La (in)validità della notifica del ricorso di fallimento a mezzo PEC

30 Marzo 2015

Ai sensi del nuovo art. 15, comma 3, l. fall., come modificato dall'art. 17 del c.d. Decreto Sviluppo-bis, la notifica via PEC del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di fissazione d'udienza deve ritenersi regolarmente effettuata in presenza di attestazione di consegna del gestore di posta elettronica certificata, purché si consegua la certezza che detta consegna sia avvenuta ad una PEC certamente riferibile al destinatario.
Massima

Ai sensi del nuovo art. 15, comma 3, l. fall., come modificato dall'art. 17 del c.d. Decreto Sviluppo-bis, la notifica via PEC del ricorso per la dichiarazione di fallimento e del decreto di fissazione d'udienza deve ritenersi regolarmente effettuata in presenza di attestazione di consegna del gestore di posta elettronica certificata, purché si consegua la certezza che detta consegna sia avvenuta ad una PEC certamente riferibile al destinatario.

Il caso

La Corte di Appello di Bologna, in sede di reclamo avverso una sentenza dichiarativa di fallimento, ne ha dichiarato la nullità, avendo ritenuto affetta da nullità la notificazione del ricorso di fallimento e del decreto di fissazione dell'udienza, benché effettuata dalla cancelleria del Tribunale mediante posta elettronica certificata (PEC).
Come è noto, le attuali disposizioni normative prevedono che i ricorsi di fallimento, unitamente ai decreti del Tribunale e del Giudice Relatore in caso di delega, devono essere notificati a cura della cancelleria all'indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del resistente debitore, risultante dal registro delle imprese ovvero dall'indice nazionale delle PEC delle imprese e dei professionisti.

Le questioni giuridiche

Sussiste l'obbligo da parte di ciascun imprenditore di comunicare al registro delle imprese il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, affinchè lo stesso possa essere automaticamente ricavato dai sistemi informatici.
La casella di posta elettronica certificata nell'era telematica è quindi il luogo dove necessariamente devono essere eseguite le notificazioni. Essa è assimilabile ad un domicilio eletto, indicato dal soggetto come ‘luogo' nel quale gli devono essere effettuate le comunicazioni previste dalla legge.
Non è un domicilio virtuale, né la notifica eseguita a mezzo PEC può essere definita virtuale; il domicilio è effettivo, ancorché informatico, perché viene scelto ed indicato dal soggetto, né più né meno come accadeva con la vecchia casella postale che veniva aperta presso gli uffici postali, ovvero come accade ancora con l'elezione di domicilio presso lo studio di un professionista o presso un ufficio di segreteria centralizzata. Nessuno dubita che la notificazione eseguita nel domicilio eletto presso il proprio difensore sia effettiva, diretta e non meramente virtuale, perché è lo stesso soggetto che deve ricevere le notificazioni e le comunicazioni ad aver volontariamente scelto ed eletto il domicilio in un luogo diverso da quelli con i quali ha tradizionalmente un contatto fisico effettivo, vale a dire la propria residenza ed il proprio domicilio, come gli è data facoltà dalla legge.
La notifica può essere definita virtuale soltanto nei casi residuali, ossia quando essa avviene, in virtù di disposizione di legge, presso la casa comunale o presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario. In questi casi non è il soggetto che deve ricevere la notificazione ad aver scelto il luogo presso il quale essa si deve effettuare, luogo che viene invece imposto dalla legge, pur in assenza di qualunque riferimento o contatto effettivo tra notificando e sede della notifica.
Questi principi devono essere oggi interpretati in chiave tecnologicamente moderna ed avanzata, per cui la casella di PEC diventa il luogo concretamente più vicino e più facilmente accessibile per il notificando, il quale può ricevere comunicazioni e notificazioni in tempo reale ed in maniera sicura e certa.
Nella sentenza della Corte viene innanzitutto ribadito il principio della non derogabilità delle forme previste dall'art. 15 della l. fall. per la notificazione degli atti prefallimentari. In particolare viene ampiamente chiarito il concetto di raggiungimento dello scopo, idoneo a sanare i vizi della notificazione. La Corte osserva che ai fini della sanatoria gli unici strumenti validi sono la rinnovazione della notifica oppure la costituzione in giudizio del notificando, poiché soltanto essi consentono di ritenere che vi sia stata una completa ed effettiva conoscenza degli atti da notificare e che sia assicurato l'effettivo esercizio del diritto di difesa. A tal fine non devono trarre in inganno altre modalità, solo apparentemente idonee, quali l'inoltro degli atti a titolo di cortesia o di ‘solidarietà imprenditoriale' da parte di un terzo che riceva la notifica, né la notifica eseguita in forme diverse da quelle previste dall'art. 15 l. fall., come ad esempio una notifica privata e diretta da una parte all'altra senza il tramite dell'ufficiale notificatore, anche se ricevuta direttamente dal notificando. E' opportuno aggiungere che sono altresì irrituali le notificazioni eseguite a mezzo del servizio postale ovvero in luoghi diversi dalla sede legale dell'impresa. In tali ipotesi la notifica è e rimane radicalmente nulla, se non addirittura inesistente.
Premessi questi principi, nel caso sottoposto all'esame della Corte si è verificato un ulteriore incidente di percorso.
Dalla lettura della sentenza emerge che a seguito delle indagini effettuate in sede di reclamo è stato accertato che l'indirizzo di posta elettronica certificata della fallita società, risultante dal registro delle imprese, era stato assegnato ad un'altra società, ed anzi complessivamente a ben quattro società, tra cui la fallita reclamante.
Quest'ultima ha affermato che a causa di tale anomala situazione non aveva avuto conoscenza del procedimento prefallimentare ‘a causa della nullità della notifica'.
La Corte, a seguito di informazioni chieste al gestore di posta elettronica ed alla cancelleria del Tribunale, ha ritenuto che la notifica a mezzo PEC effettuata dalla cancelleria del tribunale non sia pervenuta alla fallita, bensì alla diversa società risultata intestataria della PEC (ndr. almeno così pare emergere dal testo della sentenza in commento, che nella copia rilasciata è priva dei nominativi delle diverse società, nel rispetto della privacy).
La Corte ha affermato che vi è stata una comunicazione da parte del gestore, il quale ha dichiarato che la casella PEC in questione “è attualmente assegnata esclusivamente” ad un‘altra società, con diversa partita IVA. Il gestore ha precisato che la società fallita, pur avendo richiesto l'attivazione della medesima casella PEC, vale a dire di una casella avente la medesima denominazione di quella assegnata all'altra società, non ne è divenuta assegnataria, avendo completato l'ordine di acquisto in un momento successivo a quello in cui detta casella era già stata assegnata all'altra società.
Il gestore ha altresì riferito alla Corte, come richiestogli, di non essere a conoscenza dell'utilizzo che l'utente fa della casella di PEC assegnata, né tanto meno se la stessa sia da lui o da altri comunicata a terzi come proprio recapito ufficiale, tra cui - a titolo esemplificativo - al registro delle imprese. Infine, la cancelleria del Tribunale ha riferito che l'indirizzo di PEC cui devono essere notificati ricorso e decreto viene ricavato automaticamente dal sistema inserendo il solo codice fiscale della società fallenda; la ricevuta telematica riporta l'indirizzo della sede legale e l'indirizzo di PEC, con l'attestazione che quest'ultimo è stato reperito da ‘INIPEC IMPRESE'.
Sulla base di tali risultanze, la Corte ha osservato che, dunque, ben può accadere che all'INIPEC si trovino iscritte più imprese con il medesimo indirizzo PEC, anche se esso è attivo per una sola di esse; ha precisato che l'Agenzia per l'Italia Digitale con propria nota ha richiamato l'obbligo di utilizzare un proprio ed esclusivo indirizzo PEC da parte di ogni singola impresa, ed il Ministero dello Sviluppo Economico ha comunicato che al riguardo non deve sussistere eccezione alcuna, invitando le CCIAA a cancellare le duplicazioni. E' emersa la presenza di circa 191.000 indirizzi PEC duplicati, ovvero assegnati ad almeno due soggetti distinti. La Corte ha concluso affermando che, alla luce delle considerazioni svolte, l'attestazione di consegna nel caso di specie non era idonea a far ritenere perfezionata la notifica nei confronti della società poi fallita; ha escluso che nella specie vi sia stata una dolosa preordinazione e che la fallenda si è trovata in una situazione comune ad altre 191.000 imprese; ha pertanto revocato la dichiarazione di fallimento per la nullità della notifica degli atti del procedimento prefallimentare.
La decisione della Corte costituisce puntuale applicazione del principio ineludibile della garanzia del diritto di difesa in sede prefallimentare, e pertanto il giudice del reclamo in presenza di una situazione incerta, confusa ed aperta a diverse interpretazioni, ha prudentemente ritenuto che l'eccepita violazione del diritto di difesa fosse fondata.

Osservazioni

E' opportuno a questo punto svolgere alcune considerazioni.
Nella realtà fisica, nulla vieta o impedisce che presso uno stesso indirizzo vi siano più soggetti residenti, domiciliati, anche elettivamente, o aventi una sede legale. Sono noti e frequenti i casi in cui più società hanno la sede legale nel medesimo luogo (ed indirizzo), oppure hanno sede presso uno studio professionale, o ancora hanno eletto domicilio presso lo studio di un avvocato o di un commercialista. In tali ipotesi nessuno dubita che la notificazione degli atti eseguita nei luoghi sopra indicati, che i notificandi hanno precedentemente dichiarato corrispondere alla sede legale ovvero al domicilio eletto, si perfezioni e sia pienamente valida ed efficace, anche qualora sia effettuata con consegna ad incaricati, dipendenti, addetti alla ricezione. Invero la notificazione deve sempre essere effettuata presso la sede legale ovvero presso il domicilio eletto, anche se all'indirizzo della sede legale o presso lo studio del professionista domiciliatario risultano avere sede o essere domiciliati più soggetti, e soprattutto più società.
Parimenti, ed in via astratta, nulla vieta che in un solo e medesimo indirizzo di posta elettronica, quale riferimento telematico voluto dal legislatore, confluiscano e vi facciano capo più società, se tale indicazione proviene dalle società medesime.
Tale scelta è spesso dettata dall'esigenza di una più agevole ricezione delle comunicazioni e notificazioni telematiche, oppure da necessità di risparmio sui costi di acquisto e manutenzione della PEC, da ragioni organizzative connesse all'amministrazione ed alla gestione societaria.
E' evidente che in tali ipotesi di indirizzi PEC ‘condivisi' con altri soggetti, è necessario che i titolari dell'unica PEC siano consapevoli dell'esistenza di più soggetti che fanno capo ad una medesima ed unica casella di posta elettronica. In caso contrario, non si può parlare di condivisione volontaria e cosciente, bensì di mero errore da sovrapposizione di utenti nella medesima PEC.
A bene vedere è difficile ipotizzare un'ipotesi di errore non voluto, semplicemente considerando che l'inserimento dell'indirizzo di PEC nel registro delle imprese non avviene “d'ufficio” bensì a seguito di comunicazione da parte dell'imprenditore. Questi, dunque, prima di comunicare ai terzi, ed in particolare ai pubblici registri, la propria PEC, ha il dovere di accertarsi che essa sia attiva e funzionante; deve logicamente essere in possesso delle chiavi di identificazione per accedere alla casella e necessariamente della password al fine di poterne leggere i contenuti; oppure deve essere autorizzato da altri ad accedere a quella specifica PEC che egli intende adoperare e comunicare come propria al registro delle imprese; deve in sintesi riconoscere a se stesso ed ai terzi che l'indirizzo di PEC consapevolmente e liberamente fornito al registro delle imprese è quello da lui scelto, verificato ed accettato per ricevere le comunicazioni legali nei rapporti con i terzi.
Dunque, più che interrogarsi sulla buona fede o sulla dolosa preordinazione, è logico considerare che, una volta comunicato alla CCIAA un indirizzo di PEC, l'imprenditore imputet sibi eventuali criticità o anomalie derivanti dalla condivisione della casella con una pluralità di soggetti abilitati all'accesso alla medesima PEC, di cui facciano uso; tali o altre evenienze da lui conosciute o che avrebbe dovuto conoscere con un minimo di diligenza e di accortezza non possono giustificare l'asserita mancanza di conoscenza della notificazione telematica, eseguita come dispone la legge presso l'indirizzo di PEC ufficialmente comunicato dall'imprenditore medesimo. In breve, se la società ha indicato e comunicato al registro delle imprese una determinata PEC, è alla stessa, e soltanto ad essa, che deve pervenire la notificazione.
L'uso condiviso di una PEC da parte di più soggetti, sebbene sia ritenuto non consentito e venga precluso dalle autorità sopraindicate riportate nella sentenza, tuttavia non comporta per ciò solo la nullità della notifica, posto che tale sanzione non si rinviene espressamente in alcun dato normativo. La sanzione imposta è quella della cancellazione ‘del dato' da parte delle Camere di Commercio, previo invito alle imprese a sostituire l'indirizzo con altro proprio.
Nel caso di specie è stato accertato che la fallita aveva chiesto l'attribuzione della casella di PEC al gestore, il quale aveva omesso però di comunicarle che la casella richiesta era stata attribuita ad altra società.
Tale omessa comunicazione è tuttavia irrilevante, alla luce delle considerazioni esposte. Invero la società non può comunicare al registro delle imprese sic et simpliciter un indirizzo di PEC che non le è stato ancora attribuito, che non ha ancora a sua disposizione e che spera solo di avere, bensì deve indicare una PEC già esistente a suo nome, funzionante, verificata e pagata; altrimenti non deve indicare alcuna PEC, e continuerà a ricevere le notifiche cartacee presso la sede legale.
Consegue che la fallita, prima di comunicare al registro delle imprese l'indirizzo che aveva ‘prenotato', avrebbe dovuto avere un proprio account, essere in possesso di una password personale ed accertarsi in tal modo che la casella fosse attiva e funzionante nei suoi confronti. In caso negativo, per tutelare il suo diritto a ricevere notifiche e comunicazioni rituali non avrebbe giammai dovuto indicare alla CCIAA per l'iscrizione un qualunque indirizzo di PEC o un indirizzo non espressamente assegnatole. Se ciò è accaduto, significa inequivocabilmente che la fallita aveva accesso alla casella, ancorché attribuita a terzi, o almeno la disponibilità per usufruire della stessa, e quindi per ricevere le comunicazioni legali.
L'indicazione di un determinato indirizzo di PEC equivale ad una dichiarazione di elezione di domicilio; chi la effettua non può successivamente dolersi per il fatto che tale PEC è attribuita ad altri e deve invece essere diligente nel verificare costantemente la posta certificata pervenuta all'indirizzo indicato.
Diversamente opinando si potrebbe pericolosamente incentivare un palese abuso del diritto, se si considera che la cancelleria, quando riceve dal sistema la conferma che la notifica telematica del ricorso di fallimento ha avuto esito positivo, null'altro può o deve fare, e neppure il ricorrente in sede prefallimentare, perché così è imposto dalla legge al fine di semplificare effettivamente l'iter notificatorio.
Chiunque potrebbe ad arte chiedere e prenotare in maniera errata un indirizzo di PEC già esistente (consultando l'indice), per poi eccepire di non averne la titolarità o la disponibilità. Si verrebbe a creare una sorta di irreperibilità telematica, che è esattamente il contrario delle finalità della novella legislativa.

Conclusioni

Si deve quindi ritenere che l'imprenditore, il quale comunichi ufficialmente al registro delle imprese o dichiari comunque pubblicamente un indirizzo di PEC, che afferma essere quello presso il quale vuole ricevere le comunicazioni e le notificazioni previste dalla legge, ha il preciso onere di assicurarsi preventivamente l'accesso a tale indirizzo telematico, deve accertarsi che esso funzioni e ha l'obbligo di prendere visione del suo contenuto epistolare, direttamente o tramite soggetti da lui delegati all'accesso. Se tali facoltà gli sono inibite, non può restare inerte, ma deve chiedere immediatamente la cancellazione della PEC iscritta nel registro a suo nome e sostituirla con un'altra che resti a sua esclusiva disposizione.

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