Il difficile equilibrio fra la disciplina speciale del credito erariale e la normativa fallimentare

Francesco Vignoli
21 Maggio 2012

Deve essere ammesso con riserva, in pendenza di giudizio tributario, il credito insinuato da Equitalia, non solo quando la pronuncia tributaria di primo grado contenga un accertamento positivo del credito vantato dall'Agenzia delle Entrate, ma anche in caso di sentenza, non ancora passata in giudicato, che abbia rigettato la pretesa fiscale.
Massima

Deve essere ammesso con riserva, in pendenza di giudizio tributario, il credito insinuato da Equitalia, non solo quando la pronuncia tributaria di primo grado contenga un accertamento positivo del credito vantato dall'Agenzia delle Entrate, ma anche in caso di sentenza, non ancora passata in giudicato, che abbia rigettato la pretesa fiscale.

Sono comunque esclusi dall'ammissione allo stato passivo gli importi a titolo di spese di insinuazione.

Il caso

La pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria, adito in sede di opposizione allo stato passivo, si caratterizza per l'adesione all'opzione tradizionale secondo cui, in pendenza di giudizio tributario, anche allorquando la decisione di primo grado, impugnata dall'ente impositore, sia stata favorevole al contribuente fallito, il credito erariale deve essere ammesso con riserva, sulla base di una lettura dell'art. 96, comma 2, n. 3, l.fall. in sintonia con quanto disposto dall'art. 88 del D.P.R. n. 602/1973. Peraltro il Tribunale si discosta dall'indirizzo assunto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 4861/2010, escludendo dall'ammissione allo stato passivo gli importi pretesi dall'agente della riscossione a titolo di spese di insinuazione.

Osservazioni

La decisione, ossequiosa, nella parte ammissiva, delle specificità disciplinari del Fisco, e garante della concorsualità nel capo di rigetto, offre lo spunto per sinteticamente delineare quelle che potremmo definire, semplificando, due tesi a confronto.
Da un lato, infatti, secondo un approccio maggiormente incline a considerare la specialità della disciplina di accertamento e recupero dei crediti tributari, il Collegio non avrebbe valorizzato appieno la peculiarità della normativa di riscossione, onerando di fatto la collettività delle spese del recupero, anziché il debitore fallito. Dall'altro, invece, secondo un'opzione più sensibile alla concorsualità, il Tribunale avrebbe inteso parificare l'Erario a qualunque altro creditore, in modo da assicurare la par condicio.
Vi è motivo di ritenere che, a prescindere dalle posizioni di fondo, che indubbiamente condizionano le scelte interpretative, non possa prescindersi dal fatto che la disciplina di settore, che, fra le sue peculiarità, consente l'ammissione con riserva e prevede l'intervento dell'esattore, è ispirata al fine di assicurare il buon andamento dell'azione pubblica. Quanto sopra nell'ottica di un'amministrazione, come suol dirsi oggi con una certa frequenza, “di risultato”, ossia diretta ad assicurare al cittadino non solo la legittimità del proprio operato, ma anche il conseguimento di tangibili risultati, nel rispetto di un principio che, pur oggetto di numerose deroghe, rimane ancora centrale: l'indisponibilità del credito tributario quale fondamento della specialità disciplinare per assicurare la continuità dell'azione amministrativa.
L'art. 53 Cost., come enunciato dalla sentenza della Cassazione menzionata in premessa, dispone che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. L'obbligo di concorrere alle spese pubbliche è dettato dalla fondamentale esigenza di reperire i mezzi necessari per consentire allo Stato ed agli altri enti pubblici di poter assolvere i loro compiti istituzionali. Tale esigenza fondamentale richiede che detti enti possano fare affidamento in tempi brevi su una consistente entità di risorse finanziarie…la cui riscossione quindi deve essere certa”.
La determinazione dell'an e del quantum debeatur non è contestabile in sede concorsuale, essendo rimessa, necessariamente e inizialmente, alle determinazioni dell'Amministrazione per poi essere devoluta, in una fase successiva ed eventuale, al giudice tributario.
La scelta normativa di divaricare la giurisdizione con l'istituzione di un giudice speciale per i tributi comporta necessariamente la sottrazione del sindacato sul credito erariale al giudice fallimentare. L'infruttuosità del tentativo di unificare la giurisdizione, all'atto della costituzione dello Stato unitario, con la legge n. 2248/65 all. E, e la stessa scelta dei Costituenti di non modificare la pluralità di giurisdizioni nell'ordinamento pre-repubblicano, vengono giustificate dalla finalità di assicurare un migliore servizio al cittadino. Per l'effetto, ai sensi dell'art. 88 del D.P.R. n. 602/1973, che recepì un indirizzo interpretativo maggioritario, non vi è spazio, in sede concorsuale, per il sindacato su una questione controversa tributaria sino alla sua definitività, pena eludere la divaricazione giurisdizionale, di fatto vanificando l'esito del pronunciamento conclusivo del giudice tributario.
È la specificità della regolamentazione che disciplina il recupero del credito erariale a indurre la Cassazione, nella pronuncia da cui si discosta il Tribunale reggino, ad ammettere anche le spese dell'esattore. L'opzione legislativa di avvalersi di una struttura strumentale al fine di assicurare una più efficiente riscossione comporta, ad avviso dei giudici di legittimità, l'esigenza di accollare sul debitore, come per le procedure esecutive non concorsuali, l'onere delle spese di recupero. Si tratta di una scelta che, a un primo esame, potrebbe non sembrare condivisa dai più recenti arresti di legittimità.

L'intervento delle Sezioni Unite con pronuncia 15.3.2012, n. 4126

Giova segnalare al riguardo la pronuncia n. 4126/2012 della Suprema Corte chiamata a decidere se l'istanza di ammissione al passivo dovesse essere o meno preceduta dalla iscrizione a ruolo dei crediti erariali azionati e dalla notifica della cartella di pagamento.
Le Sezioni Unite riaffermano l'ammissione al passivo con riserva del credito tributario contestato segnalandone altresì “la funzione di tutela del contribuente”. Malgrado, al riguardo, la decisione non risulti del tutto perspicua, sembra evincersi che lo strumento del ruolo, pur non indispensabile per la proposizione della domanda di insinuazione, viene a costituire una sorta di punto fermo verso cui poter rivolgere contestazioni che sarebbero, in sua assenza, più controverse in ragione della carenza di uno specifico titolo esecutivo. Nell'ammettere anche la domanda di ammissione sprovvista della preventiva iscrizione a ruolo, i giudici di legittimità si soffermano sulla centralità della disciplina fallimentare, che consente deroghe solo laddove espressamente previste.
D'altra parte, enunciano i Supremi giudici, “la procedura fallimentare non appare finalizzata alla diretta realizzazione dell'adempimento dell'obbligazione di pagamento, ma risulta piuttosto volta ad assicurare il conseguimento della par condicio creditorum… nel cui ambito i compiti di accertamento del giudice delegato e la connessa fase decisionale assumono rilievo preminente rispetto al momento liquidatorio che appare al contrario prevalente nell'esecuzione individuale”.
Il richiamo operato dalla Cassazione, con l'altra già detta pronuncia espressamente disattesa dal Tribunale di Reggio Calabria, al fallimento quale “esecuzione generale sui beni del fallito” e alla omologia fra esecuzione forzata individuale e concorsuale sembrerebbe non confermato da quanto enunciato dalle Sezioni Unite, il cui intervento è orientato nel senso di affermare la centralità della normativa fallimentare, salvo espressa diversa previsione.
Secondo la decisione di merito in commento, gli oneri sopportati per l'attività di insinuazione al passivo sono ammessi limitatamente alle sole spese vive borsuali. Una diversa interpretazione, in carenza di una disposizione speciale espressamente derogatoria, violerebbe la par condicio creditorum e il principio della cristallizzazione dei crediti al momento del concorso.

Conclusioni

Il rimando alla pronuncia delle Sezioni Unite, tuttavia, non induce a univoche conclusioni.
Dal tenore della disciplina sulla riscossione emergono riferimenti normativi che sembrano configurare le espresse previsioni speciali cui fanno cenno le Sezioni Unite, idonee a corroborare l'assunto della Suprema Corte non condiviso dai giudici di merito. L'art. 45 del D.P.R. n. 602/1973, sulla riscossione delle imposte sui redditi, prevede che il concessionario procede al recupero coattivo delle somme iscritte a ruolo, degli interessi di mora e delle spese di esecuzione.
Nel D.P.R. citato trovano spazio disposizioni relative all'ammissione al passivo delle procedure concorsuali, fra cui l'art 88 sopra menzionato. Va soggiunto che, in tema di remunerazione del servizio, la portata dell'art. 17 del D.Lgs. n. 112 del 1999 è così lata da comprendere le procedure di recupero, fissando il principio che le spese sostenute sono a carico del debitore, salvo le ipotesi di sgravio o inesigibilità del ruolo.
Per queste ragioni la pronuncia del Tribunale non sembra portare a completa conseguenza i presupposti da cui muove, legati alla peculiarità della disciplina in materia di recupero del credito erariale che incide sulla procedura fallimentare.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Le norme di riferimento sono gli artt. 54, 55, 92 e ss. l.fall. (in particolare l'art. 96), nonché l'art. 2749 c.c., gli artt. 45 e 88 D.P.R. n. 602/1973, l'art. 17 D.Lgs. n. 112/1999 e il decreto del Ministero delle Finanze 21 novembre 2000.
Per la giurisprudenza sull'ammissione al passivo con riserva in caso di sentenza accertativa già emessa prima del fallimento cfr. in particolare, tra le tante, le sentenze della S. Corte citate nel testo del provvedimento commentato: Cass. 6 maggio 2009 n. 5454; Cass. 27 agosto 2007 n. 18088; Cass. 1 giugno 2005 n. 11692.
Sulla più generale tematica dell'ammissione al passivo dei crediti erariali si segnala – sul piano della prassi operativa – una specifica e ampia circolare emessa dal Presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Milano, reperibile sul sito tribunale.milano.it, nell'area procedure concorsuali/circolari.
Sulla tematica dell'ammissione o esclusione dal passivo delle spese di insinuazione del concessionario cfr., oltre alle sentenze di legittimità citate nel commento (Cass., Sez. Un., 15 marzo 2012, n. 4126; Cass. 1 marzo 2010, n. 4861), per la giurisprudenza di merito soprattutto, tra le più recenti: Trib. Milano 29 dicembre 2009, in Giur. Merito, 2011, 3, 700, con nota di Romano; Trib. Milano 1 luglio 2010, in Redazione Giuffrè 2011; Trib. Milano 15 gennaio 2010, ivi; Trib. Busto Arsizio 12 marzo 2009, ivi.
Per la dottrina sui punti esaminati cfr.: C. Migliazzo, Ammissione al passivo con riserva di un credito per imposte indirette, in Dir. e prat. soc., 2000, 78; G. Anni, Ammissione al passivo con riserva dei crediti di imposta contestati, in Fall., 1993, I, 89; Id., Ammissione con riserva dei crediti d'imposta contestati, ivi, 1995, 288; A. Turchi, Crediti tributari contestati e tutela concorsuale dell'amministrazione finanziaria, in Giur. it., 1997, I, 601; S. Anghileri, Rapporti dell'espropriazione esattoriale con le procedure concorsuali e ammissibilità al passivo fallimentare di somme iscritte al ruolo contestate con riserva dell'esito dei ricorsi pendenti innanzi alle commissioni tributarie, in Ascotributi, 1990, 117.

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