Domanda di preconcordato in pendenza dell’istruttoria fallimentare: coordinamento tra procedure e abuso del diritto

Chiara Ravina
29 Gennaio 2015

Anche se operasse ancora il criterio di “prevenzione”, come teorizzato nell'ordinanza della S. Corte di cassazione n. 9476/2014 con cui la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, e di conseguenza la domanda di concordato preventivo dovesse esaminarsi prima dell'istanza di fallimento, nondimeno presupposto di tale preliminare disamina resterebbe pur sempre la non abusività dell'esercizio del diritto di ricorrere al concordato. Costituisce infatti presupposto per l'operare del criterio di “prevenzione” che il debitore non abusi del suo diritto, in quanto soltanto a chi esercita le facoltà riservategli dall'ordinamento secondo la funzione loro propria possono essere riconosciute le conseguenze favorevoli che ne derivano.
Massima

Anche se operasse ancora il criterio di “prevenzione”, come teorizzato nell'ordinanza della S. Corte di cassazione n. 9476/2014 con cui la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite, e di conseguenza la domanda di concordato preventivo dovesse esaminarsi prima dell'istanza di fallimento, nondimeno presupposto di tale preliminare disamina resterebbe pur sempre la non abusività dell'esercizio del diritto di ricorrere al concordato. Costituisce infatti presupposto per l'operare del criterio di “prevenzione” che il debitore non abusi del suo diritto, in quanto soltanto a chi esercita le facoltà riservategli dall'ordinamento secondo la funzione loro propria possono essere riconosciute le conseguenze favorevoli che ne derivano.

Il caso

Una banca creditrice presenta un'istanza di fallimento nei confronti di una società in nome collettivo e dei soci illimitatamente responsabili. In concomitanza con l'udienza fissata per l'esame dell'istanza di fallimento, la società presenta una domanda di concordato in bianco. Il tribunale ritiene tale domanda inammissibile e, rilevati i presupposti ex artt. 1 e 5 l. fall., dichiara il fallimento della società e dei soci illimitatamente responsabili. Due, in particolare, sarebbero, secondo il tribunale, i presupposti di inammissibilità della domanda di preconcordato: da un lato, la mancata allegazione dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e della dichiarazione del debitore di non aver presentato nel biennio altra domanda di preconcordato dichiarata inammissibile; dall'altro, la abusività della domanda, in considerazione, inter alia, della tempistica con cui essa è stata presentata (id est in occasione dell'udienza fissata per l'esame dell'istanza di fallimento, senza previa costituzione in giudizio), della possibile sussistenza di condotte penalmente rilevanti (nella specie, movimentazione di un'ingente somma di denaro dal c/c della società ad un conto estero) e della sussistenza di elementi tali da indurre a ritenere che la mancata richiesta del proprio fallimento avrebbe aggravato il dissesto.
La società impugna la sentenza di fallimento deducendo, fra l'altro, il fatto che essa non sia stata preceduta dall'esame e dalla dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo. Inoltre, la società contesta, più in generale, gli elementi in forza dei quali il tribunale ha ritenuto la natura abusiva della domanda di preconcordato; nonché la dichiarata inammissibilità della stessa per mancanza di documentazione.
La sentenza di fallimento viene revocata dalla Corte d'Appello in accoglimento del reclamo proposto dalla società.
In particolare, la Corte d'appello ritiene prive di fondamento sia le contestazioni sulla carenza di documentazione allegata alla domanda, sia quelle sulla natura abusiva della domanda medesima.
Preliminarmente all'analisi del profilo circa il carattere abusivo o meno della domanda, la Corte d'appello si sofferma sulla contestazione circa il mancato esame preventivo della domanda di preconcordato. Al riguardo, i giudici veneziani - dopo aver richiamato la recente ordinanza della Cassazione, che ha rimesso la questione circa il rapporto tra concordato e fallimento alle Sezioni Unite, sostenendo, nel contempo, la precedenza del concordato sul fallimento – affermano di aderire alla tesi espressa dalla sezione I della S. C., ma ritengono che il tribunale che riscontri la contemporanea pendenza di una domanda di concordato e di un'istanza di fallimento debba preliminarmente valutare il carattere abusivo o meno della domanda di concordato. Se e solo se tale “test” ha esito positivo, allora il tribunale dovrà prendere in esame la domanda di concordato prima dell'istanza di fallimento.
All'esito di tali valutazioni, la Corte d'appello, ritenendo infondate ed insussistenti le ragioni di inammissibilità rilevate dal tribunale e, in particolare, quella relativa all'abuso del diritto, rimette gli atti al Tribunale per la fissazione del termine per il deposito della proposta e del piano concordatari ex art. 161, commi 2 e 3, l. fall.

Le questioni giuridiche

La pronuncia in esame offre lo spunto per affrontare il tema del rapporto fra procedimento per la dichiarazione di fallimento e procedimento per l'ammissione al concordato preventivo (sia con riguardo al c.d. preconcordato, sia con riguardo al concordato preventivo tout court).
Si tratta di un tema classico, ma recentemente oggetto di rinnovata attenzione da parte della giurisprudenza e della dottrina, soprattutto dopo l'introduzione, ad opera della legge n. 134/2012, della possibilità di presentare una domanda di concordato “in bianco” ai sensi dell'art. 161 comma 6, l. fall.; domanda che produce i medesimi effetti protettivi, estesi alle azioni cautelari, che l'art. 168 l. fall. riconduceva in precedenza alla domanda di concordato “piena”, e che consentono di evitare quell'aggressione al patrimonio del debitore da parte dei singoli creditori, che normalmente accompagna l'avvio dell'istruttoria fallimentare (posto che il divieto di azioni cautelari ed esecutive ex art. 51 l. fall. non opera sino alla dichiarazione di fallimento).
A far data dall'entrata in vigore della sopra citata legge, la casistica ci ha ormai ampiamente abituati a fattispecie nelle quali il debitore, non appena viene presentata istanza di fallimento, deposita ricorso per concordato (usualmente nella forma del preconcordato) in modo da impedire l'iscrizione di ipoteche giudiziali sui suoi cespiti e l'avvio o la prosecuzione di azioni cautelari ed esecutive individuali, spesso nella speranza/convinzione che la presentazione della domanda di concordato preventivo non sia priva di effetti sul procedimento fallimentare pendente; e ciò sebbene, come vedremo a breve, detti effetti non siano (più) positivamente disciplinati da alcuna norma di legge.
In questo contesto, non è un caso che la questione dei rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell'istruttoria fallimentare si ponga, sempre più spesso, in stretto rapporto con un'altra tematica di attualità del diritto concorsuale e, precisamente, quella dell'applicazione del principio di abuso del diritto.
Venendo più in dettaglio ai termini del problema, si tratta di stabilire come il giudice debba gestire il rapporto intercorrente tra la procedura di fallimento e quella di concordato preventivo ogniqualvolta, in pendenza di istruttoria fallimentare, venga depositato un ricorso per concordato, con riserva o in forma di domanda piena, o quando, all'opposto, l'istanza per la dichiarazione di fallimento intervenga dopo la domanda di concordato.
Sino al 2005 la normativa prevedeva espressamente che il debitore potesse presentare la domanda di concordato sino a che non fosse stato dichiarato il fallimento (art. 160, comma 1, l. fall.). Anche se la norma non era del tutto chiara in tal senso, se ne faceva conseguire, inter alia, l'esistenza di un nesso di pregiudizialità tra l'esame della domanda di concordato e l'esame del ricorso per fallimento, nel senso che quest'ultimo non poteva essere affrontato sino a che non fosse stata adottata una decisione sul concordato (in giurisprudenza, si v. ex multis, Cass. n. 2546/2000; in dottrina, Bonsignori, Concordato preventivo, in Commentario Scialoja – Branca Legge fallimentare, Bologna- Roma, 1979, 29; Azzolina, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, 1953, 1232: “Occorre innanzitutto che l'imprenditore, pur essendo insolvente, già non versi in stato di fallimento”).
Nella normativa vigente, invece, questo rapporto di pregiudizialità non è più previsto testualmente, sicché si è aperto un ampio dibattito circa la questione se esso possa, comunque, desumersi in via interpretativa dal sistema delle norme che regolano il diritto concorsuale vigente ovvero se esso sia venuto definitivamente meno.
Prima di esaminare nel dettaglio le argomentazioni giuridiche a sostegno dell'una e dell'altra tesi, vale forse la pena evidenziare, sin d'ora, come la necessità che venga esaminata e decisa prima la domanda di concordato pare potersi desumere (anche) da una serie di circostanze di carattere meramente logico (oltre a quelle giuridiche che esamineremo nel prosieguo); e, in particolare, dal fatto che “il concordato preventivo, come chiaramente suona il suo nome, è diretto ad impedire la dichiarazione di fallimento” (Butera, Moratoria, concordato preventivo, procedura dei piccoli fallimenti, Torino, 1938, 72); inoltre, come è stato giustamente osservato, “se si apre il concordato, può poi essere dichiarato il fallimento, mentre se è dichiarato il fallimento non può più essere aperto il concordato preventivo. Già questa irreversibilità degli effetti potrebbe giustificare che la domanda che va esaminata per prima sia quella di concordato” (Fabini, Un chiarimento sui rapporti fra procedimento per dichiarazione di fallimento e per l'ammissione al concordato, in Fall. 2014, 648 ss.).
Ciò detto, sul punto pare anzitutto utile dare conto brevemente degli orientamenti della giurisprudenza e della dottrina che si sono susseguiti in proposito a partire dal 2008 sino al recente arresto della Cassazione S.U. (Cass. n. 1521/2013) - che ha negato che la trattazione del procedimento per la dichiarazione di fallimento sia subordinata all'avvenuta definizione del procedimento per concordato preventivo – per poi esaminare la posizione della Prima sezione della Cassazione che, con ordinanza n. 9476/2014, ha chiesto che venga rimessa alle Sezioni Unite “in considerazione della sua particolare rilevanza, la questione in ordine alla verifica della persistenza nel sistema concorsuale del principio di prevalenza della procedura di concordato preventivo rispetto alla dichiarazione di fallimento”, assumendo una posizione divergente rispetto a quella delle Sezioni Unite del 2013; posizione cui la Corte d'Appello di Venezia pare essersi uniformata nella sentenza oggetto di commento.
Con riguardo alla posizione della giurisprudenza di merito, un'interessante indagine sulla prassi dei tribunali risalente al 2009 (Ferro, Ruggiero, Di Carlo (a cura di), Concordato preventivo, concordato fallimentare e accordi di ristrutturazione dei debiti, Torino, 2009, 28 ss.) evidenziava come l'opzione allora prevalente fosse quella della sospensione della procedura prefallimentare con apposito provvedimento (28%), in alternativa alla dichiarazione di improcedibilità in applicazione dell'art. 168 l. fall., con atto ricognitivo della proposizione del ricorso per concordato emesso fuori udienza e senza formalità particolari (14,7%). La medesima indagine effettuata nel 2013, con specifico riferimento ai rapporti tra istruttoria fallimentare e domanda di concordato “in bianco”, ha evidenziato, quale posizione prevalente, quella per cui la presentazione di un ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. non impedisce la presentazione e trattazione delle istanze di fallimento, ma preclude la decisione sulle stesse prima di quella sulla domanda di concordato (62%), in alternativa alla posizione secondo cui la trattazione e la decisione delle istanze di fallimento è possibile, ma solo ove, ricorrendone le condizioni, si pervenga ad una decisione di rigetto exart. 22, comma 1, l. fall. (18,8%) (Ferro, Bastia, Nonno (a cura di), Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, Milano, 2013, 114).
Più in dettaglio – e senza pretesa di completezza – è possibile suddividere le numerose pronunce di merito sulla base della diversa qualificazione giuridica attribuita al rapporto tra concordato preventivo e fallimento come segue: (i) alcune sentenze hanno escluso l'improcedibilità delle istanze di fallimento, ma hanno richiesto che venga “sospesa” (in senso atecnico) la decisione sulle stesse in attesa dell'esito definitivo della procedura di concordato (ex multis, App. Torino, 17 luglio 2008, in Fall. 2009, 51; App. Milano, 29 giugno 2011); (ii) altre sentenze hanno ritenuto che, in presenza di una domanda di concordato, non vi sia sempre e comunque l'obbligo per il tribunale di dichiarare improcedibili le istanze di fallimento pendenti, bensì che l'improcedibilità sia “condizionata” al fatto che la proposta concordataria sia volta alla ripresa dell'attività produttiva, ovvero, in alternativa, ad una liquidazione che risulti più conveniente per i creditori rispetto alla liquidazione fallimentare (Trib. Perugia, 4 novembre 2009, la quale pare attribuire al tribunale il sindacato sulla convenienza della proposta; sindacato che, invece, deve essere riservato esclusivamente ai creditori, ex multis Cass. n. 1521/2013, come ribadito anche da Trib. Terni, 18 luglio 2012); (iii) altre pronunce hanno invece sostenuto la tesi della pregiudizialità della domanda di concordato rispetto all'istanza di fallimento, sostenendo che la prima debba essere esaminata con priorità rispetto alla seconda e che il fallimento possa essere dichiarato solo una volta respinta la domanda di concordato (Trib. Roma, 20 aprile 2011); e ciò quand'anche una (nuova) proposta di concordato venga depositata a seguito della declaratoria di inammissibilità della prima (Trib. Udine, 6 maggio 2011, in Fall. 2011, 1449; App. Brescia, 18 giugno 2013 in ilFallimentarista.it. Contra nel senso che in caso di mancata approvazione/inammissibilità di una proposta di concordato, eventuali istanze di fallimento pendenti vadano esaminate prima di una seconda proposta, ex multis, Trib. La Spezia, 18 giugno 2011 in Fall. 2011, 65; App. Genova 20 ottobre 2011, in ilcaso.it; in generale, sulla questione della reiterazione di domande di preconcordato e di concordato e sulla configurabilità della fattispecie di abuso del diritto, Lamanna, Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcordato, di concordato e di omologa di accordi, in ilFallimentarista.it; dello stesso Autore, si v. anche, Possibilità di “consecutio” solo unidirezionale tra pre-concordato e concordato. Profili di abuso del diritto, in ilFallimentarista.it; Trib. Roma, 17 luglio 2014 in ilFallimentarista.it; Trib. Messina, 30 gennaio 2013, in ilFallimentarista.it).
Con riguardo alla giurisprudenza di legittimità, in un primo arresto (Cass. n. 12986/2009) la Corte, pronunciandosi incidentalmente sulla questione, ha declinato i rapporti tra le due procedure in termini di “pregiudizialità” muovendo dal rilievo che “l'art. 162 l. fall. prevede la dichiarazione di fallimento come conseguenza pur solo eventuale della dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato preventivo” (nello stesso senso, in dottrina, Marinucci, La domanda di concordato preventivo dopo il «decreto sviluppo»: legge fallimentare e bankruptcy code a confronto, in Riv. Dir. Proc. 2013, 441).
In una successiva pronuncia (Cass. n. 19214/2009), il Giudice di legittimità ha escluso il diritto del debitore di ottenere un differimento della trattazione dell'istruttoria prefallimentare per fare ricorso a procedure concorsuali.
In un ulteriore arresto (Cass. n. 3059/2011), la Cassazione ha espressamente escluso la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra procedimento prefallimentare e procedimento di ammissione a concordato preventivo, negando la sospensione del primo ex art. 295 c.p.c. In particolare, la Corte – anticipando la posizione che sarà propria di Cass. SS.UU. n. 1521/2013 - ha osservato che il rapporto tra le due procedure non può essere qualificato in termini di pregiudizialità, bensì deve essere più propriamente descritto in termini di “consequenzialità della seconda (all'esito negativo della prima) ed assorbimento (dei vizi del diniego della prima nella fase impugnatoria della seconda”, implicando “una mera esigenza di coordinamento tra i due procedimenti, un coordinamento solo parzialmente realizzato dalle norme (e sostanzialmente affidato alle tecniche organizzative del singolo Ufficio)”.
Sempre in termini di necessità di coordinamento tra le due procedure, si è pronunciata anche Cass. n. 18190/2012 (in Fall. 2013, 699 ss. con nota adesiva di Casa, Del rapporto tra istruttoria fallimentare e concordato preventivo: le «vecchie» categorie della «sospensione» e della «improcedibilità», i «nuovi» idoli dell' «abuso del diritto» e «del processo»).
In altri termini, quello che le pronunce da ultimo citate sostengono è che il coordinamento debba essere realizzato dallo stesso giudice fallimentare che dovrà valutare se dare precedenza all'una o all'altra procedura, nel rispetto delle garanzie di difesa, del debitore rispetto alle istanze di fallimento, e dei creditori rispetto alla domanda di concordato.
Ora, volendo declinare tale assetto di rapporti tra concordato e fallimento, nelle categorie del diritto processuale civile, si potrebbe fare riferimento alla nozione di trattazione congiunta dei due procedimenti (c.d. “simultaneus processus” previsto dall'art. 274 c.p.c.). In tal modo, il Tribunale potrebbe coordinare l'andamento dei due giudizi con una visione complessiva, da un lato, del modo in cui il debitore prospetta il soddisfacimento dei creditori e, dall'altro, delle ragioni dei creditori che hanno fatto istanza per la dichiarazione di fallimento (cfr. Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell'istruttoria fallimentare, in Fall. 2013, 1082; nello stesso senso, Casa, op. cit., 713).
Successivamente, ed a seguito di ulteriori pronunce contrastanti, il massimo organo nomofilattico (Cass. n. 1521/2013) è tornato a negare che la trattazione del procedimento per la dichiarazione di fallimento sia subordinata all'avvenuta definizione del procedimento per concordato preventivo, disattendendo l'assunto per cui l'istanza di fallimento sarebbe equiparabile all'atto introduttivo di una procedura esecutiva, come tale preclusa ex art. 168 l. fall. (concetto, invece, sostenuto in un successivo arresto, rimasto, tuttavia, isolato Cass. n. 14684/2013), con conseguente improponibilità o improcedibilità del procedimento per la dichiarazione di fallimento fino al passaggio in giudicato del provvedimento di rigetto del concordato. In sintesi, le Sezioni Unite hanno affermato: (i) il venir meno del criterio di prevenzione che, in precedenza, correlava le due procedure, in ragione della modifica del disposto dell'art. 160, comma 2, l. fall. ad opera del D.lgs. n. 5/2006 (nello stesso senso, Cass. n. 18190/2012); (ii) l'impossibilità di desumere la persistenza di un criterio di prevenzione, in via interpretativa, dai principi vigenti in materia; (iii) l'esclusione dell'ipotesi di pregiudizialità necessaria, in ragione della non sovrapponibilità delle situazioni esaminate nelle due distinte procedure (sul punto si v. Cass. n. 3059/2011 e Pagni, op. cit., 1080 ss.) e l'inapplicabilità della sospensione ex art. 295 c.p.c., stante la natura eccezionale dell'istituto, in quanto limitativo dell'esercizio del diritto di azione e tale da doversi applicare solo quando «la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata» (Cass. n. 14670/2003); (iv) la declinazione del rapporto tra concordato preventivo e fallimento in termini di consequenzialità (eventuale del fallimento, all'esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento), tali da determinare una mera esigenza di coordinamento tra le due procedure (nello stesso senso, Cass. n. 3059/2011 e Cass. n. 18190/2012); (v) l'esclusione del principio per cui la facoltà del debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al fallimento rappresenti un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (Cass. n. 18190/2012), trattandosi dell'esplicazione del diritto di difesa che non contempla la possibilità di disporre unilateralmente dei tempi del processo fallimentare incidendo negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo; (vi) l'esistenza di una consequenzialità logica tra le due procedure che non si traduce, tuttavia, né in una consequenzialità procedimentale (nel senso che sia necessario valutare la proposta concordataria prima di dichiarare il fallimento) né provvedimentale (intesa quale precedenza logica al provvedimento che rigetta il concordato rispetto a quello che dichiara il fallimento) (in dottrina, nello stesso senso, si v. Ferro, La dichiarazione di fallimento e l'ammissione ai concordati (ordinario e con riserva), Fall. 2013, 1090; Farina, Il deposito di istanza di concordato preventivo non dà luogo a sospensione dell'istruttoria prefallimentare, in Dir. fall. 2011, II, 465 e Ghignone, Note minime sul rapporto tra istruttoria prefallimentare e soluzioni alternative alla crisi di impresa, in Dir. fall. 2012, I, 268).
I dettami della Suprema Corte nella sentenza sopra citata sono stati declinati, con varie sfumature, dalla giurisprudenza di merito successiva, sia con riguardo ai casi di domanda di concordato “pieno”, sia con riguardo a casi di ricorso di preconcordato.
Con riguardo alle pronunce relative alla domanda di concordato “piena”, menzioniamo, tra le tante, e senza pretesa di completezza, Trib. Torre Annunziata, 2 maggio 2012 (in ilFallimentarista.it); Trib. Novara, 21 maggio 2012; Trib. Terni 18 luglio 2012. Con riguardo alle pronunce relative alla domanda di concordato con riserva, citiamo, tra le tante, Trib. Monza, 20 giugno 2012; Trib. Vicenza, 24 agosto 2012 (in www.osservatorio–oci.org), Trib. Velletri, 18 settembre 2012 (in ilFallimentarista.it); Trib. Novara, 20 marzo 2013 cit.; App. Torino, 9 luglio 2013.
Alcune pronunce di merito hanno poi affrontato, nello specifico, la questione della presentazione di una domanda di pre-concordato, avente come unico scopo quello di ritardare ad libitum la pronuncia sull'istanza di fallimento (c.d. abuso del diritto). Alcune hanno sostenuto la necessità di dare precedenza all'esame dell'istanza di fallimento (cfr. App. Trieste, 18 novembre 2014, in unijuris.it; App. Salerno 28 luglio 2014; Trib. Milano 24 ottobre 2012; Trib. Monza 15 gennaio 2013; Appello Milano 21 febbraio 2013; Trib. Terni 26 febbraio 2013, in ilcaso.it; Trib. Forlì, 15 marzo 2013, in ilFallimentarista.it); Trib. Perugia, 19 luglio 2013, in www.osservatorio-oci.org; Trib. Nocera Inferiore, 21 novembre 2013; Trib. Messina, 30 gennaio 2013, in ilFallimentarista.it); Trib. Roma, 17 luglio 2014, in ilFallimentarista.it. Nel senso dell'esame preventivo di una seconda proposta di concordato, successiva alla dichiarazione di inammissibilità di una precedente proposta concordataria, anche in pendenza di un'istanza di fallimento, Trib. Udine, 6 maggio 2011, in Fall. 2011, 1449 ss.; App. Caltanisetta, 22 maggio 2013; App. Brescia, 18 giugno 2013, in ilFallimentarista.it con nota di Di Iulio, Concordato preventivo e istruttoria fallimentare tra consequenzialità logica e abuso del diritto).

Veniamo ora alla recente ordinanza della Corte di Cassazione 30 aprile 2014, n. 9476 richiamata anche dalla Corte d'Appello di Venezia nella sentenza in commento.
Con tale ordinanza, la Suprema Corte, nonostante la recente pronuncia sul punto della Cassazione a Sezioni Unite (n. 1521/2013), ha ritenuto di dover rimettere al Primo Presidente della Corte di cassazione, “affinché valuti l'eventualità dell'assegnazione alle Sezioni Unite, in considerazione della sua particolare rilevanza”, la questione in ordine alla verifica della persistenza, nel sistema concorsuale, del principio di prevalenza della procedura di concordato preventivo rispetto alla dichiarazione di fallimento.
Secondo i giudici della Prima sezione civile della Suprema Corte, infatti, permane tuttora nell'ordinamento il principio di prevalenza della procedura di concordato ed esso non può dirsi superato per effetto dell'eliminazione, nel testo dell'art. 160 l. fall. dell'inciso «fino a che il suo fallimento non è dichiarato» ad opera del D.lgs. n. 5 del 2006.
In particolare, tale prevalenza - se da un lato non può più essere fondata sul dato letterale dell'art. 160 l. fall. e neppure può derivare da un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico–giuridico tra concordato e fallimento, tale da determinare una fattispecie di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. (che la Corte nega in accordo con le Sezioni Unite del 2013) – dall'altro lato, però, sarebbe ricavabile dal sistema che attribuisce al concordato il ruolo di prevenire il fallimento (Butera, Moratoria, concordato preventivo, procedura dei piccoli fallimenti, cit.) e comporterebbe come conseguenza che (i) prima di dichiarare il fallimento deve necessariamente essere esaminata l'eventuale domanda di concordato preventivo per far luogo alla dichiarazione di fallimento solo in caso di mancata apertura della procedura minore e (ii) una volta aperta quest'ultima il fallimento non può più essere dichiarato sino alla conclusione di esso in senso negativo per mancata approvazione ex art. 179 l. fall., rigetto ai sensi dell'art. 180 u.c. l. fall., revoca dell'ammissione ex art. 173 l. fall.
In particolare, tali considerazioni troverebbero un aggancio normativo anche in disposizioni della legge fallimentare e precisamente: nell'art. 162, comma 2, l. fall. (cui rinvia anche l'art. 179) che consente la dichiarazione di fallimento “su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero” soltanto a seguito della declaratoria di inammissibilità della proposta di concordato (e, stando ai giudici di legittimità, nulla autorizza a pensare che le istanze di fallimento siano soltanto quelle sopraggiunte e non anche quelle già eventualmente presentate prima della proposta di concordato); nell'art. 180, u.c., l. fall. che consente la dichiarazione di fallimento “se il tribunale respinge il concordato”; nell'art. 173 l. fall., di tenore analogo, e, infine, nell'art. 161, comma 10, l. fall. (introdotto dal D.L. n. 83/2012, conv. in L. n. 134/2012) che prevede, per l'ipotesi di presentazione della domanda di concordato con riserva in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento, una riduzione del termine per sciogliere la riserva stessa (nel senso della precedenza della domanda di concordato su quella di fallimento, cfr. Lamanna, Preconcordato e procedura prefallimentare pendente: il termine minimo e l'oscuro riferimento al decreto di rigetto dell'istanza di fallimento, in ilFallimentarista.it).
Ciò detto, la Suprema Corte non si spinge a declinare il rapporto concordato– fallimento nelle categorie del diritto processuale civile, limitandosi a negare che sussista sia un rapporto di pregiudizialità che legittimerebbe la sospensione ex art. 295 c.p.c., sia una temporanea improcedibilità della istanza di fallimento, posto che nulla osta a una decisione di rigetto di quest'ultima. Ciò che si afferma è la regola della temporanea non dichiarabilità del fallimento “sino all'esito negativo di tale domanda per inammissibilità, mancata approvazione rigetto o revoca”, il tutto con una “attenuante” per cui tale regola non troverebbe applicazione con riguardo alle fasi di impugnazione dei provvedimenti che pongono fine alla procedura di concordato, nel senso che per dichiarare il fallimento non sarebbe necessario attendere l'esito delle impugnazioni stesse.
Con quest'ultima precisazione, pare che i giudici della Suprema Corte abbiano voluto mitigare il favor dimostrato per la soluzione negoziale, evitando che la dichiarazione di fallimento possa essere procrastinata sine die in presenza di una soluzione concordataria che non ha trovato l'assenso dei creditori e/o che presenta profili che ne escludono l'ammissibilità, e ciò anche nell'ottica del principio di ragionevole durata del processo.

La soluzione della Corte d'Appello di Venezia

Delineata, quindi, per sommi capi, l'evoluzione della giurisprudenza e della dottrina sul tema specifico dei rapporti concordato-fallimento, veniamo ora ad analizzare, nel dettaglio, la posizione assunta dalla Corte d'appello di Venezia nella sentenza in commento, confrontandola con i precedenti sopra menzionati.
Orbene, in primo luogo, va evidenziato come, ad una prima lettura della sentenza, potrebbe sembrare che i giudici veneziani sposino la tesi - sostenuta dalla Cassazione nell'ordinanza 30 aprile 2014, n. 9476 – per cui, in presenza di una richiesta di ammissione al concordato preventivo (e, nello specifico, di domanda di concordato con riserva) pendente un'istanza di fallimento, il giudice debba previamente valutare la domanda di concordato. In realtà, le cose non stanno esattamente così. E' vero, infatti, che, secondo i giudici veneziani, il concordato prevale sul fallimento, ma tale prevalenza è subordinata alla preventiva verifica che la domanda di concordato con riserva non integri il c.d. abuso del diritto (concetto, quest'ultimo, che la Cassazione non ha invece richiamato nell'ordinanza citata). E questa “condizione”, come vedremo, ha implicazioni non indifferenti sotto il profilo dell'ordine con cui il tribunale deve in concreto prendere in esame le due domande.
Ora, stando ai giudici della Corte d'appello di Venezia, il giudice che si trovi a dover coordinare le due procedure deve in primis e in via preliminare porsi il problema se il ricorso di concordato in bianco (ma non si vede perché lo stesso non debba valere, a maggior ragione, per la domanda di concordato “piena”) sia stato presentato con la (sola) finalità di paralizzare (ingiustificatamente e per un termine indefinito) le azioni legittimamente spettanti ai creditori e/o di ritardare la dichiarazione di fallimento, senza cioè l'intenzione di proporre ai creditori (anche nel loro interesse) una seria composizione della crisi. Solo qualora la proposta non sia prima facie “abusiva”, nei termini sopra descritti, allora il tribunale dovrà esaminare il piano e la proposta concordataria prima dell'istanza di fallimento pendente. La Corte d'appello non dice cosa succede in caso contrario, ma ragionevolmente si può ritenere che, secondo i giudici veneziani, in presenza di una domanda abusiva, il tribunale debba, invece, dare procedenza all'istanza di fallimento (sui fattori di riconoscibilità dell'abuso del diritto, cfr. Cass. n. 20160/2009; in particolare sull'abuso del diritto nelle procedure concorsuali, ex multis, Cass. n. 3274/2011; Cass. n. 13817/2011; Cass. n. 16738/2011; Cass. n. 18190/2012; Giovetti, Il nuovo preconcordato: profili di inammissibilità ed abuso del diritto, in ilFallimentarista.it; Lamanna, Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcordato, di concordato e di omologa di accordi, cit.).
Alla luce di quanto precede è evidente che, se si segue la posizione della Corte d'appello di Venezia, la domanda di concordato non sarà sempre e necessariamente esaminata prima della domanda di fallimento.
Questo criterio di prevalenza del fallimento sul concordato, fatto proprio dalla sentenza in commento, fa sorgere alcuni interrogativi e offre vari spunti di riflessione con particolare riguardo alla sua applicazione nelle fattispecie in cui viene presentata una domanda di concordato con riserva.
In primo luogo, ci si potrebbe domandare come possa il Tribunale, in presenza della sola domanda prenotativa, senza, cioè, aver di fronte la documentazione completa prescritta dall'art. 161 l. fall., formulare, con piena cognizione di causa, un giudizio sulla natura meramente dilatoria o strumentale dell'avvio della procedura concordataria, o sul ricorrere di un'ipotesi di abuso del diritto. Certo, se la domanda prenotativa venisse presentata, per ipotesi, a seguito della dichiarazione di inammissibilità di una precedente domanda di concordato piena (come accaduto nelle fattispecie esaminate dal Tribunale di Milano nella sentenza 24 ottobre 2012 cit. e dal Trib. Messina, 30 gennaio 2013 cit.), in tal caso vi sarebbero i presupposti per ritenere la natura meramente dilatoria della stessa; ma ciò non in quanto la domanda viene presentata in pendenza di un procedimento prefallimentare, in sé e per sé, bensì perché successiva ad una domanda piena dichiarata inammissibile (sulla reiterazione di domande di concordato come forma di abuso del diritto, cfr. ex multis, Lamanna, Possibilità di “consecutio” solo unidirezionale tra pre-concordato e concordato, in ilFallimentarista.it).
Non è, quindi, detto a priori che in tutti i casi di “compresenza” di una domanda di preconcordato e di una istanza di fallimento sussista un'ipotesi di abuso. D'altro canto, è vero che occorre evitare, se possibile, le domande di concordato volte a rallentare inutilmente l'istruttoria prefallimentare, ma è altrettanto vero che è bene andare cauti prima di “scartare” un'ipotesi di soluzione negoziale della crisi, posto che una volta dichiarato il fallimento non si torna più indietro e, soprattutto, che spesso al fallimento si accompagna una distruzione di valori economici, materiali e immateriali (v. già Relazione alla L. 24 maggio 1903, n. 197, portante disposizioni sul concordato preventivo e sulla procedura dei piccoli fallimenti: “I prezzi di una liquidazione forzata non sono quelli reali, e tantomeno rappresentano il valore che gli elementi di un'azienda viva, operosa, hanno per chi la esercita. La capacità ed esperienza del debitore, la sua clientela, non sono presi a calcolo”).
Sulla base delle considerazioni che precedono e anche tenuto conto del disposto dell'art. 161, comma 10, l. fall. più volte citato, vi è chi ha sostenuto che, laddove la domanda di concordato non sia piena, il tribunale debba limitarsi a concedere il termine minimo di 60 giorni per l'integrazione della documentazione, anche quando penda l'istruttoria prefallimentare e “il coordinamento tra le procedure, nei termini di consequenzialità eventuale del fallimento, all'esito negativo della valutazione sul concordato, dovrà essere cercato dal tribunale, solo una volta che i due fascicoli saranno completi” (Genoviva, Reclamo ex art. 18 l. fall. cit.; Vella, Il controllo giudiziale sulla domanda, cit.; Pagni, I rapporti tra concordato e fallimento in pendenza dell'istruttoria fallimentare, cit.). Posizione questa che, a nostro modo di vedere, deve ritenersi condivisibile.
La problematica in esame si intreccia, poi, inevitabilmente con quella relativa ai limiti del sindacato del tribunale sul contenuto della proposta e del piano concordatari. Infatti, a ben vedere, attribuire al tribunale, in pendenza di istanza di fallimento, il potere/dovere di sindacare sulla natura abusiva o meno di una proposta di concordato (o addirittura della sola domanda di concordato nel caso di ricorso di pre-concordato, nei limiti in cui ciò sia possibile) - consentendogli di dichiarare il fallimento tout court qualora tale valutazione preliminare abbia esito negativo - significa attribuirgli un potere di intervento e di controllo ben maggiore di quello avente ad oggetto il sindacato sulla fattibilità del piano concordatario. Al riguardo, è stato giustamente osservato come il ricorso al principio dell' abuso del diritto nelle procedure concorsuali “sia soggetto a variabili applicative in parte aleatorie, dipendendo dalla stessa sensibilità del singolo giudicante o dall'emersione, spesso casuale, di comportamenti impropri e censurabili del debitore” (Lamanna, Profili di abuso e limiti nella reiterazione di domande di preconcordato, di concordato e di omologa di accordi, in ilFallimentarista.it).
Non è un caso, infatti, che, alcune pronunce di merito in tema siano giunte a sostenere che il tribunale di fronte al quale pendano contemporaneamente un'istanza di fallimento ed una domanda di concordato debba dichiarare improcedibile la prima laddove ritenga che “l'accoglimento della proposta comporterà un maggiore vantaggio per i creditori rispetto alla soluzione fallimentare: solo in questo caso potrà dichiarare l'improcedibilità delle istanze di fallimento ed accogliere la domande di ammissione alla procedura di concordato” (Trib. Perugia 4 novembre 2009, cit.) – attribuendo così al tribunale un controllo di meritevolezza e convenienza che, invece, dovrebbe essere riservato esclusivamente ai creditori (così Cass. SS. UU., n. 1521/2013, cit.). Ora, è vero che si tratta di un orientamento isolato e che altre pronunce hanno, invece, espressamente negato che in pendenza delle due procedure sia consentita una dilatazione dei poteri di controllo del tribunale (Trib. Terni, 18 luglio 2012, cit., App. Salerno, 28 luglio 2014, cit.), ma è altrettanto vero che questa pare più un'affermazione di principio. Infatti, come già detto, il tribunale nel valutare la natura abusiva o meno della domanda di concordato esercita, in realtà, un sindacato ben più ampio di quello sulla fattibilità del piano; sindacato che, per certi aspetti, comprende anche quello di fattibilità.
A questo proposito, leggendo la sentenza della Corte d'appello di Venezia e in particolare l'affermazione secondo cui “…la ritenuta esclusione della prova di un abuso del diritto nella richiesta di concessione del termine di cui al sesto comma dell'art. 161 l. fall. comporta la necessità di riesame della questione relativa al coordinamento tra procedura diretta alla dichiarazione di fallimento e quella diretta all'ammissione del debitore al concordato”, viene da chiedersi come possa in concreto il tribunale valutare in primis il carattere abusivo o meno della domanda di concordato sulla base di una verifica “prima facie” e poi sulla base di questa verifica – che necessariamente è sommaria e aleatoria, a maggior ragione in presenza di una domanda di concordato con riserva – decidere se guardare “bene” la domanda di concordato, oppure passare all'istanza di fallimento “dimenticandosi” della prima. Quasi che la decisione se prendere l'una strada o l'altra – decisione molto importante sia per il debitore che per i creditori, visti gli effetti “distruttivi” della liquidazione fallimentare – debba essere presa sulla base di una valutazione sommaria e soprattutto relativa ad un profilo, quale quello dell'abuso del diritto, che si presta più che mai ad interpretazioni soggettive e aleatorie.
Ma allora, quale deve essere il “punto di equilibrio” tra le due procedure?
Una soluzione possibile è quella secondo cui il giudice dovrebbe dare priorità alla domanda di concordato (sulla base di un “principio latente nel sistema che vuole dare preferenza alla richiesta dell'imprenditore che cerca una soluzione concordata con i suoi creditori”), ma decidere su di essa anche sulla base delle conoscenze acquisite con la domanda di fallimento (Fabini, Un chiarimento sui rapporti fra procedimento per dichiarazione di fallimento e per l'ammissione al concordato, cit.).
Soluzione altrettanto interessante è quella offerta dal Tribunale di Terni nella fattispecie oggetto della pronuncia 26 febbraio 2013 relativa ad un caso di deposito dell'istanza di fallimento successiva al deposito della domanda di preconcordato. Nel caso specifico, il tribunale aveva rinviato l'udienza prefallimentare ad una data successiva alla scadenza del termine concesso al debitore per presentare la proposta ed il piano concordatari, in modo da consentire all' (unico) creditore istante di prendere contezza dell'effettivo deposito di una completa domanda di concordato, e valutare la convenienza della proposta rispetto alla prospettiva fallimentare.
In ogni caso, a prescindere dalle soluzioni specifiche adottate nelle singole fattispecie, quello che è certo è che il tribunale non dovrebbe avere il potere di dichiarare il fallimento prescindendo del tutto dal fatto che sia stata già proposta una domanda di concordato preventivo disinteressandosi completamente della stessa. Se però si segue la tesi della Corte d'appello di Venezia (e di altre Corti d'appello che recentemente si sono pronunciate sul tema in termini analoghi: App. Trieste, 18 novembre 2014 cit.; App. Salerno, 28 luglio 2014, cit.), tale eventualità potrebbe verificarsi, in presenza di una domanda ritenuta “abusiva”.
Infine, a chi sostiene che la precedenza dell'esame della domanda di concordato rispetto all'istanza di fallimento potrebbe comportare dilatazioni temporali pregiudizievoli per i creditori, si può obiettare che il sistema contiene più di una previsione idonea a tutelare la posizione dei creditori sotto questo profilo. Tra queste, vengono in considerazione, oltre all'art. 161, comma 10, l. fall. già citato che limita a 60 giorni il termine per il deposito della proposta e del piano in pendenza di istanza di fallimento; l'art. 161, comma 6, l. fall. che consente la nomina del commissario giudiziale già in sede di preconcordato; l'art. 173 l. fall., applicabile anche in fase di preconcordato in forza dell'art. 161, comma 6, l. fall.

Conclusioni

Alla luce dell'analisi che precede, riteniamo, a nostro modesto avviso, che la soluzione fatta propria dalla Cassazione nella ordinanza di rimessione alle SS.UU. – id est quella che dà precedenza all'esame della domanda di concordato rispetto ad eventuali istanze di fallimento pendenti - debba essere preferita rispetto a quella seguita nella sentenza n. 1521/2013, che, richiamando la necessità di un coordinamento tra le procedure, consente “teoricamente” al giudicante di dare precedenza ad un'istanza di fallimento, prescindendo dalla domanda di concordato proposta. E ciò per vari motivi, sia meramente logici (la circostanza, più volte menzionata che, una volta dichiarato il fallimento, non può più essere aperto il concordato preventivo, mentre non vale il contrario), sia giuridici (ci riferiamo alle norme che la Cassazione ha citato nell'ordinanza a supporto della precedenza del concordato sul fallimento).
In questo contesto, certamente non si può escludere che la presentazione di domande di concordato – e soprattutto di ricorsi ex art. 161, comma 6, l. fall. – possa tradursi in un abuso dello strumento concordatario ed in un mero rinvio, a danno dei creditori, della dichiarazione di insolvenza, ma né il tenore della normativa, né la ratio che sta alla base delle soluzioni concordate della crisi, paiono consentire al giudicante di “saltare” questo passaggio e pronunciarsi direttamente sull'istanza di fallimento. Ciò che il giudicante potrebbe fare per ovviare al rischio di utilizzo distorto dello strumento è quello di applicare con stretto rigore gli strumenti che la legge fornisce; ovverosia, per citarne alcuni, il termine “ridotto” ex art. 161, comma 10, l. fall.; la nomina del commissario giudiziale già in sede di preconcordato; la negazione di autorizzazioni per atti urgenti di straordinaria amministrazione e/o per il pagamento di crediti anteriori in assenza di un piano ed una proposta completi.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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