Il conflitto di interessi tra creditori nell’approvazione del concordato

Mauro Maniscalco
16 Dicembre 2014

In sede di approvazione della proposta di concordato (sia fallimentare che preventivo) non è configurabile un conflitto di interessi tra creditori (anche qualora, tra questi, vi siano i fideiussori del proponente), atteso che, nella fase concorsuale, non esiste un interesse del ceto creditorio, inteso come centro autonomo di imputazione.
Massima

In sede di approvazione della proposta di concordato (sia fallimentare che preventivo) non è configurabile un conflitto di interessi tra creditori (anche qualora, tra questi, vi siano i fideiussori del proponente), atteso che, nella fase concorsuale, non esiste un interesse del ceto creditorio, inteso come centro autonomo di imputazione.

Il caso

Dichiarata aperta la procedura di concordato preventivo, la proposta (senza suddivisione in classi; con cessione parziale pro soluto e prosecuzione dell'attività d'impresa) veniva approvata dalla maggioranza dei creditori ammessi al voto. In sede di giudizio d'omologa ex art. 180 l. fall., un creditore si opponeva all'omologazione del concordato, adducendo (tra l'altro) che alla votazione avevano partecipato creditori in conflitto di interessi, in quanto fideiussori del soggetto proponente: una volta esclusi dal voto tali creditori, non sarebbe stata raggiunta la maggioranza di cui all'art. 177, comma 1, l. fall.. Il Tribunale – pur escludendo in linea astratta la configurabilità di un conflitto d'interessi in ambito concordatario (fuori dai casi espressamente previsti dal legislatore) - giudicava comunque senz'altro inesistente in concreto una situazione di conflitto tra i fideiussori del proponente e i suoi creditori. Il concordato veniva, così, omologato.

Osservazioni

Il provvedimento del Tribunale di Teramo in commento si pone in stretta linea di coerenza con i precedenti che la giurisprudenza (almeno quella edita) ha fatto registrare in tema di conflitto di interessi nell'ambito del concordato. In effetti, la pronuncia ripercorre – in maniera rigorosa – gli argomenti addotti dalla S. Corte di cassazione (Cass. n. 3274/2011) per escludere, al di là delle ipotesi tipizzate, la configurabilità in fase concorsuale di un conflitto di interessi tra creditori.
Due sono i motivi a ragione dei quali il decreto del Tribunale di Teramo esclude l'esistenza di detto conflitto di interessi.
Per un verso, un conflitto non sarebbe configurabile posto che - nella fase concorsuale - non esisterebbe un interesse del ceto creditorio (inteso quale centro autonomo di imputazione) diverso e distinto dall'interesse dei singoli creditori. E a riprova di ciò, si porrebbe sia il fatto che - stante la fisiologica insufficienza del patrimonio del debitore a soddisfare la posizione di ciascun creditore – tra i creditori varrebbe la «regola» dell'homo homini lupus; sia la circostanza che il complesso dei creditori concorrenti sarebbe «costituito in corpo deliberante … in modo del tutto casuale e involontario», in assenza cioè di un (pregresso) accordo volto alla individuazione di un interesse comune (della massa) trascendente quello dei singoli creditori.
Per altro verso, ad ulteriore conferma della sua tesi, il Tribunale di Teramo assume che - ove ritenuto rilevante - il legislatore avrebbe disciplinato il conflitto in modo espresso. Con ragionamento “a contrario”, dunque, posta l'inesistenza di una norma generale sul conflitto di interessi nell'ambito della votazione in sede concorsuale, non vi sarebbe spazio per ipotesi di conflitto diverse da quelle espressamente previste dal legislatore (artt. 127 e 177 l. fall.). Tanto è vero che pure il creditore proponente il concordato (art. 124 l. fall.) non sarebbe escluso dal voto sulla sua stessa proposta.
Gli argomenti portati dalla pronuncia in esame sono senza dubbio importanti. Tuttavia non uno di essi appare risolutivo al fine di comprovare la tesi che nega l'operatività della regola del conflitto di interessi in ambito concordatario.
In effetti, come già evidenziato dalla più attenta dottrina, sono molteplici e distinte, a livello di diritto positivo, le fattispecie del sistema concorsuale (inteso in senso ampio; non limitato, cioè, alla fase concordataria) che consentono di affermare che i creditori siano una collettività organizzata; e, in via correlata e conseguente, che sussiste in capo al fallimento (rectius, alla massa dei creditori) un interesse collettivo, che, come tale, trascende quello dei singoli creditori (con il quale, anzi, può pure entrare in conflitto).
L'attenzione cade sull'ipotesi dell'art. 40 l. fall.: che – in tema di composizione e nomina del comitato dei creditori – individua un interesse comune di tutti i creditori, rispetto al quale l'interesse proprio del singolo componente il comitato può porsi in conflitto. Non si tratta, come detto, di un unicum. In effetti, pure l'art. 37-bis l. fall., che disciplina la «sostituzione del curatore» ad istanza dei creditori, prevede che «dal computo dei crediti … sono esclusi quelli che si trovino in conflitto di interessi». Ancora, nell'individuare i requisiti per la nomina del curatore, l'art. 28, comma 3, l. fall., prevede che «non poss[a] essere nominat[o] curatore … chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento».
Invero, dell'(unitario) interesse del ceto creditorio la giurisprudenza fa costante applicazione anche in casi diversi ed ulteriori rispetto a quelli (in via espressa) previsti dal Capo II del Titolo II della legge fallimentare in tema di «organi preposti al fallimento», ora indicati. Senza pretese di esaustività, il riferimento corre all'ipotesi dell'impugnazione del provvedimento di liquidazione del compenso del curatore; al caso della verificazione dello stato passivo, allorché si controverta in ordine all'inopponibilità al fallimento della scrittura priva di data certa; al caso dell'azione revocatoria fallimentare (nella valutazione dell'interesse ad agire del curatore); ovvero, ancora, allorquando si debba stabilire se una certa spesa rientri (o meno) tra i crediti prededucibili (art. 111 l. fall.). D'altra parte, ancora, proprio in tema di concordato, quando si discute circa la sussistenza degli «atti in frode» di cui all'art. 173 l. fall., idonei a revocarne l'ammissione, si ha riguardo a comportamenti lesivi non già della posizione del singolo creditore, bensì della massa, intesa nella sua connotazione di integralità dei creditori.
Sotto un diverso ma correlato angolo visuale, non sembra neanche condivisibile la tesi – pure fatta propria dal decreto di omologa in commento - per cui, sul presupposto della insufficienza della massa attiva al soddisfacimento delle istanze dei creditori, ogni creditore sarebbe necessariamente in conflitto con gli altri (con l'effetto che, anche per questa ragione, non potrebbe sussistere e configurarsi un interesse comune della massa). A ben vedere, in effetti, nel concordato (ma il discorso andrebbe esteso a tutta la materia fallimentare), le pretese dei creditori si pongono in contrapposizione l'una con l'altra, in modo per così dire istituzionale, solo all'atto ed in sede di verifica dei crediti (nella fase dell'ammissione, cioè); superata la quale, tuttavia, l'interesse dei creditori non può che diventare comune: per tutti estrinsecandosi nella massimizzazione della percentuale di soddisfazione del proprio credito, oltre che nella sua più rapida realizzazione.
A critica si espone, di conseguenza, pure il successivo passo del ragionamento del decreto del Tribunale di Teramo: che, a sostegno dell'inesistenza di un interesse comune in capo alla massa dei creditori, porta altresì la considerazione per cui il complesso dei creditori concorrenti sarebbe «costituito in corpo deliberante … in modo del tutto casuale e involontario». Mancando un originario patto tra i suoi componenti (analogo a quello che, in ambito societario, si rinviene tra i soci) – argomenta il Tribunale di Teramo - tale interesse comune non si configurerebbe, posto che ne mancherebbe una preventiva individuazione. In realtà, a parere dello scrivente, questa circostanza, di per sé, non pare ostativa all'esistenza di un interesse comune del gruppo cui i creditori - una volta «ammessi» (nel caso di specie, alla votazione del concordato) - finiscono per appartenere. Questi creditori, accomunati dalla stessa sorte concorsuale, risultano in effetti portatori delle medesime istanze e dei medesimi obiettivi: che, come appena anticipato, possono essere sintetizzati nell'interesse ad ottenere il massimo e nel più breve tempo possibile.
Quanto, infine, all'ipotesi disciplinata dall'art. 124 l. fall. in tema di concordato fallimentare, qualche dubbio è lecito nutrire circa la legittimità della partecipazione al voto del creditore proponente (soluzione che, come sopra accennato, in termini perentori viene avallata dal decreto in commento). E ciò, se non altro, in considerazione dello spiccato carattere negoziale che, post riforma, viene concordemente attribuito e riconosciuto al concordato: in un'ottica e logica contrattuale, non si comprende, infatti, come in capo ad uno stesso soggetto possano cumularsi sia la posizione del proponente sia quella dell'accettante.
Passando al concreto della fattispecie, il Tribunale di Teramo ha giudicato non configurabile una situazione di conflitto di interessi tra la generalità dei creditori e quei particolari creditori che, del proponente il concordato, erano (pure) suoi fideiussori. Sotto questo concreto profilo, la decisione in commento appare invece condivisibile ed apprezzabile.
In effetti, nessun vantaggio e nessun interesse proprio e particolare, come contrapposto a quello della massa, ha il fideiussore del proponente all'approvazione del concordato, che possa in qualche modo giustificarne l'esclusione dalla partecipazione al voto. È anzi vero che il fideiussore – come rilevato dal decreto in commento - potrebbe pure subire un pregiudizio dall'avvenuta approvazione della proposta di concordato: nell'ipotesi in cui la stessa – come avvenuto nel caso oggetto dell'attenzione del Tribunale di Teramo - non risulti preferibile (in termine di soddisfazione dei crediti) rispetto a quella fallimentare. E, al riguardo, occorre ricordare che (tanto nel concordato fallimentare, quanto in quello preventivo) i creditori – ferma l'obbligatorietà del concordato omologato – comunque «conservano impregiudicati» («per l'intero credito», cioè) i diritti contro i fideiussori del debitore (artt. 135, comma 2, e 184, comma 1, l. fall.).

Le questioni aperte

La questione del conflitto di interessi merita ulteriori approfondimenti da parte della giurisprudenza. La circostanza che in tema di concordato il conflitto di interessi non sia stato tipizzato quale principio generale non deve spingere a negarne tout court l'esistenza.
In termini astratti, è invero la regola della maggioranza, che guida ed informa (anche) il sistema della votazione della proposta di concordato - per cui il dissenziente deve accettare la decisione espressa dalla volontà dei più –, a rendere necessaria l'applicazione di meccanismi rimediali alle ipotesi di conflitti di interessi: in presenza dei quali, la decisione assunta potrebbe atteggiarsi a prevaricazione di alcuni creditori su altri. In effetti, la regola della maggioranza può essere tollerata (quale eccezione al principio dell'intangibilità dell'autonomia privata) solo ove il consenso venga a formarsi intorno ad un nucleo omogeneo di interessi. Altrimenti detto, il meccanismo della maggioranza è da considerarsi legittimo soltanto in presenza di una comunanza di interessi del gruppo in cui il voto viene espresso. E sotto quest'angolo visuale, ben si comprende, allora, la ragione della previsione per cui «i creditori muniti di privilegio …, dei quali la proposta di concordato prevede l'integrale pagamento, non hanno diritto al voto…» (art. 177, comma 2, l. fall.): questi soggetti, in effetti - non essendo il concordato potenzialmente idoneo ad arrecare loro alcun pregiudizio –, si pongono su una posizione ed un piano diversi rispetto agli altri creditori che, invece, dalla proposta possano subire un danno (per effetto di una liquidazione condotta con regole diverse da quelle del fallimento).
Nel concreto, il conflitto di interessi prende tratto dal momento in cui il creditore, chiamato a votare la proposta di concordato, si trovi ad essere portatore di un interesse suo proprio, che si pone in termini di incompatibilità con l'interesse, tendenzialmente comune con gli altri creditori, alla migliore e più rapida regolazione della crisi del debitore. Tale situazione, invero, può presentarsi per eventualità distinte ed ulteriori rispetto a quelle (in via espressa) previste dal diritto positivo. Occorre interrogarsi, così, a mero titolo di esempio, a quale sorte dovrebbe andare incontro il creditore che fosse (o fosse stato) pure un esponente della società proponente il concordato. Così, pur nel silenzio della legge, non pare che possa ragionevolmente escludersi che questo soggetto sia portatore di un conflitto di interessi (da posizione) nei confronti degli altri creditori (la c.d. massa). Nel senso, cioè, che l'amministratore (ma il discorso andrebbe esteso pure agli altri esponenti aziendali) potrebbe avere come primario (se non esclusivo) interesse quello di evitare il fallimento della società: se non altro per sottrarsi alle eventuali azioni di responsabilità ex art. 146 l. fall. E, per l'effetto, dare il proprio assenso alla proposta di concordato pure nell'ipotesi in cui questa non fosse da preferire (in un'ottica di migliore e più rapida liquidazione) rispetto alla soluzione fallimentare.
Si tratta, come detto, di un mero esempio, se pure significativo, di un evidente conflitto di interessi da posizione, ulteriore rispetto a quelli previsti dalle norme di cui agli artt. 127, comma 5 e 6, e 177, comma 4, l. fall.
Invero, un possibile conflitto di interessi potrebbe anche configurarsi con riguardo a soggetti che siano terzi, estranei alla società, allorché il voto degli stessi fosse comunque indebitamente influenzato da condizionamenti esterni, non comuni con gli altri creditori. Così, come già in più occasioni rilevato dalla dottrina, potrebbe presentarsi il caso del creditore che voti a favore del concordato a fronte della promessa di futuri rapporti commerciali all'esito della chiusura della procedura; o, comunque, di compensi per l'attività prestata per la positiva conclusione del concordato. Accanto a queste eventualità potrebbe pure esservi l'ipotesi del creditore che sia anche proponente del concordato (art. 124 l. fall.); del creditore che abbia interesse a non subire l'esercizio di azioni revocatorie; del creditore, ancora, che abbia interesse a non subire lo scioglimento del contratto in essere con il debitore (che si avrebbe in ipotesi di fallimento). Gli esempi, naturalmente, potrebbero proseguire.

Conclusioni

Non si può escludere che, in aggiunta a quelle tipizzate, vi siano ulteriori ipotesi di conflitto di interesse idonee ad impedire la partecipazione alla votazione sulla proposta di concordato. In effetti, se è pur vero che – come indicato dal decreto del Tribunale di Teramo - «la partecipazione al voto è la norma, mentre l'esclusione è l'eccezione», è da ritenere che ai casi espressamente previsti dal legislatore non possa essere attribuito carattere di esclusività ed esaustività.
Le limitazioni all'esercizio del diritto di voto espressamente previste dalla legge (art. 127 e 177 l. fall.) appaiono, pertanto, non già le uniche possibili; bensì espressione e rappresentazione, in via esemplificativa, per così dire, del principio generale del divieto di agire in conflitto di interessi (cfr. art. 2373 c.c.); come pure - e in termini ancora più generali - del dovere di agire secondo correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Sarà pertanto compito della giurisprudenza, nell'ottica di garantire il più ampio grado di tutela dell'intero ceto creditorio, procedere all'individuazione di tali (ulteriori) ipotesi di conflitto.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

In dottrina, il tema qui affrontato è stato approfondito, tra gli altri, da Piazzola, Le nuove regole sul voto nel concordato preventivo, in Fall., 2013, 5, 549 ss.; D'Attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d'interessi fra creditori, ivi, 2012, 7, 757 ss.; D'Attorre, Il conflitto d'interessi fra creditori nei concordati, in Giur. comm., 2010, I, 392 ss.; Calandra Bonaura, Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. comm., 2012, I, 14 ss.; Jorio, sub art. 124, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro, Sandulli e Santoro, Torino, 2010, 1694 ss.; Sacchi, Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Fall., 2009, 9, 1063 ss.
In giurisprudenza, cfr. Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274; App. Napoli, 19 maggio 2009, n. 7462, richiamata da D'attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d'interessi fra creditori, cit., alla nota 2; Trib. Reggio Emilia, 1 marzo 2007, in ilcaso.it.

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