Fallimento successivo all'omologazione degli accordi di ristrutturazione

27 Marzo 2014

L'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti inidoneo, ab origine ovvero per l'impatto di fatti sopravvenuti, a realizzare la propria funzione, permanendo lo stato d'insolvenza dell'imprenditore ovvero manifestandosi una nuova situazione di impotenza economica, non preclude al tribunale di pronunciare la sentenza dichiarativa di fallimento, né processualmente è necessario procedere alla previa risoluzione dello stesso accordo (nel caso di specie la domanda di dichiarazione di fallimento è stata presentata da alcuni creditori rimasti estranei all'accordo).Il caso. Omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti, alcuni creditori non aderenti domandano la dichiarazione di fallimento del loro debitore. Il Tribunale, verificati i presupposti soggettivo e oggettivo di legge, accoglie il ricorso.Secondo la sentenza annotata, il creditore non aderente può richiedere la dichiarazione di fallimento del debitore, senza la previa risoluzione dell'accordo.
Massima

L'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti inidoneo, ab origine ovvero per l'impatto di fatti sopravvenuti, a realizzare la propria funzione, permanendo lo stato d'insolvenza dell'imprenditore ovvero manifestandosi una nuova situazione di impotenza economica, non preclude al tribunale di pronunciare la sentenza dichiarativa di fallimento, né processualmente è necessario procedere alla previa risoluzione dello stesso accordo (nel caso di specie la domanda di dichiarazione di fallimento è stata presentata da alcuni creditori rimasti estranei all'accordo).

Il caso

Omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti, alcuni creditori non aderenti domandano la dichiarazione di fallimento del loro debitore. Il Tribunale, verificati i presupposti soggettivo e oggettivo di legge, accoglie il ricorso.
Secondo la sentenza annotata, il creditore non aderente può richiedere la dichiarazione di fallimento del debitore, senza la previa risoluzione dell'accordo.
Alla base della decisione si individuano i seguenti passaggi motivazionali:
- analogia di situazione tra creditore pretermesso nel concordato preventivo e creditore non aderente nell'accordo, al fine di confortare la decisione assunta con l'interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale degli artt. 137, 184 e 186 l. fall. (Corte cost. 2 aprile 2004, n. 106);
- salvaguardia del diritto di difesa presidiato dall'art. 24 Cost. con il riconoscimento ai creditori non aderenti della possibilità di tutelare la propria pretesa economica con la presentazione dell'istanza di fallimento, poiché, in quanto estranei all'accordo di ristrutturazione, non avrebbero la legittimazione a domandarne la risoluzione.

Le questioni giuridiche

Compendiata in poche disposizioni normative, la disciplina dell'accordo non si cura degli aspetti successivi all'omologazione, quali i rimedi giudiziari in caso di inadempimento dell'accordo.
Nel caso di specie le questioni sottese riguardano l'efficacia dell'accordo omologato rimottiva dello stato di insolvenza e vincolante nella successiva istruttoria prefallimentare. La seconda questione, preliminare alla prima, è se per la dichiarazione di fallimento sia necessaria la previa risoluzione dell'accordo, ciò che è escluso dal giudice, quantomeno per il creditore non aderente, che non ne sarebbe parte contrattuale.
Rispetto ai temi posti, si danno diverse soluzioni.
1-Tesi fallimentaristica: applicazione analogica dell'art. 186, comma 1, l. fall. che legittima attivamente alla domanda di risoluzione del concordato preventivo "ciascun creditore". Tale formula si riferisce ai creditori concordatari ovvero a quelli pretermessi, cioè non considerati nella proposta concordataria (G.B. Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, in Fall., 2012, 253). Nella disciplina del concordato preventivo, secondo un orientamento, "il creditore rimasto estraneo può soltanto beneficiare degli effetti esdebitatori che ne sono derivati, ma non può pretendere di dar corso ad una ulteriore regolamentazione di tipo fallimentare dell'insolvenza in relazione alla quale non è neppure configurabile un suo diritto" (G. Lo Cascio, Legittimazione dei creditori estranei al concordato, in Fall., 2004, 723).
Ne segue che, omologato l'accordo, ciascun creditore, anche quello non aderente, in caso di inadempimento (non di scarsa importanza) dovrebbe chiedere la previa risoluzione dell'accordo secondo le norme del concordato preventivo e, risolto l'accordo, sussistendone i presupposti, la dichiarazione di fallimento.
2-Tesi civilistica: l'inadempimento del debitore sarebbe sanzionabile con i rimedi civilistici, soluzione da seguire per i creditori aderenti. Per i creditori estranei si considera possibile proporre istanza di fallimento, venuto meno il divieto di esecuzione sul patrimonio del debitore, senza necessità di previa risoluzione (E. Capobianco, 2010, 313).
In una prospettiva eclettica, si esclude l'estensione della disciplina prevista dall'art. 137 l. fall., ma si propende per l'applicabilità, in via analogica, delle regole sugli effetti della risoluzione del concordato preventivo (L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2008, 343).

Osservazioni

Le tesi riportate presuppongono, sicuramente per il creditore aderente, che non si possa far luogo a fallimento senza la rimozione o risoluzione (annullamento, ricorrendone i presupposti) dell'accordo. Esse però si prestano ad alcune obiezioni.
All'applicazione in via analogica della disciplina sulla risoluzione (e sull'annullamento), proprie del concordato preventivo, si frappone l'autonomia di questo rispetto all'accordo, essendone diversi la natura, il procedimento e gli effetti. Inoltre, secondo più accreditata opinione, l'accordo non rappresenta una procedura concorsuale, senza voler considerare che non è neppure pacifico che esista un principio che impedirebbe nell'ambito dello stesso concordato preventivo al creditore concordatario che lamenti l'inadempimento di chiedere da subito il fallimento (così, Corte Cost. 106/2004, cit., contra Lo Cascio, op.cit., 723).
D'altro lato, accogliere la tesi civilistica:
- esporrebbe a possibile pregiudizio i creditori a causa del tempo necessario per ottenere la sentenza e quindi agire per il fallimento;
- comporterebbe serie difficoltà di ricostruzione della disciplina della risoluzione concretamente applicabile, quanto ai presupposti e agli effetti, essendo non univoco, come è noto, l'inquadramento che si dà dell'accordo, come contratto bilaterale plurisoggettivo, contratto plurilaterale, con o senza comunione di scopo, contratto aperto all'adesione dei creditori, accordo collettivo, fattispecie con collegamento negoziale, insieme di accordi ciascuno dei quali conserva la propria individualità, contratto con causa unitaria, contratto a favore di terzo, a natura transattiva, senza poter escludere tra i vari contratti e negozi interessati dall'accordo, l'ammissibilità di categorie contrattuali diverse all'interno di un'unica operazione economica (G. Buccarella, 2013, 55 ss.);
- comporterebbe una diversa e discriminante tutela tra creditori aderenti e non aderenti.
Al fondo delle varie teorie esposte, vi è l'idea che tra gli effetti dell'accordo, processuali e/o sostanziali, vi sia quello di precludere il successivo fallimento e che prima occorra rimuovere il vincolo preclusivo mediante risoluzione o dichiarazione di invalidità dell'accordo.
Invero, il decreto di omologazione dell'accordo non può avere maggiore vincolatività di una decisione di rigetto dell'istanza di fallimento per difetto dello stato di insolvenza, che è inidonea ad assumere la forza di giudicato sostanziale. Anche a volergli riconoscere efficacia di giudicato sostanziale, questo si formerebbe sull'oggetto della decisione che non è quello di accertare il venire meno dello stato di insolvenza, oggi per allora, del debitore, bensì l'idoneità dell'accordo a superarre lo stato di crisi. Decisione assunta in relazione ai fatti allegati rebus sic stantibus.
Quanto agli effetti sostanziali dell'accordo, è da escludere che nasca di per sé un vincolo contrattuale che impedisca di richiedere il fallimento senza la previa risoluzione: per i creditori non aderenti, non essendo parte dell'accordo, la questione neppure si porrebbe.
L'adesione all'accordo non comporta, salvo che non sia specificamente pattuito, un obbligo giuridico di astenersi per il futuro dal richiedere il fallimento. La validità di un'espressa clausola contrattuale di questo genere può anche ammettersi, salvo poi chiedersi se tale patto sia di per sé capace di rimuovere uno stato di insolvenza sopravvenuto.

Conclusioni

La decisione del tribunale appare corretta, ma con motivazioni non del tutto persuasive. Non è questione di rispetto dell'art. 24 Cost., peraltro qui di dubbia fondatezza e rilevanza, quanto di stabilire se tra gli effetti dell'accordo omologato, processuali o sostanziali, ve ne sia qualcuno che impedisca, da subito, la dichiarazione di fallimento. Esclusi tali effetti, per i motivi esplicitati, si può pervenire così ad accomunare la situazione del creditore aderente e del creditore estraneo, i quali potranno richiedere il fallimento senza la necessità della previa risoluzione.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

In giurisprudenza, Trib. Parma 27 settembre 2011, n. 81, inedita, che ha dichiarato il fallimento, successivo ad accordo con annessa transazione fiscale, richiesto da un creditore aderente, a causa dell'inadempimento del debitore agli impegni assunti. Non si rivengono precedenti editi in tema di risoluzione dell'accordo di ristrutturazione.
Sulla natura degli accordi, cfr. G. Buccarella, I "nuovi" accordi di ristrutturazione dei debiti, Milano, 2013, 55.
Sull'autonomia degli accordi, ex multis, Trib. Milano 23 gennaio 2007, in Fall., 2007, 701, con nota di Dimundo; Trib. Udine 22 giugno 2007, ivi, 2008, 701, con nota di G.B. Nardecchia. In dottrina, G.B. Nardecchia, Crisi di impresa, autonomia privata e controllo giurisdizionale, Milano, 2007, 25.
Sostengono la natura concorsuale degli accordi, E. Frascaroli Santi, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti - Un nuovo procedimento concorsuale, Padova, 2009, 84 ss.; F. Abate, La spinta degli accordi di ristrutturazione verso la concorsualità, in Fall., 2013, 1173.
Sui rimedi in caso di inadempimento, E. Capobianco, Gli accordi stragiudiziali per la soluzione della crisi d'impresa. Profili funzionali e strutturali e conseguenze dell'inadempimento del debitore, in Banca borsa tit. cred., 2010, 313.

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