Sui rapporti tra i pagamenti non autorizzati e l’art. 173 l. fall.

05 Novembre 2014

I pagamenti di acconti in favore dei professionisti effettuati dopo il deposito del ricorso per concordato “in bianco”, e senza autorizzazione, comportano l'applicazione dell'art. 173 l. fall., non potendosi affermare il carattere della prededucibilità di detti crediti sino al momento dell'ammissione definitiva dell'impresa alla procedura di concordato, e risultando irrilevante la circostanza della successiva effettiva ammissione. Né l'irregolarità può essere sanata a posteriori in virtù della successiva restituzione delle somme corrisposte senza autorizzazione.
Massima

I pagamenti di acconti in favore dei professionisti effettuati dopo il deposito del ricorso per concordato “in bianco”, e senza autorizzazione, comportano l'applicazione dell'art. 173 l. fall., non potendosi affermare il carattere della prededucibilità di detti crediti sino al momento dell'ammissione definitiva dell'impresa alla procedura di concordato, e risultando irrilevante la circostanza della successiva effettiva ammissione. Né l'irregolarità può essere sanata a posteriori in virtù della successiva restituzione delle somme corrisposte senza autorizzazione.

Il caso

La vicenda all'origine del decreto del Tribunale di Roma in commento costituisce un eloquente esempio di gestione non corretta della procedura concordataria da parte dell'impresa in stato di crisi. In sede di informativa da parte del commissario giudiziale emerge, infatti, che l'impresa:

  1. durante la fase di c.d. "preconcordato" aveva effettuato ingenti pagamenti in favore dei professionisti della stessa procedura;
  2. dopo la propria ammissione al concordato aveva convenuto con i legali che la assistevano un supplemento al compenso già precedentemente stabilito;
  3. si era avvalsa, come attestatore, di un professionista che era risultato far parte dello stesso studio del soggetto che aveva svolto le funzioni di advisor finanziario dell'impresa, nonostante lo stesso attestatore avesse rilasciato la dichiarazione di propria totale estraneità a quest'ultima.

Alla luce di tali fatti il tribunale capitolino ha ritenuto si fosse integrata la fattispecie di cui all'art. 173 l. fall., affermando l'irrilevanza del fatto che i professionisti avessero successivamente restituito i compensi ricevuti. Conseguentemente il tribunale ha revocato l'ammissione della società al concordato, e (in presenza della domanda del pubblico ministero) ne ha dichiarato il fallimento.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Per quanto, apparentemente, il provvedimento venga ad imperniare le proprie conclusioni prevalentemente sul profilo del pagamento non autorizzato dei crediti dei professionisti, si deve rilevare come, in realtà, la motivazione tocchi svariati profili di notevole interesse. È, quindi, possibile individuare, non una, ma una serie di questioni, e cioè:

  1. se, in pendenza del cosiddetto "preconcordato", il pagamento dei professionisti - quale pagamento dei debiti sorti anteriormente all'apertura della procedura - necessiti in ogni caso dell'autorizzazione del tribunale e comunque non possa trovare giustificazione nel riconoscimento legale della prededuzione;
  2. se la conclusione con i professionisti di un accordo volto al riconoscimento a questi ultimi di un compenso supplementare dopo l'apertura della procedura costituisca atto di straordinaria amministrazione; e, in ipotesi di risposta affermativa, quale sia l'organo che debba autorizzare in ipotesi tale atto;
  3. se il suddetto accordo - prevedendo tempi di pagamento diversi da quelli previsti nel piano e nella proposta - vada ad incidere sull'attendibilità dell'attestazione e, conseguentemente, sulla stessa fattibilità del piano;
  4. se il pagamento dei crediti dei professionisti in assenza di autorizzazione venga ad integrare la fattispecie di cui all'art. 173 l. fall.;
  5. se, infine, la sanzione prevista da tale ultima norma possa essere paralizzata dal "ravvedimento operoso" (nella specie, la restituzione di pagamento).

Le sintetiche risposte del tribunale di Roma possono riassumersi come segue.

  1. Il pagamento dei professionisti durante la fase di preconcordato costituisce pagamento di debito pregresso con alterazione della par condicio, essendo ammissibili i soli pagamenti oggetto della specifica autorizzazione ex art.182-quinquies, comma quarto, l. fall., e non potendosi, in contrario, invocare la incondizionata prededucibilità del credito dei professionisti, dal momento che, nella fase di preconcordato, non vi è ancora certezza assoluta sulla ammissione dell'impresa alla procedura e sulla capacità del patrimonio della stessa di soddisfare i "crediti di rango pozione o pari".
  2. L'accordo volto a riconoscere ai professionisti un supplemento di compenso rispetto a quello già concordato integra un atto di straordinaria amministrazione e pertanto, ove concluso in fase successiva all'ammissione dell'impresa alla procedura, necessità dell'autorizzazione del giudice delegato ai sensi dell'art. 167 l. fall.
  3. Tuttavia, la conclusione di un simile accordo, ed in particolare la previsione di una tempistica di pagamento dei professionisti difforme da quella degli altri creditori, viene "ad incidere negativamente" sull'attestazione, in quanto evidenzia la non attendibilità dei dati da quest'ultima forniti.
  4. Il pagamento non autorizzato dei professionisti integra una violazione "sostanzialmente paragonabile a quella disciplinata dall'art. 173 l. fall.” in quanto "il pagamento dei crediti anteriori alla presentazione della domanda costituisce atto idoneo a frodare le ragioni della massa".
  5. L'eventuale restituzione dei pagamenti "abusivi" non assume rilevanza alcuna non "essendo tale rimedio, invero, previsto dal legislatore a sanatoria della violazione di norme imperative riscontrata".
Osservazioni

Si è già evidenziato come il perno fondamentale del provvedimento sia costituito dall'affermazione della "fraudolenza" ex art. 173 l. fall. del pagamento dei crediti dei professionisti in assenza di autorizzazione. Non a caso è tale elemento ad aver indotto il tribunale capitolino a procedere all'arresto della procedura concordataria. Tuttavia il decreto in esame tocca una pluralità di profili, anche eterogenei, e la sensazione è che la decisione di procedere alla dichiarazione di fallimento dell'impresa scaturisca da una valutazione complessiva di tutti i profili che, tuttavia, vengono esaminati, inquadrati giuridicamente e, successivamente, accantonati, quasi che non assumessero - rispetto al profilo più evidenziato - una rilevanza equiparabile, sebbene sia possibile affermare l'esatto contrario.
Il primo enunciato del tribunale, quello principale, si traduce nell'affermazione come condotta rilevante ex art. 173 l. fall. del pagamento non autorizzato di debiti pregressi. Si tratta di un approdo del tutto condivisibile, essendo evidente che l'esecuzione, durante la fase di preconcordato, di pagamenti non autorizzati rientra appieno nella previsione del terzo comma dell'articolo 173 l. fall. Meno convincente e l'affermazione che il pagamento costituisca "frode", e difatti - per corroborare tale affermazione - il tribunale (enunciando il terzo e il quarto dei principi sopra enumerati) finisce per valorizzare il dato della inattendibilità dell'attestazione, sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo. Sul piano oggettivo, in quanto nel caso concreto dei pagamenti anticipati non risultava menzione alcuna nell'attestazione stessa, che anzi prevedeva tempi di pagamento dei professionisti ben diversi da quelli concretamente seguiti. Sul piano soggettivo, in quanto emerge che l'attestatore, ben lungi da presentare il requisito di estraneità all'impresa, risultava collega di studio dell'advisor della stessa società.
Purtroppo, però, questa duplice circostanza finisce poi per essere fagocitata dal profilo, assorbente, del pagamento non autorizzato, perdendo quella autonomia che ne avrebbe invece consentito una valorizzazione separata, e la collocazione su un piano di piena parità rispetto alla condotta apparentemente più eclatante. Il profilo delicatissimo della terzietà dell'attestatore finisce così in secondo piano, senza ricevere quella valorizzazione che forse avrebbe meritato.
Altrettanto negletto, nello sviluppo della motivazione, è il profilo dell'atto di straordinaria amministrazione non autorizzato dal giudice delegato ex art. 167 l. fall.. Profilo, tuttavia, interessante almeno sul piano teorico generale, visto che in tal modo viene riaffermata la persistenza di un'area di operatività della norma appena citata, a definitivo superamento dei dubbi che alcuni avevano sollevato all'indomani dell'introduzione del complesso di meccanismi autorizzativi connessi al preconcordato.
Residuano due ultimi profili da esaminare.
Il primo è costituito dall'affermazione della irrilevanza del carattere di prededucibilità del credito adempiuto, atteso che lo stesso, al momento dell'adempimento, ancora non poteva dirsi irreversibilmente assistito da detta qualità. L'approdo del tribunale capitolino è del tutto condivisibile (e peraltro basato su richiami espliciti all'insegnamento della Cassazione) ma omette di misurarsi col profilo della "sopravvenienza" dell'apertura della procedura; e con il conseguente definitivo acquisto del carattere di prededucibilità. La scelta del Tribunale di Roma è quella di congelare la valutazione al solo momento della effettuazione del pagamento, rendendo irrilevanti gli sviluppi successivi.
Il secondo profilo è costituito dall'affermazione della assoluta irrilevanza della eventuale neutralizzazione successiva degli effetti del pagamento non autorizzato, mediante restituzione del medesimo. Anche in questo caso l'atteggiamento del tribunale è di estremo rigore dovendosi in particolare registrare l'assenza di una valutazione in ordine al fatto che in tal modo la violazione della par condicio che è all'origine dell'obbligo legale di autorizzazione - e della relativa sanzione pronunciata dallo stesso tribunale - era sostanzialmente venuta meno, con pieno ripristino delle ragioni dei creditori.

Conclusioni e minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi


Non è inopportuno premettere che l'art. 22, comma 7, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91 ha abrogato la norma di interpretazione autentica dell'art. 111, 2° comma, l. fall. contenuta nel D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 (Destinazione Italia), poi convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, e cioè la norma che garantiva la prededuzione ai crediti “sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali”. (Vedi News ne IlFallimentarista.it, Il d.l. Competitività in G.U.: ancora modifiche alla prededuzione dei crediti nel preconcordato, oltre a misure di sostegno per le imprese e modifiche al diritto societario)
La decisione del Tribunale di Roma si pone sulla scia di numerosi precedenti che hanno ricondotto nell'alveo della sanzione di cui all'art. 173 l. fall. l'ipotesi di pagamenti o altri atti di straordinaria amministrazione non autorizzati (cfr. Trib. Torino 22 maggio 2014; Trib. Padova 28 novembre 2013; Trib. Milano 2 maggio 2013; Trib. Milano 13 gennaio 2014; Trib. Padova 14 marzo 2014, tutti su IlFallimentarista.it; Trib. Reggio Emilia 9 agosto 2013 e App. Bologna 25 giugno 2013, su ilcaso.it). Va, tuttavia, rilevato come l'ambito applicativo dell'art. 173, e la sua operatività nel caso di pagamenti non autorizzati, costituisca ancora oggetto di contrasti di cui lo stesso provvedimento in esame si mostra consapevole, nel momento in cui, richiamando un proprio precedente (Trib. Roma 1 aprile 2014, su IlFallimentarista.it), evidenzia come la norma in questione non possa trovare applicazione a pagamenti non autorizzati per incarichi professionali successivi al deposito del ricorso per concordato preventivo. Eppure proprio tale tentativo di conciliazione viene ad evidenziare la prima frattura interpretativa in seno al Tribunale di Roma. Riesce, infatti, non del tutto facile conciliare il principio enunciato nella decisione di aprile (“Il conferimento di un incarico professionale, nella fase successiva al deposito del ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall., anche eventualmente in forma c.d. riservata, costituisce l'oggetto di un atto di ordinaria amministrazione, a condizione che l'attività professionale sia resa nel solo interesse dell'imprenditore in crisi, si esaurisca entro la data di pronuncia del decreto di omologazione della proposta di concordato e sia effettivamente finalizzata ad uno scopo di risanamento, senza che possa valere quale criterio discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione l'ammontare dei corrispettivi pattuiti con il professionista”), con la valutazione negativa che, nel provvedimento in esame, viene data dell'accordo concluso dall'impresa con i professionisti per il riconoscimento di un compenso supplementare, senza neppure chiarire (o indagare) se tale compenso fosse previsto per prestazioni supplementari originariamente non previste. Il tutto, fermo restando il fatto che in entrambi i casi si assiste ad un atto di straordinaria amministrazione non autorizzato e potenzialmente in grado di operare uno sbilanciamento nell'attivo concordatario e (soprattutto) nell'eventuale successivo fallimento.
La possibile presenza di contrasti nella stessa sede, peraltro, appare ancora più netta se si considera che lo stesso Tribunale di Roma, con l'ordinanza 3 ottobre 2013 (su IlFallimentarista.it), aveva affermato che la violazione del divieto contenuto nell'art. 167, comma 2, l. fall. (in specie pagamento di debiti anteriori alla proposta concordataria, laddove forse sarebbe stato più appropriato il riferimento al divieto di cui all'art. 168) non può determinare ex se l'improcedibilità della domanda di concordato, dovendosi verificare se il pagamento abbia determinato in concreto un pregiudizio ai creditori (cosa che in quel caso era stata esclusa sulla base del fatto che il pagamento aveva addirittura arrecato un vantaggio ai creditori).
Il contrasto tra una concezione dell'art. 173 l. fall. come fattispecie di mero “pericolo”, ed una concezione che lega l'arresto ex art. 173 l. fall. ai soli pagamenti non autorizzati che in concreto ledano la par condicio (come fattispecie “di danno”), appare peraltro diffuso, soprattutto nella delicata fase del c.d. preconcordato. Così, se Trib. Milano 2 maggio 2013 (su IlFallimentarista.it), afferma l'automatica applicazione dell'art. 173 l. fall. per il finanziamento interinale non autorizzato, per contro Trib. Latina 2 settembre 2013 (su IlFallimentarista.it) ritiene che l'atto straordinario, compiuto dal debitore concordatario senza autorizzazione, non determini automaticamente, occorrendo ulteriormente che tale atto sia intenzionalmente diretto a ledere le ragioni dei creditori e che produca in capo a questi ultimi un concreto pregiudizio.
Le due diverse letture della norma presentano prevedibili riflessi anche sulla efficacia del “ravvedimento operoso”. È evidente che la ricostruzione della fattispecie in termini di sanzione della mera condotta del debitore in concordato non può non tradursi nell'affermazione della irrilevanza delle successione condotte di neutralizzazione degli effetti economici dell'atto non autorizzato. Tesi, questa, seguita non solo dal provvedimento in esame, ma anche, ad esempio, da Trib. Milano 2 maggio 2013 (su IlFallimentarista.it: in quel caso è stata esclusa la possibilità di una successiva ratifica); da App. Bologna 25 giugno 2013 (su ilcaso.it) e da Trib. Reggio Emilia 9 agosto 2013 (su ilcaso.it: il quel le somme impiegate senza autorizzazione per il finanziamento di una società controllata erano state reimmesse nelle casse della società in concordato da uno sei suoi soci), ma che invece è disattesa da Trib. Firenze 14 novembre 2013 (su IlFallimentarista.it), che ha invece escluso l'arresto ex art. 173 l. fall. in un caso in cui il debitore aveva messo a disposizione del concordato beni immobili di terzi per un valore sufficiente a reintegrare il patrimonio sociale dopo i pagamenti non autorizzati; e – almeno a livello ipotetico - da Trib. Torino 22 maggio 2014 (su IlFallimentarista.it), quando viene osservato (obiter?) che “la ricorrente non ha neppure proposto di riversare le somme indebitamente pagate”.
Latamente connesso al tema della sanatoria successiva è il tema della “prededucibilità” sopravvenuta: se il provvedimento in esame esclude che un pagamento non autorizzato eseguito quando non si erano ancora integrati appieno i presupposti per la prededucibilità, possa poi risultare “sanato” dall'ammissione dell'impresa al concordato e dalla piena operatività dell'art. 111 l. fall., di segno opposto è la decisione di Trib. Modena 10 dicembre 2013 (su IlFallimentarista.it), che, dopo aver affermato il principio per cui il pagamento anticipato ai professionisti costituisce atto rientrante nella previsione dell'art. 173 l. fall., ha comunque omologato il concordato, proprio in considerazione del fatto che la successiva piena apertura della procedura aveva reso i crediti prededucibili e “legittimato” a posteriori il pagamento.

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