Inderogabilità dell’art. 2740 c.c. e concordato con cessione parziale dei beni

19 Dicembre 2014

In tema di concordato con cessione parziale dei beni non è ammissibile la proposta di cessio bonorum che preveda la cessione parziale dei beni, poiché difetta di causa in concreto, non realizzando un equilibrio meritevole di tutela tra le esigenze dell'impresa in crisi e le legittime aspettative dei creditori.
Massima

In tema di concordato con cessione parziale dei beni non è ammissibile la proposta di cessio bonorum che preveda la cessione parziale dei beni, poiché difetta di causa in concreto, non realizzando un equilibrio meritevole di tutela tra le esigenze dell'impresa in crisi e le legittime aspettative dei creditori.

Il caso

Il Tribunale torinese viene chiamato a decidere su una domanda di concordato preventivo di tipo liquidatorio, che prevede in via principale la cessione di solo alcuni dei beni dell'attivo e in via subordinata la cessione di tutti i beni di proprietà della ricorrente, ove la cessio bonorum parziale non fosse ritenuta ammissibile. Secondo la ricorrente, nella procedura concorsuale minore sarebbe lecita una liquidazione selettiva dell'attivo in virtù del coordinamento tra le disposizioni in tema di garanzia patrimoniale generica e il connaturale effetto esdebitativo del concordato preventivo, visto che l'art. 184 l. fall. costituirebbe una eccezione al principio generale, del resto esplicitamente consentita dal secondo comma dell'art. 2740 c.c.
Il Tribunale dichiara ammissibile solo la proposta formulata in via subordinata, rigettando invece la richiesta di cessio bonorum parziale, poiché immeritevole di tutela.

Le questioni giuridiche e la soluzione prospettata

Il provvedimento s'inserisce nella lenta opera di ricostruzione del diritto vivente intesa ad armonizzare il nuovo concordato preventivo con i preesistenti principi di diritto comune, nella ricerca di un equilibrio che non appare affatto giunto ad un punto fermo.
Il tentativo di ricostruzione sistematica da parte del provvedimento in discorso appare evidente nello sforzo motivazionale.
Da un lato, il concordato in continuità diretta deroga al principio della garanzia patrimoniale generica con l'art. 186-bis l. fall.: esso ammette infatti la liquidazione parziale di beni non strategici per il migliore soddisfacimento dei creditori attraverso la conservazione di assets produttivi organizzati in modo sistemico.
Poiché la deroga riveste carattere eccezionale, non può peraltro assurgere a criterio generale. Diversamente non si spiegherebbe per quale ragione il legislatore abbia inteso articolare una disciplina specifica per il concordato in continuità. In quest'angolo visuale, l'art. 2740 c.c. continua ad esprimere un principio generale dell'ordinamento pur senza essere più una norma imperativa (secondo la sentenza commentata). Pertanto, in tutti i concordati diversi da quello in continuità, la cessione parziale non sarebbe ammissibile.
Nell'interpretazione dei giudici torinesi, il solo dato letterale dell'art. 160 l. fall. non sarebbe sufficiente a suffragare la tesi opposta. E' vero che, dopo la riforma, la disposizione in discorso non fa più riferimento alla cessione di “tutti” i beni, ma semplicemente alla cessione dei “beni” senza ulteriori specificazioni. Ma simile dato lessicale non può consentire un'interpretazione della cessio bonorum avulsa dalla tradizione interpretativa preesistente alla novella del 2007, secondo la quale era inibita all'imprenditore in crisi una titolarità residua dei beni sociali dopo il concordato: se il legislatore avesse inteso ammettere la cessione parziale dei beni in aperta rottura con la tradizione interpretativa, avrebbe dovuto abrogare esplicitamente il principio invalso nella prassi previgente.
Del resto, una proposta di cessione selettiva dei beni difetterebbe di causa in concreto. Non è possibile chiedere un sacrificio ai creditori ove il debitore possa conservare parte dei suoi averi. Se per assurdo ai creditori potesse essere riservata solo una frazione del patrimonio (in percentuale oltretutto non vincolante) verrebbe meno l'esigenza pubblicistica di tenere conto dell'impatto della proposta sugli interessi dei dissenzienti, ai quali il giudice deve dare voce tramite il rispetto delle regole a presidio dei non aderenti. Tra di esse, appunto, c'è la necessità della cessione totale dei beni nel concordato liquidatorio.

Osservazioni

L'arresto in esame si di conforma ad una giurisprudenza ormai consolidata che non ritiene ammissibili i concordati con cessione parziale. Appare in tale ambito evidente lo sforzo della giurisprudenza di bilanciare gli effetti dell'esdebitazione in danno della massa dei creditori con un adeguato sacrificio del debitore. Ove, infatti, fosse ammessa una ristrutturazione concorsuale con la possibilità di segregare una quota di patrimonio in favore del ricorrente, il concordato si potrebbe prestare ad abusi incompatibili con le finalità dell'istituto. Vi è da chiedersi, però, se le conclusioni dell'arresto in commento siano davvero compatibili con il rinnovato assetto delle norme di diritto fallimentare e di diritto comune. La ricostruzione del Tribunale di Torino potrebbe insomma considerarsi figlia di una lettura tradizionalista legata al previgente regime, che aveva come obiettivo primario la tutela dei creditori, nonostante la riforma abbia posto al centro del sistema la tutela del debitore in crisi e il favor per la conservazione dell'impresa quale mezzo più efficiente per la risoluzione del dissesto.
Ed infatti uno degli argomenti utilizzati per escludere la cessione parziale nel concordato liquidatorio è la necessità che il giudicante tuteli la minoranza dei creditori dissenzienti preservando i diritti di questi ultimi ed escludendone il sacrificio contro l'abuso della maggioranza.
Ma, a ben vedere, il nuovo concordato preventivo dispone di diversi strumenti finalizzati ad evitare non che la maggioranza abusi dei propri diritti, ma piuttosto che l'ostruzionismo dei dissenzienti blocchi il corso del risanamento: si pensi al cram down, all'inesistenza di un accertamento endoconcordatario dei crediti, alle limitate fasi di opposizione riservate alle minoranze dissenzienti all'interno della procedura.
Occorre quindi verificare partitamente se questi ed altri spunti sistematici possano giustificare il sacrificio imposto ai creditori contrari alla proposta, tanto da qualificare il concordato come una delle eccezioni all'art 2740 c.c. previste dalla legge.
In fondo, la legge fallimentare già deroga all'art. 2741 c.c., che prevede il principio della parità di trattamento dei creditori, ove ammette la divisione in classi nel concordato: nessuno scandalo se le esigenze della ristrutturazione derogassero anche al richiamato principio della garanzia patrimoniale generica. Si osservi, infatti, che le deroghe a tale principio sono espressamente ammesse dalla norma, non sono affatto limitate alla legge fallimentare e sono in continuo aumento.
Se è poi vero che la previsione dell'art. 2740 c.c. esprime un principio generale, singole disposizioni di legge hanno previsto deroghe allo stesso di varia portata. Si pensi, in ispecie, ai seguenti casi di patrimoni separati: a) il fondo patrimoniale (art. 169 ss. c.c.); b) i patrimoni destinati ad uno specifico affare (art. 2447-bis c.c.); c) i beni riservati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela con atti di destinazione (art. 2645-ter c.c.); d) i fondi comuni d'investimento (distinti rispetto al patrimonio delle società che li amministrano) (art. 3, comma 2, L. 23 marzo 1983, n. 77); e) i fondi pensione (art. 4, comma 2, D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124); f) i patrimoni separati delle società per la cartolarizzazione dei crediti (art. 3, comma 2, L. 30 aprile 1999, n. 130); g) i trust interni previsti dalla convenzione dell'Aja; h) l'eredità beneficiata; i) la separazione dei beni del defunto di cui all'art. 512 c.c.
La lenta erosione del principio di cui all'art. 2740 c.c. ha trovato manifestazioni non irrilevanti anche nella riforma del diritto fallimentare.
L'argomento utilizzato nella motivazione della sentenza, secondo cui la deroga specifica sarebbe riservata al solo concordato in continuità, quale istituto speciale rispetto al concordato in generale, si presta ad una lettura opposta.
Affermare, infatti, che il concordato in continuità è istituto speciale non è affermazione pacificamente condivisibile, atteso che la dottrina ha individuato nei tratti comuni della procedura, nell'unitarietà della fase c.d. “bianca” e nei comuni effetti esdebitatori, elementi che impongono l'applicazione estensiva delle norme apparentemente speciali previste dall'art. 186-bis l. fall.
Addirittura, lo stesso concordato preventivo potrebbe essere considerato un caso di segregazione patrimoniale, poiché separa il patrimonio del debitore ante omologa dai crediti maturati dopo la chiusura della procedura, vincolandolo al soddisfacimento dei crediti anteriori (MAFFEI ALBERTI, Commentario alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1210).
Del resto, una simile interpretazione è stata recentemente avallata dalla Cassazione, che nei concordati liquidatori ha generalizzato (anche) la possibilità per il proponente di pagare i creditori privilegiati oltre un anno dall'omologa (purché venga attestata l'incapienza del privilegio ex art. 160, secondo comma, l. fall. e con diritto di voto pari alla lesione economica equivalente), come espressamente previsto solo per il concordato in continuità all'art. 186-bis l. fall. (Cass., 9 maggio 2014, n. 10112, in ilFallimentarista.it, News).
L'applicazione estensiva della norma potrebbe far concludere per l'unitarietà dei principi applicabili al concordato liquidatorio e al concordato in continuità. Pertanto, laddove sia considerata ammissibile la cessione parziale dei beni in un concordato, essa dovrebbe essere ammissibile anche per l'altro.
Rimarrebbe comunque il tema dell'equivalenza: in tema di liquidazione coatta amministrativa la Cassazione aveva infatti sancito già dal 2008 la derogabilità del principio di cui all'art. 2740 c.c. ove l'attività di impresa fosse continuata, ma solo se prospetticamente in grado di determinare effetti più favorevoli per i creditori (Cass., 18 marzo 2008, n. 7263). La Suprema Corte ha cioè ritenuto ammissibile il concordato il quale preveda che una parte dell'attivo sia mantenuta in capo all'impresa, a condizione che il sacrificio, anche parziale, dei creditori in funzione della conservazione dell'impresa sia almeno equivalente a quello prospettato nell'ipotesi alternativa della liquidazione dei beni.
Nel concordato liquidatorio, l'equivalenza è prospettabile solo nel caso in cui venga erogata nuova finanza, laddove l'apporto esterno sia almeno pari ai beni residui del debitore in concordato all'esito dell'adempimento della proposta.
Una maggiore responsabilizzazione dei creditori nel concordato potrebbe spostare dall'ammissione all'omologa il momento della valutazione del punto di equilibrio tra esdebitazione e garanzia patrimoniale: riducendo il tema dell'equivalenza alla comparazione fra concordato e fallimento, la sede naturale della (auto)tutela delle minoranze potrebbe essere il giudizio di opposizione all'omologa, ove il giudicante deve estendere il sindacato alla convenienza della proposta. Solo nel caso del cram down, e cioè indipendentemente dalla proposizione di opposizioni, il tribunale potrebbe valutarla d'ufficio in ipotesi di dissenso di una o più classi nel giudizio ex art. 180, quarto comma, l. fall. (Cass., 4 luglio 2014 n. 15345).
Di fronte ad indici non univoci nella ricostruzione del sistema, è utile coniugare gli spunti sistematici con l'interpretazione teleologica: atteso che il legislatore ha inteso favorire i concordati e promuovere una progressiva privatizzazione della crisi di impresa, è forse necessario considerare l'ammissibilità della cessione parziale, purché in linea di tendenza vi siano apporti in grado di inertizzare l'effetto negativo sul patrimonio a disposizione dei creditori, come nel caso di concordati liquidatori con nuova finanza.
In tal modo, si potrebbe realizzare l'obiettivo di assicurare e stimolare una migliore partecipazione e responsabilizzazione dei creditori alla risoluzione della crisi, imponendo un ruolo solo eventuale e sussidiario del tribunale fallimentare per la tutela delle minoranze dissenzienti che ne richiedano l'intervento.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per l'orientamento contrario alla cessione parziale dei beni successivo alla riforma cfr. App. Roma, 5 marzo 2013, in ilcaso.it; Trib. Roma, 25 luglio 2012, in Fall. 2013, 748; Trib. Arezzo, 8 novembre 2011, in ilFallimentarista.it, con nota di M. VITIELLO, Ammissibilita' di una proposta di concordato con cessione parziale dei beni del debitore con e senza continuazione d'impresa; Trib. Torino, 23 dicembre 2010, ivi, con nota di N. BOTTERO, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con parziale cessione dei beni; Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Fall., 2011, 225, con nota di N. NISIVOCCIA. Per la giurisprudenza anteriore alla riforma: cfr. Trib. Bari, 22 luglio 1975, in Giur. comm., 1976, II, 864 e Trib. Bari, 14 luglio 1975, in Giur. it., 1976, I, 2, 435.
Per una lucida ricostruzione delle tesi a favore e contro l'inderogabilità in materia dell'art. 2740 cod. civ. si veda D'ATTORRE, L'impresa e il diritto commerciale: innovazione, creazione di valore, salvaguardia del valore nella crisi. V convegno annuale dell'associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale “Orizzonti del diritto commerciale”, Roma, 21-22 febbraio 2014; e v. anche C. TRENTINI Cessione parziale dei beni nel concordato preventivo, in Fall.2013, 751.
Sulla moltiplicazione delle eccezioni all'art. 2740 c.c. cfr. F. TOMASSO, Il concordato nella liquidazione coatta amministrativa dopo le riforme della legge fallimentare e la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., in Giur. comm., 2007, II, 1199.
Sul concordato preventivo come esempio di separazione patrimoniale, si veda A. DE MARTINI, Il patrimonio del debitore nelle procedure concorsuali, Milano, 1956, 67 ss.; G. LANDOLFI, Il concordato preventivo con cessione dei beni, Padova, 2000, 133; C. CAVALLINI, B. ARMELI, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. Cavallini, Milano, 2010, 743; A. MAFFEI ALBERTI, Commentario alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1210; M. MACCHIA, Esecuzione, in Fallimento, 1992, 300 (“Per effetto del concordato con cessione, dunque, il patrimonio del debitore viene a scindersi in due settori: i beni preesistenti rispondono esclusivamente dei debiti concordatari”).
La richiamata Cass., 9 maggio 2014, n. 10112 ha implicitamente affermato che le norme previste per il concordato in continuità non sono speciali e pertanto si applicano a tutti i concordati. Secondo la Suprema Corte, i creditori prelatizi nei cui confronti la proposta di concordato preveda un pagamento dilazionato, hanno diritto di voto e sono equiparati ai creditori chirografari per la porzione di danno subita nel ritardo. L'arresto estende l'operatività dell'art. 186-bis l. fall a tutti i concordati, anche quelli liquidatori. Il provvedimento è stato oggetto di vibranti critiche: al riguardo v. F. LAMANNA, La pretesa indistinta ammissibilità nel concordato preventivo del pagamento dilazionato dei crediti muniti di prelazione, in IlFallimentarista.it, 2014, il quale sostiene che la pronuncia ha invertito “l'ordine logico dei fattori, traendo un principio generale da una palese eccezione”.

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