Il termine per la risoluzione del concordato preventivo e i provvedimenti del Giudice Delegato

Marco Nicolai
16 Ottobre 2014

Il termine annuale per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato preventivo è un termine di decadenza che non ammette interruzione o sospensione.
Massima

Il termine annuale per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato preventivo è un termine di decadenza che non ammette interruzione o sospensione.

Il termine annuale per la proposizione della domanda di risoluzione del concordato preventivo liquidatorio decorre dalla conclusione delle operazioni di liquidazione soltanto se la proposta omologata non indica un diverso termine per l'adempimento delle obbligazioni concordatarie.

I provvedimenti del Giudice Delegato successivi all'omologazione del concordato preventivo possono assumere valenza esecutiva ovvero il carattere di istruzioni per gli organi della procedura, ma non possono modificare contenuti e termini della proposta concordataria approvata dai creditori e omologata. Pertanto, tali provvedimenti non incidono sul dies a quo del decorso del termine annuale per la risoluzione del concordato preventivo.

Il caso

Il Tribunale di Ravenna, con decreto 18 ottobre 2010, omologava un concordato preventivo presentato da T.A. S.r.l. in stato di crisi, che prevedeva, nei due anni successivi all'omologazione, l'esaurimento delle operazioni di pagamento ai creditori, nonché l'acquisto da parte di alcune società degli immobili e dell'azienda della società debitrice. Tuttavia, l'omesso adempimento da parte di tali società alle obbligazioni assunte, secondo il Fallimento di T.B. S.r.l. (società creditrice), frustrava le previsioni di realizzazione del piano concordatario. Pertanto, in data 30 ottobre 2013, considerato che il G.D. aveva autorizzato (non è dato sapere quando) una dilazione di pagamento ad un terzo creditore della procedura concordataria, il Fallimento T.B. S.r.l. presentava ricorso al Tribunale di Ravenna affinché accertasse e dichiarasse la risoluzione del concordato preventivo in forza e per effetto dei suddetti inadempimenti.

Le questioni pacifiche

La questione della decorrenza e della natura del termine per proporre il ricorso per la risoluzione del concordato preventivo è affrontata dal Tribunale di Ravenna in via preliminare in quanto prodromica e logicamente antecedente rispetto alle altre, correlate e conseguenti.
Il termine annuale, diversamente dal regime previgente, ha ora un differente ambito di operatività. E infatti il ricorso per la risoluzione del concordato preventivo deve essere proposto entro l'anno dall'ultimo adempimento. Anteriormente alla riforma della legge fallimentare la risoluzione ex art.137, comma 3, l. fall., a cui rinviava l'art. 186, comma 1, l. fall., doveva essere pronunciata «trascorso un anno dalla scadenza dell'ultimo pagamento stabilito nel concordato».
L'attuale formulazione dell'art.186, comma 3, l. fall., ha posto fine al dibattito, sorto sotto il vigore della previgente disciplina, sull'idoneità della domanda di risoluzione a interrompere o a sospendere il decorso del termine e sull'ammissibilità di una pronuncia giudiziale oltre l'anno.
In questa prospettiva, secondo il Giudice di primae curae , sarebbe stato dirimente, nel caso di specie, quanto statuito da Cass., 20 dicembre 2011, n. 27666, secondo la quale il termine annuale ha natura decadenziale e perentoria. Pertanto, non è suscettibile di sospensione e/o di interruzione ex art. 2964, c.c.
Il principio, sebbene enunciato in una fattispecie relativa a un concordato fallimentare, è applicabile anche al concordato preventivo. In questo senso, seppur non espressamente affermato nel provvedimento, depone l'identità letterale delle disposizioni citate, secondo le quali «il ricorso per la risoluzione deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l'ultimo adempimento previsto dal concordato».
Il termine annuale per la proposizione del ricorso era diversamente computato a seconda che il concordato preventivo omologato fosse in garanzia ovvero con cessione dei beni. In particolare, con riferimento a quest'ultimo, sotto il vigore della precedente disciplina, si erano formati orientamenti giurisprudenziali eterogenei. Tuttavia, quello preferibile riteneva che l'anno decorresse dall'esaurimento delle operazioni di liquidazione da intendersi come l'ultimo pagamento effettuato. Una recente sentenza della Corte di cassazione (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27666), seguita dal provvedimento in commento, si è espressa nel medesimo senso.

(Segue) quelle nuove

Tuttavia, quest'ultimo provvedimento della Suprema Corte, a cui il Tribunale di Ravenna si è condivisibilmente uniformato, ha introdotto una diversificazione ulteriore nell'ambito del concordato preventivo con cessione dei beni. E infatti, secondo il Supremo Collegio, occorre distinguere l'ipotesi in cui sia stato fissato un termine finale per l'esecuzione dell'ultimo pagamento da quella in cui difetti una previsione simile. Ciò poiché esclusivamente in quest'ultimo caso il termine annuale decorre dall'ultimazione delle operazioni di liquidazione. Quando è invece stabilito, come nel caso di specie, un termine esatto per l'attuazione delle cessioni (nella specie entro due anni dall'omologazione, i.e., 18 ottobre 2010), l'anno inizia a decorrere con lo spirare del termine previsto (nel caso esaminato dal 18 ottobre 2012).
La modifica lessicale dell'art.186, comma 3, l. fall., secondo la dottrina, si adatta alla varietà di contenuti che il piano può assumere ex art. 161, comma 2, lett. e), l. fall., in ordine alle modalità e ai tempi di adempimento della proposta concordataria.

(Segue) E quelle irrisolte

L'aspetto processuale di maggior interesse è quello dell'incidenza dei provvedimenti assunti durante l'attuazione del concordato preventivo sul termine per la proposizione della domanda di risoluzione. E infatti, nel caso di specie, il Giudice Delegato aveva consentito per un terzo contraente una dilazione di pagamento. Tale provvedimento autorizzativo, ad avviso del Collegio che ha deciso sulla domanda di risoluzione, «non determina alcuno spostamento del termine di adempimento delle obbligazioni concordatarie, potendo unicamente incidere – per il periodo che va dalla scadenza di detto termine alla conclusione del piano di rientro autorizzato, purché infrannuale – sulla gravità dell'inadempimento concordatario». Tale assunto è in effetti suffragato da Cass., 16 luglio 2008, n.19506, secondo la quale «i provvedimenti emessi dal giudice delegato in attuazione delle disposizioni della sentenza (ora decreto) di omologazione del concordato preventivo in tema di vendita dei beni del debitore ceduti ai creditori … hanno natura meramente integrativa (o tutoria) rispetto alla volontà negoziale delle parti interessate alla cessio bonorum».

Considerazioni conclusive

Il principio, enunciato sulla scorta di un autorevole precedente della Suprema Corte, va in parte condiviso. E infatti l'autorizzazione alla dilazione di pagamento non avrebbe potuto incidere sul contenuto del concordato preventivo nei limiti in cui la «conclusione del piano di rientro autorizzato» fosse stata effettuata, nel caso di specie, nei due anni successivi all'omologazione, termine in cui dovevano esaurirsi le operazioni di pagamento ai creditori. Tuttavia, nonostante non si evinca in modo perspicuo, l'autorizzazione sembra aver consentito al terzo contraente una dilazione superiore ai due anni omologati. In questo caso, quest'ultimo termine subirebbe senza dubbio una modifica per effetto dell'autorizzazione con indubbie ripercussioni sul regolare adempimento delle obbligazioni concordatarie. Pertanto, il provvedimento non potrebbe considerarsi meramente attuativo e/o integrativo delle modalità di liquidazione (Cass., 16 luglio 2008, n.19506), con seri dubbi sulla sua legittimità.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla natura decadenziale del termine annuale di cui all'art. 137, comma 6, l. fall., cfr. in giurisprudenza Cass., 20 dicembre 2011, n.27666; App. Genova, 20 febbraio 2013; in dottrina S. SANZO, Sub art.137, in AA.VV., Il nuovo diritto fallimentare, a cura di A. JORIO, Bologna, 2007, 2084; la sentenza in commento ha esteso tale natura anche al termine annuale dell'art.186, comma 3, l. fall.
Sul dibattito in merito all'idoneità della domanda giudiziale di risoluzione a interrompere o a sospendere il decorso del termine e all'ammissibilità di una pronuncia giudiziale di risoluzione oltre il termine annuale, cfr. LO CASCIO, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 683 ss.; FILOCAMO, Sub art.186, in AA.VV., La legge fallimentare. Commentario teorico – pratico, a cura di M. FERRO, Padova, 2011, 2240.
Per i diversi orientamenti sul dies a quo del termine annuale nel concordato preventivo in garanzia ovvero con cessione dei beni, anteriormente alla riforma, in luogo di molti FILOCAMO, Sub art.186, cit., 2240. Secondo VITIELLO, Sub art.186, in Codice commentato del fallimento, a cura di G. LO CASCIO, Milano, 2008, 1666, l'attuale art.186, comma 3, l. fall., avvalora l'orientamento secondo il quale il termine annuale, nel concordato con cessione dei beni, decorre dall'ultimo pagamento effettuato la cui concreta individuazione va verificata alla stregua delle previsioni del piano omologato; Id., Sub art.186, in Codice commentato del fallimento, a cura di G. LO CASCIO, Milano, 2013, 2277, ritiene che la modifica lessicale della disposizione citata è stata «opportunamente ritagliata sulla varietà di contenuti che il piano concordatario può ora assumere, ed in particolare sulla possibile previsione di forme di soddisfacimento del ceto creditorio alternativa al pagamento».
Sulla natura dei provvedimenti successivi all'omologazione del concordato preventivo Cass. Sez. Unite, 16 luglio 2008, n.19506, in Foro it., 2008, I, 3149, nonché in Corr. merito, 2009, 178 ss., con nota di Travaglino, alla quale si rinvia per ampi riferimenti giurisprudenziali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario