Sul controllo di ammissibilità della proposta concordataria con riguardo alla relazione attestativa del piano

Gianfranco Di Marzio
17 Maggio 2012

È inammissibile, per irragionevolezza, la proposta di concordato preventivo articolata su un piano attestato dal revisore legale come fattibile sulla scorta di dati aziendali forniti dal proponente e non assoggettati ad alcun riscontro esterno.
Massima

È inammissibile, per irragionevolezza, la proposta di concordato preventivo articolata su un piano attestato dal revisore legale come fattibile sulla scorta di dati aziendali forniti dal proponente e non assoggettati ad alcun riscontro esterno.

Il caso

Nella decisione in commento il Tribunale di Roma ha ritenuto inammissibile la domanda di concordato preventivo, già integrata ex art. 162 l. fall., per essere la stessa basata su un piano concordatario attestato irrazionalmente ovvero, come pure affermato, irragionevolmente, sia con riguardo al requisito della veridicità dei dati aziendali, sia in riferimento alla sua fattibilità. In particolare, il Tribunale ha ritenuto l'attestazione sulla veridicità dei dati aziendali inidonea a fornire un quadro credibile circa la concreta sostanza dell'attivo patrimoniale, essendosi il revisore legale limitato ad analizzare e comparare tra loro i dati desumibili dalla documentazione aziendale fornita dal proponente, senza svolgere alcun controllo sulla corrispondenza di tali dati alla realtà effettiva. Ancora più precisamente, il giudizio negativo sull'opera del revisore legale, e quindi sulla proposta di concordato, è derivato dalla constatata omissione di qualsiasi controllo circa i pretesi crediti del proponente verso terzi - pur costituenti la maggior parte del patrimonio offerto ai creditori - sia in relazione all'esistenza dell'obbligazione, sia con riferimento alla solvibilità del debitore.

LE QUESTIONI GIURIDICHE E LE SOLUZIONI 

Può essere utile introdurre il commento alla pronuncia del Tribunale di Roma schematizzando l'area generale di incidenza del giudizio di ammissibilità, ai sensi degli artt. 162 e 163 l. fall., nell'ambito del quale il provvedimento si colloca.
Invero, l'espressione “domanda di concordato” sintetizza tre diversi profili rilevanti: il profilo procedimentale (ove la domanda viene in rilievo come ricorso al tribunale), quello sostanziale (che valorizza il contenuto di offerta ai creditori) ed infine quello aziendale in senso lato, costituito dal piano concordatario in cui è descritto il percorso realizzativo del concordato e dunque adempitivo della promessa concordataria.
La domanda intesa come ricorso è assoggettata ad un controllo di legalità imperniato sulla verifica del rispetto delle condizioni di rito.
Il vaglio di ammissibilità sulla offerta ha invece per oggetto l'osservanza delle norme imperative sul trattamento da riservarsi ai creditori secondo il principio della par condicio creditorum e le sue eccezioni.
L'accertamento sul piano riguarda la ricorrenza o meno di due caratteristiche indefettibili siccome legalmente previste: essere basato su dati aziendali veritieri e descrivere un percorso ragionevole, secondo un giudizio prognostico, circa l'adempimento della promessa concordataria. Su tali aspetti è chiamato ad esprimersi il revisore legale nella relazione attestativa del piano.
Il controllo del tribunale sulla relazione attestativa - oggetto della pronuncia in esame - riguarderà l'argomentazione esposta in essa a fondamento sia della certificazione di veridicità dei dati aziendali, sia del giudizio di realizzabilità del percorso adempitivo descritto nel piano. Ciò che l'organo giudicante, in definitiva, deve controllare è l'assenza di lacune motivazionali, di contraddittorietà e di illogicità, nel ragionamento esposto nell'elaborato. Qualora fossero riscontrati uno o più di tali vizi, senza successivo emendamento secondo la procedura stabilita nell'art. 162 l. fall., la domanda di concordato risulterebbe inammissibile.
Nel caso che occupa può evidenziarsi come il Tribunale abbia ritenuto inconsistente l'opera del revisore legale sotto entrambi i profili della attestazione di veridicità dei dati aziendali nonché del giudizio prognostico sulla realizzabilità del piano concordatario. La comune ragione di evidente inadeguatezza risiede nel fatto che i dati forniti dal debitore non sono risultati oggetto di alcuna verifica. Presentando infatti, senza previo e documentato riscontro, l'informazione appresa dal debitore come dato aziendale veritiero, il revisore legale ottiene soltanto l'effetto di rendere la sua relazione del tutto priva di credibilità in ragione della sostanziale omissione dell'attività professionale dovuta.
Il possibile equivoco che occorre evitare è quello sulla sufficienza della mera indicazione del proponente circa entità e tipologia dell'attivo patrimoniale oggetto della procedura di concordato. Invero, all'evidenza, non costituisce “dato” l'informazione così appresa ed acriticamente trasfusa nella relazione attestativa. Quel che distingue il “dato” dalla semplice affermazione è l'avvenuto riscontro della notizia raccolta. Essendo poi i dati posti a base del piano inerenti al patrimonio del debitore, raccogliere informazioni da quest'ultimo e farne oggetto di relazione attestativa senza dapprima sottoporle ad alcun controllo val quanto appiattirsi sulla sua dichiarazione circa la composizione del patrimonio a disposizione dei creditori.

LE QUESTIONI APERTE 

La principale questione che viene in campo concerne l'estensione del controllo del tribunale: ossia se tale controllo debba intendersi limitato alla relazione attestativa (coinvolgendo il piano solo in via indiretta) o possa invece estendersi immediatamente al merito stesso del piano, su cui l'organo giurisdizionale sarebbe chiamato ad esprimere un giudizio di condivisione.
In giurisprudenza si rinvengono entrambe le posizioni: con prevalenza della prima nella Corte di Cassazione e invece, potrebbe stimarsi, della seconda nelle corti di merito. L'acceso dibattito tutt'ora in corso è culminato in una ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite al fine di dirimere quello che anche nella giurisprudenza di legittimità è individuato come un vero e proprio contrasto di indirizzi.
L'orientamento incline a riconoscere al tribunale la prerogativa di diretta verifica del contenuto del piano prende le mosse, di massima, dalla considerazione secondo cui nel disposto dell'art. 162 l. fall. non è ravvisabile alcun limite all'indagine volta al giudizio sulla ammissibilità della proposta. Il nucleo della argomentazione si fonda tuttavia sul ruolo che deve intendersi affidato al giudice nel procedimento di concordato. Esclusa la funzione meramente “notarile” di controllo della legalità formale del ricorso di concordato ed affermata invece la piena estensione del controllo giudiziario sulla domanda per come presentata, non sembrano residuare argomenti per contenere l'estensione di tale controllo escludendo dallo stesso il merito del piano concordatario: ossia la valutazione della adeguatezza del percorso realizzativo dell'attività adempitiva prospettata nella domanda. Lo stesso potere espressamente riconosciuto al tribunale di concedere al ricorrente un termine per apportare integrazioni alla domanda confermerebbe l'avviso, giustificandosi la necessità della integrazione sulla scorta, evidentemente, di una precisa richiesta del tribunale (la quale si mostrerebbe espressiva dell'esercizio di tale penetrante potere di controllo).
L'organo giudiziario dunque, secondo tale impostazione, ripete la verifica di fattibilità del piano già operata dal revisore legale, spingendosi solo eventualmente anche a giudicare la convenienza della proposta per i creditori.
Tuttavia l'architettura normativa dell'art. 161 l. fall. sembra avvalorare la riconducibilità immediata del controllo di ammissibilità soltanto alla relazione attestativa e non anche al piano in essa considerato.
Più precisamente, dopo il primo comma, ove sono stabiliti forma della domanda ed ufficio giudiziario competente a riceverla, nel secondo è elencata la documentazione da allegarvi - tutta rappresentativa del patrimonio aziendale - mentre nel terzo è imposta la produzione della relazione del revisore legale, quale documento certificativo della veridicità dei dati offerti all'attenzione dei creditori e prognostico circa la realizzabilità del piano concordatario.
Traspare bene dunque, dalla normativa appena richiamata, che il sindacato di merito sulla proposta appartiene ai creditori mediante esame dei dati aziendali, certificati come veri, secondo il criterio scientifico indicato nella relazione attestativa.
Per converso, detto controllo non riguarda il tribunale: se infatti quest'ultimo potesse esprimersi, quale peritus peritorum, direttamente sulla veridicità o meno dei dati aziendali e sulla fattibilità o meno del piano, il ruolo del revisore legale, voluto dal legislatore, perderebbe tutto il suo significato. Ciò perché tale professionista non è un tecnico al quale il debitore ricorre per convincere creditori ed organi della procedura della realizzabilità del piano, bensì un esperto imparziale il cui operato, contemplato come necessario dalla procedura, consiste dapprima in un'attività di indagine/riscontro (veridicità o meno dei dati ricevuti) e successivamente nella formulazione di un giudizio prognostico (fattibilità o meno del piano). Con la conseguenza che l'opinione secondo cui anche il vaglio del tribunale afferisce al merito della proposta, si traduce inevitabilmente in una sorta di interpretatio abrogans a sfavore della previsione normativa sul ruolo del revisore legale, risultante priva di giustificazione siccome basata su una arbitraria ipotesi di condivisione da parte del foro di poteri tuttavia positivamente previsti soltanto in capo al revisore legale medesimo.
Del resto, il dirimente controllo di merito sulla proposta di concordato è espressione di attività gestoria, pertanto non confacente alla figura del giudice; si tratta, in particolare, di attività indirettamente dispositiva del diritto di credito, anche mediante decisione sulla convenienza o meno, per i creditori, dell'offerta formulata dal debitore.
In definitiva, ove fosse prerogativa del tribunale eseguire il sindacato predetto, si avrebbe una aprioristica tutela giudiziale dei creditori, censurabile quanto meno per la sua capacità di preclusione dell'esercizio del diritto di voto e quindi del diritto dei creditori medesimi di operare, in piena autonomia, le scelte inerenti al loro patrimonio.
Convincente appare, invece, l'impostazione secondo cui “il sindacato del tribunale deve essere mirato a garantire l'offerta di tutti i dati informativi essenziali, in forma veridica e completa, in funzione di genuina formazione di un reale “consenso informato” dei creditori, posti così in condizione di esprimere il loro libero convincimento, con una volontà non viziata, sulla fattibilità del piano proposto”.
Né pare poi che detto controllo di legalità (sostanziale) precluda al giudice, in ipotesi, il rilievo della chiara inutilità del piano e quindi della proposta: il piano privo di ogni sostanza - come quello che prevedesse un pagamento dei creditori in misura simbolica - equivarrebbe comunque ad un piano mancato, con conseguente inammissibilità della domanda per carenza di uno dei necessari elementi contenutistici stabiliti dall'art. 161 l. fall.
Alla fondamentale questione, appena esaminata, circa la possibilità o meno di controllo diretto del piano concordatario da parte del tribunale, se ne aggiungono poi altre, di natura processuale, meritevoli di considerazione.
Dal tenore letterale dell'art. 162, comma 1, l. fall., nel senso della natura discrezionale della prerogativa del tribunale di assegnazione di un termine per l'integrazione della proposta di concordato, emerge la questione circa l'individuazione del criterio sotteso all'esercizio di tale prerogativa. È chiaro infatti che la scelta ingiustificata, di volta in volta di assegnazione o meno del termine, potrebbe facilmente trasmodare in arbitrio e pertanto in ingiustificabile disparità di trattamento tra i possibili debitori proponenti.
In assenza di specifici riferimenti normativi sul punto, pare doversi ritenere che la concessione del suddetto termine debba esservi ogni qual volta l'insufficienza della proposta sia colmabile attraverso l'attività rituale permessa al debitore dal disposto normativo, ossia l'integrazione del piano e l'ulteriore produzione documentale; in tale situazione, infatti, sembrerebbe eccessivo sacrificare il possibile esito positivo della procedura di concordato ad una superabile incompletezza dell'offerta.
Alla questione circa la possibilità del debitore di completare la proposta concordataria, si collega e contrappone poi, quasi in modo speculare, quella inerente alla esistenza e tipologia di eventuali poteri officiosi del tribunale in tal senso.
In merito, il rilievo della natura di procedimento in camera di consiglio, propria della fase rituale, dovrebbe condurre all'applicazione dell'art. 738, comma 3, c.p.c., secondo cui “Il giudice può assumere informazioni”.
Dubbia, invece, la possibilità per il tribunale di disporre una consulenza d'ufficio al fine di sindacare, dal punto di vista tecnico, il contenuto dell'opera del revisore legale, giacché l'eventuale elaborato del perito si sovrapporrebbe a quello dell'attestatore così rischiando di urtare la ratio della previsione normativa, contenuta nell'art. 161, comma 3, l. fall., che contempla la figura di tale ultimo professionista non già quale consulente di parte, bensì, tutto all'opposto, come esperto imparziale con l'unico scopo di rendere edotti gli organi della procedura ed i creditori circa l'effettiva sostanza dell'offerta formulata dal debitore.
Sempre sotto l'aspetto procedimentale, altra questione concerne poi la natura perentoria ovvero ordinatoria del termine (di quindici giorni al massimo) eventualmente concesso, ex art. 162, comma 1, l. fall., dal tribunale al debitore per il completamento della proposta concordataria.
Appare conforme allo spirito ed alla lettera della legge ritenere la natura ordinatoria di tale termine. L'art. 152, comma 2, c.p.c., infatti, stabilisce la perentorietà del termine nei soli casi di espressa previsione normativa di tale natura, cosicché, in mancanza di previsione, come nel caso di specie, esso deve essere ritenuto ordinatorio. Ed ancora nel senso della natura ordinatoria si é rilevato in giurisprudenza che il termine non è stato previsto dal legislatore “a pena di decadenza” e perciò può essere superato.
Comunque, più ampiamente, l'interpretazione sistematica offre ulteriore ragione della natura ordinatoria del termine in esame. La previsione normativa circa l'integrazione della proposta concordataria, introdotta soltanto con l'ultima riforma della legge fallimentare (adottata con il cd. decreto correttivo), corrisponde infatti al chiaro intento del legislatore di promuovere, per quanto possibile, la c.d. soluzione negoziale della crisi di impresa attraverso le scelte di autonomia privata endoprocedimentali di colui che è, appunto, debitore proponente e dei creditori destinatari della proposta, che potrebbero esprimersi in merito attraverso l'esercizio del diritto di voto. Ciò che, all'evidenza, resterebbe invece precluso ove il termine in questione fosse ritenuto perentorio e superato anche soltanto di qualche giorno, con conseguente pronuncia di inammissibilità della domanda.
Oltre tutto l'interpretazione secondo la natura ordinatoria del termine non pare arrecare ostacolo alla possibilità di celere chiusura della procedura. La mera eventualità, infatti, che il debitore integri il piano e depositi documenti oltre l'apposito termine concesso dal tribunale non preclude certo a quest'ultimo l'adozione della pronuncia. In altre parole, a ben vedere, la gestione della durata della procedura non viene trasferita al debitore bensì rimane in capo al tribunale: pur concedendosi infatti al debitore di continuare ad agire anche dopo la scadenza del termine, da tale scadenza, comunque, il tribunale potrà, in qualsiasi momento, pronunciarsi. Ne consegue che l'ulteriore attività eventualmente concessa assume rilievo soltanto se precedente alla pronuncia che, a sua volta, segna la consumazione dell'onere di integrazione e deposito.

Conclusioni

Il provvedimento che si commenta argomenta convincentemente quale sia il contenuto del controllo di ammissibilità della proposta di concordato con riguardo alla relazione attestativa: si tratta di un controllo di legittimità sulla argomentazione tecnica del revisore legale, che deve rispondere a criteri di logicità. Nel dettaglio, la valutazione affidata al tribunale sembra essere analoga a quella che lo impegna allorquando deve decidere se fare proprio o meno il contenuto di una consulenza tecnica: controlla se il ragionamento scientifico sia plausibile.
L'esame deve pertanto investire la logica intrinseca, la coerenza tra premessa e conclusione, la descrizione del metodo scientifico prescelto e la chiarezza espositiva emergenti dalla relazione attestativa. In mancanza di credibile opera del revisore legale, la considerazione del piano risulta priva di ragion d'essere e la proposta concordataria destinata alla pronuncia di inammissibilità.
Non deve tuttavia sfuggire che, come già accennato con riguardo alla tesi qui criticata, al fondo dei due indirizzi interpretativi si pongono incompatibili concezioni sulla natura della domanda concordataria e sul ruolo che deve essere assegnato, nella relativa procedura, al giudice da un lato, e ai privati (debitore e suoi creditori) dall'altro. Così come in una prospettiva negoziale diviene naturale concludere nel senso della massima autodeterminazione dei privati, assistiti dal giudice nei rigorosi limiti del controllo di legalità (però sostanziale) degli atti, non dissimilmente in una prospettiva di tenore pubblicistico che tutt'ora tende ad intravedere nel concordato un “beneficio” concesso al debitore insolvente appare unicamente conseguente la conclusione su controllo giudiziale della proposta come esteso al merito della stessa.

MINIMI RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI, BIBLIOGRAFICI E NORMATIVI 

Sull'oggetto del controllo di ammissibilità dovuto dal tribunale ex artt. 162 e 163 l. fall., cfr.: Cass. (ord.) 15 dicembre 2011 (di rimessione della questione alle SU: sul punto cfr. LAMANNA, Il contrasto in Cassazione sulla fattibilità del concordato preventivo: una novità (positiva) che rende necessario l'intervento delle SS.UU., in questo portale; LAMANNA, Richiesta la rimessione alle SS.UU. sull'ineffabile ma ineludibile contrasto sulla sindacabilità nel merito del concordato preventivo, in questo portale); Cass. 23 giugno 2011, n. 13817; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860 (tutte nel senso della verifica della cd. legalità sostanziale della proposta concordataria); nonché Cass. 15 settembre 2011, n. 18864; Cass. 25 luglio 2002, n. 10913 (nel senso invece della prerogativa del tribunale di indagine sul merito dell'offerta ai creditori).
Per una panoramica sugli orientamenti di dottrina e giurisprudenza nonché sulle pronunce in materia v. Trib. Sulmona, decr., 2 novembre 2010, in Ilcaso.it, che ritiene spettante al tribunale il controllo di merito sulla proposta.
In dottrina, A. PATTI, “Il sindacato del tribunale nella fase di ammissione al concordato preventivo”, in “La crisi d'impresa. Questioni controverse del nuovo diritto fallimentare”, a cura di F. Di Marzio, Padova, 2010, 317 e ss. (in particolare, alla p. 341 è contenuta la frase trascritta nel presente lavoro); VITIELLO, “Concordato preventivo I (dall'apertura della procedura all'approvazione della proposta)”, in “Il correttivo della riforma fallimentare. Riflessioni degli operatori”, a cura di F. Di Marzio, I ed., Torino, 2008, 136, secondo il quale “Non v'è dubbio (…) che in concreto la possibilità che il tribunale non ammetta il ricorrente al concordato resti limitata: - ai casi in cui l'inammissibilità per la non fattibilità del piano sia eclatante, in quanto emergente dalla sola lettura del piano, o della documentazione che ad esso, ex art. 161 l.f., deve essere allegata; - ai casi di palese inidoneità della relazione ad integrare una seria attestazione di fattibilità”.
Circa la natura del termine di cui all'art. 162, comma 1, l. fall., mentre Trib. Roma, 20 aprile 2010, in Redazione Giuffrè 2010, ritiene che essa sia ordinatoria, in dottrina, F. DIMUNDO, sub art. 162 l.f. in “Codice commentato del fallimento”, diretto da G. Lo Cascio, I ed., Milano, 2008, 1458, considera, all'opposto, tale termine come perentorio.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario