La legittimazione processuale del Commissario Giudiziale

Alessandro Lendvai
12 Novembre 2014

Nel subprocedimento previsto dall'art. 173 l. fall., il commissario giudiziale, quale organo ausiliario del giudice privo di un interesse autonomo, non è contraddittore necessario in senso sostanziale e non è legittimato, pertanto, a ricorrere avverso la pronuncia della Corte d'appello che abbia revocato il decreto del Tribunale di revoca dell'ammissione al concordato preventivo.
Massima

Nel subprocedimento previsto dall'art. 173 l. fall., il commissario giudiziale, quale organo ausiliario del giudice privo di un interesse autonomo, non è contraddittore necessario in senso sostanziale e non è legittimato, pertanto, a ricorrere avverso la pronuncia della Corte d'appello che abbia revocato il decreto del Tribunale di revoca dell'ammissione al concordato preventivo.

Il caso

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte può essere riassunta nei seguenti termini. Una società veniva ammessa al concordato preventivo con cessione dei beni, ma, successivamente, il Tribunale revocava detta ammissione, ritenendo, sulla scorta della relazione dei commissari giudiziali, che gli amministratori della società avessero posto in essere atti di anomala disposizione traslativa di risorse e, quindi, “atti di natura sostanzialmente dissimulatoria e mistificatoria”, che, ai sensi dell'art. 173 l. fall., legittimano il giudice alla revoca ex officio del provvedimento di ammissione alla procedura, pur in assenza di istanze di fallimento da parte del ceto creditorio o del P.M.. La Corte d'appello, su ricorso del legale rappresentante della società, revocava il decreto del Tribunale di revoca dell'ammissione al concordato preventivo e rimetteva gli atti al Tribunale per la ripresa del corso della procedura. I commissari giudiziali proponevano ricorso per cassazione avverso tale provvedimento. Per quanto qui interessa, i ricorrenti denunciavano, tra gli altri motivi, il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 111 Cost. e degli artt. 101, 102 e 331 c.p.c. ed il difetto di contraddittorio, in quanto la Corte d'appello aveva disposto la trasmissione degli atti al P.G., ma non era stata effettuata alcuna notifica ai commissari.
La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione attiva dei commissari giudiziali.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Prendendo le mosse dall'art. 173 l. fall. nella formulazione conseguente alla riforma di cui al decreto correttivo del 2007, i giudici di legittimità evidenziano come non sia prevista alcuna comunicazione al commissario del subprocedimento aperto d'ufficio dal Tribunale. Pur non precludendo la sua partecipazione allo stesso, tale mancanza è in linea con la natura - attribuita al commissario - di organo e non di parte della procedura. A conferma, la sentenza richiama i propri precedenti in tema di giudizio d'omologazione: “nel giudizio di omologazione del concordato, la l. fall., art. 180, al comma 2, dispone che il Commissario deve costituirsi in detto giudizio, così qualificandosi lo stesso come parte necessaria, anche nei gradi di impugnazione, ma in senso formale (e così, nella normativa anteriore alla riforma fallimentare, si sono espresse le pronunce 11604/98 e 3676/87), e non sostanziale, conservando il Commissario giudiziale la specifica posizione di ausiliare del giudice, non quindi portatore di specifici interessi da far valere in sede giurisdizionale, in nome proprio o come sostituto processuale.
È stata pertanto negata al Commissario la legittimazione ad impugnare la sentenza d'appello resa nel giudizio di omologazione (sul principio, tra le ultime, vedi le pronunce 10632/07, 7152/92 ed anche la pronuncia 178/87)”.
La sentenza in commento offre lo spunto per una ricognizione sulla legittimazione attiva e passiva del commissario giudiziale nelle varie fasi in cui può articolarsi la procedura di concordato preventivo.

Il quadro normativo e giurisprudenziale

I riferimenti della normativa fallimentare ai poteri ed alle facoltà del commissario giudiziale sono per lo più frammentari e non consentono di tracciare una disciplina unitaria, animando pertanto il dibattito dottrinario e giurisprudenziale.
Dal punto di vista della natura giuridica, viene comunemente riconosciuta al commissario la qualifica di organo ausiliario del Tribunale, deputato, secondo la dottrina (NIGRO-VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese – Le procedure concorsuali, Bologna, 2012, 363 e ss.), a funzioni composite, principalmente identificate con quella di vigilanza sull'amministrazione del patrimonio e sulla gestione dell'impresa (art. 167 l. fall.) e con quella di accertamento, valutazione ed informazione sulla regolarità del comportamento del debitore.
Il commissario giudiziale, che è pubblico ufficiale per quanto attiene all'esercizio delle sue funzioni (art. 165 l. fall.), non rappresenta né il debitore, né i creditori.
Emerge, così, la principale differenza tra la figura del commissario giudiziale rispetto a quella del curatore fallimentare, al quale invece sono affidati compiti prevalentemente gestori. Sul piano processuale ciò comporta che il curatore riveste la posizione di terzo quando agisce per ricostituire il patrimonio del fallito o per procedere all'accertamento del passivo (Cass. 30 gennaio 2009, n. 2439; Cass. 23 giugno 2008, n. 17033), mentre assume la veste di sostituto del fallito, subentrando nella medesima posizione giuridica di questo, quando esercita nei confronti di terzi azioni già facenti parte del patrimonio del fallito (Cass. 8 febbraio 2008, n. 3020).
Come anticipato, la funzione tipica del commissario è quella di vigilanza sull'operato del debitore. Ne discende che “il commissario giudiziale non rappresenta i creditori, non può sostituirsi al debitore nella gestione e non può assumerne la rappresentanza processuale” (D'AIELLO, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di NIGRO, SANDULLI e SANTORO, Torino, 2014, 144).
La normativa fallimentare prevede, poi, dei casi in cui l'attività del commissario assume una rilevanza processuale.
Al riguardo, viene in rilievo, in primo luogo, il subprocedimento di cui all'art. 173 l. fall., oggetto della decisione in commento.
In tale ipotesi il commissario, accertati gli atti di frode del debitore in danno dei creditori, ha l'obbligo di riferirne al Tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca del decreto di ammissione ex art. 163, comma 1, l. fall., dandone comunicazione “al pubblico ministero ed ai creditori” (art. 173, comma 1, l. fall.). La dottrina, argomentando dall'esclusione del commissario dal novero dei soggetti per i quali è prevista la comunicazione di apertura del procedimento, ritiene che non sia prevista neanche la sua partecipazione, fatta sempre salva la convocazione dell'ausiliario da parte del Tribunale per sentirlo, in ragione della generale funzione di sorveglianza attribuitagli dalla legge (MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1157).
Si è escluso, di riflesso, che dalla costituzione in giudizio del commissario giudiziale, comunque pur sempre astrattamente non preclusa, possa discendere, per il medesimo, la conseguente legittimazione ad impugnare il decreto reso dal Tribunale a definizione del procedimento. Secondo la giurisprudenza, infatti, non vi è corrispondenza biunivoca tra la qualità di parte formale, per effetto di un'iniziativa processuale propria o altrui, e legittimazione ad impugnare (Cassazione 30 luglio 2012, n. 13565).
Non è quindi risolutiva la partecipazione al giudizio del commissario, che, quale ausiliario del giudice, organo imparziale, è comunque parte in senso formale e non portatore di un interesse autonomo.
Venendo al giudizio di omologazione, l'art. 180 l. fall. prevede espressamente l'eventuale costituzione del commissario – assieme al debitore, ai creditori dissenzienti e a qualunque interessato – nel termine di dieci giorni prima dell'udienza di comparizione, stesso termine in cui il commissario deve obbligatoriamente depositare motivato parere in ordine a tutti gli aspetti rilevanti per l'omologazione del concordato preventivo. Autorevole dottrina ritiene che anche nel caso, disciplinato dall'art. 179 l. fall., in cui non venga raggiunta la maggioranza necessaria per l'approvazione del concordato, e il Tribunale provveda “a norma dell'art. 162, secondo comma”, ossia convochi il debitore in camera di consiglio, il commissario debba necessariamente essere messo in condizione di partecipare, sulla falsariga del citato art. 180 (NORELLI, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da GHIA, PICCININNI e SEVERINI, Torino, 2011, IV, 500).
In dottrina è stato osservato che il commissario, nella veste di parte necessaria del giudizio, è legittimato all'opposizione (cfr. AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato Cottino, Padova, 2008, XI, 129). Secondo altra parte della dottrina (NIGRO-VATTERMOLI, Diritto della crisi, op. cit., 380), il potere di “contestazione” del commissario si esaurirebbe con la redazione della relazione exart. 172, comma 1, l. fall. e con il deposito del parere di cui sopra, con conseguente esclusione dello stesso dalla cerchia dei soggetti legittimati all'opposizione. Resterebbe da chiarire, in tale ultima impostazione, l'obiettivo che la costituzione del commissario, inequivocabilmente prevista dalla legge, è volto a realizzare.
Sul punto, la giurisprudenza risalente (vedi su tutte Cassazione 13 aprile 1987, n. 3676; Cass. 10 giugno 1992, n. 7152), nel vigore della previgente disciplina, era propensa a riconoscere al commissario la qualità di parte, ritenuta non confliggente con la pacifica qualità di ausiliario del giudice e garante degli interessi generali coinvolti nella procedura. Restava fermo, in ogni caso, che la partecipazione al giudizio di omologazione del commissario giudiziale avveniva in qualità di parte formale e non sostanziale, rimanendo entro detta accezione di significato il litisconsorzio processuale nei successivi gradi di giudizio. Pertanto, il commissario conservava, secondo l'ultimo arresto citato, una “posizione caratterizzata dall'imparzialità e dall'equidistanza rispetto ai contrapposti interessi dei debitori e dei creditori opponenti, e non assurge al rango di organo portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale; quindi è parte solo in senso formale e non anche sostanziale, di modo che non è abilitato all'esercizio di azioni in senso processuale”. E tali qualità manteneva nei successivi gradi di giudizio (l'art. 183, comma 2, nel testo previgente, annoverava il commissario giudiziale tra i destinatari della notifica dell'atto di appello avverso la sentenza di omologazione).
In base a queste premesse, si riteneva che il commissario non fosse legittimato ad impugnare il decreto di omologa, dovendosi uniformare alla decisione del Tribunale (Cass. 18 novembre 1998, n. 11604).
Dopo la riforma della normativa fallimentare avvenuta nel biennio 2006-2007, dette argomentazioni mantengono attualità, seppur con qualche precisazione.
Come detto, per effetto della vocatio ex art. 180, comma 2, l.fall., il commissario diviene parte formale del giudizio e, nell'interesse dei creditori, può manifestare il proprio dissenso rispetto all'omologazione della proposta di concordato. In dottrina è stato proposto che il commissario possa proporre reclamo a norma dell'art 183 l. fall. qualora, a seguito dell'opposizione, sia risultato soccombente, non essendovi più ragione per attribuire rilievo all'incompatibilità della legittimazione all'impugnazione con la funzione di ausiliario del giudice, come tale tenuto a conformarsi alla decisione del Tribunale (in tal senso MAFFEI ALBERTI, Commentario, op. cit., 1106 e 1298). Questa nuova interpretazione è in contrasto con l'orientamento sopra citato, che qualifica il commissario come parte solo formale, tanto che ancora recentemente è stato sostenuto che, ai sensi dell'art. 183, l. fall., solo i creditori opponenti e il debitore sono legittimati a contestare gli esiti del procedimento di omologa, mentre “il commissario giudiziale infatti rimane estraneo al giudizio di omologazione del concordato e, come tale, non può assumere la qualità di parte processuale idonea a fondare un interesse ad agire ex art. 100 c.p.c.” (VILLANACCI, Il concordato preventivo, Padova, 2010, 295).
Ai fini di una ricostruzione sistematica, sono degne di nota anche le ipotesi previste dagli artt. 186 e 240 l. fall..
Nella prima fattispecie il legislatore prevede espressamente la legittimazione attiva del commissario giudiziale ai fini dell'annullamento del concordato preventivo omologato, in virtù dell'espressa assimilazione alla posizione del curatore nell'analoga fattispecie in ambito di concordato fallimentare (artt. 137-138 l. fall.), cui l'art. 186, ultimo comma, l. fall. fa rinvio in quanto applicabile.
In tale contesto, il commissario mantiene la propria funzione di vigilanza sul corretto adempimento delle obbligazioni concordatarie. L'istanza di annullamento può essere presentata nei casi tassativamente previsti, ossia nell'ipotesi di dolosa esagerazione del passivo ovvero di sottrazione/dissimulazione di una parte rilevante dell'attivo. Condotte, quindi, complessivamente volte ad alterare la convenienza economica, viziando l'adesione dei creditori tanto da far caducare gli effetti dell'omologazione.
Si può convenire con la sentenza in commento che la disciplina in questione appare peculiare del caso specifico ed insuscettibile di applicazione analogica. Qui evidentemente il legislatore non ha ritenuto sufficiente una mera segnalazione - quale quella prevista dall'art. 173 l. fall. - al tribunale che, nel pieno dello svolgimento della procedura, ha tutti gli strumenti per attivarsi di conseguenza ex officio; vuole invece un formale atto di impulso processuale per sottoporre la questione alla cognizione di un giudice che, essendo la procedura ormai chiusa ai sensi dell'art. 181 l. fall., potrebbe essere ormai sostanzialmente meno informato.
Infine, l'art. 240 l. fall., prevede che il commissario giudiziale può esercitare l'azione civile nel processo penale per i reati previsti nel titolo VII della legge fallimentare.
In base a detta norma il curatore, il commissario giudiziale e il commissario liquidatore si costituiscono parte civile per i reati commessi dal fallito e per i reati di cui agli artt. 236, 236-bis e 237 l. fall., mentre i creditori possono costituirsi parte civile solo nei reati di bancarotta fraudolenta e solo in caso di inerzia dei suddetti organi ovvero per far valere un'azione personale. È di tutta evidenza, pertanto, che la costituzione dei creditori è di carattere meramente residuale e chiude il sistema delle tutele. Per come predisposta, la norma sembra eleggere il commissario a vero e proprio sostituto processuale dei creditori.
La giurisprudenza ha affermato che la norma, “nonostante non sia allineata con il sistema fallimentare-civilistico, è stata scientemente introdotta per non lasciare alcuna area scoperta di tutela, tanto più in un settore come quello del concordato preventivo in cui il carattere privatistico dell'istituto rischia di danneggiare i creditori meno avvertiti, ed è rimasta inalterata nel tempo; anzi, espressamente mantenuta in vigore dall'art. 212 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale del 1988 e rinvigorita nel 2012 dalla previsione dei nuovi reati di cui all'art. 236-bis. Pertanto, se esiste il potere/dovere del commissario giudiziale di costituirsi, in luogo dei creditori, parte civile nel processo penale relativo ai reati da concordato preventivo (che sono in realtà quasi tutti i reati fallimentari in forza dell'ampia previsione dell'art. 236, comma 2, l. fall.), è evidente che, sempre in luogo ed in rappresentanza degli interessi dei creditori, potrà far valere quello stesso danno patrimoniale in sede civile. Si tratta del danno cagionato dai comportamenti, anche omissivi, di amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori astrattamente sussumibili sotto la previsione dell'art. 236 l. fall.” (Trib. Napoli, Sezione III, 25 luglio 2013).
In tal modo si ammette la legittimazione del commissario ad esperire autonoma azione aquiliana in rappresentanza degli interessi di tutti i creditori, nonostante detta azione non sia annoverata dalla giurisprudenza della Cassazione tra le azioni di massa, bensì tra le azioni spettanti ai singoli creditori (si veda Cass. 3 giugno 2010, n. 13465).
Al di fuori delle fattispecie indicate, la Cassazione ha di recente affrontato il tema della legittimazione del commissario in termini che merita segnalare, perché non privi di originalità.
In particolare ha affermato la legitimatio ad causam del Commissario nell'ambito di “iniziative processuali comunque suscettibili di forzare o snaturare il contenuto della proposta e del piano così come interpretato in sede omologativa” (Cass. 30 luglio 2012, n. 13565). Pertanto, quando si verte su questioni su cui il commissario si è istituzionalmente espresso - perché già oggetto di vaglio critico nella relazione (art. 172, comma 1, l. fall.) e nel parere (art. 180, comma 2, l.fall.) – ovvero emerse in seguito all'omologazione (vedi l'ipotesi di annullamento ex artt. 186, ultimo comma, e 138 l. fall.), ma pur sempre attinenti all'esatta interpretazione della proposta di concordato, il commissario va ritenuto “legittimo e necessario contraddittore, dotato di un bagaglio cognitivo che ne fa il rappresentante naturale degli interessi della procedura” (Cass. cit.).

Conclusioni

Con la sentenza n. 4183/14 la Cassazione ha dato continuità al proprio insegnamento (salvo per quanto si dirà infra), richiamando i citati precedenti in tema di giudizio di omologazione al fine di giustificare il difetto di legittimazione del commissario ad impugnare il provvedimento ex art. 173 l. fall., ritenendo eccezionali le fattispecie in cui al commissario giudiziale è riconosciuta una legittimazione processuale attiva o passiva.
Al fine di valutare se la decisione abbia confermato in maniera convincente la giurisprudenza formatasi sul testo originario della legge fallimentare, ponendosi quale autorevole precedente che non rischi di essere contraddetto a breve da altre decisioni, merita di essere approfondito un aspetto della riforma, peraltro significativo, sul quale la Corte non si è soffermata, ossia la valenza giuridica e gli effetti della costituzione del commissario giudiziale nel giudizio di omologazione.
La dottrina ha evidenziato come il ruolo del commissario in tale giudizio sia sostanzialmente modesto, specificando, peraltro, che a tali conclusioni si giunge “nell'ambito di un dato normativo di riferimento che non spicca per particolare intelligibilità” (PATERNÒ RADDUSA, Il commissario giudiziale, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da GHIA, PICCININNI e SEVERINI, Torino, 2011, IV, 440) e si è interrogata sul motivo per cui la norma preveda una costituzione formale del commissario, visto che è già presente nel giudizio, dovendo depositare il proprio motivato parere (PATERNÒ RADDUSA, op. cit., 441).
In una recente decisione, non citata nella sentenza in commento, la Cassazione ha precisato che il Commissario, “organo necessario della procedura di concordato nel suo intero svolgimento, e contraddittore necessario nel giudizio di omologazione secondo quanto emerge dal disposto dell'art. 180 comma 1, che impone la notifica nei suoi confronti del decreto di fissazione dell'udienza, e comma 2, che ne prevede la costituzione in giudizio, intanto assume la veste di parte del procedimento di omologa, in quanto provveda alla propria formale costituzione, munendosi della rappresentanza tecnica ai sensi dell'art. 82 comma 3 c.p.c., e depositando, al pari delle altre parti, memoria con cui, rappresentando le ragioni che manifestino la volontà di opporsi all'omologazione, sottopone al tribunale contestazioni che postulano la presenza del difensore. Già presente nel giudizio, siccome tenuto a svolgere il suo tipico ruolo consultivo attraverso la relazione, se si limita al deposito del parere motivato, la cui acquisizione è indefettibile trattandosi di adempimento obbligatorio, non è necessariamente tenuto a costituirsi, restando per l'effetto non legittimato ad interloquire con le altre parti” (Cass. 16 settembre 2011, n. 18987, in motivazione).
La diversità tra costituzione in giudizio del commissario e deposito del parere, distinguendo tra il ruolo del commissario di organo della procedura e quello di parte, viene valorizzata anche in dottrina (NORELLI, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo, op. cit., 506; PAJARDI-PALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 875).
Nonostante il recente arresto della Suprema Corte, quindi, il quadro, anche giurisprudenziale, è meno univoco di quello che può apparire ad un primo sguardo e la questione della legittimazione processuale del commissario giudiziale non sembra definitivamente risolta.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario