Atti in frode ai fini della revoca del concordato: la visione della Cassazione

06 Ottobre 2014

La nozione di atto in frode con valenza ingannatoria ai fini della revoca del concordato ex art. 173, comma 1, l. fall. presuppone che il debitore abbia occultato situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori e che siano state “scoperte” dal commissario.
Massima

La nozione di atto in frode con valenza ingannatoria ai fini della revoca del concordato ex art. 173, comma 1, l. fall. presuppone che il debitore abbia occultato situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori e che siano state “scoperte” dal commissario.
Non è qualificabile come atto in frode il comportamento del debitore che già nel ricorso abbia indicato gli atti di disposizione del patrimonio, risultando ininfluente la successiva valutazione del Commissario.

Il caso

Il Tribunale di Ancona, d'ufficio, in pendenza del giudizio di omologa, revocava l'ammissione di una società al concordato ex art. 173 l. fall. poiché i commissari avevano rilevato atti di frode degli amministratori-soci, che avevano comportato un notevole aggravio dell'indebitamento quando la società era già in evidente stato di insolvenza.
Il decreto di revoca è stato reclamato dalla debitrice, che ha negato la riconducibilità delle condotte dissipatorie e distrattive, compiute antecedentemente la domanda di ammissione alla procedura di concordato, alla categoria degli “altri atti in frode”, in quanto atti privi di valenza ingannatoria per le determinazioni di voto dei creditori.
La Corte Territoriale marchigiana ha rigettato il reclamo, ritenendo invece che nella categoria degli “altri atti in frode” rientrino tutte quelle condotte dissipatorie o distrattive del patrimonio aziendale volte a determinare o aggravare lo stato di crisi o di insolvenza, potendosi individuare nel programma di ristrutturazione l'atto finale di una preordinata strategia con lo scopo di evitare il fallimento.
Nel caso di specie la società debitrice per anni, e sino alla presentazione della domanda di concordato, aveva costantemente aggravato l'indebitamento, quando già si trovava in stato di crisi e di insolvenza, mediante concessioni di prestiti e assunzioni di garanzie in favore della società controllante e di altre società collegate, riferibili allo stesso gruppo imprenditoriale, e con operazioni di compensazione di poste attive con poste passive, per importi rilevanti, senza neanche documentare l'effettiva entità del debito compensato.
La Corte anconetana ha ravvisato nel comportamento della debitrice una condotta ingannatoria, poiché i creditori non erano stati informati che le condotte di riduzione e depauperamento delle garanzie patrimoniali erano state compiute allorchè la società era già insolvente ed in favore di società collegate e della controllante, in violazione dei doveri di prudenza e diligenza.
Avverso la pronuncia di rigetto la debitrice ha fatto infine ricorso in Cassazione sulla base di due motivi.
Con il primo motivo, ai fini che qui interessano, la ricorrente ha denunciato il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 173 l. fall., poiché non ogni atto in frode sarebbe idoneo ad interrompere la procedura ex art. 173 l. fall., ma solo quelli che abbiano un nesso strumentale con la procedura concordataria e che siano quindi suscettibili di viziare il consenso dei creditori, circostanze che, asseritamente, non ricorrevano nella vicenda denunciata per avere votato i creditori essendo consapevoli degli atti compiuti dalla società debitrice, in quanto compiutamente informati dalla stessa con il ricorso, e con i documenti allegati, e quindi senza subire coercizione alcuna.
La Corte di cassazione ha dichiarato il motivo infondato e lo ha respinto per avere la Corte Territoriale applicato correttamente l'art. 173, comma 1, l. fall. alla luce del criterio ermeneutico letterale ex art. 12 disp. prel. c.c., avendo ravvisato l'atto in frode nella condotta del debitore volta ad occultare situazioni idonee ad influire sul giudizio dei creditori che, se conosciute, avrebbero potuto comportare una diversa e negativa valutazione della proposta, precisando che esse erano state “accertate”, cioè “scoperte” dal commissario giudiziale, essendo prima ignorate dagli organi della procedura e dai creditori.
Il Supremo Collegio, nel respingere il ricorso della debitrice, ha ritenuto però di chiarire che non può essere ravvisato il concetto di “atto in frode” nel comportamento del debitore che già nel ricorso segnali, a differenza di quanto accaduto nel caso esaminato, gli atti di disposizione del patrimonio, risultando ininfluente la successiva valutazione del commissario.

Le questioni giuridiche esaminate e la soluzione

L'art. 173, comma 1, l. fall. individua gli atti in frode secondo un criterio in parte tipizzato ed in parte, a chiusura, generico.
La nozione di “altri atti di frode” è assai ampia, così da poter prevedere ogni genere di atto illecito commesso dal debitore che abbia determinato un aggravamento del dissesto mediante l'accrescimento del passivo o la diminuzione dell'attivo, con conseguente pregiudizio dei creditori connesso alle diminuite garanzie di cui all'art. 2740 c.c.
La norma, vigente già nel R.D. n. 267/1942, non è stata toccata dalle diverse modifiche via via succedutesi dal 2005, fatta eccezione per l'abrogazione dell'iniziativa d'ufficio per la dichiarazione di fallimento e per le comunicazioni ai creditori da effettuare a mezzo PEC.
Il legislatore, pertanto, non ha abrogato la norma, e men che meno la rilevanza degli atti di frode, essendosi limitato a sostituire la previsione della dichiarazione d'ufficio del fallimento, quale effetto della soppressione del potere di dichiarare il fallimento in capo al Tribunale, con la revoca dell'ammissione alla procedura di concordato.
Il primo comma dell'art. 173 l. fall., da un punto di vista temporale, si riferisce a condotte poste in essere antecedentemente o coeve al deposito della domanda di concordato senza alcun riferimento ad eventuali fini ingannatori per il conseguimento di ingiusti vantaggi.
Il concetto degli atti di frode e della loro rilevanza ex art. 173 l. fall. è oggetto di un dibattito, in dottrina e giurisprudenza, che oscilla fra chi ritiene che siano qualificabili quali atti di frode gli atti accomunati dall'attitudine a creare un danno al patrimonio, quindi alle capacità satisfattive dei creditori, e chi invece ritiene che debbano essere considerati tali tutti quegli atti che dimostrino attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento, sottacendo l'esistenza di attività o aumentando artatamente il passivo, così da fare apparire più conveniente la soluzione concordataria rispetto alla liquidazione fallimentare.
In altre parole gli atti di frode dovrebbero ravvisarsi nell'avvenuto ingiustificato compimento di atti di diminuzione patrimoniale le cui attuali ricadute sull'interesse dei creditori di vedersi soddisfatti al meglio non siano state compiutamente illustrate nella domanda di concordato e nella proposta.
Il S.C., con la pronuncia n. 13817/2011, ha individuato come fraudolenti gli atti con valenza ingannatoria ai fini del consenso informato dei creditori, affermando altresì il principio che “…l'atto di frode, per avere rilievo, ai fini della revoca dell'ammissione, deve essere accertato dal commissario giudiziale e quindi dallo stesso scoperto essendo prima ignorato dagli organi della procedura e dai creditori (…) ipotesi questa che deve escludersi in relazione a condotte chiaramente individuate e rese note agli interessati del concordato…”.
La Corte, a tal proposito, ha sostenuto che al termine “accerta” non può essere attribuito il significato di “trova la conferma di quanto già enunciato nella domanda”, ma, piuttosto, quello di “scoprire” secondo un'interpretazione della norma con riferimento all'art. 12 preleggi.
Il concetto è stato ribadito nella successiva pronuncia n. 23387/2013 e riaffermato con vigore nella sentenza in esame.
Il ragionamento tuttavia non convince.
La norma indicata prevede che “…nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dall'intenzione del legislatore…”.
Pare dunque che il significato palese della parola “accertare” possa essere individuato in sinonimi quali ad esempio verificare, controllare, appurare, assodare, e non certo in quello di “scoprire”, espressione a cui possono essere invece accostati sinonimi quali smascherare, scovare, svelare.
Inoltre, a voler indagare sull'intenzione del legislatore, nella relazione al decreto correttivo del 2007 all'art. 14 si legge “…Il comma 1 sostituisce l'art. 173 del r.d., onde evitare che la dichiarazione di fallimento, nei casi ivi contemplati, possa atteggiarsi come mera sanzione rispetto a comportamenti scorretti del debitore. Si prevede, pertanto, la revoca dell'ammissione al concordato preventivo, ove si accertino i gravi fatti indicati dalla norma o la mancanza delle condizioni di ammissibilità. Si prevede altresì la dichiarazione di fallimento, ma solo su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero e previo accertamento dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5, nel rispetto, comunque, del diritto di difesa del debitore…”
Ne consegue che l'interpretazione della norma conforme all'art. 12 delle preleggi e all'intentio legis non sembra conciliarsi con interpretazioni abrogatrici che prevedano per la ravvisabilità degli atti di frode requisiti non contemplati dal testo.
Il Giudice di legittimità, invece, ha sostenuto che, in considerazione dell'avvenuta “privatizzazione” dell'istituto, non sono ravvisabili atti di frode ogni qualvolta il debitore abbia esplicitamente riconosciuto, per averlo dichiarato nella domanda, di aver compiuto, antecedentemente al deposito del ricorso, atti dispositivi del patrimonio in violazione dei più elementari doveri di diligenza e prudenza a danno dei creditori, con la sola eccezione del limite connesso all'abuso del diritto dell'istituto concordatario.
Con la pronuncia delle SS.UU. del 23 gennaio 2013 n. 1521 la Corte ha cercato di individuare un punto di equilibrio tra visione contrattualistica e pubblicistica del concordato, nel senso di confermare, da una parte, l'insindacabilità della proposta sul piano della fattibilità economica in capo ai creditori e, dall'altra, di riaffermare il ruolo di controllo della legalità della procedura in ogni sua fase in capo al Tribunale.
Ai fini del controllo, la norma cardine è per l'appunto l'art. 173 l. fall., che, nell'interpretazione delle Sezioni Unite, non costituisce uno strumento sanzionatorio, ma molto più semplicemente una norma sottesa al rispetto ed al mantenimento della legalità per evitare e prevenire abusi dell'istituto concordatario.
Secondo il principio reiterato nella pronuncia in esame, invece, l'autonomia contrattuale attribuita alle parti – debitore e creditori – può spingersi fino a ritenere ammissibile una proposta in cui vengono riconosciute delle gravi e rilevanti condotte frodatorie compiute antecedentemente al deposito della domanda sol perché permarrebbe sempre il vaglio dei creditori, i quali potrebbero bocciare la proposta. Si omette però di valutare che con l'introduzione del voto favorevole connesso al c.d. silenzio assenso del creditore la quasi totalità dei concordati viene approvata senza la manifestazione esplicita di un voto favorevole.
Il Giudice di legittimità, con la pronuncia n. 13817 del 23 giugno 2011, richiamata dalla sentenza esaminata, ha affermato che non è possibile attribuire una diversa interpretazione alla norma in esame, sussistendo il rischio di reintrodurre un “…incongruo fossile normativo del tutto incompatibile con la nuova disciplina in quanto reintrodurrebbe, in sostanza, il requisito, apertamente ripudiato dal legislatore, della meritevolezza da valutarsi da parte del Tribunale…”, omettendo ancora di considerare che, così opinando, si attribuirebbe all'istituto del concordato il valore del condono automatico, leggasi esdebitazione, peraltro a costo zero, degli atti fraudolenti anteriori, intenzione certamente non voluta dal legislatore.
Quest'ultimo, allorchè ha previsto provvedimenti premiali a fronte di condotte variamente illegittime (condoni fiscali per gli evasori, sanatorie per abusivismo edilizio, sconti di pena in favore dei collaboratori di giustizia), li ha qualificati espressamente quali eccezioni alla regola, fissandone altresì un prezzo minimo, quale corrispettivo del beneficio concesso.
Con la riforma del 2007 il legislatore ha eliminato tutti i prerequisiti soggettivi di meritevolezza dell'imprenditore, ma tale visione liberista non ha intaccato gli atti di frode di cui all'art. 173 l. fall.
Ne consegue che se l'attività frodatoria commessa antecedentemente al deposito della domanda di concordato non assume più rilevanza in quanto proveniente da soggetto indegno o poco meritevole per la sua storia, reta però rilevante sul piano oggettivo, naturalmente se ed in quanto tale condotta abbia un impatto negativo sulla proposta concordataria in termini di infattibilità giuridica, la cui valutazione è demandata esclusivamente al Tribunale, sia prima che dopo l'approvazione della proposta da parte dei creditori.
In tale contesto appare quindi più coerente ai fini dell'individuazione degli atti di frode rilevare il tempo in cui sono stati commessi, poiché ad esempio l'effettuazione in prossimità o a ridosso della presentazione della domanda di concordato preventivo attribuisce a tali atti una sicura connotazione frodatoria laddove abbiano determinato un danno rilevante e tale da aver significativamente ridotto o pregiudicato le capacità satisfattive dei creditori.
A ben vedere, la condotta del debitore che abbia distratto elementi dell'attivo a ridosso del deposito della domanda di concordato assume disvalore, oltre che sul piano giuridico, anche sul piano sociale, risultando piegato lo strumento del concordato, concepito come strumento di risanamento della crisi d'azienda, a mezzo per abusare di norme giuridiche pensate per tutt'altri fini.
In tale prospettiva la figura del commissario non può essere relegata al ruolo di “speleologo tecnico giuridico” o scopritore di atti sottaciuti, poiché, al contrario, quale organo della procedura, è chiamato ad accertare e vigilare, unitamente al Tribunale, sulla legalità della procedura, denunciando ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 161, sesto comma, e 173 l. fall. gli atti di frode aventi valenza e rilevanza ingannatoria a danno della massa dei creditori.
Infatti, se il bene giuridico protetto è il voto consapevole dei creditori, gli effetti di cui all'art. 173 l. fall. non possono essere limitati alle sole condotte disvelate ex post, dovendo invece riguardare tutti gli esiti degli accertamenti eseguiti sui fatti sociali, rivelati e non, sulla base anche di una riqualificazione degli stessi elementi comunicati dal debitore a seguito di un'indagine critica che faccia emergere ricadute negative a danno del ceto creditorio.
Da ultimo, a voler seguire l'impostazione del S.C. in tema di scoperta degli atti in frode, si potrebbe determinare un'ingiustificata disparità di trattamento fra il debitore che è stato ammesso alla procedura di concordato e che nella domanda ha esposto i diversi atti frodatori antecedentemente compiuti, con l'effetto di renderli intangibili, e il debitore che ha depositato una domanda di preconcordato, chiedendo il termine per la presentazione della proposta, del piano e degli altri documenti di cui all'art. 161, sesto comma, l. fall., e si veda dichiarare improcedibile la domanda a seguito di condotte di cui all'art. 173 l. fall. accertate dal commissario prima ancora del deposito della proposta e del piano, precludendogli la possibilità, e quindi il teorico diritto, di potersi autodenunciare e conseguire i vantaggi esdebitativi della procedura concordataria.

Conclusioni

E' innegabile che sul tema degli atti di frode sussista una discrasia fra i Giudici del merito e i Giudici di legittimità, in parte determinata anche dal compito non agevole dell'interprete, in considerazione di una infelice e mal coordinata formulazione letterale della volontà del legislatore che, anziché procedere ad una riforma ex novo del diritto fallimentare, ha preferito intervenire su un testo di ispirazione “calvinista” con parziali riforme di stampo, forse, liberista.
Per certo, la riforma dell'istituto concordatario è stata pensata nell'ottica del superamento dello stato di crisi dell'imprenditore da realizzare mediante un accordo privato con i suoi creditori, sottoposto al vaglio dell'autorità giudiziaria ai fini della verifica dei principi di legalità, con lo scopo di favorire la conservazione dei valori aziendali.
Ne consegue che il legislatore ha previsto l'istituto del concordato preventivo come un negozio a contenuti privatistici, quanto alla valutazione da parte dei creditori circa la convenienza o meno della proposta ai fini satisfattivi, e quale mezzo di superamento della crisi nell'ottica di salvaguardare aziende “zavorrate” ma potenzialmente risanabili.
Il tutto, però, sotto la supervisione del Tribunale, assistito dal commissario giudiziale, al fine di garantire la legalità della procedura.
Vien da pensare, dunque, che il legislatore abbia concepito la riforma con riferimento essenzialmente al concordato in continuità sul cui altare, forse in ossequio a tale ipotetica intentio legis, potevano essere sacrificate o non perseguite talune condotte frodatorie, quale controvalore della conservazione di valori aziendali destinati altrimenti al depauperamento.
La realtà concreta, purtroppo, testata quotidianamente dai Giudici sul territorio, è che l'istituto del concordato in continuità non è decollato, mentre vengono registrati quasi esclusivamente concordati liquidatori con cessione dei beni, senza indicazioni di percentuali garantite, finanche minime, per i creditori chirografari, concordati che, ove non arrestati dai Tribunali a fronte di conclamati abusi del diritto, e ricorrendone i presupposti ex art. 173 l. fall., risultano approvati per la quasi totalità con lo strumento del silenzio assenso, con l'effetto che anche il debitore disonesto può godere dell'esdebitazione senza apportare alcun ulteriore beneficio in favore dei creditori rispetto all'ipotesi del fallimento.
In tale contesto appare auspicabile un ripensamento del principio enunciato dal S.C. in tema di accertamento degli atti di frode in una prospettiva prossima alle valutazioni dei Giudici territoriali, interpreti più rigorosi del dettato normativo.
A tal proposito il Tribunale di Milano, con decreto del 20 febbraio 2013 (in ilFallimentarista.it), ha qualificato ad esempio, “…tra gli atti di frode antecedenti esclusivamente quelli che, per la loro collocazione temporale e il loro valore, ancora presentino nell'attualità una concreta rilevanza causale rispetto alla situazione di dissesto dell'impresa…”; il Tribunale di Bergamo, con decreto del 10 ottobre 2013 (in ilFallimentarista.it), ha indicato, quali criteri per l'individuazione degli atti in frode “…l'entità della diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, da considerarsi in rapporto alle dimensioni del dissesto, la maggiore o minore prossimità della sottrazione al momento di manifestazione della crisi, il maggiore o minore disvalore sociale della condotta fraudolenta…”; il Tribunale di Roma, con pronuncia del 20 aprile 2010, ha ravvisato gli atti in frode nei “…gravi fatti diretti ad aggravare il dissesto in modo consistente, che comportano un accrescimento del passivo o diminuzione dell'attivo, idonei ad arrecare pregiudizio diretto ai creditori, diminuendo la garanzia di cui all'art. 2740 c.c….”; il Tribunale di Siracusa, con pronuncia del 20 dicembre 2012, ha qualificato come atti di frode quegli “…atti che consentono di prospettare ai creditori, al fine di ottenerne il consenso, una surrettizia, incongrua ed errata rappresentazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice…”.
In tale prospettiva apparirebbe altresì necessario un ripensamento dell'espressione “accerta” riferita al commissario, che non può essere inteso come scopritore di condotte e/o fatti taciuti, quanto piuttosto quale certificatore di condotte frodatorie accertate a seguito di un esame critico valutativo dei fatti sociali, indipendentemente dalla loro eventuale più o meno palese esplicitazione nella domanda.
In tal senso il S.C. con la pronuncia del 18 aprile 2014 n. 9050 parrebbe aver avuto un ripensamento, essendo stato sostenuto che, con “…riferimento agli atti accertati dal commissario, la l. fall., articolo 173, comma 1, non esaurisce il suo contenuto precettivo nel richiamo al fatto “scoperto” perché ignoto nella sua materialità, ma ben può ricomprendere il fatto non adeguatamente e compiutamente esposto in sede di proposta di concordato ed allegati, e che quindi può dirsi “accertato” dal commissario, in quanto individuato nella sua completezza e rilevanza ai fini della corretta informazione dei creditori, solo successivamente. Ed il giudizio che riscontri la differenza rilevante tra quanto esposto nella proposta e quanto risultante dagli accertamenti del commissario integra un chiaro giudizio di fatto, sottratto al vaglio di legittimità, se congruamente motivato…”.
Nel caso di specie erano stati riconosciuti come atti di frode le condotte degli organi societari che, sebbene esposte nella proposta concordataria, non erano state adeguatamente evidenziate nella loro gravità, con l'effetto che su segnalazione del commissario giudiziale potevano giustificare la revoca del concordato ex art. 173 l. fall. poiché rilevanti ai fini del consenso informato dei creditori e della manifestazione di voto.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Sulla rilevanza degli atti in frode ai fini della revoca ex art. 173 l. fall. si segnala Cass. 23 giugno 2011 n. 13817 e la “gemella” n. 13818, nonchè Cass. 15 ottobre 2013 n. 23387; in senso conforme, fra la giurisprudenza di merito, Trib. Padova, 30 maggio 2013 in ilFallimentarista.it.
In senso difforme, fra le altre, Trib. Monza, 2 settembre 2011, in ilcaso.it; Trib. Milano, 14 febbraio 2013, Trib. Milano, 28 febbraio 2013, Trib. Milano, 2 maggio 2013, ilFallimentarista.it con commento di Roberto Amatore; Trib. Bologna, 27 febbraio 2013, ivi; Trib. Udine, 16 aprile 2013, avvocati.ud.it; Trib. Bergamo, 10 ottobre 2013, in ilFallimentarista.it, con commento di E.Ricciardiello; Liccardo, Commento all'art. 173 l. fall., in Nigro-Sandulli-Santoro, La legge fallimentare dopo la riforma, vol. III, Torino 2010, 2168 ss.; Filocamo, Art. 173 primo comma l. fall. nel “sistema” del nuovo concordato preventivo, in Fall. 2009, 1467; Fauceglia, Revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, 2009, 1700; Galletti, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. Comm., 2009, I, 730 e ss.; Alberto Tedoldi, Il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano e l'art. 173 l. fall. nel concordato preventivo, ovvero, la Cassazione e il “cigno nero”, in ilcaso.it, II, dottrina e opinioni n. 270/2011.

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