Mancata verifica del passivo ex art. 102 l. fall. e tutela del lavoratore per l’accesso al Fondo di garanzia

11 Maggio 2012

In caso di fallimento del datore di lavoro, la mancata verifica del passivo ai sensi dell'art. 102 l. fall. non pregiudica il diritto del lavoratore, che, in questo caso, può comunque usufruire della garanzia prevista dall'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982, considerato che tale norma prevede l'intervento del Fondo di garanzia a tutela dei lavoratori dipendenti titolari di crediti nei confronti di un ex datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare.
Massima

In caso di fallimento del datore di lavoro, la mancata verifica del passivo ai sensi dell'art. 102 l. fall. non pregiudica il diritto del lavoratore, che, in questo caso, può comunque usufruire della garanzia prevista dall'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982, considerato che tale norma prevede l'intervento del Fondo di garanzia a tutela dei lavoratori dipendenti titolari di crediti nei confronti di un ex datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare.

Il caso

Il Tribunale di Reggio Calabria ha autorizzato la non prosecuzione dell'accertamento del passivo di una procedura fallimentare a causa della previsione di un insufficiente realizzo, soffermandosi, in particolare, sul parere negativo espresso da alcuni creditori, i quali ritenevano che l'omesso accertamento dei crediti di lavoro impedisse ai lavoratori di accedere al Fondo di garanzia in assenza di “un titolo esecutivo da far valere nei confronti della fallita” da produrre all'INPS per ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto e delle ultime tre mensilità ex D.Lgs. n. 80/1992.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale di Reggio Calabria, richiamando analoghi provvedimenti resi da alcuni tribunali fallimentari e la giurisprudenza di legittimità in tema di accesso al Fondo di garanzia in caso di datore di lavoro non soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, ha provveduto ai sensi dell'art. 102 l. fall. precisando che comunque sussiste il diritto del dipendente non ammesso al passivo di accedere al Fondo di garanzia gestito dall'INPS con le modalità previste dall'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982.
La questione giuridica sulla quale si è pronunciato il Tribunale si sostanzia nell'esame dell'effettiva necessità di un provvedimento di accertamento del credito in sede concorsuale ai fini dell'accesso al Fondo di garanzia. Ci si domanda, dunque, se è possibile che la tutela offerta dalla legge n. 297/1982 possa essere estesa anche ai lavoratori dipendenti i cui crediti non vengano accertati in conseguenza dell'adozione del provvedimento ex art. 102 l. fall.
Muovendo dalla considerazione per cui l'art. 2, comma 5, della legge n. 297/1982 ammette l'intervento del Fondo di garanzia anche in caso di datori di lavoro non soggetti alle disposizioni della legge fallimentare, il Tribunale di Reggio Calabria ha concluso che, ai fini del subentro dell'INPS nel pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità, l'ammissione al passivo dei crediti di lavoro non costituisce un atto strettamente necessario. Pur in mancanza del provvedimento di accertamento del credito in sede concorsuale permane per il lavoratore la tutela accordata dall'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982 per l'ipotesi di datori di lavoro non soggetti a procedura concorsuale. Il Tribunale di Reggio Calabria afferma anzi che, dopo la pronuncia del decreto ex art. 102 l. fall., i lavoratori non avrebbero nemmeno l'onere di dimostrare di aver esperito una infruttuosa esecuzione individuale a carico del datore di lavoro, come prevede letteralmente l'art. 2, comma 5, della legge citata, ben potendo l'insufficienza delle garanzie patrimoniali essere documentata dalla dichiarazione di fallimento e dal decreto ex art. 102 l. fall. emesso proprio in ragione dell'inesistenza di beni utilmente aggredibili a favore della massa. Per il Tribunale di Reggio Calabria - ferma restando la necessità di un titolo esecutivo comprovante l'esistenza del credito di lavoro - il Fondo di garanzia resta accessibile anche ai lavoratori non inseriti nel passivo fallimentare (testualmente: “questo Giudice ritiene che, nel caso di specie, emesso il decreto ex art. 102 l. fall., il lavoratore, sulla base di un titolo esecutivo che accerti il proprio credito, possa accedere al Fondo di garanzia senza necessità di esperire alcuna esecuzione individuale…”) in ragione della verificata inutilità della procedura. La legge non autorizza, del resto, una diversità di trattamento tra creditori concorsuali a vantaggio dei lavoratori dipendenti, pur se costoro sono portatori di un interesse che va oltre la procedura fallimentare.

Osservazioni

Il Tribunale reggino afferma il principio per cui non sussiste un collegamento necessario tra ammissione al passivo e pagamento dei crediti di lavoro da parte del Fondo di garanzia, stante il contenuto dell'art. 2, comma 5, della legge n. 297/1982. Il decreto ex art. 102 l. fall. - finalizzato a contenere i costi di una procedura concorsuale priva di prospettive di realizzo - ha ragion d'essere anche quando tra i creditori figurino lavoratori dipendenti, l'inserimento dei cui crediti nello stato passivo rappresenta tradizionalmente il presupposto per l'intervento dell'INPS.
L'accesso al Fondo di garanzia – si sostiene - è garantito, in luogo dell'art. 2, comma 2, della legge n. 297/1982, dall'art. 2, comma 5, di tale legge, che riguarda i datori di lavoro non falliti. Emesso il decreto ex art. 102 l. fall., i lavoratori, i cui crediti non verranno accertati in sede concorsuale, dovranno promuovere un'azione giudiziaria di accertamento del credito in sede ordinaria senza necessità di un'azione esecutiva individuale, considerato che l'insolvenza del datore di lavoro è già documentata dal decreto che pone fine all'accertamento del passivo in ragione della previsione di insufficiente realizzo.
Il provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria è espressione della volontà di affermare che la tutela offerta dal Fondo di garanzia non è impedita dall'adozione del decreto ex art. 102 l. fall. perché la legge istitutiva del Fondo offre uno spazio interpretativo ampio, in sintonia con la necessità di tutelare il più possibile i lavoratori dipendenti che patiscono l'insolvenza del datore di lavoro.
La riforma della legge fallimentare non ha preso in considerazione le conseguenze del mancato accertamento dei crediti di lavoro in relazione all'operatività del Fondo di garanzia. E, d'altro canto, poiché i presupposti per l'intervento della tutela sostitutiva sono ancora quelli disciplinati dalla legge del 1982, si è costretti ad uno sforzo interpretativo che - mutata la legge fallimentare - garantisca la tenuta di un sistema in cui il Fondo rappresenta la più concreta prospettiva di realizzo offerta ai lavoratori in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Si osserva, quindi, da parte della giurisprudenza un progressivo tentativo di ampliare i presupposti per l'accesso al Fondo di garanzia. Prova ne sia che, parallelamente alla vicenda in commento, anche la definizione contenuta nell'art. 2, comma 5, della legge n. 297/1982 (“datore di lavoro non soggetto alle disposizioni di cui al R.D. n. 267 del 1942”) è stata interpretata dai giudici di legittimità nel senso che la tutela collegata alla norma – la stessa affermata dal Tribunale di Reggio Calabria - trova ingresso anche rispetto ad un datore di lavoro astrattamente assoggettabile a fallimento che, in concreto, non possa essere dichiarato fallito per ragioni soggettive od oggettive.
Giova ricordare che l'accesso al Fondo in base alla legge del 1982 si concretizza in due diverse modalità di intervento tra loro alternative, fondate su presupposti molto precisi.
In caso di assoggettabilità del datore di lavoro ad una procedura concorsuale, l'art. 2, comma 2, stabilisce che il lavoratore può ottenere a domanda il pagamento dei crediti di lavoro quando siano trascorsi 15 giorni dal deposito dello stato passivo reso esecutivo ai sensi dell'art. 97 l. fall. o dopo l'adozione dei provvedimenti di ammissione al passivo del credito del lavoratore.
Nel caso in cui il datore di lavoro insolvente non sia assoggettabile a procedura concorsuale, il lavoratore può rivolgersi all'INPS per ottenere il pagamento del TFR e delle ultime tre mensilità a condizione che, a seguito dell'esecuzione forzata nei riguardi del datore, le garanzie patrimoniali di quest'ultimo risultino insufficienti. La dimostrazione dell'insufficienza delle garanzie patrimoniali, in base ai principi dettati dal codice civile, se il datore di lavoro è un imprenditore individuale o una società di persone, deve naturalmente essere fornita anche rispetto ai titolari e ai soci responsabili.
La legge n. 297/1982, in caso di datore di lavoro soggetto ad una procedura concorsuale, subordina l'intervento sussidiario del Fondo di garanzia alla presentazione di apposita domanda amministrativa all'INPS corredata della prova: 1) della cessazione del rapporto di lavoro; 2) dell'esistenza dello stato di insolvenza del datore di lavoro accertato dall'autorità giudiziaria attraverso l'apertura della procedura concorsuale; e 3) dell'inserimento del credito del lavoratore nello stato passivo della procedura.
La giurisprudenza di legittimità ha ribadito più volte che è del tutto irrilevante l'eventuale incolpevole ignoranza del lavoratore in ordine all'apertura ed allo stato della procedura concorsuale “poiché la legge fallimentare contiene una serie di disposizioni che assicurano ai terzi la possibilità di conoscenza in relazione ai diversi atti del procedimento e svolgono, quindi, la funzione di vera e propria pubblicità dichiarativa” (sul punto, v. Cass. sez. lav. 12 gennaio 2000, n. 294; Cass. sez. lav. 27 agosto 2004, n. 17079; Cass. sez. lav. 3 novembre 2011, n. 22735).
Fallito il datore di lavoro, in base alla lettera dell'art. 2, comma 2, della legge n. 297/1982, la mancata ammissione al passivo del credito di lavoro ben potrebbe essere ritenuta causa ostativa all'accesso al Fondo di garanzia
La preoccupazione sottesa al parere negativo espresso da alcuni creditori/lavoratori in merito all'istanza ex art. 102 l. fall. in commento è, quindi, più che giustificata, sol che si consideri che i lavoratori dipendenti mirano ad ottenere in sede concorsuale i provvedimenti necessari per poter presentare la domanda amministrativa all'INPS.
Nel caso in cui il datore di lavoro non sia assoggettabile ad una procedura concorsuale, la giurisprudenza, su altro fronte, ha precisato che, oltre alla prova della cessazione del rapporto, è necessario che il lavoratore dimostri di aver esperito l'esecuzione individuale nei confronti del datore di lavoro con esito infruttuoso, documentando l'insufficienza delle garanzie patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c.. La giurisprudenza, con sfumature diverse, ha sottolineato più volte - e così il Tribunale di Reggio Calabria - che il tentativo di esecuzione individuale deve essere serio ed adeguato, ossia improntato all'ordinaria diligenza richiesta a qualsiasi creditore che, dovendo dimostrare di aver preventivamente tentato di realizzare il suo credito, è tenuto a porre in essere le azioni che si presentano potenzialmente fruttuose e non quelle aleatorie (in tal senso: Cass., sez. lav., 11 luglio 2003, n.10953; Cass., sez. lav., 29 luglio 2004, n. 14447; Cass., sez. lav., 17 aprile 2007, n. 9108; Cass., sez. lav., 8 maggio 2008, n. 11379; Cass., sez. lav., 15 novembre 2011, n. 23840). Non mancano sentenze che sottolineano la non sufficienza di “una mera parvenza di esecuzione”.
Poiché l'INPS ha sempre richiesto, in caso di datore di lavoro non fallito, la prova rigorosa dell'insufficienza delle garanzia patrimoniali (si veda da ultimo la circolare n. 74 del 15 luglio 2008) documentata, oltre che da una infruttuosa esecuzione mobiliare a carico del datore di lavoro, dalla dimostrazione della reale impossibilità o inutilità di un pignoramento immobiliare (prendendo in esame anche il luogo di nascita e di residenza del datore di lavoro), da taluni sono stati sollevati persino dubbi di costituzionalità sull'art. 2, comma 5, l. n. 297/1982, visto il più favorevole trattamento previsto per i lavoratori di un'impresa fallita, i quali con il provvedimento di ammissione al passivo trovavano più agevole accesso al Fondo di garanzia (sul punto, v. Cass. sez. lav. 8 maggio 2008, n. 11379, cit.).
L'orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità in ordine all'obbligazione facente capo al Fondo di garanzia ne evidenzia poi la natura previdenziale, in luogo di quella retributiva originariamente affermata, rimarcandone il carattere sussidiario e la natura di accollo ex lege in senso atecnico. L'obbligazione che grava sul Fondo deriva per relationem da quella gravante sul datore di lavoro (Cass. sez. lav. 21 gennaio 2008, n. 1209; Cass. sez. lav. 24 febbraio 2006, n. 4183; Cass. sez. lav. 19 dicembre 2005, n. 27917).
Alla natura previdenziale delle prestazioni erogate dal Fondo di garanzia consegue anche la rilevanza del procedimento amministrativo, con tutte le implicazioni riguardanti la decadenza ex art. 47 D.P.R 30 aprile 1970, n. 839, come sostituito dall'art. 4 l. 14 novembre 1992, n. 438, e la prescrizione.
Sul fronte della prescrizione dei crediti di lavoro, quinquennale per il TFR e annuale per le ultime tre mensilità, la Cassazione, sul presupposto che “il diritto alla prestazione del Fondo nasce, non in forza del rapporto di lavoro, ma a seguito del distinto rapporto assicurativo-previdenziale in presenza dei presupposti previsti dalla legge: insolvenza del datore di lavoro ed accertamento nell'ambito della procedura concorsuale secondo le specifiche regole di tale procedura, formazione di un titolo giudiziale ed esperimento non satisfattivo dell'esecuzione forzata”, ha affermato che la prescrizione del diritto alla prestazione previdenziale non decorre ai sensi dell'art. 2935 c.c. prima del perfezionarsi della fattispecie attributiva che condiziona la proponibilità della domanda all'INPS (così Cass. sez. lav. 16 giugno 2011, n. 13158; Cass. sez. lav. 28 luglio 2011, n. 16617; Cass. sez. lav. 24 febbraio 2006, n. 4183, cit.; Cass. sez. lav. 19 dicembre 2005, n. 27917, cit.; Cass. sez. lav. 26 febbraio 2004, n. 3939) con la conseguenza che sui dipendenti che non ottengono l'ammissione al passivo dei crediti di lavoro a causa dell'adozione - anche in corso di procedura- del decreto ex art. 102 l. fall., si impone comunque l'obbligo di documentare al Fondo di garanzia l'esistenza di un titolo giudiziale di accertamento del credito anche al fine di dimostrare l'avvenuta interruzione della prescrizione, che, quanto alle ultime tre mensilità, è assai breve.
Dopo la riforma della legge fallimentare l'INPS, con circolare n. 74 del 15 luglio 2008, pur recependone le più importanti innovazioni, ha ribadito, in presenza di un datore di lavoro fallito, la necessità della preventiva ammissione al passivo del credito di lavoro perentoriamente affermata come necessaria dalla giurisprudenza di legittimità in quanto atta a determinare l'insorgenza stessa dell'obbligazione previdenziale (Cass. sez. lav. 27 agosto 2004, n. 17079, cit.).
Molti Giudici fallimentari in una prima fase hanno proceduto al deposito dello stato passivo con l'ammissione dei crediti di lavoro anche in ipotesi di insufficiente realizzo con l'intento di non pregiudicare i lavoratori, ben conoscendo i limiti indicati dalla stessa giurisprudenza, prima ancora che dall'INPS, per l'accesso alla tutela ex l. n. 297/1982 (cfr. App. Venezia, 21 maggio 2009, secondo la quale: “Il Tribunale può pronunciare il decreto di non farsi luogo al procedimento di verifica del passivo, ai sensi dell'art. 102 L.F. soltanto ove non sussistano esigenze di tutela di diritti il cui accertamento risulti indispensabile anche al di fuori dell'ambito endofallimentare, ed in particolare solo qualora tra i creditori insinuati non figurino lavoratori dipendenti aventi diritto alla tutela sostitutiva del fondo di garanzia…”).
Dopo una fase di verifica l'INPS, dando atto che la legislazione nazionale deve essere interpretata conformemente ai precetti comunitari, con circolare n. 32 del 4 marzo 2010 – si noti, precedente sia alla decisione in commento che ai citati decreti della Corte d'Appello di Torino del 7 maggio 2010 e della Corte di Appello di Brescia del 17 novembre 2010 - ha diramato alcune direttive atte a limitare le difficoltà operative causate dalla carenza di coordinamento tra la legge istitutiva del Fondo di garanzia e la nuova legge fallimentare.
Tra le questioni affrontate vi è proprio quella riguardante le modalità di intervento del Fondo nel caso in cui l'autorità giudiziaria disponga di non procedere o di interrompere l'accertamento del passivo di una procedura concorsuale senza alcun esame dei crediti di lavoro, circostanza che impedirebbe, in base alla interpretazione letterale della norma, l'accesso alla garanzia previdenziale, in contrasto con lo scopo sociale indicato dalla disciplina comunitaria (Direttiva 80/987/CE attuata dalla legge 29 maggio 1982, n 297 e dal d.lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 e modificata dalla Direttiva 2008/94/CE), che è dichiaratamente volta ad assicurare gli interessi dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.
Tale nuovo orientamento muove dalla considerazione per cui la fattispecie di cui all'art. 102 l. fall. é ricompresa nella definizione comunitaria di datore di lavoro insolvente. Per l'art. 2 della Direttiva, un datore di lavoro si considera in stato di insolvenza quando è stata chiesta l'apertura di una procedura concorsuale a suo carico fondata sull'insolvenza dell'impresa e l'autorità competente ne ha deciso l'apertura oppure la stessa autorità ha constatato la chiusura definitiva dell'impresa e l'insufficienza di un attivo tale da giustificare l'avvio della procedimento a carico del datore di lavoro.
In assenza di un procedimento di accertamento del passivo ex art. 102 l. fall. ed in presenza, tuttavia, di un evidente stato di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore potrà chiedere, in ogni caso, l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 2, comma 5, della legge n. 297/1982 purchè il suo credito risulti accertato sulla base di tale disposizione, accertamento ritenuto necessario anche dal Tribunale di Reggio Calabria.
Tra i documenti che andranno prodotti al Fondo di garanzia, la circolare INPS n. 32/10 indica espressamente il titolo esecutivo con il quale il credito è stato accertato, la domanda di ammissione al passivo, il decreto ex art. 102 l. fall. che non ha dato luogo all'accertamento del passivo, la documentazione comprovante l'insufficienza delle garanzie patrimoniali in capo al datore di lavoro. Il lavoratore deve pur sempre dimostrare, quindi, di aver esperito l'esecuzione individuale a carico del datore di lavoro in concreto non più soggetto alla procedura liquidatoria fallimentare.

Questioni aperte e conclusioni

Sarà interessante monitorare gli sviluppi futuri. L'INPS in ipotesi di decreti ex art. 102 l. fall., ferma restando l'autonomia del Fondo, si troverà, infatti, a dover provvedere su istanze che traggono origine da provvedimenti resi inter alios, che hanno, però, una indubbia ricaduta sul più stretto campo di operatività della legge n. 297/82.
A parere di chi scrive, resta aperta sul piano giuridico la seguente questione.
Considerato che dal dato normativo e dall'orientamento giurisprudenziale prevalente si ricava il principio per cui, in caso di datore di lavoro non fallito, ai sensi dell'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982, grava sul lavoratore che intende ottenere la tutela del Fondo di garanzia l'onere di precostituire un titolo giudiziale a carico del datore insolvente, che accerti l'esistenza e l'entità del suo credito, orientamento confermato dalla stessa decisione in commento che ha esteso l'applicabilità dell'art. 2, comma 5, legge n. 297/1982 ai crediti di lavoro non accertati in sede fallimentare ex art. 102 l. fall., potrebbero insorgere non poche difficoltà per quei lavoratori che, prima del fallimento del datore di lavoro, non siano riusciti ad ottenere un accertamento del credito di lavoro in sede giudiziale (decreto ingiuntivo o sentenza). Ad esempio, perché rimasti in forza all'impresa fino alla dichiarazione di fallimento.
La prospettiva che il lavoratore, al quale sia impedito per volontà non sua di conseguire detto accertamento in sede fallimentare, debba agire per le vie ordinarie al fine di munirsi di un titolo giudiziario da far valere in tempo utile nei confronti dell'INPS, pur rimanendo detto titolo inopponibile alla massa, non può non evidenziare la presenza di rischi concreti, fermi restando i maggiori oneri posti a carico del lavoratore, che per ottenere l'ammissione al passivo del credito di lavoro non ha necessità di munirsi preventivamente di una sentenza o di un decreto ingiuntivo che ne accerti an e quantum.
Si è portati a concludere che per i lavoratori ex dipendenti di aziende fallite, impossibilitati ad avvalersi del percorso più semplice che si conclude, salvo peculiari situazioni, con un provvedimento di accertamento del credito in sede fallimentare sufficiente per accedere al Fondo, e costretti invece ad affrontare il percorso ben più accidentato in caso di decreto ex art. 102 l. fall., vi sia la prospettiva di una concreta e possibile esclusione dalla garanzia del Fondo ex legge n. 297/1982 quando non riescano ad attivare tempestivamente le iniziative previste dall'art. 2, comma 5, della legge 297/82..
Pur se il richiamo è meramente storico, in quanto la fattispecie considerata è riferita alla vecchia legge fallimentare, si ricorda che la giurisprudenza ha avuto modo di dichiarare in passato la nullità del decreto di chiusura del fallimento per insufficienza di attivo pronunciato in pendenza dell'esame delle domande di ammissione al passivo di crediti di lavoro, disponendo la prosecuzione della procedura concorsuale proprio perché l'accertamento del credito in sede concorsuale era condizione di accesso al Fondo di garanzia (App. Napoli 19 dicembre 2000, in Giur. comm., 2002, II, 450).

Riferimenti giurisprudenziali e dottrinali

Si segnalano in dottrina: A. Della Chà, La previsione di insufficiente realizzo, in Giur. comm., 2009, 5, 993; F. Focareta, L'intervento del Fondo di garanzia nel caso di datori di lavoro non soggetti a procedura concorsuale, in Riv. it. dir. lav., 2009, I, 175; C. Bianco, Il lavoratore ha diritto al TFR anche senza fallimento: al pagamento ci pensa l'INPS, in Dir.e giust., 2011, 64; M. Bricchi, La Cassazione amplia i presupposti per l'accesso al Fondo di garanzia, in Dir. relaz. ind., 2011, 3, 802; N. Gherardi, Fondo di garanzia dell'INPS e mancata insinuazione al passivo fallimentare, in Riv. it. dir. lav., 2005, 2, 453; L. D'Arcangelo, Datore di lavoro non fallibile ed accesso al Fondo di garanzia, in Riv. it. dir. lav., 2009, 4, 833.

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