Il pegno irregolare non è revocabile e la banca può incamerare il denaro ricevuto in garanzia

Vincenzo Papagni
17 Febbraio 2015

La possibilità di configurare come regolare il pegno avente ad oggetto un libretto di deposito al portatore non soltanto presuppone che questo sia stato emesso dalla stessa banca creditrice che lo riceve poi in garanzia ma anche che il contratto di costituzione di pegno riconosca a detta banca il potere di immediatamente disporne. Non diversamente da quel che accade per la costituzione in pegno di somme di danaro, di titoli o di altri beni fungibili, il dato che rileva ai fini della configurabilità del pegno come irregolare non è solo costituito dalla natura del bene, ma anche e soprattutto dalla volontà delle parti di conferire al creditore la facoltà di disporre del bene stesso (o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto) per soddisfare i propri crediti: facoltà di disposizione solo in presenza della quale la fattispecie esula dai confini del pegno regolare per rientrare, viceversa, nella disciplina prevista dall'art. 1851 c.c., con la conseguenza che il creditore acquisisce immediatamente la proprietà del denaro o dei beni, destinati poi, al momento dell'inadempimento, ad essere restituiti per equivalente o per intero, oppure, in caso d'inadempimento, nella sola misura eventualmente eccedente l'ammontare del credito garantito.
Massima

La possibilità di configurare come regolare il pegno avente ad oggetto un libretto di deposito al portatore non soltanto presuppone che questo sia stato emesso dalla stessa banca creditrice che lo riceve poi in garanzia ma anche che il contratto di costituzione di pegno riconosca a detta banca il potere di immediatamente disporne. Non diversamente da quel che accade per la costituzione in pegno di somme di danaro, di titoli o di altri beni fungibili, il dato che rileva ai fini della configurabilità del pegno come irregolare non è solo costituito dalla natura del bene, ma anche e soprattutto dalla volontà delle parti di conferire al creditore la facoltà di disporre del bene stesso (o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto) per soddisfare i propri crediti: facoltà di disposizione solo in presenza della quale la fattispecie esula dai confini del pegno regolare per rientrare, viceversa, nella disciplina prevista dall'art. 1851 c.c., con la conseguenza che il creditore acquisisce immediatamente la proprietà del denaro o dei beni, destinati poi, al momento dell'inadempimento, ad essere restituiti per equivalente o per intero, oppure, in caso d'inadempimento, nella sola misura eventualmente eccedente l'ammontare del credito garantito.
E il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito (principio affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 202/2001), e l'incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevuti in garanzia (salvo l'obbligo di restituire l'eccedenza, ex art. 1851 c.c.) resta sottratto alla revocatoria, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione.

Il caso

Il fallimento di una società in accomandita semplice e del socio illimitatamente responsabile agiva in giudizio nei confronti di un istituto di credito per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 67, comma 1, l. fall., delle rimesse effettuate su un conto intestato al fallito. Il Fallimento, a fondamento della domanda, deduceva che il libretto di risparmio al portatore, di cui era titolare il fallito, contente la somma di lire 90 milioni era stato dato in pegno a garanzia del credito di 120 milioni di lire accordato per sconto di operazioni commerciali ed altre obbligazioni. Venivano quindi effettuate due rimesse sul conto del fallito che venivano incamerate dalla banca per la somma contenuta nel libretto dato in pegno. La banca contestava la natura solutoria delle rimesse e la sussistenza del requisito soggettivo ed eccepiva che astrattamente la fattispecie poteva rientrare nell'art. 67, comma 2, l. fall.. Il Tribunale rigettava le domande del fallimento, che venivano invece accolte in seconda istanza dalla Corte d'appello di Napoli. Quest'ultima dichiarava inopponibili al Fallimento le due rimesse per complessivi euro 55.316,45 ed ordinava la restituzione di detta somma, con condanna della Banca alle spese dell'intero giudizio. Avverso quest'ultima decisione l'istituto di credito invocava la tutela di legittimità, articolando cinque distinti motivi di censura, dei quali tre venivano respinti, mentre il quarto veniva accolto. In particolare la Suprema Corte rileva come la Corte del merito avesse erroneamente qualificato come inesistente il potere da parte dell'istituto di credito di incamerare le somme nel caso di inadempimento del debitore. Pertanto – aggiungono i Giudici della S. Corte – non trova alcuna giustificazione la revocabilità del pagamento in sé, avvenuto secondo la modalità pattuita nel contratto di pegno, ancorché regolare, in carenza di ogni carattere di anormalità, rivelatore della scientia decoctionis.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La Suprema Corte torna sul tema, di notevole ricorrenza nella prassi bancaria, del pegno irregolare, inscindibilmente legato anche al problema della sottrazione alla revocatoria del credito assistito dal pegno stesso.
In particolare, la S. Corte, con la decisione n. 24865 del 21 novembre 2014, nel solco della pregressa giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 3794/2008), precisa che la possibilità di configurare come regolare il pegno avente ad oggetto un libretto di deposito al portatore non soltanto presuppone che questo sia stato emesso dalla stessa banca creditrice che lo riceve poi in garanzia, ma anche che il contratto di costituzione di pegno riconosca a detta banca il potere di immediatamente disporne. Non diversamente da quel che accade per la costituzione in pegno di somme di danaro, di titoli o di altri beni fungibili, insomma, il dato che rileva ai fini della configurabilità del pegno come irregolare non è solo costituito dalla natura del bene, ma anche e soprattutto dalla volontà delle parti di conferire al creditore la facoltà di disporre del bene stesso (o, nel caso si tratti di titolo di credito o documento di legittimazione, del relativo diritto) per soddisfare i propri crediti: facoltà di disposizione solo in presenza della quale la fattispecie esula dai confini del pegno regolare per rientrare, viceversa, nella disciplina prevista dall'art. 1851 c.c., con la conseguenza che il creditore acquisisce immediatamente la proprietà del denaro o dei beni, destinati poi, al momento dell'inadempimento, ad essere restituiti per equivalente o per intero, oppure, in caso d'inadempimento, nella sola misura eventualmente eccedente l'ammontare del credito garantito. E il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l. fall. per il soddisfacimento del proprio credito (principio affermato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 202/2001), e l'incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevuti in garanzia (salvo l'obbligo di restituire l'eccedenza, ex art. 1851 c.c.) resta sottratto alla revocatoria, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione.

Osservazioni

Il decisum in commento, in primis, torna ad affrontare la vexata quaestio circa la riconducibilità o meno dell'azione revocatoria alla fattispecie dell'azione pauliana, con la conseguente necessità di provare – anche in caso di revocatoria fallimentare – l'eventus damni previsto dall'art. 2901 c.c.. E i giudici della Prima Sezione Civile di Piazza Cavour, richiamando la sentenza n. 7028/2006 delle Sezioni Unite, ribadiscono che ai fini della revoca della vendita di propri beni effettuata dall'imprenditore, poi fallito entro un anno, ai sensi dell'art. 67, comma 2, l. fall. (nel testo originario, applicabile ratione temporis), l'eventus damni è in re ipsa e consiste nel fatto stesso della lesione della par condicio creditorum, ricollegabile, per presunzione legale assoluta, all'uscita del bene dalla massa conseguente all'atto di disposizione; pertanto, grava sul curatore il solo onere di provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dell'acquirente, mentre la circostanza che il prezzo ricavato dalla vendita sia stato utilizzato dall'imprenditore, poi fallito, per pagare un suo creditore privilegiato non esclude la possibile lesione della par condicio, né fa venir meno l'interesse all'azione da parte del curatore, poiché è solo in seguito alla ripartizione dell'attivo che potrà verificarsi se quel pagamento non pregiudichi le ragioni di altri creditori privilegiati, che successivamente all'esercizio dell'azione revocatoria potrebbero in tesi insinuarsi.
Il pegno costituito a garanzia dell'anticipazione bancaria può essere regolare o irregolare. E' regolare e, pertanto, la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se essa ha rilasciato un documento nel quale le cose stesse sono individuate, ex art. 1846 c.c.; è irregolare se manca l'individuazione delle cose consegnate oppure è stata conferita alla banca la facoltà di disporne. In questa seconda ipotesi, in conformità ai principi che si riferiscono al pegno irregolare, la banca acquista la proprietà delle cose ricevute in pegno e deve restituire solo la somma o la parte delle merci che eccedono l'ammontare dei crediti garantiti, ex art. 1851 c.c..
La peculiarità del pegno irregolare in relazione al fallimento. La difficoltà di coordinare la funzione di garanzia del denaro o degli altri beni fungibili con il loro trasferimento in proprietà del creditore si presenta in tutta la sua portata in caso di fallimento del debitore; il dubbio emerso in giurisprudenza era infatti quello di definire se il credito garantito da pegno – per essere realizzato anche durante la procedura concorsuale - dovesse essere preventivamente ammesso al passivo del fallimento ex art. 53 l.fall.. Il conflitto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 202/2001 che ha escluso la necessità dell'insinuazione al passivo del fallimento per il creditore titolare di pegno irregolare, posto che si tratta di credito che si estingue satisfattivamente senza entrare in concorso e che si realizza per di più non sul patrimonio del fallito bensì sugli stessi beni già entrati – al momento della consegna e per effetto della garanzia – nel patrimonio del creditore (vi sarà semmai un interesse del curatore ad agire nei confronti del creditore per il recupero di quanto risulti trasferitogli in eccedenza rispetto all'importo del credito garantito).
Il pegno su libretto di risparmio al portatore. Il pegno di un libretto di deposito bancario si configura come pegno regolare, di credito, quando sia costituito a favore di un soggetto diverso dalla banca depositaria ovvero quando il libretto di deposito costituito in pegno è acceso presso una banca diversa da quella garantita. Diversa sarebbe invece la conclusione se nel consegnare il libretto alla banca il debitore le concedesse la facoltà di disporre del denaro depositato, perché in tal caso bisognerebbe ammettere che oggetto del pegno è costituito dal denaro e non dal libretto in quanto tale. Potere di disporre che, nel caso che qui ci occupa, sussisteva, attesa la specifica previsione nel contratto di pegno, stipulato ben prima dell'inizio del periodo sospetto, della facoltà per la banca di incameramento delle somme in caso di inadempimento del debitore.
L'infondatezza della revocatoria dell'atto di realizzazione del pegno. In tema di revocatoria fallimentare, nel caso di costituzione di pegno su libretto di risparmio al portatore a garanzia di un'apertura di credito, con riconoscimento in favore della banca – sulla base di atto non impugnato in sede di revoca – della facoltà di prelevare in qualsiasi momento le somme ivi depositate sino a concorrenza del credito vantato, opera la compensazione di cui all'art. 1853 c.c., essendo anteriore al fallimento, per entrambi i crediti che ne sono oggetto – quello di restituzione delle somme del libretto e quello di rimborso del finanziamento – il fatto genetico della rispettiva situazione giuridica estintiva; ne consegue l'infondatezza dell'azione revocatoria dell'atto di realizzazione del pegno.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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