L’uso distorto del mutuo fondiario e la revocatoria fallimentare

24 Febbraio 2015

Se la somma erogata a mutuo da un istituto di credito al proprio cliente viene utilizzata per estinguere un preesistente debito nei confronti dello stesso istituto mutuante, si pone in essere un procedimento indiretto anormalmente solutorio che persegue uno scopo estraneo rispetto alle finalità tipiche dei singoli negozi conclusi dando luogo ad un pagamento anormale revocabile ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall. Nei casi di revocatoria fallimentare previsti dall'art. 67, comma 1, l. fall., la conoscenza dello stato di insolvenza in capo all'accipiens è presunta iuris tantum, salva la prova contraria dell'inscientia decoctionis che deve essere fornita dallo stesso convenuto in revocatoria.
Massima

Se la somma erogata a mutuo da un istituto di credito al proprio cliente viene utilizzata per estinguere un preesistente debito nei confronti dello stesso istituto mutuante, si pone in essere un procedimento indiretto anormalmente solutorio che persegue uno scopo estraneo rispetto alle finalità tipiche dei singoli negozi conclusi dando luogo ad un pagamento anormale revocabile ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall.

L'erogazione di un mutuo ipotecario non destinato a creare effettiva disponibilità economica nel mutuatario, ma volto solamente ad estinguere precedenti passività, è configurabile come negozio indiretto il quale, costituendo un mezzo anormale di pagamento, può essere revocato ai sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2 l. fall.

Nei casi di revocatoria fallimentare previsti dall'art. 67, comma 1, l. fall., la conoscenza dello stato di insolvenza in capo all'accipiens è presunta iuris tantum, salva la prova contraria dell'inscientia decoctionis che deve essere fornita dallo stesso convenuto in revocatoria.

Il caso

In sede di verifica crediti il giudice delegato aveva ammesso al passivo chirografario il credito di una banca derivante da un mutuo fondiario eccependo il non consolidamento semestrale dell'ipoteca relativa in quanto revocabile ex art. 67, comma 1, l. fall. Il gravame era quindi giudicato inopponibile e la somma, pure ammessa al passivo, non poteva essere riconosciuta come credito privilegiato.
La banca proponeva opposizione allo stato passivo ribadendo il breve consolidamento dell'ipoteca fondiaria ex art. 39 TUB (nei 10 giorni) e negando la conoscenza dello stato di insolvenza dell'imprenditore nel periodo sospetto.

Le questioni giuridiche

L'uso “distorto” dei mutui fondiari. possibili ricostruzioni in dottrina e giurisprudenza. Come si legge nel testo della sentenza, la fattispecie dell'erogazione di un mutuo ipotecario (nel caso di specie si trattava addirittura di un mutuo fondiario) non destinato a creare un'effettiva disponibilità di somme per il mutuatario, già debitore in forza di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, è stata affrontata diverse volte in passato da dottrina e giurisprudenza con risposte differenti.
L'ipotesi della simulazione. Secondo una prima impostazione, l'“inelegante stratagemma” (così Bruschetta, Revocatoria di mutuo fondiario ipotecario, in Fall. 6/2004, 635) usato dagli istituti di credito di concedere al proprio debitore un mutuo destinando la provvista relativa semplicemente all'estinzione del debito pregresso e trasformandolo così da chirografario in debito privilegiato, è stato giudicato inefficace perché simulato.
In pratica la fattispecie viene ricostruita come simulazione relativa del mutuo fondiario con dissimulazione di una garanzia ipotecaria per un debito preesistente scaduto o non scaduto e come tale aggredibile ex art. 67, comma 1, nn. 3 e 4, l. fall.
Il contratto di mutuo, in altre parole, nasconderebbe “una convenzione dissimulata (effettivamente voluta) di dilazione nel pagamento del debito preesistente dietro concessione di garanzia ipotecaria” (così Cassazione 19 novembre 1997, n. 11495).
Tale risalente orientamento fu inaugurato da Cassazione 24 ottobre 1967, n. 2621 (in Banca, borsa 1968, II, 55 e seguenti), con nota critica di De Marchi (“Simulazione nel contratto fondiario?”) il quale in effetti sottolineò come non sia corretto parlare di simulazione, giacché il mutuo fondiario è davvero voluto dalle parti. Dal debitore perché estingue il debito pregresso e ottiene una dilazione più lunga per pagare quello successivo, e dalla banca perché si precostituisce così una garanzia sul debito stesso.
Il negozio in frode alla legge. Una differente soluzione è stata quella di considerare il mutuo così congegnato come un negozio in frode alla legge.
In tal senso la Corte d'appello di Milano (25 maggio 1993), in un caso analogo a quello in commento, ebbe a precisare che il mutuo fondiario utilizzato per coprire una precedente esposizione debitoria verso l'istituto di credito non può essere considerato simulato, per il semplice fatto che la somma mutuata non ha in realtà mai creato una concreta nuova disponibilità di denaro. Esso è invece da ritenersi nullo in quanto negozio in frode alla legge se viene dimostrata l'esistenza di un accordo fra i soggetti coinvolti, esplicitamente mirato ad eludere una norma imperativa di legge, poiché elusivo del sistema delle revocatorie fallimentari a tutela della par condicio creditorum. Solo nella misura in cui si perviene alla dimostrazione di tale intendo fraudolento sarà possibile sostenere la nullità del contratto per contrarietà a norma imperativa ex art. 1344 c.c. (in tal senso Abete, Mutuo fondiario e mutuo di scopo: brevi riflessioni, in Dir. Fall., 2003, I, 1463; Falcone, Le operazioni di credito fondiario alla luce delle disposizioni del decreto legge n. 7 del 2007, convertito in legge, n. 40 del 2007, in Dir. Fall., 2007, I, 721).
Al riguardo si è peraltro giustamente osservato che il contratto non è tanto contra legem, bensì in fraudem legis poiché la legge non è violata direttamente e palesemente, ma solo indirettamente tramite una sorta di aggiramento elusivo (così osserva Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2006, 823)
Ulteriore via per giungere alla nullità del contratto sarebbe quella di evidenziare la sussistenza di un motivo illecito comune rilevante ex art. 1345 c.c. (così Corte d'appello di Brescia 9 febbraio 1994).
Potrebbe essere questo infatti l'elemento che consente di far emergere e dare peso giuridico all'intenzione di frodare i creditori, altrimenti di per sé irrilevante ai fini della nullità del contratto (la Corte d'appello di Brescia spiega infatti che la nullità per frode ai creditori non esiste).
Secondo invece la dottrina più recente, andrebbe privilegiata la chiave esclusivamente “oggettiva”, per concentrare l'attenzione sull'accertamento e sulla dimostrazione dell'avvenuta elusione compiuta dal negozio contestato (sempre Gazzoni, cit.).
Sotto altro profilo, ma sempre nell'ottica della violazione di norme imperative, operazioni di questo tipo potrebbero risultare penalmente rilevanti ai sensi dell'art. 216, comma 3, l. fall. in tema di bancarotta preferenziale per simulazione di privilegi.
Si è infatti spiegato (Galletti, Non si vive di sola revocatoria: piccolo manuale di sopravvivenza per il “nuovo” curatore fallimentare, in ilFallimentarista.it) che il mutuo e l'ipoteca così congegnati potrebbero essere ritenuti nulli poiché realizzati in violazione di norma imperativa di rango penale, con l'applicazione dell'istituto della nullità “virtuale” ex art. 1418 c.c.
Un ulteriore e differente profilo di nullità è stato evidenziato riflettendo sulla causa del contratto di mutuo fondiario così stipulato.
Si registra al riguardo l'opinione secondo cui il fondiario stipulato al solo fine di ripianare debiti pregressi sarebbe da considerarsi nullo per difetto di causa (così Tribunale di Nola, 24 febbraio 2009).
Si tratta però di casi limite (alcuni esempi anche in Tribunale di Palermo, 3 giugno 1992 e Corte d'Appello di Palermo, 15 maggio 1995) in cui si era di fronte a contratti di mutuo che prevedevano una specifica destinazione del finanziamento (così spiega Campagna, op. cit., il quale però osserva come ormai la dottrina e la giurisprudenza siano concordi nel ritenere che il mutuo fondiario come regolato oggi dal TUB non è preordinato al perseguimento di uno scopo predefinito).
La novazione. Una terza ricostruzione porta invece a ricondurre il meccanismo adottato dall'istituto di credito all'interno della novazione oggettiva ex art. 1230 c.c. (vedi Bozza, Il credito fondiario nel nuovo testo unico bancario, 1996, Padova, 81).
La novazione, quale modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall'adempimento, presuppone oltre all'esistenza di una prestazione non adempiuta, la volontà delle parti di sostituire a tale prestazione una nuova e diversa con effetto estintivo della precedente.
Tali condizioni sarebbero presenti nella fattispecie in esame, poiché di fronte al debito verso l'istituto di credito e all'incapacità di onorarlo, vi è la volontà comune delle parti (animus novandi) di costituire un nuovo contratto di mutuo volto ad estinguere il debito chirografario sostituendolo con uno nuovo privilegiato (aliquid novi).
In quest'ottica la stipula del mutuo fondiario e l'utilizzo della provvista per estinguere i debiti pregressi sono da leggersi in collegamento come operazione unitaria che “tramuta” un debito chirografario in uno garantito (così spiega Campagna, Mutuo fondiario: la violazione del limite di finanziabilità non comporta la nullità del contratto ex art. 38, comma 2 TUB, in Rivista di diritto bancario, estratto 3/2014, 6).
Tale escamotage però configura un sistema di pagamento con mezzi anormali di debiti preesistenti e quindi può essere revocato ai sensi dell'art. 67, comma 1, n. 2 l. fall. (ex multis in tal senso Tribunale di Genova, 17 luglio 2002).
In questo modo il positivo esperimento dell'azione revocatoria comporta la declaratoria di inefficacia del finanziamento con caducazione dell'ipoteca e conseguente reviviscenza dell'originario credito chirografario. La banca così non è tenuta a restituire somme al debitore e deve insinuare al passivo il solo credito “iniziale” in via chirografaria (così spiega Petraglia, Uso distorto del credito fondiario, in Fall. 8/1998, 804).
Critica tale ricostruzione chi obietta (Scotti, La revocatoria fallimentare delle garanzie, Incontri sul diritto fallimentare, Parma, 23.9-7.10.2003) che in tal modo si assiste a un'inammissibile estensione del concetto di mezzo anormale di pagamento, non rivestendo la novazione carattere di per sé pienamente satisfattivo, ad esempio perché magari solo una parte delle somme erogate viene utilizzata per ridurre la pregressa esposizione debitoria, mentre altra parte affluisce realmente in favore del cliente dell'istituto di credito.
Non sono mancati casi in cui la giurisprudenza si è mostrata particolarmente severa nei confronti dell'istituto di credito portando alle estreme conseguenze le ipotesi della simulazione e della novazione pronunciando congiuntamente la revoca sia della garanzia ipotecaria, sia del pagamento, utilizzando in combinazione le ricostruzioni sopra brevemente riepilogate.
In questo modo la banca si vede raddoppiare l'esposizione nei confronti del debitore, tanto per il debito preesistente quanto per quello nuovo, entrambi ovviamente in via esclusivamente chirografaria (così Cassazione 5 febbraio 1982, n. 652 e Corte d'Appello Palermo 24.1.1989; riferimenti in questo senso si leggono anche in Cassazione n. 11495 del 19 novembre 1997).
Simile soluzione ha prestato tuttavia il fianco a diverse critiche, dal momento che ciò comporterebbe un indebito arricchimento della massa fallimentare (così Presti in nota a Cassazione 22 marzo 1994, n. 2742, in Banca e Borsa, 1994, II, 624)

Osservazioni

Il negozio indiretto. Oggi la teoria maggiormente condivisa (sposata anche dalla sentenza in commento) riconduce la vicenda in esame nell'architettura del negozio indiretto.
Come insegna la migliore dottrina (Sacco, Le controdichiarazioni, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, III edizione, Obbligazioni e contratti, tomo II, Torino, 2002, 283) non costituisce simulazione la conclusione di uno o più contratti compiuta per perseguire obiettivi analoghi a quelli di un contratto di tipo diverso o proveniente da soggetti diversi. Mancando infatti una controdichirazione non si può parlare di simulazione. Il negozio indiretto è un contratto lecito (o anche una pluralità di contratti collegati tra loro, così Cassazione 1365/1975), non simulato, perché realmente voluto, con il quale le parti perseguono però una finalità propria di un altro tipo di negozio o comunque estranea a quella del tipo “formalmente” prescelto.
Nel caso di specie, il mutuo non è dunque “simulato”, perché è effettivamente voluto dalle parti e erogato dalla banca. Tuttavia non viene utilizzato per finanziare lo sviluppo dell'impresa, bensì per uno scopo diverso. Il debitore infatti non ha nessuna concreta disponibilità delle somme di denaro poiché l'obiettivo è quello di utilizzare il prestito per estinguere un precedente debito chirografario che viene di fatto sostituito con uno nuovo e garantito. Ma questo rappresenta un obiettivo differente da quello che ci si prefigge stipulando un mutuo, ed è espressione di interessi giudicati non meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento (così Tribunale di Terni, 17 febbraio 2008).
Il negozio così concepito finisce quindi nel “mirino” del Tribunale di Treviso poiché rappresenta un procedimento “indiretto anormalmente solutorio” che persegue “uno scopo estraneo rispetto alle finalità tipiche sottese ai negozi posti in essere e da luogo a un pagamento anormale revocabile ex art. 67, comma 1 n. 2 l. fall.”.
A nulla rileva quindi il consolidamento breve dell'ipoteca fondiaria (entro 10 giorni), poiché, se il mutuo si è tradotto in un procedimento sanzionabile ex art. 67, comma 1, n. 2 l. fall., il principio di cui all'art. 39 TUB è inopponibile al fallimento, venendo travolta anche l'ipoteca diretta a garantire il debito preesistente (in questi termini Cassazione 1 ottobre 2007, n. 20622; Cassazione 11 febbraio 2011, n. 3468 e Appello di Milano, 17 ottobre 2008).
Attraverso il meccanismo del negozio indiretto, la revoca della garanzia ipotecaria tuttavia non esclude l'ammissione al passivo di quanto erogato a titolo di mutuo, poiché le somme relative, una volta prestate, restano soggette all'obbligazione di restituzione ex art. 1813 c.c. (in tal senso ancora recentemente Cassazione, 21 febbraio 2014, n. 4185), mentre l'ammissione al passivo sarebbe incompatibile solo con le fattispecie della simulazione o della novazione (così precisa Cassazione 28 gennaio 2013, n. 1807).
I pagamenti anormali e la prova dell'inscientia decoctionis. La fattispecie rientra quindi a pieno titolo nel quadro generale del primo comma dell'art. 67 l. fall., che prevede la revocatoria degli atti “anormali”, cioè di quegli atti compiuti nel periodo sospetto con modalità diverse da quelle comunemente in uso tra i contraenti e tali far presumere che il terzo fosse a conoscenza dello stato di insolvenza del fallito.
La norma infatti comporta una presunzione iuris tantum di scientia decoctionis tale per cui il curatore è esonerato dal fornire la prova relativa. Sarà il terzo a dover cercare di “scagionarsi” per evitare la revoca dell'atto.
Per tale motivo si parla di atti in regime probatorio “presuntivo” o “invertito”; in simili casi infatti il curatore dovrà semplicemente dimostrare il compimento dell'atto nel periodo sospetto.
Tra i casi “anomali” dell'art. 67, comma 1, l. fall. vi sono per l'appunto i pagamenti anormali.
La ratio della presunzione in tale ipotesi si fonda sul fatto che chi ottiene un pagamento “anormale” lo fa perché conosce lo stato di insolvenza del debitore.
L'accipiens quindi accetta il “rischio” di riceverlo sapendo che altrimenti rimarrebbe insoddisfatto oppure costringe direttamente il debitore ad effettuare il pagamento con mezzi diversi da quelli comunemente utilizzati sapendo che non ha altre disponibilità per far fronte alle proprie obbligazioni (così Di Iulio, L'azione revocatoria fallimentare, 152, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccininni, Severini, vol. 2, Torino, 2010).
Al riguardo, secondo il Tribunale di Treviso, la banca non sarebbe riuscita a vincere la presunzione sopra esposta poiché aveva solamente addotto la insussistenza di iscrizioni pregiudizievoli a carico del correntista. Ciò non è però sufficiente a fornire la prova dell'inscientia decoctionis.
Infatti l'onere della prova contraria gravante sull'accipiens non ha un mero contenuto negativo, non potendo essa essere semplicemente costituita dalla dimostrazione dell'assenza di elementi sintomatici dell'insolvenza.
Al contrario, la controparte dovrà chiarire che al momento del compimento dell'atto sussistevano indici tali da far ritenere ad una persona dotata di normale diligenza e avvedutezza che l'imprenditore non versava in situazione di insolvenza e sempre che non siano emerse prove dell'effettiva scientia decoctionis in capo all'accipiens (così Cassazione 3781/2008).
In altre parole lo stato soggettivo di inscientia sussiste solo in presenza di circostanze esterne, concrete e specifiche, note al terzo, tali da poterlo indurre a detto convincimento (così Cassazione 10432/2005).
Nella fattispecie in esame era emerso invece che la banca era consapevole delle difficoltà economiche del proprio cliente e che la concessione del mutuo non aveva avuto alcuna finalità di rilancio dell'attività di impresa dello stesso. Il Tribunale quindi non poteva che confermare la decisione del giudice delegato respingendo l'opposizione dell'istituto di credito.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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