L’amministratore della società fallita non ha diritto al risarcimento per la revoca d’ufficio dall’incarico

Danilo Galletti
11 Maggio 2012

L'amministratore di società per azioni il quale sia revocato d'ufficio dall'incarico in forza di approvazione della delibera assembleare che autorizzi l'azione di responsabilità contro di lui non ha diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2383 c.c.
Massima

L'amministratore di società per azioni il quale sia revocato d'ufficio dall'incarico in forza di approvazione della delibera assembleare che autorizzi l'azione di responsabilità contro di lui non ha diritto al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 2383 c.c.

Il caso

L'amministratore di una società per azioni, poi dichiarata fallita, fa istanza di ammissione allo stato passivo del fallimento, vantando il credito relativo al risarcimento del danno ex art. 2383 c.c., per essere stato revocato dalla carica a seguito dell'autorizzazione assembleare all'esercizio dell'azione di responsabilità contro di lui, ai sensi dell'art. 2393 c.c.

Il Giudice Delegato rigetta la domanda per “carenza di titolo” creditorio.
L'amministratore svolge opposizione allo stato passivo ai sensi dell'art. 98 l. fall., deducendo in ordine all'applicabilità dell'art. 2383 c.c., e dunque al suo diritto al risarcimento del danno, in forza della carenza di “giusta causa” della revoca.
Il Tribunale conferma la decisione del G.D., non reputando sussistente il diritto dell'amministratore.

Le questioni giuridiche

Il Tribunale ritiene che la norma di cui all'art. 2383, comma 3, c.c., che sancisce il diritto dell'amministratore revocato dall'incarico senza giusta causa ad ottenere il risarcimento del danno, sia applicabile soltanto alla revoca c.d. facoltativa, adottata discrezionalmente dalla maggioranza assembleare. Il disposto non sarebbe invece estensibile alle situazioni ove la revoca consegua automaticamente, ai sensi dell'art. 2393, comma 5, c.c., all'adozione di un deliberato che abbia altro oggetto, nella specie l'autorizzazione all'azione di responsabilità. D'altro canto, in questi casi la sussistenza della giusta causa sarebbe già in re ipsa, e risiederebbe nella stessa esistenza del fatto costituito dalla deliberazione assembleare che autorizza l'esperimento dell'azione. Nemmeno potrebbe dirsi che in tal modo l'amministratore revocato rimarrebbe privo di tutela contro l'eventuale abuso della maggioranza assembleare, la quale abbia in ipotesi autorizzato l'esercizio dell'azione per fini emulativi, poiché questi potrebbe comunque e sempre impugnare la delibera. Ottenuto l'annullamento dell'autorizzazione assembleare, anche la revoca ex officio ne sarebbe travolta, e così l'amministratore riacquisterebbe i propri poteri. Nel caso di specie, tuttavia, la deliberazione assembleare non era stata fatta oggetto di alcun impugnazione.

Osservazioni

Il provvedimento suscita un certo interesse, potendosi inquadrare il caso nell'ambito di quelle delibere che non abbiano ad oggetto la revoca dell'amministratore direttamente, ma soltanto in via indiretta od implicita.
Le situazioni descritte sono estremamente variegate, e possono concernere non soltanto gli amministratori, ma anche i sindaci, per i quali peraltro si pone il problema, ancor più pregnante, della necessità di tutelare il titolare della funzione ed i terzi dall'eventuale abuso della maggioranza, che intenda eludere il controllo del Tribunale ai sensi dell'art. 2400, comma 2, c.c.
Oltre all'autorizzazione assembleare alla proposizione dell'azione di responsabilità, che comporta la revoca “d'ufficio” dell'amministratore, si possono enucleare quelle delibere che modifichino l'organizzazione societaria, comportando automaticamente la cessazione del membro dell'organo. Si pensi alla trasformazione da S.p.a. in S.r.l., oppure ad una fusione od una scissione, che consentano l'abolizione del collegio sindacale, in forza del nuovo tipo societario adottato; all'adozione del modello dualistico o monistico; alla riduzione del numero degli amministratori o all'adozione della composizione monocratica dell'organo gestorio.
In linea generale è certo possibile che una delibera abbia un oggetto esplicito, ma dalla stessa consegua in modo certo ed univoco un effetto ulteriore: tale effetto potrebbe essere ritenuto oggetto di un deliberato implicito, in realtà contenuto nella deliberazione esplicita, e quindi sottoposto a tutte le norme che ne regolano la sostanza.
Il deliberato implicito non è rinvenibile, invece, ove dalla delibera esplicita possa ricavarsi anche una volontà diversa ed alternativa, sicché il suo oggetto appaia al riguardo ambiguo: si pensi al fenomeno dell'approvazione dei bilanci, in relazione alla determinazione del compenso degli amministratori (Cass., Sez. Un., 29 agosto 2008, n. 21933).
Nel caso, tuttavia, ad es. del passaggio dal sistema classico a quello dualistico, non può non conseguire dall'approvazione della delibera (che può essere tanto di assemblea ordinaria, qualora lo statuto preveda la possibilità facoltativa ed alternativa di adozione del modello, quanto di assemblea straordinaria, ove tale previsione non vi sia) la cessazione dalla carica di tutti gli esponenti sociali, tanto degli amministratori quanto dei sindaci.
Si è osservato che in realtà la revoca non conseguirebbe dalla delibera di modifica, ma soltanto da quella che rinomini gli organi, senza confermare i precedenti esponenti (CASELLI, in Tratt. soc. per az. diretto da Colombo e Portale, 4, Torino, 1991, 87); l'asserto sembra però erroneo, giacché la privazione della carica discende dalla modificazione strutturale della società, laddove la successiva nomina di nuovi organi fa seguito alla già disposta cessazione dei precedenti; questo non esclude ovviamente che l'annullamento del primo deliberato non debba travolgere altresì il secondo, se ed in quanto tempestivamente impugnato.
L'orientamento prevalente sembra tuttavia nel senso della azionabilità del diritto al risarcimento del danno in tutti i casi di deliberazione implicita, dato che la cessazione conseguirebbe comunque dalla volontà della maggioranza (cfr. CASELLI, op. loc. cit., e Trib. Milano, 26 gennaio 1987, in Società, 1987, p. 711).
Nel caso dei sindaci, addirittura, la necessità di far luogo al controllo giudiziario sulla inerenza di giusta causa, tale addirittura da condizionare l'efficacia della delibera, osterebbe all'adozione del deliberato in forma implicita (Cass., 12 dicembre 2005, n. 27389, citata anche dal decreto in commento).
A mio avviso, l'art. 2383 c.c. non può che regolare esclusivamente l'ipotesi in cui la revoca sia oggetto principale e diretto della delibera: in tutti gli altri casi, ove cioè la cessazione dalla carica discenda come effetto secondario, benché imprescindibile, di un'altra operazione societaria, il Legislatore non può aver voluto aumentare il costo della stessa, attribuendo al titolare dell'ufficio societario un diritto di “insistenza” nella carica.
In tutti questi casi - come afferma nel provvedimento in commento il Tribunale milanese - la tutela del titolare dell'organo pretermesso sarà affidata alla impugnazione del deliberato, il quale potrà essere sindacato sotto l'aspetto dell'abuso o “eccesso” di potere: se cioè l'amministratore (od il sindaco) riusciranno a dimostrare che in realtà la delibera è volta a rimuovere gli stessi dalla carica, anziché essere sorretta da idonee ed autonome giustificazioni economiche, essi ne otterranno la rimozione, e così la “restaurazione” nella carica.
D'altro canto, nel caso della revoca “d'ufficio” come conseguenza dell'esercizio dell'azione di responsabilità, potrebbe ritenersi anche che l'inerenza della giusta causa sia in realtà implicita nella situazione per cui la sussistenza di una causa fra la società e l'amministratore rende comunque improseguibile il rapporto giuridico, altrimenti impregnato da un esiziale ed “endemico” conflitto di interessi.
La giusta causa d'altro canto può anche essere costituita da un motivo oggettivo, e non già solamente dalla prova della violazione di regole di condotta da parte dell'amministratore (cfr. Cass., 5 agosto 2005, n. 16526).
L'annullamento della delibera che autorizzi l'esercizio dell'azione, tuttavia, non può che elidere la presunzione di giusta causa, restaurando il diritto dell'amministratore di rivendicare il risarcimento del danno, danno che potrebbe non essere stato del tutto eliso dal ripristino dell'organo nella carica, e che dunque potrà essere prospettato ai sensi dell'art. 2377, e non dell'art. 2383 c.c.
Diverso mi pare il caso dell'amministratore il quale cessi dalla carica in forza dell'operare della clausola statutaria simul stabunt simul cadent (v. in senso parzialmente difforme fra di loro Trib. Milano, 24 maggio 2010 e App. Milano, 18 ottobre 2006, in Giur. it., 2007, p. 1450), poiché in questo caso l'interruzione del rapporto gestorio non ha alcuna attinenza alla volontà della maggioranza assembleare (quella contenuta nell'atto costitutivo è infatti già “esaurita”), e dunque il soggetto non ha diritto ad alcuna tutela, avendo accettato l'incarico nella consapevolezza di tale eventualità, della quale ha dunque assunto il rischio.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Si fa rinvio alle norme, nonché alla dottrina e alla giurisprudenza citati direttamente nel testo.

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