senza una valutazione, cioè, più approfondita del “merito” attinente al giudizio prognostico effettuato dal professionista sulla attuabilità del piano di ristrutturazione e sulla idoneità delle risorse a coprire il fabbisogno finanziario per la soddisfazione dei creditori. Ed invero, a parere di chi scrive, se da un lato appare concettualmente difficile concepire un giudizio di “legittimità sostanziale” dei profili “esterni” di logicità, persuasività e non contraddittorietà della relazione del professionista in ordine alla fattibilità del piano senza che quest'ultimo giudizio non si trasformi in una vera e propria valutazione da parte del tribunale del merito contenutistico della relazione del professionista e delle valutazioni - anch'esse di merito - compiute da quest'ultimo in ordine alla concreta realizzabilità del piano di ristrutturazione, dall'altro questa autolimitazione dell'ambito cognitivo di giudizio - nella ipotesi, sempre, di omologazione senza opposizioni - rappresenta, invero, una contraddizione in termini rispetto a quell'ampliato giudizio di cognizione del tribunale, predicato nel provvedimento in commento ed esteso, come sopra rilevato, anche al profilo di verifica della veridicità dei dati aziendali e della esistenza di un piano finanziario ed industriale, profili quest'ultimi la cui valutazione viene rimessa, in prima istanza, al professionista attestatore nell'ambito della sua libertà di giudizio, ma, in seconda battuta, al tribunale nella successiva sede di omologazione dell'accordo di ristrutturazione.

Conclusioni

Sulla base delle sopra riportate osservazioni, il provvedimento in commento presenta indubbi caratteri di interesse e novità rispetto alle tematiche riguardanti l'ambito di valutazioni assegnate, per un verso, al professionista attestatore nella relazione prevista dall'art. 182-bis l. fall. e, per altro verso, al tribunale in sede di omologazione dell'accordo di ristrutturazione.
In realtà, la risposta definitiva agli interrogativi sopra prospettati sulle diverse posizioni assunte dalla dottrina e dalla giurisprudenza in merito all'ambito contenutistico degli obblighi informativi da adempiersi da parte del professionista incaricato della relazione sulla attuabilità dell'accordo ed in ordine, come logica conseguenza, all'ambito in cui deve iscriversi la cognizione del tribunale in sede di omologazione dell'accordo discende anche dalla soluzione che si vuol dare al dibattito, ancora accesso, circa la natura, concorsuale o meno, dell'istituto in esame.
Sul punto, è il caso di ricordare che, dopo un primo generalizzato orientamento tendente a ricondurre gli accordi di ristrutturazione nell'ambito privatistico, arrivando a definirli come un “normale contratto di diritto privato” (così, Manente, in Dir. fall. 2008, II, 308), che consente, una volta soddisfatti i requisiti richiesti, di godere di una speciale tutela (Innocenti, in Dir. fall. 2008, 704; Trib. Roma 16 agosto 2006, in Fall. 2007, 187), si è successivamente affermato un orientamento basato su riscontri normativi di inquadramento generale che mette in luce l'inserimento dell'istituto in esame nell'ambito dei procedimenti concorsuali.
Ebbene, se si conclude, come appare preferibile, per la tesi della natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione (Minutoli, in Fall. 2008, 1051; Lo Cascio, in Fall. 2008, 995), tesi la cui solidità si fonda sull'indiscutibile finalità pubblicistica dell'istituto in esame, nonché sulla necessità che gli accordi siano conclusi nel rispetto del principio di concorsualità (si legga, in tal senso, il divieto di esercizio di azioni cautelari e esecutive individuali; il sistema di pubblicità dell'accordo; la previsione di una percentuale di creditori che rappresenti almeno il 60% dei creditori; l'esenzione in caso di successivo fallimento dalla revocatoria delle somme erogate dal debitore in esecuzione dell'accordo, esattamente come è previsto per il concordato preventivo) e che siano sottoposti al vaglio dell'autorità giudiziaria che ne decreta l'omologazione a condizione che risultino corrispondenti alla norma di legge, allora deve ritenersi che, pur affermandosi l'autonomia dell'istituto in esame rispetto al concordato preventivo, le affermazioni sopra commentate - in ordine alla necessità di una attestazione del professionista che non sia limitata alla sola attuabilità dell'accordo, ma che comprenda anche la veridicità dei dati aziendali, nonché in ordine alla necessità di verifica della esistenza di un piano industriale e finanziario nella ipotesi di accordo di ristrutturazione non strettamente liquidatorio (così come avviene, peraltro, nel concordato preventivo per espressa previsione normativa) - risultano essere ancor più condivisibili.
Tale conclusione dovrebbe, pertanto, valere, a fortiori, nella valutazione dell'ambito di cognizione del tribunale in sede di omologazione, ove, a rigore, la considerazione della natura concorsuale dell'istituto in parola dovrebbe rafforzare la conclusione sopra perorata secondo la quale il tribunale, in sede di omologazione dell'accordo, non deve limitarsi ad un giudizio di mera legalità, ma deve spingersi sino a sindacare il merito dell'accordo di ristrutturazione attraverso la valutazione della relazione del professionista e del giudizio prognostico espletato da quest'ultimo sull'attuabilità del piano di ristrutturazione, e ciò proprio a presidio di quegli interessi pubblicistici sottesi all'istituto qui in discussione e della rilevanza degli effetti discendenti dall'applicazione concreta dello stesso.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Oltre alle citazioni contenute direttamente nel testo, si vedano per la giurisprudenza sul profilo generale del sindacato di fattibilità/attuabilità: Cass. Civ. n. 18864 del 2011; Cass. Civ. n. 13818 del 2011; App. Torino 19 giugno 2007, in Fall.; Trib. Piacenza, 2.03.2011; Trib. Milano, 25.03.2010; Trib. Milano, 10.11.2009, in Fallimento, 2010, 195 ; Trib. Milano, 15.10.2009; Trib. Roma, 20.05.2010; Trib. Roma, 5.11.2009 Corr. Giur., 2010, 2, 241; Trib. Terni 4.05.2009, in Giur. Merito; Trib. Udine, 22.06.2007, in Fallimento, 2008, 6, 701; Trib. Milano 9.02.2007; Trib. Palermo del 17 febbraio 2006, in Fall.; Trib. Monza del 17 ottobre 2005, in Dir. e prat. Soc.; Trib. Ancona del 13 ottobre 2005, in Fall..
Sul ruolo del professionista si rinvia ai due interventi in questo portale di Ranalli, L'attestazione del professionista degli accordi di ristrutturazione: presupposti, contenuti e finalità, e di Vitiello, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa: profili problematici.
Sui problemi del sindacato di fattibilità nel concordato preventivo la S. Corte ha deciso di rimettere la soluzione alle SSUU; sul punto cfr. Lamanna, Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l'intervento delle SS.UU., in questo portale; Lamanna, Richiesta la rimessione alle SS.UU. sull'ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato preventivo, in questo portale.

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