Concordato revocato e degradazione al privilegio del credito dell’attestatore

Luigi Amerigo Bottai
17 Maggio 2012

Quale che sia la portata, meramente interpretativa dell'art. 111 l. fall. o innovativa dell'art. 182-quater l. fall., il riconoscimento della prededucibilità del credito spettante all'attestatore, una volta intervenuto il fallimento, non può in alcun caso prescindere da una valutazione rigorosa circa l'idoneità dell'attività svolta dal professionista rispetto alla funzione attribuitale dal legislatore e, dunque, dell'utilità che detta attività ha avuto per i creditori concorsuali, oltre che per il debitore.
Massima

Quale che sia la portata, meramente interpretativa dell'art. 111 l. fall. o innovativa dell'art. 182-quater l. fall., il riconoscimento della prededucibilità del credito spettante all'attestatore, una volta intervenuto il fallimento, non può in alcun caso prescindere da una valutazione rigorosa circa l'idoneità dell'attività svolta dal professionista rispetto alla funzione attribuitale dal legislatore e, dunque, dell'utilità che detta attività ha avuto per i creditori concorsuali, oltre che per il debitore.

La lacunosità, l'incongruenza e comunque l'inadeguatezza della relazione attestativa di cui all'art. 161, comma 3, l. fall. rispetto allo scopo previsto dalla norma - ascrivibili a negligenza, imprudenza o imperizia dell'autore - determinano, in sede di formazione dello stato passivo, la conseguenza ineludibile della qualificazione meramente privilegiata ex art. 2751-bis n. 2 c.c., anziché prededuttiva, del credito vantato dal ridetto professionista. Tale credito, poi, per le ragioni appena indicate (inidoneità allo scopo), può essere decurtato nel quantum dal giudice delegato in considerazione del livello di completezza, riscontro e approfondimento degli accertamenti eseguiti dall'attestatore.

Il caso

Un dottore commercialista che aveva attestato la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità di un piano di concordato preventivo di una società, dapprima ammessa alla procedura e, in seguito a revoca della medesima a termini dell'art. 173 l. fall., dichiarata fallita, chiedeva l'ammissione al passivo del proprio credito - risultante da contratto opponibile alla curatela - nella misura pattuita e con il riconoscimento della prededuzione o, in subordine, del privilegio generale. Il G.D., sulla contestazione di inadempimento da parte del curatore, rigettava la domanda per la “verificata inattendibilità dei dati contabili e l'insussistenza della fattibilità del piano”, giusta quanto evidenziato dal commissario giudiziale e confermato dal Tribunale nel decreto di revoca del concordato.
All'esito dell'opposizione allo stato passivo del commercialista, il Collegio giudicante perviene ad una parziale riforma del provvedimento, ammettendo il credito de quo in privilegio ex art. 2751-bis n. 2, in misura ridotta del 40% (in realtà del 35%).

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale affronta due temi “sensibili” della disciplina del concordato preventivo non giunto a buon fine: il rango del credito del professionista attestatore (prededucibile o privilegiato) e la valutazione del suo operato in caso di fallimento. Per quanto concerne questo secondo aspetto, la configurabilità della responsabilità verso debitore, creditori e terzi si presenta in termini di diritto comune, sia pur vertendosi in materia altamente specialistica - la figura del revisore legale e contabile, quale dev'essere l'attestatore [v. l'art. 161, comma 3, l. fall. che richiama l'art. 67, comma 3, lett. d)], è al centro di studi innovativi già da prima dell'emanazione della disciplina dell'attività di revisione introdotta con il D.Lgs. n. 39/2010 -, ma non per ciò risulta meno problematico il suo corretto inquadramento sistematico. Quanto all'ammissione in prededuzione, ovvero soltanto in privilegio, del credito del ridetto professionista, si verte invece in ambito prettamente concorsuale, ancorché con riflessi civilistici di non poco momento (l'inesatto adempimento può comportare una degradazione del credito, oltre che una sua riduzione?). Le statuizioni centrali del decreto collegiale sembrano individuabili nelle due massime riportate in apertura: il riconoscimento della prededucibilità del credito spettante all'attestatore, nel consecutivo fallimento, consegue ad uno scrutinio sulla conformità dell'attività svolta dal professionista alla funzione indicata dal legislatore e, dunque, sulla concreta utilità che detta attività abbia avuto per i creditori concorsuali, oltre che per il debitore; e l'esito negativo della procedura di concordato, aperta e dopo tre mesi revocata a termini dell'art. 173 in dipendenza di passività non adeguatamente valutate (ma rilevate solo dal commissario), determinando la non fattibilità della proposta non consente di qualificare come prededucibile, ai sensi dell'art. 111 l. fall., il credito affermato dall'attestatore, in quanto la sua relazione si è rivelata inidonea allo scopo fissato dalla legge. Il Tribunale di Milano ha ritenuto così palese che l'operato del revisore/attestatore “non sia stato di alcuna reale utilità per la massa” - come una più approfondita e indipendente verifica dei dati avrebbe poi dimostrato - da retrocedere prima di grado (al mero privilegio) e decurtare poi nella misura (al 60%, in via equitativa) il credito da quegli azionato.

Osservazioni

Al fine di inquadrare compiutamente il trattamento del credito dell'attestatore non diligente o poco prudente nelle valutazioni, ci si deve addentrare su un terreno ermeneutico non sempre agevole (malgrado le apparenze). Esula dal presente commento la diversa considerazione riservata in dottrina e giurisprudenza alle prestazioni degli altri professionisti (avvocati, commercialisti, periti stimatori) che abbiano assistito l'imprenditore nella predisposizione della proposta di concordato sfociata in fallimento: restano al riguardo inconciliabili le interpretazioni della regola introdotta dal nuovo art. 182-quater, comma 4, l. fall., tra chi ritiene tale innovazione una norma speciale, parzialmente abrogante (o fortemente limitativa del) la disposizione generale di cui al 2° comma dell'art. 111 l. fall. e chi opina, al contrario, la coesistenza “integrativa” delle due norme in quanto aventi differenti ambiti regolatori (cfr. da ultimo, per i due opposti orientamenti, M. Vitiello, Attestazione di veridicità e fattibilità nelle soluzioni concordate della crisi d'impresa: profili problematici, in questo portale, sez. Approfondimenti, e G. Bozza, in AA.VV. Le soluzioni concordate delle crisi d'impresa, Quaderni di Giur. Comm., Milano, 2012, 44 ss.; contra, A. Patti, Esclusione della prededucibilità dei crediti di professionisti diversi dall'attestatore del piano ex art. 161, comma 3 l.fall., in Fall. 2011, 1337 e S. Ambrosini, Profili civili e penali delle soluzioni negoziate nella L. n. 122/2010, in Fall., 2011, 646; v. anche M. Ferro, F.S. Filocamo, sub art. 182-quater, in La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, a cura di M. Ferro, Padova, 2011, 2196). La fattispecie in esame, tuttavia, riguarda solamente la non corretta prestazione dell'esperto attestatore, scoperta dopo l'apertura della procedura concordataria: in tal caso che sorte può avere il credito di detto professionista? Il Collegio milanese ha optato per la contestuale degradazione in privilegio e riduzione della pretesa in termini quantitativi, unificando così due profili che, secondo una lettura minoritaria, avrebbero potuto rimanere distinti.
La curatela in sede di verifica aveva sollevato l'eccezione di inesatto adempimento, contestando all'attestatore di non aver usato la diligenza, perizia e prudenza proprie della materia e della funzione esercitata; ciò in quanto, nel breve periodo di svolgimento dell'incarico (venti giorni), questi si sarebbe limitato ad analizzare e valutare la documentazione trasmessagli dalla società anziché verificare personalmente la veridicità dei dati sottostanti le registrazioni contabili. Le lacune rivelate dalla relazione ex art. 161 l. fall. sarebbero consistite essenzialmente nel disconoscimento del privilegio ad alcuni crediti, nel mancato inserimento di altri creditori e soprattutto nell'omessa indicazione che la società proponente il concordato non aveva titolo per utilizzare le attrezzature componenti l'azienda (già cedute l'anno precedente), il cui canone d'affitto rappresentava la principale risorsa per il soddisfacimento dei creditori concorsuali. Va precisato, nota in proposito il Tribunale, che il piano concordatario “andò in crisi a causa del recesso della società affittuaria dell'azienda - fatto certamente non addebitabile all'attestatore né da lui prevedibile -”, evidenziando come il professionista non avesse comunque rilevato, in capo alla proponente, la mancanza di proprietà dei beni strumentali, la quale rendeva l'azienda ormai inesistente.
Ora, che le negligenze appena descritte sostanzino un inadempimento, o un inesatto adempimento, nella condotta dell'attestatore appare indubbio e da esse sorge l'eccezione ai sensi dell'art. 1460 c.c. sollevata dal curatore nel progetto di formazione dello stato passivo e reiterata nel giudizio di opposizione ex art. 98 l.fall. Trattasi di un'ipotesi di responsabilità contrattuale su cui si tornerà brevemente al termine del commento, per illustrarne natura e riflessi effettuali nei confronti dei creditori, dei terzi e del debitore conferente l'incarico. Qui basti rammentare come, in base ai principi sulla ripartizione dell'onere della prova ricavabili dall'art. 2697 c.c., per l'azione di adempimento - come per quella di risoluzione e per quella risarcitoria previste dallo stesso art. 1453, che hanno in comune l'elemento costitutivo del mancato adempimento - il creditore è tenuto a provare soltanto l'esistenza del titolo, ma non l'inadempienza dell'obbligato, dovendo essere quest'ultimo a provare di avere adempiuto, salvo che non opponga l'eccezione inadimplenti non est adimplendum, nel qual caso sarà l'altra parte a doverla neutralizzare provando il proprio adempimento o che la sua obbligazione non era ancora dovuta (giurisprudenza costante sin da Cass. 27 marzo 1998, n. 3232 e Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533). Nella specie, in virtù di tale meccanismo, i giudici dell'opposizione hanno rettificato lo stato passivo, ammettendo il professionista per un importo inferiore al richiesto all'esito di un'adeguata ponderazione della sua complessiva prestazione.
Ma, oltre alla decurtazione del quantum, il Collegio ha ritenuto di modificare anche il rango spettante al credito in discorso, disconoscendo nella specie l'applicabilità dell'art. 111 cpv. l. fall. (sulla prededuzione dei crediti sorti in funzione dell'accesso al c.p.) a causa “dell'evidente inidoneità rispetto allo scopo della relazione redatta dall'opponente”. Non occorre indugiare sull'eccezionalità del concetto di prededuzione, relativo ai crediti derivanti da obbligazioni che possono gravare sul patrimonio del debitore soltanto se assunte attraverso gli organi della procedura o previo loro vaglio e, come tali, da pagare con priorità, fuori dal concorso con gli altri creditori; dato che le risorse necessarie al loro soddisfacimento sono prelevate dal medesimo patrimonio destinato a tutti i creditori (deducto aere alieno, ricordava il Satta), i quali restano postergati e con un attivo assottigliato, è indispensabile il controllo del giudice al momento dell'insorgenza. E, dunque, l'anomalia di aver consentito la contrazione di debiti “funzionali” all'accesso ad una procedura concorsuale, ossia prima e fuori della sfera di sorveglianza giudiziale, deve rientrare appena possibile nella disciplina del sistema onde prevenire la proliferazione di spese “preferenziali”.
La recente entrata in vigore dell'art. 182-quater, inserito dall'art. 48 D.L. 31.5.2010, n. 78, conv. in L. n. 122/2010, ha realizzato la descritta esigenza; oggi gli operatori hanno a disposizione un efficace strumento interpretativo per qualificare l'attività e il compenso dell'attestatore (v. il 4° comma): l'espressa disposizione della prededucibilità di detto credito nel decreto di apertura della procedura. Siffatta statuizione, secondo l'opinione che chi scrive reputa preferibile, vale a garantire fin da tale momento il previsto trattamento prioritario già nell'ambito del concordato (basta leggere la rubrica dell'articolo e l'omesso riferimento, nel 4° comma, all'art. 111 l. fall.), in deroga alle regole generali (artt. 168 e 184), per alcune categorie di creditori anteriori - ossia concorsuali - decisivi nel superamento della crisi d'impresa tramite la soluzione concordataria (quali i finanziatori bancari e l'esperto attestatore).
In tale prospettiva, ed anche sotto la pregressa vigenza del solo art. 111 (come nel caso in commento), lo spettro d'indagine e di giudizio della verifica dello stato passivo deve contemplare unicamente il carattere funzionale del credito [mentre in sede di ammissione al concordato il tribunale deve ora giudicare anche della meritevolezza della concessione del credito funzionale menzionato nell'art. 182-quater (arduo sarà poi individuare casi nei quali tale requisito non sussista, ndr); in arg. F. Di Marzio, Prededucibilità dei “crediti funzionali” alle procedure concorsuali e agli accordi omologabili disciplinati nella legge fallimentare, in questo portale, sez. Giurispr. commentata, nota a Trib. Milano 26.5.2011, edita il 15.2.2012]. Scontata la “funzionalità” astratta del credito dell'attestatore (lo stesso tribunale milanese, in un decr. 20.8.2009, in Fall., 2009, 1413, ebbe ad affermare la prededucibilità nel fallimento del credito dell'attestatore alla sola condizione che la domanda di concordato fosse stata dichiarata ammissibile, seppur non approvata in seguito dai creditori), occorre valutare se in concreto l'operato di questo esperto abbia concorso a determinare l'apertura della procedura, in ciò consistendo l'utilità della relazione ex art. 161 o, meglio, la funzione evocata dal 2° comma dell'art. 111.
Ebbene, nella fattispecie de qua l'attestazione è risultata in un primo tempo idonea allo scopo suddetto e soltanto in seguito, per effetto “del recesso della società affittuaria dell'azienda - fatto certamente non addebitabile all'attestatore né da lui prevedibile” (scrive il Tribunale nel decreto ex art. 99), si è avuta la revoca della procedura, riconducibile però anche - in maniera determinante - alle errate considerazioni e omesse verifiche del professionista sull'attuale proprietà di taluni beni strumentali, i quali, essendo stati ceduti in precedenza, avevano tolto qualunque consistenza al complesso affittato; sicché al momento della retrocessione “divenne evidente che l'azienda non era in realtà neppure esistente”. La “causa efficiente” della sopravvenuta non fattibilità del piano di concordato (art. 173, 3° comma, ultimo inciso) è parsa quindi imputabile, almeno come concausa, al comportamento negligente dell'attestatore (arg. da Cass. 6.10.2011, n. 20496: in presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili, quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l'evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall'origine e per forza propria la serie causale, rivela l'inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee).
Giova aggiungere che, secondo la giurisprudenza di merito, il compenso per l'assistenza professionale, in ipotesi di revoca dell'ammissione al concordato ex art. 173, non trova collocazione nel passivo del successivo fallimento (…) se l'attività professionale sia stata prestata in condizioni che sin dall'inizio potevano apparire, a un professionista di normali capacità e diligenza, tali da non consentire alcun plausibile salvataggio dell'impresa (Trib. Vicenza, 11.10.2010, in Dejure), impedendo in tal guisa che vengano eseguiti pagamenti prededucibili di crediti sorti addirittura “per pregiudicare le ragioni dei creditori anteriori” (Trib. Bari,17 maggio 2010, in Giur. Merito, 2011, fasc. 5, 1304, con nota di L. D'Orazio).
In coerente attuazione dell'orientamento prevalente della Corte regolatrice (al cui massimo consesso è ora rimessa, giusta ord. n. 27063/2011, la questione di particolare importanza) circa l'insindacabilità giudiziale del requisito della fattibilità del concordato, sembra allora legittimo inferire che, nell'ipotesi in cui il difetto originario dei presupposti di ammissibilità ex artt. 160 e 161 l. fall. venga accertato solamente in pendenza di procedura - a seguito di segnalazione del commissario giudiziale -, con conseguente revoca dell'ammissione a motivo dell'incompletezza, erroneità o inadeguatezza della relazione attestativa, il credito per il compenso dell'autore di detta relazione non debba godere del beneficio della prededuzione, ma conservi unicamente il privilegio generale connaturato alla prestazione d'opera. E ciò proprio per l'inidoneità (rectius: difformità dal modello tipico) dell'atto in questione rispetto allo scopo previsto dalla legge e, in definitiva, per l'inutilità per la massa del ricorso allo strumento concordatario, rimarcata dal provvedimento in commento (e da G. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Fall., 2011, 191, il quale dall'ultima parte del 3° co. dell'art. 173 ricava il potere giudiziale di “mantenere un controllo continuo e costante sulla procedura, che investe la sua utilità e praticabilità”, anche nel corso del giudizio di omologa, dando così armonizzazione al sistema).
Del resto, che il giudice debba avere “esclusivo riguardo” alla funzione (o causa) concreta degli atti negoziali, costituita dalla sintesi degli interessi che l'atto stesso è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello astratto utilizzato, è ormai ius receptum (cfr., per tutte, Cass. S.U. 18 marzo 2010, n. 6538); e poiché agli atti negoziali potrebbe accostarsi anche la proposta di concordato - cui l'attestazione dell'esperto conferisce, integrandola, legittimità ex lege -, si comprende come lo scrutinio giudiziale ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall., di un preteso credito prededucibile (sorto “in funzione” di un concordato terminato in fallimento) avvenga sulla base di un'espressa previsione della proposta e di un'effettiva idoneità di esso a supportare la realizzazione del piano, in quanto solo così si giustifica il sacrificio dei creditori (purché, beninteso, il vantaggio superiori la passività che implica).

LA RESPONSABILITA' CIVILE DELL'ATTESTATORE - Per concludere, un accenno riassuntivo merita la tematica della responsabilità professionale dell'esperto attestatore - che il decreto in esame non ha dovuto affrontare direttamente -, attesa la sua configurabilità sia nei piani di risanamento, sia negli accordi di ristrutturazione, sia nei concordati preventivi, e la sua rilevanza (nonostante l'esiguità dei casi editi). Posto che il legislatore ha soppresso, in tutte i predetti istituti, il requisito della regolare tenuta della contabilità, risulta accresciuta la responsabilità del soggetto che accerta le condizioni patrimoniali, finanziarie ed economiche del debitore proponente lo strumento regolativo della crisi (v. Trib. Milano, decr. 18 marzo 2010). Siffatte verifiche, anche sull'attendibilità del piano proposto, sono demandate, appunto, all'attestatore [il quale, come noto, deve possedere i requisiti professionali di esperienza prescritti dall'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.]. Ovviamente costui, nello svolgimento dell'incarico ricevuto, deve attenersi ai principi, metodi, criteri e regole tecniche elaborati dalla scienza economico-aziendale e contabile, come pure dalla disciplina della revisione, redigendo una relazione che esprima descrizioni e valutazioni tanto approfondite quanto determinate, a beneficio dei creditori e dell'organo giudiziale (ove coinvolto). Egli contrae pertanto un'obbligazione c.d. di comportamento (o di mezzi, per quanto oggi la distinzione con quelle di risultato sia decisamente ridotta: cfr., ad es., Cass. S.U. 11 gennaio 2008, n. 577 e Cass. 3 settembre 2008, n. 22129), che richiede però l'impiego di una diligenza qualificata dall'alta professionalità e dalla natura dell'attività esercitata (art. 1176, comma 2, c.c.).
Nel ribadire quanto sopra osservato circa la ripartizione dell'onere probatorio - sulla scorta del principio di riferibilità o vicinanza della prova - l'asserito danneggiato deve dedurre un inadempimento (rispetto alle norme tecniche) astrattamente efficiente alla produzione del pregiudizio, tutto da dimostrare, laddove il professionista deve provare che l'inadempimento non v'è stato o che non è stato causa efficiente del danno. Peraltro l'accertamento del nesso eziologico e, poi, di un danno imputabile all'esperto appaiono particolarmente difficili, perché : i) nel concordato (tema che ci occupa), tra la relazione ex art. 161 e il pregiudizio in ipotesi lamentato, si frappongono i pareri del commissario (artt. 172 e 180), il giudizio di omologazione e il decreto del tribunale; e in ogni caso ii) il singolo creditore dovrà provare che avrebbe potuto beneficiare di un trattamento più favorevole dall'alternativa rappresentata dal fallimento (occorre rammentare che il curatore non è legittimato ad agire in nome della massa per la differente posizione dei creditori insinuati, tra loro e rispetto all'attestatore; mentre potrà agire in luogo del fallito, con l'azione di inadempimento, trovando fondamento il relativo diritto nel patrimonio assoggettato all'esecuzione collettiva). Non raramente potrà manifestarsi un concorso del fatto colposo del conferente l'incarico (art. 1227 c.c.), qualora non abbia fornito tutta la documentazione richiesta o questa sia artefatta, ovvero del creditore del proponente, se non abbia coltivato tutte le iniziative in suo potere per il recupero del credito.
La natura della responsabilità, tanto verso i creditori dell'impresa, quanto verso i terzi che già vi abbiano rapporti (e naturalmente nei confronti del debitore), è pur sempre di tipo “contrattuale” (in senso lato) secondo la più accreditata opinione (cfr. Cass. S.U. 26 giugno 2007, n. 14712; Cass. S.U. n. 577/08, cit.; C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 462; G. Presti, La responsabilità del revisore, in Banca, borsa, tit. cred., 2007, fasc. 2, 160 ss., § 2; S. Fortunato, La responsabilità civile del professionista nei piani di sistemazione delle crisi d'impresa, in Fall., 2009, 894): in forza della disciplina concorsuale (artt. 160 ss.) l'attestatore è onerato, invero, di un dovere di protezione specifico, preesistente e volontariamente assunto, verso creditori e terzi, dovendoli informare nel modo più completo e preciso al fine di permettere loro ogni opportuna valutazione di convenienza in fase di voto ed ogni possibile reazione nel prosieguo della procedura.
La responsabilità avrà invece carattere extracontrattuale allorché intacchi la sfera negoziale dei terzi che entrano in rapporto con il proponente soltanto nella fase esecutivo/attuativa del piano di risanamento o dell'accordo di ristrutturazione, confidando sulla correttezza della (preesistente) attestazione. Ma, anche qui, è stato giustamente rilevato che tali terzi saranno per lo più soggetti professionalmente attrezzati a verificare autonomamente le condizioni per la concessione di credito o delle forniture, senza dare eccessivo peso alle conclusioni di un professionista non di loro fiducia (così L. Panzani, L'insuccesso delle operazioni di risanamento delle imprese in crisi e le responsabilità che ne derivano, in AA.VV. Crisi di imprese: casi e materiali, a cura di F. Bonelli, Milano, 2011, 247).

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

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