Previdenza complementare e legittimazione all’insinuazione al passivo

08 Maggio 2012

In relazione alle quote di TFR - destinate dal lavoratore alla previdenza integrativa o complementare e non versate dal datore di lavoro, poi fallito, al Fondo designato - deve essere riconosciuta la legittimazione all'insinuazione al passivo sia del lavoratore che del Fondo, salva la necessità di verificare da parte del curatore, in sede di riparto, l'effettivo intervento del Fondo.
Massima

In relazione alle quote di TFR - destinate dal lavoratore alla previdenza integrativa o complementare e non versate dal datore di lavoro, poi fallito, al Fondo designato - deve essere riconosciuta la legittimazione all'insinuazione al passivo sia del lavoratore che del Fondo, salva la necessità di verificare da parte del curatore, in sede di riparto, l'effettivo intervento del Fondo.

Il caso

Un dipendente della società fallita chiede di essere ammesso al passivo per la quota di TFR trattenuta dal datore per essere versata ad un Fondo di previdenza integrativa, ma in realtà non corrisposta. Il G.D. respinge l'insinuazione, ritenendo la somma (e la conseguente legittimazione ad insinuarsi al passivo) di pertinenza del solo Fondo integrativo designato.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione è stata efficacemente enunciata dallo stesso decreto del tribunale di Treviso, osservando che essa “attiene all'individuazione del soggetto legittimato all'insinuazione nello stato passivo dei crediti per le quote di TFR destinate alla previdenza integrativa o complementare e non versate dal datore di lavoro al Fondo designato”. A tale soluzione il Tribunale è pervenuto enunciando il principio di cui alla massima, basando il riconoscimento della legittimazione congiunta al lavoratore ed al Fondo sulla duplice considerazione: 1) che la contitolarità del diritto alla contribuzione discende dall'art. 1, comma 2, n. 8 della L. n. 243/04; 2) che, ulteriormente, l'affermazione della legittimazione esclusiva del Fondo potrebbe compromettere, in caso di inerzia dello stesso, il diritto del lavoratore all'integrità della retribuzione che, diversamente, potrebbe risultare compromesso dall'eventuale inerzia del Fondo.
Ovviamente, ha puntualizzato il Tribunale, l'effettivo intervento del Fondo comporterà, in sede di riparto, il riconoscimento delle relative somme solo a quest'ultimo.

Osservazioni

La decisione del Tribunale appare ispirata dalla condivisibile esigenza equitativa di non esporre il lavoratore alle conseguenze negative di un'eventuale inerzia del Fondo, anche se si deve osservare che, a tal fine, sarebbe bastato prevedere una forma di legittimazione sussidiaria, laddove il provvedimento in commento giunge ad affermare una legittimazione concorrente, anche se sembra evidente che, in caso di insinuazione presentata da entrambi i soggetti, dovrebbe comunque prevalere la richiesta del Fondo.

Le questioni aperte

L'incertezza in ordine all'individuazione del soggetto legittimato deriva, in realtà, dalla divergenza tra la lettera dell'art. 1, comma 2, n. 8 della L. 243/04 (che stabilisce espressamente “l'attribuzione ai fondi pensione della contitolarità con i propri iscritti del diritto alla contribuzione”) e la lettera dell'art. 8 d. lgs. n. 252/05, che invece non ha previsto in modo esplicito tale contitolarità. Evidente la diversità rispetto a quanto previsto (per il Fondo di Garanzia) dall'art. 5 d.lgs. n. 80/1992, il quale prevede invece in modo chiaro che “il lavoratore, ove il suo credito sia rimasto in tutto o in parte insoddisfatto in esito ad una delle procedure indicate al comma 1, può richiedere al Fondo di garanzia di integrare presso la gestione di previdenza complementare interessata i contributi risultanti omessi. Il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore per l'equivalente dei contributi omessi, versati a norma del comma 2”.
Assume, evidentemente, rilievo la qualificazione della posizione del Fondo di previdenza integrativa, giacchè la ricostruzione del rapporto tra Fondo e lavoratore varierà a seconda che il primo venga qualificato quale cessionario (parziale) del credito per T.F.R.; oppure quale delegato; oppure quale mero adiectus solutionis causa indicato dal lavoratore (il quale conservi la titolarità del credito).

Conclusioni

La soluzione del Tribunale, se pone rimedio in modo radicale ai rischi connessi all'inerzia del Fondo, non è comunque esente da profili di criticità, quale il rischio di una duplicazione delle insinuazioni e la necessità di operare una verifica supplementare in sede di riparto.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sul piano normativo risultano fondamentali le previsioni di cui all'art. 1, comma 2, n. 8 e all'art. 8 della L. n. 243/2004.
La decisione del Trib. Treviso richiama Cass. civ. 27 maggio 2010, n. 12964, che ha riconosciuto al lavoratore il diritto di chiedere direttamente - in caso di inerzia dell'INPS nell'esercizio dell'azione ex artt. 93 e 101 della legge fall. - l'ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del datore.
Significativa la decisione di Trib. Bologna, 29 maggio 2008, la quale, in una ipotesi di adesione al FONDAPI previsto dall'accordo collettivo, ha ritenuto che i versamenti al fondo siano operati dal datore di lavoro “sia quale delegato del lavoratore all'adempimento, sia quale obbligato diretto in forza dell'accordo collettivo sottoscritto”, concludendo che il lavoratore leso nella sua posizione contributiva “può richiedere direttamente al fondo di garanzia di integrare i contributi omessi presso la gestione di previdenza complementare interessata: legittimando quindi in via successiva il fondo stesso alla surroga nei diritti del lavoratore nei limiti dei contributi omessi; soltanto il "fondo" è titolare di ogni azione volta all'integrale adempimento di quanto previsto in contratto”.

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