Il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del piano: rilevanza dei tempi di adempimento

Barbara Rovati
20 Novembre 2014

Al Tribunale è rimesso unicamente il sindacato in ordine alla fattibilità giuridica del concordato; il giudizio di fattibilità economica, di carattere prognostico con margini di opinabilità e possibilità di errore, che si traducono in un fattore di rischio per gli interessati, è invece rimesso ai creditori.
Massima

Al Tribunale è rimesso unicamente il sindacato in ordine alla fattibilità giuridica del concordato; il giudizio di fattibilità economica, di carattere prognostico con margini di opinabilità e possibilità di errore, che si traducono in un fattore di rischio per gli interessati, è invece rimesso ai creditori.

Sotto il profilo della fattibilità giuridica, il controllo del Tribunale va effettuato in termini di ragionevolezza del rischio assunto e probabilità di successo, non di certezza del risultato; il Tribunale è comunque chiamato a valutare l'adeguatezza del piano, che deve essere analitico e fondarsi su dati veritieri ed ipotesi prevedibili sulla base delle circostanze al momento esistenti. Non può essere rimesso alla maggioranza dei creditori, con pregiudizio dei dissenzienti, il rischio di fattibilità di un piano i cui margini di opinabilità e di errore siano talmente ampi da inficiarne la ragionevole tenuta e la probabilità di successo.

Non è corretto fissare in linea generale un termine di durata oltre il quale ritenere sempre il piano non più attendibile e viziato da margini così elevati da renderlo inadeguato.

Il caso

Innanzi al Tribunale di Prato una società per azioni depositava ricorso, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., riservandosi di presentare la proposta, il piano e la documentazione di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo entro il termine che il Tribunale fissava, poi, in 120 giorni. Nel rispetto di tali termini, la società ricorrente depositava la suddetta documentazione.
Il piano prevedeva l'integrale pagamento delle spese di giustizia, delle spese di procedura in prededuzione, dei crediti privilegiati ed il pagamento parziale dei creditori chirografari suddivisi in cinque classi. In particolare, venivano previste, per ciascuna classe, percentuali di pagamento e tempi di adempimento differenziati. Analizzate le previsioni del piano, il Tribunale, ritenuta la corretta formazione delle classi e la sussistenza delle condizioni di ammissibilità, dichiarava aperta la procedura, nominava i Commissari Giudiziali e fissava l'adunanza dei creditori. I Commissari Giudiziali, tuttavia, individuavano un significativo profilo di criticità del piano relativo ai tempi previsti per il soddisfacimento di due delle cinque classi di creditori chirografari. Invero, l'eccessiva estensione dell'orizzonte temporale del piano impediva un serio giudizio prognostico circa l'effettiva realizzabilità dei flussi di cassa sufficienti a coprire il fabbisogno finanziario.
Pertanto, la società apportava le dovute variazioni al piano al fine di adeguarsi ai rilievi dei Commissari Giudiziali.
La proposta di concordato veniva, quindi, approvata dalla maggioranza dei creditori.
I Commissari, però, depositavano parere, ai sensi dell'art. 180 l. fall., nel quale, pur rilevando lo svolgimento regolare dell'attività aziendale, si esprimevano in senso negativo all'omologazione del concordato.
Fra l'altro, due creditori dissenzienti presentavano opposizione per i motivi già evidenziati nei rilievi dei Commissari e per motivi attinenti alla fattibilità economica del piano.
All'udienza Collegiale, i Commissari modificavano l'opinione espressa ex art. 180 l. fall. e davano parere favorevole all'omologazione.
Alla luce di ciò, il Tribunale pratese, rilevando come la presenza di opposizioni non modificasse l'oggetto del proprio giudizio, e valutando queste ultime, omologava il concordato.

Le questioni giuridiche sottese

La pronuncia in esame si uniforma al dettato della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1521 del 2013 in tema di sindacato del Tribunale sulla fattibilità giuridica del piano.
L'ampiezza di tale sindacato rende possibile al Tribunale, da un lato, un controllo di legalità sui singoli atti della procedura e, dall'altro, una verifica della rispondenza del procedimento alla causa concreta del concordato.
Nell'ambito di tale sindacato, all'Organo Giudicante è, inoltre, rimesso anche un controllo sui tempi di realizzazione del piano in quanto, come osservato da autorevole dottrina, esso rientra, a pieno titolo, nella valutazione della fattibilità giuridica.
Invero, l'analisi effettuata sui suddetti termini è uno degli strumenti attraverso i quali si realizza la verifica dell'idoneità del piano a realizzare la sua causa concreta.
Quest'ultima, infatti, è stata identificata, dalla succitata sentenza della Corte di cassazione, con il superamento della crisi d'impresa attraverso il soddisfacimento dei creditori in una certa percentuale ed in un lasso di tempo “ragionevolmente breve”.
Alla luce di ciò, autorevole dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto che, nella fase di omologazione, tali elementi possano essere oggetto di un controllo più “intenso” da parte del Tribunale il quale può spingersi oltre la semplice valutazione della rispondenza del piano alle norme imperative dettate in tale ambito.
Invero, l'Organo Giudicante può, in tali casi, valutare anche la possibilità giuridica di dare esecuzione alla proposta di concordato formulata in concreto.
Pertanto, in conformità a tale orientamento, il Tribunale di Prato ha effettuato il proprio controllo sulla causa concreta del concordato analizzando anche i tempi di realizzazione del piano ed ha rilevato come, nonostante il giudizio di fattibilità economica spetti ai creditori, non sia esclusa la possibilità per l'Organo Giudicante di valutare, con l'ausilio “tecnico” del Commissari, l'adeguatezza del piano.
Invero, secondo il Collegio pratese, “non può essere rimesso alla decisione della maggioranza dei creditori, con pregiudizio dei dissenzienti, il rischio di fattibilità di un piano i cui margini di opinabilità e di errore siano talmente ampi da inficiarne la ragionevole tenuta e probabilità di successo”.
Il Tribunale ha, quindi, analizzato anche le opposizioni presentate da due creditori dissenzienti precisando come la loro presenza non modificasse l'oggetto del proprio giudizio, ma determinasse la necessità di valutare l'adeguatezza e l'accettabilità del rischio in maniera rigorosa e precisa.
La pronuncia in commento si è, pertanto, dedicata all'analisi delle questioni sollevate dagli opponenti, individuando tre categorie di criticità: la prima relativa all'incertezza del ricavato della vendita del bene immobile non strategico e dei tempi per la sua realizzazione; la seconda inerente l'assenza d'idonee garanzie e la terza riguardante l'incertezza del piano poiché esteso su un arco temporale di durata eccessiva.
L'Organo Giudicante, dopo aver passato brevemente in rassegna le prime due questioni, si è dedicato, principalmente, alla questione attinente ai tempi di adempimento del concordato.
Rifacendosi ai propri precedenti in materia, il Collegio pratese ha, infatti, osservato come, sebbene la durata del piano incida sulla possibilità di formulare prognosi attendibili sulla sua realizzabilità, non sia, tuttavia, corretto “fissare in linea generale un termine di durata oltre il quale ritenere sempre il piano non più attendibile e viziato da margini di rischio così elevati da renderlo inadeguato”.
Pertanto, contrariamente a quanto avvenuto in una precedente pronuncia dello stesso Tribunale (Trib. Prato 17 febbraio 2014, in ilFallimentarista.it), il Collegio pratese non ha ritenuto rilevante il dettato normativo della Legge Pinto sulla durata dei fallimenti, ma si è concentrato, unicamente, sull'analisi del caso di specie al fine di stabilire se la dilatazione dei tempi di adempimento della proposta fosse giustificabile alla luce di alcune previsioni del piano.
La scelta del Tribunale appare condivisibile in quanto, sebbene il Legislatore si sia preoccupato di stabilire un termine di durata massimo dei fallimenti, lo stesso non può dirsi per le procedure concordatarie.
Invero, non vi è alcuna disposizione ad hoc che stabilisca quale debba essere la ragionevole durata di una procedura di concordato preventivo.
L'unica disposizione vigente è, infatti, quella contenuta nella Legge Pinto, ma dettata in materia di Fallimenti. L'art. 55 del c.d. Decreto Sviluppo, infatti, nell'introdurre significative modifiche alla citata Legge, ha individuato un termine di durata massima di sei anni per i fallimenti. Tale termine, considerato ragionevole dalla lettera della norma, è apparso, tuttavia, illogico ad autorevole dottrina, la quale ha rilevato come la disposizione non soltanto ponga un limite inferiore a quello già ridottissimo di sette anni individuato dalla Corte di cassazione, ma non sia nemmeno compatibile con la stessa natura dei procedimenti concorsuali.
Essa tralascia, infatti, di considerare la natura stessa del fallimento, che è, per definizione, un “contenitore di altri processi”, connotato da un elevato grado di complessità.
Se, quindi, è apparsa problematica l'applicabilità di tale disposizione ai fallimenti, a fortiori dovrebbe esserlo per i concordati preventivi.
Tuttavia, nonostante le significative differenze intercorrenti tra fallimento e concordato preventivo, la prassi giurisprudenziale ha ritenuto quest'ultimo equiparabile ad una procedura fallimentare complessa ed ha, pertanto, utilizzato i dettami della Legge Pinto quale criterio per valutare la ragionevolezza della durata del piano di concordato.
Tra le pronunce sul punto, appare emblematica la già citata decisione del Tribunale di Prato del 17 febbraio 2014, con la quale l'Organo Giudicante aveva affermato la necessità di applicare alle procedure di concordato preventivo limiti di durata suscettibili di valutazione da parte del Tribunale individuando, quale parametro di riferimento, la norma sulla ragionevole durata dei fallimenti.
Orbene, la pronuncia in esame ha, probabilmente, ritenuto bilanciati i problemi relativi ai tempi di adempimento del concordato da alcuni rilievi concreti effettuati sulla base del piano.
Più precisamente, il Tribunale ha rilevato come, nel caso di specie, trattandosi di un concordato in continuità con cessione di un immobile non strategico, i creditori privilegiati, e tre delle cinque classi di creditori chirografari, sarebbero stati soddisfatti entro tempi più brevi di quelli di durata complessiva del piano, e cioè, entro, al massimo, due anni.
Il Tribunale ha valorizzato, nella propria argomentazione, una caratteristica del piano ovvero la previsione, per entrambe le classi soggette a dilazione, di pagamenti semestrali a partire da diciotto mesi successivi all'omologa.
Tale circostanza sarebbe, quindi, idonea a giustificare il pagamento delle altre due classi in tempi più lunghi, ovvero cinque anni, nel caso dei creditori per il cui soddisfacimento è prevista la vendita di un immobile non strategico e otto anni nel caso dei creditori (rientranti nella categoria delle banche) non assistiti da privilegio.
In particolare, l'argomentazione del Collegio pratese appare sensibile alle esigenze dell'attuale sistema economico, che, come ben noto, è attanagliato da una crisi senza precedenti.
Va osservato che il ritenere non omologabile un concordato per il sol fatto che venga previsto un termine di cinque anni per la liquidazione di un immobile non strategico finalizzata al soddisfacimento dei creditori denoterebbe una sorta d'indifferenza dell'Organo Giudicante alle sfavorevoli congiunture economiche del mercato immobiliare, che certo rende non prevedibile la tempistica di vendita di beni immobili.
Con riferimento a ciò, occorre poi svolgere un'altra considerazione. Anche i sostenitori della rigida applicazione della Legge Pinto hanno riconosciuto “ragionevole” il termine di cinque anni per l'adempimento di un piano.
Pertanto, nel caso di specie, pur volendo aderire a tale tesi, il problema concernente i tempi di adempimento non si porrebbe per tale classe.
Maggiori aspetti critici presenta , invece, la seconda classe di creditori soggetti a dilazione.
Invero, il Tribunale di Prato si è mostrato sensibile a tale rilievo, in quanto ha evidenziato che il problema della lunghezza sarebbe “essenzialmente rilevante” solo per tale classe.
Tuttavia, il Collegio ha concluso che la presenza di idonee garanzie e di strumenti di reazione, quali la possibilità di chiedere la risoluzione del concordato in caso di inadempimento, siano sufficienti a salvaguardare i creditori “dal rischio insito nella prognosi di fattibilità di un piano di così lunga durata”.
Pertanto, il Collegio pratese, valorizzando anche quanto osservato dai Commissari Giudiziali sulla fattibilità economica del piano, ha sottolineato come il controllo del Tribunale vada effettuato in termini “di ragionevolezza del rischio assunto e probabilità di successo e non di certezza del risultato”.
Invero, l'ausilio dei Commissari Giudiziali è di fondamentale importanza per l'Organo Giudicante, in quanto a questi è demandato, non solo il compito di fornire ai creditori tutte le informazioni utili per esprimere un voto consapevole e informato, ma anche quello di elaborare un giudizio tecnico idoneo a fornire al Tribunale adeguate informazioni e previsioni per valutare la ragionevolezza del piano.
Appare, quindi, evidente che le ragioni dei creditori, appartenenti alle classi che risentono maggiormente della dilazione dei tempi di adempimento del piano, vengano salvaguardate in quanto questi non si vedono “espropriati del proprio diritto di chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento per tutta la durata del piano e fino alla sua conclusione potendo essi reagire con riferimento alle scadenze prospettate qualora l'inadempimento non sia di scarsa importanza”.
Il Collegio pratese ha, poi, evidenziato come il piano, conformemente alle prescrizioni di legge, avesse correttamente scandito i termini di pagamento dei creditori stabilendo, precisamente, sia l'importo delle rate sia la loro scadenza.
Invero, il Tribunale, rilevando che si trattava di un concordato in continuità aziendale dove i valori, via via realizzati, sarebbero dovuti essere reimpiegati nel ciclo produttivo e non destinati ai creditori, ha rilevato come la percentuale offerta ai creditori e i tempi di soddisfazione di questi non avrebbero potuto avere “la stessa valenza meramente indicativa ad essi attribuita nel caso in cui tutto il patrimonio del debitore venga posto nella disponibilità dei creditori”.
In ragione di ciò, ritenendo, quindi, “bilanciati” i diversi interessi in gioco, il Collegio ha omologato il piano prevedendo, al contempo, una serie di obblighi informativi per la società, obblighi volti a consentire la tutela dei creditori e l'utilizzazione da parte di questi degli strumenti previsti dalla Legge.

Osservazioni

La pronuncia in esame pone l'accento su una questione abbastanza dibattuta: quella della ragionevole durata dei tempi di adempimento del piano e della sua valutazione nell'ambito del sindacato che il Giudice è tenuto a svolgere sulla fattibilità della causa in concreto del concordato.
L'individuazione di termini di durata ragionevole delle procedure concordatarie si rende necessaria al fine di procedere al contemperamento di due contrapposte esigenze: quella, costituzionalmente sancita, della ragionevole durata del processo e quella della risoluzione negoziale della crisi d'impresa.
Invero, tutte le pronunce in materia sono connotate dall'oggettiva difficoltà di quantificare, in concreto, la “ragionevole durata” di una procedura di concordato preventivo.
Se da un lato, infatti, non si può negare che il Legislatore abbia fornito qualche indicazione al riguardo con la Legge Pinto e le sue successive modifiche, dall'altro appare una forzatura ritenere tale dato normativo indistintamente applicabile a tutte le procedure concorsuali, quindi, anche a quelle di concordato preventivo, senza prestare alcuna attenzione alle peculiarità del caso concreto.
Per fronteggiare tali esigenze, alcune pronunce hanno attribuito rilevante valore al dispositivo normativo di tale legge, negando l'ammissibilità e l'omologazione del concordato laddove erano stati previsti tempi di adempimento del piano troppo lunghi.
Un simile approdo interpretativo consente, certamente, di uniformare la prassi giurisprudenziale sia al dettato costituzionale (art. 111 Cost.), che alla giurisprudenza della Corte Edu (in particolare, quest'ultima ha affermato, in virtù dell'art. 6 della CEDU, la necessità di circoscrivere i tempi dei processi al fine di garantire una maggiore celerità ed efficienza dell'apparato giudicante nella risoluzione delle controversie). Tuttavia esso tralascia di considerare che, il più delle volte, l'esigenza di celerità del processo sia difficilmente conciliabile, come rilevato in premessa, con la risoluzione negoziale della crisi d'impresa.
Si rende, pertanto, necessario operare una sorta di “bilanciamento” di interessi tale da evitare che la maggiore celerità richiesta a livello internazionale, e conseguentemente anche a livello costituzionale, possa comportare un disincentivo al ricorso alle procedure concorsuali.
Invero, la conseguenza di un approccio incentrato unicamente sul rigoroso rispetto di termini di durata prestabiliti per legge potrebbe essere quello di negare l'omologazione di concordati in continuità finalizzati alla ristrutturazione dell'azienda ed alla sua salvaguardia con un ingente sacrificio in termini di posti di lavoro e di interessi economici generali.
Considerate anche le condizioni critiche del settore economico, un simile approccio favorirebbe molto di più il ricorso al fallimento piuttosto che alle procedure negoziate della crisi d'impresa.
Pertanto, se è vero che una procedura concorsuale debba perseguire, in primo luogo, l'obiettivo del più rapido soddisfacimento dei creditori, appare, tuttavia, importante anche la valorizzazione di elementi emergenti dal caso concreto idonei a giustificare un soddisfacimento meno repentino dei creditori stessi.
In tal modo si rifuggirebbe dal pericolo di dover dichiarare inammissibile o non omologabile il concordato per irrealizzabilità della sua causa concreta ogniqualvolta l'Organo Giudicante ravvisi, nello svolgimento del proprio sindacato sulla fattibilità giuridica, un'eccessiva dilatazione dei tempi di soddisfacimento dei creditori.

Questioni aperte

In considerazione di quanto appena illustrato, si può ipotizzare che il prossimo dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul giudizio di fattibilità giuridica s'incentrerà sulla quantificazione dei tempi entro i quali l'esecuzione del piano possa considerarsi ragionevole e ai limiti da porre al sindacato del Giudice su tali questioni.
Tale convinzione nasce dal fatto che, già a partire dalle prime pronunce in materia, si sono registrate diverse interpretazioni con riferimento alla definizione del c.d. tempo di ragionevole durata della procedura di concordato in generale e, in particolare, sull' esecuzione del piano.
Invero, come già illustrato, alcune pronunce hanno applicato rigidamente il termine di durata previsto per i fallimenti dalla Legge Pinto, altre, invece, hanno cercato di valutare la ragionevolezza del piano alla luce di una serie di rilievi concreti.

Conclusioni

L'argomentazione che il Collegio pratese articola proprio con riferimento alla ragionevolezza dei tempi di esecuzione del piano offre significativi spunti di riflessione.
Invero, la pronuncia in esame rende palese agli interpreti la necessità di procedere al bilanciamento dei diversi interessi in gioco.
Se, da un lato, appare comprensibile la volontà del legislatore di circoscrivere la durata dei procedimenti civili in generale, e delle procedure concorsuali in particolare, per uniformare la normativa interna al dettato costituzionale ed internazionale, dall'altro non ci si può esimere dal rilevare che stabilire un limite di durata assoluto non si attaglia alle risoluzioni negoziate della crisi che, data la loro complessità, non sempre si prestano ad una celere risoluzione.
Un approccio meno sensibile a tale esigenza, come, ad esempio, la previsione di un limite, come quello previsto dalla Legge Pinto, finirebbe per disincentivare il ricorso a tali procedure, con ciò svilendo l'intento del legislatore.
L'ulteriore conseguenza sarebbe, poi, quella di imporre all'Organo Giudicante una declaratoria d'inammissibilità o di non omologazione del concordato ogniqualvolta sia previsto un tempo di adempimento del piano superiore a quello stabilito dalla legge.
Un simile approccio non appare condivisibile in quanto solo il Tribunale, compiendo il proprio controllo sulla fattibilità giuridica del piano, è in grado di valutare, alla luce delle peculiarità del piano e del caso concreto, se un tempo di adempimento più dilatato sia ragionevole.
La norma che individua la durata massima dovrebbe, quindi, essere utilizzata solo come linea guida.
Sebbene, infatti, il Giudice non possa sindacare la fattibilità economica, può compiere un sindacato sui tempi di esecuzione del concordato, sindacato che è una garanzia per il ceto creditorio considerata la terzietà e l'imparzialità dell'Organo Giudicante.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Per la giurisprudenza cfr. Cass. SS.UU. 1521/2013; Trib. Modena 11 giugno 2014, n. 108; Trib. Padova, 6 marzo 2014; Trib. Prato, 17 febbraio 2014; Trib. Siracusa, 15 novembre 2013; App. Catania, 10 marzo 2014, n. 338; Trib. Modena 13 giugno 2013; Trib. Monza 11 giugno 2013; Trib. Monza 2 ottobre 2013; Trib. Bari 3 giugno 2013; Trib. Como, 28 giugno 2013.
Per dottrina cfr. F. LAMANNA, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in ilFallimentarista.it, 2012; F. LAMANNA, L'indeterminismo creativo delle sezioni unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: “così è se vi pare”, ivi, 201; F. LAMANNA, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, ivi, 2012; F. LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”; R. AMATORE, Mancata omologazione del concordato preventivo per non realizzabilità della “causa in concreto”, in ilFallimentarista.it, 2014; R. AMATORE, Il concordato c.d. misto ed i limiti di compatibilità con il concordato con continuità aziendale ed il concordato liquidatorio, ivi, 2014; M. DE LINZ, Il controllo del tribunale sulla fattibilità del piano di concordato preventivo con cessione dei beni e modalità di liquidazione, ivi, 2014; M. A. RUSSO, Concordato preventivo: inammissibilità per irragionevole durata della liquidazione, ivi, 2014; G. COVINO, L. JEANTET, Il concordato con continuità aziendale: compatibilità con l'affitto d'azienda e durata poliennale del piano, ivi,2013; M. VITIELLO, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto delle Sezioni Unite, ivi, 2013; M. VITIELLO, Le soluzioni concordate della crisi di impresa; F. DI MARZIO, Fattibilità giuridica vs fattibilità economica, in ilFallimentarista.it , 2014; F. DI MARZIO, Il principio di diritto sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato stabilito dalla Cassazione a Sezioni Unite, ivi, 2013; D. GALLETTI, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?, ivi, 2014; M. FERRO, sub art. 160 l. fall., in La legge fallimentare: commentario teorico-pratico, Padova, 2014; M. FERRO, sub art. 161 l. fall., in La legge fallimentare: commentario teorico-pratico, Cedam, 2014; M. FERRO, sub art. 180 l. fall., ivi, 2014 A. PALUCHOWSKI, sub art. 160 l. fall., in Codice del Fallimento, Milano, 2013; A. CECCHERINI, Riforma del fallimento e ragionevole durata della procedura concorsuale, in Fall., 2013, 6, 731 e ss.

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