Proposta concordataria: i confini dell'autonomia privata tra par condicio e controllo del Tribunale

Chiara Ravina
17 Settembre 2014

Non è compatibile con il sistema della legge fallimentare e con il sistema dei privilegi la proposta concordataria che preveda la concessione ad un creditore bancario di una prelazione/privilegio sulle somme che potessero essere conseguite dall'instaurazione di una vertenza giudiziale contro un soggetto terzo.
Massima

Non è compatibile con il sistema della legge fallimentare e con il sistema dei privilegi la proposta concordataria che preveda la concessione ad un creditore bancario di una prelazione/privilegio sulle somme che potessero essere conseguite dall'instaurazione di una vertenza giudiziale contro un soggetto terzo.

Ugualmente non è coerente con il sistema della legge fallimentare la previsione di un vero e proprio diritto di veto sulle decisioni che potranno essere prese dagli organi della procedura in merito alla vertenza giudiziaria contro il soggetto terzo.

Il caso

Una ditta di costruzioni presenta innanzi al Tribunale di Verona una proposta di concordato preventivo di natura liquidatoria. La proposta si caratterizza per essere duplice, nel senso di prevedere la formulazione di due diverse proposte alternative da presentare contestualmente ai creditori per la loro approvazione. La proposta che verrà attuata, previa omologa del Tribunale, sarà quella approvata dal maggior numero di crediti.
Preliminarmente all'illustrazione delle due proposte, ed al fine di una migliore comprensione delle stesse, è opportuno fornire un quadro sintetico del contesto nel quale si inserisce la procedura concordataria in questione.
Orbene, nella descrizione delle cause della crisi, la società afferma che il ricorso alla procedura concordataria sarebbe stato determinato “esclusivamente” da un'operazione immobiliare promossa da un Comune mediante gara ad evidenzia pubblica ed avente ad oggetto la progettazione, costruzione e gestione in diritto di superficie di un parcheggio interrato, secondo lo schema del project financing previsto dalla normativa del D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (di seguito, il “Codice degli Appalti”).
In particolare, stando a quanto riferito dalla società, a seguito dell'aggiudicazione ad essa a seguito della “gara” ad evidenza pubblica promossa da detto Comune e della stipula di apposita convenzione ai sensi del Codice degli Appalti, il Comune sarebbe poi risultato inadempiente a molti degli obblighi previsti nella convenzione, tra cui, in primis, quello di porre in essere gli atti necessari per il riequilibrio del Piano Economico Finanziario allegato alla convenzione medesima; piano che, a causa di una serie di circostanze sopravvenute e imputabili – stando alla società – al Comune, sarebbe risultato inadeguato a coprire i costi di realizzazione dell'opera inizialmente preventivati. Risultato: tali inadempimenti avrebbero causato lo stato di crisi della società che si sarebbe trovata costretta a risolvere la citata convenzione per inadempimento del concedente Comune ed a presentare domanda di ammissione alla procedura di preconcordato con ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall. cui hanno fatto seguito la proposta ed il piano.
Non solo. A seguito della risoluzione della convenzione è venuto meno il rapporto di concessione e, quindi, anche il diritto di superficie concesso dal Comune alla società sull'area di costruzione del parcheggio e, correlativamente, l'ipoteca sul diritto di superficie che la società aveva costituito a favore dell'istituto bancario finanziatore del progetto; istituto che, pertanto, si è visto “degradare” il proprio credito dal rango ipotecario al rango chirografario.
Sotto questo profilo, la società, nel proprio ricorso, ha dato atto, inter alia, della propria intenzione di promuovere (a) un'azione risarcitoria nei confronti del Comune ai sensi dell'art. 158 Codice Appalti i cui proventi (id est l'indennizzo pagato dal concedente al concessionario), in caso di esito positivo, sarebbero andati a beneficio, in via prioritaria, del creditore bancario che aveva finanziato l'opera (l'art. 158 Codice Appalti stabilisce infatti che: “Qualora il rapporto di concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente ovvero quest'ultimo revochi la concessione per motivi di pubblico interesse, sono rimborsati al concessionario a)….b)… e c)….le somme di cui al comma 1 sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori….e sono indisponibili da parte di quest'ultimo [il concessionario ndr] fino al completo soddisfacimento di detti crediti”) e (b) un'azione di indennizzo ex art. 2041 c.c. in via subordinata e residuale per l'ipotesi in cui l'azione ex art. 158 Codice Appalti non avesse trovato accoglimento.
Fatta questa premessa, descriviamo brevemente le due proposte alternative; la prima delle quali – lo anticipiamo sin d'ora – è stata ritenuta inammissibile dal Tribunale di Verona con il decreto che si segnala, in quanto ritenuta “incompatibile con il sistema della legge fallimentare e in generale con il sistema dei privilegi”.
Tale proposta (che convenzionalmente chiameremo “Proposta A”) è subordinata all'accettazione, da parte del creditore bancario di cui in precedenza, di un accordo stragiudiziale con la società (accordo che dovrà essere perfezionato prima dell'adunanza dei creditori e sottoposto al consenso della maggioranza in sede di votazione della/e proposta/e concordataria/e) in forza del quale l'istituto bancario acconsente, inter alia, che nell'ambito della proposta di concordato il proprio credito relativo al finanziamento concesso per la realizzazione del parcheggio interrato venga soddisfatto esclusivamente con il ricavato delle due azioni giudiziarie di cui in precedenza. Detto in altri termini, in base alla Proposta A il creditore bancario dovrebbe rinunciare sin da subito alla parte di credito relativo al finanziamento-parcheggio che non dovesse essere soddisfatto con i proventi delle azioni giudiziarie, anziché concorrere, per detto credito, con gli altri creditori chirografari sulla residua parte del patrimonio. Precisiamo, a latere, che l'istituto bancario è titolare di altri crediti ipotecari su immobili oggetto di dismissione nell'ambito del piano concordatario e che, in base al piano, devono essere soddisfatti non appena la società riceve il corrispettivo della cessione dei cespiti interessati.
Il fine precipuo di tale accordo è (chiaramente) quello di far sì che la massa passiva chirografaria non comprenda la parte del credito (originariamente) ipotecario dell'istituto bancario, poi “degradato” a chirografo a seguito della risoluzione della convenzione, così da incrementare la percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari e rendere più “appetibile” la proposta di concordato. Come contropartita della “rinuncia” dell'istituto bancario alla parte di credito non soddisfatta con i proventi delle azioni giudiziarie (proventi che potrebbero essere teoricamente pari a zero), la società offre alla banca una sorta di prelazione “convenzionale” anche sui proventi dell'azione residuale ex art. 2041 c.c.; prelazione che, ai sensi di legge, è invece prevista espressamente soltanto ai sensi dell'art. 158 Codice Appalti. In tal modo il creditore bancario avrebbe la certezza che qualsivoglia delle due azioni venga accolta, esso avrà una prelazione sui relativi proventi. Qualora la Banca dovesse accettare questo “accordo” non avrebbe diritto di voto sulla Proposta A per la parte di credito derivante dall'operazione-parcheggio (stante la sua natura “privilegiata”) e la Proposta A rimarrebbe quindi sottoposta al vaglio esclusivo degli altri creditori, i quali, attraverso il proprio voto favorevole, “legittimerebbero” la concessione del privilegio “convenzionale” sui proventi dell'azione ex art. 2041 c.c. a favore della banca.
Veniamo ora all'altra proposta (che convenzionalmente chiameremo “Proposta B”) prevista per l'ipotesi in cui l'istituto bancario non dovesse accettare l'accordo sopra descritto. In base a questa proposta, il credito della banca derivante dall'operazione-parcheggio avente rango chirografario si soddisferebbe su tutto l'attivo in concorso con gli altri creditori (con conseguente diminuzione della percentuale di soddisfazione offerta ai creditori chirografari e minore “appetibilità” della proposta concordataria). Resta fermo che, in caso di esito vittorioso dell'azione ex art. 158 Codice Appalti, l'indennizzo sarà destinato in via prioritaria all'istituto bancario ai sensi di legge. Al contrario se l'azione vittoriosa dovesse risultare quella residuale promossa ai sensi dell'art. 2041 c.c., nessuna prelazione avrebbe la Banca sul relativo indennizzo – che quindi verrebbe distribuito tra tutti i creditori secondo un principio di par condicio creditorum - stante la mancanza di un accordo espresso in tal senso con la società.
Infine, per quanto qui interessa, rileviamo che in entrambe le Proposte A e B è previsto che il legale rappresentante della società mantenga un vero e proprio diritto di veto sulle decisioni che gli organi della procedura vorranno adottare in merito alle azioni giudiziarie (es. su eventuali accordi transattivi e quant'altro) nei confronti del Comune. Trattasi dell'unica previsione specifica in materia di modalità di liquidazione che la proposta concordataria contiene, dovendosi per il resto applicare - possiamo ragionevolmente ritenere - le previsioni di legge.

Le questioni giuridiche rilevate dal Tribunale in sede di ammissione del ricorso e la soluzione adottata

Prima ancora che l'istituto bancario abbia modo di esprimere il proprio eventuale assenso rispetto alla Proposta A, il Tribunale, nell'esaminare il ricorso ex art. 160, comma 6, l. fall. al fine di valutare l'ammissibilità della proposta, rileva una serie di criticità nella Proposta A che potrebbero rendere la proposta concordataria nel suo complesso incompatibile con il “sistema della legge fallimentare” e quindi “rappresentare ostacoli giuridici all'ammissibilità della proposta” medesima; conseguentemente, in sede di udienza camerale, invita la società ad apportare le dovute modifiche. Anticipiamo sin d'ora che all'esito delle richieste del Tribunale, la Proposta A verrà integralmente eliminata e rimarrà la sola Proposta B.
Ma andiamo con ordine e analizziamo qui di seguito i profili di criticità sollevati dal Tribunale rispetto alla Proposta A. Tali profili riguardano essenzialmente:
(a) la possibilità di segregare una parte del patrimonio a favore di taluni soltanto dei creditori e/o di attribuire ad un creditore un privilegio su una parte del patrimonio dell'attivo del debitore (o comunque proveniente da) a detrimento degli altri creditori;
(b) l'ammissibilità della previsione di possibile non pagamento in alcuna misura di taluni creditori;
(c) l'interferenza che può determinare la conservazione in capo al legale rappresentante di poteri di veto sulla definizione del contenzioso con il Comune con quelli del liquidatore e degli organi della procedura.
La questione sub (a): previsione di un privilegio “convenzionale” a favore del creditore bancario
La questione sub (a) fa riferimento alla circostanza che, in base alla Proposta A, l'indennizzo derivante dall'azione ex art. 2041 c.c. viene destinato in via prioritaria al soddisfacimento del credito della banca, creando così un privilegio ad hoc per un singolo creditore a detrimento degli altri. In sede di verbale di udienza (qui allegato) il Tribunale qualifica questa previsione anche come “segregazione” (in senso lato ovviamente) di una parte del patrimonio a favore di taluni dei creditori; qualifica che rimanda alla problematica del rapporto tra gli atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c. con le procedure concorsuali (sugli atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nell'ambito delle procedure concorsuali si v. ex multis Tribunale Ravenna 22 maggio 2014 (decr.); Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014 (decr.); Tribunale Chieti, 14 maggio 2013 (decr.); Cass. 8 giugno 2013 n. 9373; Trib. Roma 25 luglio 2012 (decr.)).
Sotto questo profilo il Tribunale ritiene non ammissibile “una proposta che preveda l'attribuzione di un privilegio su una parte del patrimonio dell'attivo del debitore (comunque proveniente) a detrimento degli altri creditori” per incompatibilità della stessa con il sistema della legge fallimentare e con il sistema dei privilegi in quanto “questi ultimi sono previsti unicamente dalla legge e non sono disponibili dalle parti” come conferma “il disposto dell'art. 160 penultimo comma l. fall. che comunque impone sempre il rispetto della clausole legittime di prelazione”.
Ci pare che la posizione del tribunale veronese sia del tutto condivisibile, in quanto la creazione di un privilegio “convenzionale” nell'ambito di una procedura concorsuale come il concordato preventivo costituisce una palese deroga al principio di par condicio creditorum e dà luogo potenzialmente ad una violazione del divieto di alterazione delle cause legittime di prelazione previsto dall'art. 160, comma 2, ultima parte, l. fall.
Sotto quest'ultimo profilo, si pensi all'ipotesi in cui le risorse rivenienti dalla liquidazione della massa attiva concordataria non dovessero essere sufficienti, contrariamente alla previsioni del piano, per soddisfare un creditore privilegiato, vuoi integralmente e/o nella percentuale falcidiata ex art. 160, comma 2, l. fall. prevista nel piano, mentre l'azione giudiziaria ex art. 2041 c.c. dovesse avere esito positivo. Il risultato sarebbe che il creditore bancario (chirografario) verrebbe soddisfatto con prelazione sull'indennizzo derivante dall'azione ex art. 2041 c.c. mentre un creditore privilegiato potrebbe teoricamente rimanere insoddisfatto o soddisfatto per importi inferiori alle previsioni del piano; con ciò si avrebbe, evidentemente, un'alterazione dell'ordine delle cause legittime di prelazione in violazione dell'art. 160, comma 2, ultima parte, l. fall. (secondo l'opinione prevalente in giurisprudenza la possibilità di pagare il creditore chirografario, senza essere vincolati al rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione riguarderebbe esclusivamente l'ipotesi di acquisizione di cd. nuova finanza. La posizione giurisprudenziale che ammette il pagamento dei chirografari anche in caso di soddisfacimento non integrale dei creditori titolari di privilegi generali mobiliari e in assenza di c.d. nuova finanza è invece minoritaria e comunque ammette tale pagamento in misura inferiore a quella dei privilegiati generali. Per una panoramica delle diverse posizioni si v. l'indagine OCI sulla prassi dei Tribunali, “Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione”, a cura di M. FERRO, P. BASTIA, G.M. NONNO, Milano 2013, 80 e ss.) . Potrebbe inoltre ravvisarsi un' ipotesi in cui il concordato potrebbe essere oggetto di un'azione di risoluzione per inadempimento promossa dai creditori soddisfatti in maniera difforme rispetto alla previsioni concordataria approvate e omologate; e ciò sempre che l'inadempimento sia qualificabile come di “non scarsa importanza” (in merito ai criteri che il Tribunale deve adottare in caso di azione di risoluzione di un concordato preventivo per valutare quando si sia dinanzi ad un inadempimento di non scarsa importanza e come tale idoneo a legittimare la risoluzione si v. F. LAMANNA, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza nel giudizio di omologazione del concordato preventivo, in IlFallimentarista, 60 e ss., ove si fa in particolare riferimento al criterio utilizzato dal Tribunale di Milano che considera rilevanti, in linea di massima, gli inadempimenti che presentano una sproporzione di valori o di quote o di prestazioni pari al 25%, ferma restando la possibilità di valutare diversamente ogni singola ipotesi concreta).
Al riguardo, le argomentazioni esposte dalla società in sede di udienza camerale, secondo cui la concessione del privilegio “convenzionale” a favore del creditore bancario e, in generale, i termini della Proposta A riguarderebbero un profilo di convenienza della proposta concordataria - che, come tale, sarebbe rimesso esclusivamente al sindacato dei creditori, i quali, approvando la proposta in sede di adunanza, approverebbero anche l'attribuzione “convenzionale” del privilegio al creditore bancario - non convincono (e si noti che la questione relativa ai rapporti tra il trattamento preferenziale sull'indennizzo derivante dall'azione giudiziaria e l'ordine delle cause legittime di prelazione si potrebbe porre anche in relazione alla prelazione sull'indennizzo derivante dall'azione ex art. 158 Codice Appalti che contempla, in favore dei finanziatori, un meccanismo di destinazione prioritaria degli indennizzi dovuti da parte del concedente al concessionario in caso di risoluzione della convenzione per inadempimento del primo ovvero di revoca della concessione per motivi di pubblico interesse. Al riguardo non è chiaro, ad esempio, se gli indennizzi derivanti dall'azione ex art. 158 Codice Appalti da destinare ai finanziatori in via prioritaria debbano essere decurtati di una quota delle spese generali analogamente a quanto accade per le entrate derivanti dalla vendita di beni oggetto di ipoteca o privilegio ex art. 111-ter, comma 3, l. fall. Inoltre, è stato rilevato da più Autori come tale previsione – che introduce una garanzia “atipica” - sia destinata a spiegare potenziali effetti in caso di assoggettamento del concessionario a procedura concorsuale e si è manifestata l'opportunità di adottare disposizioni di coordinamento con la normativa fallimentare; così, M. CERRITELLI, in Il Project Financing – analisi giuridica, economico-finanziaria, tecnica, tributaria, bancaria, assicurativa, a cura di M. MARIANI e V. MENALDI, Torino, 2012, 633). Invero, il sistema dell'ordine dei privilegi ed il principio di par condicio creditorum attengono all'ambito delle norme imperative, e quindi non disponibili dalle parti, sul cui rispetto il Tribunale è chiamato a vigilare in sede di vaglio di ammissibilità della proposta oltre che nelle fasi successive nelle quali è chiamato ad “intervenire” (es. giudizio di omologa). Peraltro, è stata la stessa società ad ammettere nei propri scritti difensivi che il ruolo del Tribunale (come delineato dalla Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013 citata più volte) è quello di verificare che non risultino violate norme imperative di legge e che ai creditori sia stato fornito ogni elemento utile ai fini della valutazione (per un commento critico su tale sentenza si v. F. LAMANNA, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: “così è se vi pare”, in IlFallimentarista.it).
Ciò, del resto, trova conferma nelle norme di legge, in quanto ai sensi dell'art. 162, comma 2, l. fall. il tribunale, in sede di giudizio di ammissibilità, è espressamente chiamato a verificare la ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 160, comma 1 e 2, e 161 l. fall. e, pertanto, anche del rispetto dell'ordine della cause legittime di prelazione, previsto, per l'appunto, dall'art. 160, comma 2, ultima parte, l. fall. (sull'individuazione dei limiti del potere di controllo del tribunale nella fase di ammissione alla procedura e sul dibattito in giurisprudenza e dottrina prima della sentenza della Cassazione Sezioni unite 23 gennaio 2013 n. 1521, si v. F. LAMANNA, Il controllo giudiziale sulla fattibilità e la convenienza del giudizio di omologazione del concordato preventivo, in IlFallimentarista.it).
Quanto alla qualificazione che il Tribunale fa della fattispecie in oggetto in sede di udienza camerale come “segregazione” di una parte del patrimonio a favore soltanto di taluni dei creditori (v. relativo verbale), essa, come anticipato, rimanda alla problematica dei rapporti tra gli atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e il rispetto del principio di par condicio creditorum nelle procedure concorsuali.
Trattasi, come noto, di un istituto che ormai la prassi concorsualistica presenta sempre più spesso, sia come atto di destinazione costituito direttamente dal debitore sui propri beni al fine di preservarli indenni da aggressioni prima del deposito della domanda di concordato ovvero di pre-concordato, sia come atto ad opera i terzi per offrire nuova finanza, ovvero garanzie in supporto al piano del debitore concordatario.
A fronte di tale prassi, però, l'ammissibilità di questo istituto a fini concordatari non è del tutto pacifica. Si consideri che, tra i requisiti richiesti per la validità e/o opponibilità a terzi dell'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c., vi è quello della meritevolezza degli interessi che l'atto va a tutelare ex art. 1322 c.c. (sul dibattito dottrinale in merito al giudizio di meritevolezza dell'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. ed alla sua valenza quale presupposto di validità dell'atto ovvero di mera opponibilità a terzi, si v. A. PEZZANO, L'atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. “preventivo” del debitore, di “supporto” del terzo ed il concordato…preventivo, in commercialisti.fi.it).

Orbene, mentre secondo una parte della giurisprudenza l'interesse meritevole di tutela di cui all'art. 2645-ter c.c. sarebbe esclusivamente quello che persegue interessi di solidarietà sociale - come dimostrerebbe il riferimento, contenuto nella norma, alle persone con disabilità, enti e pubbliche amministrazioni, quali beneficiari degli atti di destinazione – con la conseguenza che se ne dovrebbe escludere l'applicazione in ambito di procedure concorsuali (così, Tribunale Vicenza 31 marzo 2011 secondo cui: “La trascrizione del vincolo di destinazione ex art. 2645-ter c.c. eseguita a favore dei creditori di un imprenditore in crisi non è opponibile ai creditori iscritti successivi, in quanto gli interessi meritevoli di tutela ex art. 2645-ter c.c. attengono rigorosamente alla sfera della solidarietà sociale e, diversamente opinando, si consentirebbe ad un atto di autonomia privata di incidere sul regime legale inderogabile della responsabilità patrimoniale. Pertanto di già in sede di ammissione alla procedura di concordato preventivo, va negata la fattibilità del piano che prefiguri l'acquisizione delle necessarie risorse finanziarie sulla base della menzionata opponibilità”); secondo un altro orientamento, l'interesse meritevole di tutela di cui all'art. 2645-ter c.c. dovrebbe essere, invece, inteso in senso ampio – come dimostra il riferimento generico contenuto nella norma a “altri enti o persone fisiche“ ed alla meritevolezza dell'art. 1322 c.c. In quest'ottica, rientrerebbero tra gli interessi meritevoli di tutela quelli relativi alla tutela dell'attività di impresa (da un lato) e del credito (dall'altro lato) (si v. Tribunale Lecco, 26 aprile 2012: “considerato quindi senza limiti il rinvio alla meritevolezza ex art. 1322 comma 2 c.c. ed evitando di addentrarsi nel dibattito sulla definizione di tale ultima nozione, questo Collegio nota che senza dubbio la finalità perseguita nel caso di specie, che consiste nell'assicurare una soddisfazione proporzionale ai creditori non ancora muniti di cause di prelazione, deve reputarsi degna di riconoscimento dall'Ordinamento”).
Nell'ambito dell'orientamento giurisprudenziale che ammette l'atto di destinazione a fini concordatari resta fermo, però, che il contratto di destinazione non deve imporre alcun vincolo o limitazione rispetto ai vari creditori, vale a dire che i beni del debitore ed i relativi frutti devono essere destinati a tutti i creditori, all'interno e secondo le regola della procedura concorsuale; ciò per evitare che esso stesso rappresenti una violazione dei precetti di legge in tema di par condicio creditorum (artt. 2740 e 2741 c.c. e art. 160, co. 2, l. fall.). Del resto e, più in generale, un atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. che violasse la par condicio creditorum e/o l'ordine delle cause legittime di prelazione non potrebbe certamente essere idoneo a perseguire gli “interessi meritevoli di tutela” cui la norma si riferisce.
Ecco allora che, volendo trasporre quanto precede nel caso di specie, si può affermare che qualora (i) la banca avesse accettato l'accordo sotteso alla Proposta A e (ii) tale proposta fosse stata approvata da una maggioranza dei crediti superiore a quella della Proposta B, la “segregazione” che si sarebbe attuata a favore del creditore bancario sulla parte (eventuale) dell'attivo concordatario costituita dagli indennizzi delle azioni giudiziarie – e in particolare di quella residuale ex art. 2041 c.c. che, contrariamente all'art. 158 Codice Appalti, non contempla ex lege alcuna forma di destinazione preferenziale - avrebbe costituito una palese deroga al principio di par condicio creditorum. Correttamente dunque – a nostro modo di vedere – il Tribunale di Verona ha escluso l'ammissibilità di tale soluzione assimilandola ad una “segregazione” (in senso lato) a favore di taluni dei creditori soltanto e dunque in violazione della par condicio creditorum (per un precedente analogo del medesimo tribunale si v. la pronuncia 13 marzo 2012, che ha esaminato un caso in cui il debitore destinante aveva posto limiti alla destinazione di dubbia liceità: “nell'atto costitutivo del vincolo oggetto del presente procedimento si afferma infatti espressamente che i beni immobili saranno destinati al soddisfacimento dei crediti dei soggetti «che vi aderiranno»).
Da ultimo vale la pena di segnalare un'ulteriore questione, su cui il Tribunale non si è pronunciato, riguardante la possibile non ammissibilità dell'azione ex art. 2041 c.c. nel caso di specie.
É infatti principio consolidato che tale azione abbia carattere residuale e, come tale, sia proponibile soltanto in assenza di un'altra azione tipica espressamente prevista e codificata, utile all'ottenimento del medesimo risultato della reintegrazione patrimoniale (si v. ex multis Trib. Monza, 14 maggio 2013; nonché Cass. 22 marzo 2012 n. 4620); nel caso specifico, tuttavia, tale azione specifica è presente, essendo appunto l'azione di indennizzo ex art. 158 Codice Appalti. E' dunque ben possibile che nel giudizio instaurato nei confronti del Comune la difesa di quest'ultimo opponesse l'inammissibilità dell'azione ex art. 2041 c.c. e che tale eccezione fosse accolta. In questo caso, l'istituto bancario che avesse accettato la Proposta A - rinunciando in tale ambito alla parte di credito chirografaria non soddisfatta con i proventi delle azioni giudiziarie per avere “in cambio” la prelazione sugli indennizzi (anche) dell'azione ex art. 2041 c.c. – si sarebbe ritrovato titolare di una prelazione convenzionale sugli indennizzi di un'azione di fatto inammissibile, così che la Proposta A nulla avrebbe offerto in più rispetto alla Proposta B (prelazione ex lege sui proventi della sola azione ex art. 158 Codice Appalti).
A tale proposito è ragionevole ipotizzare – fermo restando che di mere ipotesi si tratta - che il Tribunale non abbia preso in esame questo profilo, in primo luogo perché “assorbito” dalle altre criticità della Proposta A e, in secondo luogo, perché esso sembra rientrare più in una valutazione di convenienza/probabilità di successo del piano che non di stretta fattibilità.
La questione sub (b): l'ammissibilità della previsione di possibile non pagamento in alcuna misura di taluni creditori
La questione sub (b) fa riferimento all'ipotesi in cui l'istituto bancario, accettando la Proposta A e quindi rinunciando alla parte di credito (chirografo) derivante dall'operazione parcheggio che non risultasse soddisfatto con gli indennizzi delle azioni giudiziarie, si ritrovi a non essere soddisfatto per nulla in relazione al predetto credito nell'ipotesi in cui le azioni giudiziarie dovessero avere esito negativo.
Orbene, tale profilo pare è stato affrontato in sede di udienza camerale, nel senso che su di esso è stato chiesto alla società di fornire dei chiarimenti, come emerge dal verbale allegato. Tuttavia, nel decreto in esame, esso non risulta più menzionato, per cui non abbiamo alcuna indicazione esplicita in tal senso da parte del Tribunale.
Quello che si può ragionevolmente ipotizzare è che il Tribunale si sia posto il problema nell'ambito dell'espletamento del giudizio sulla “fattibilità” del piano concordatario nei limiti indicati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 23 gennaio 2013 n. 1521. Come noto, quest'ultima pronuncia ha stabilito, inter alia, che il Tribunale può dichiarare inammissibile una proposta di concordato che “prima facie” appaia inidonea a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati nel rispetto dei termini di adempimento previsti (con riguardo ai profili critici della suddetta sentenza 23 gennaio 2013 n. 1521 si rimanda al sopra citato commento di F. LAMANNA, il quale rileva come il sindacato del Tribunale sotto questo profilo sia in realtà un sindacato di merito che, in via di principio, la Corte di Cassazione esclude: “Non si comprende dunque perché il Tribunale possa recuperare in tal caso un potere di valutazione della fattibilità economica che gli sarebbe di norma precluso. O questo potere ce l'ha o non ce l'ha, e non si vede come possa incidere su tale evidenza la rilevabilità “prima facie” del difetto di fattibilità economica, quasi che si possa sottrarre ai creditori quello che la S. Corte considera un potere di valutazione di loro esclusiva pertinenza solo quando il Tribunale non deve…faticare troppo a leggere le carte per capire che il piano è irrealizzabile”. Nel senso che il sindacato del tribunale abbia ad oggetto la “fattibilità giuridica” del piano da intendersi nel senso che il piano deve consentire il superamento della situazione di crisi e il soddisfacimento dei creditori, sia pure ipoteticamente modesto e parziale e che quindi è inammissibile la proposta concordataria che escluda del tutto il pagamento a favore di taluni creditori, si v. ex multis Appello Bologna, 7 novembre 2013.; Tribunale di Roma, 29 gennaio 2014 n. 6. Più in generale in tema di controllo del Tribunale sulla fattibilità del piano concordatario si rinvia a D. GALLETTI, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum? in IlFallimentarista; G. FAROLFI, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del Tribunale, in IlFallimentarista; G. BERSANI, Concordato preventivo: il controllo di “fattibilità giuridica” ed i rapporti con l'attestazione del professionista, in Il Fallimentarista).
Ciò detto, se davvero il Tribunale di Verona intendeva fare riferimento a quanto precede, vi è da chiedersi, però, in quale misura la fattispecie concreta integrasse un'ipotesi di mancato soddisfacimento di un creditore anche in minima parte. Invero, come anticipato, il creditore bancario in questione era titolare di ulteriori crediti derivanti da finanziamenti garantiti da ipoteca su cespiti della società per cui era prevista la liquidazione ed il pagamento del creditore ipotecario, per cui non è del tutto corretto affermare che tale creditore non avrebbe ricevuto soddisfazione alcuna. Non solo, quand'anche non fosse stata prevista (ipoteticamente) alcuna forma di soddisfazione per nessuno dei crediti vantati dal creditore bancario, c'è da dire però che nell'ambito della Proposta A era espressamente previsto che tale “assetto” (id est la rinuncia alla parte di credito chirografaria non soddisfatto con gli indennizzi derivanti dalle azioni giudiziarie) fosse subordinato ad un previo accordo tra la Banca e la società.
Sotto questo profilo, ci si potrebbe domandare se non possa ritenersi ammissibile una proposta che preveda di non pagare alcunché ad alcuni dei creditori (chirografari) in presenza di un espresso patto in tal senso intercorso tra gli stessi ed il debitore (per un riferimento a questa ipotesi, si v. F. LAMANNA, cit., 24, ove si legge: “Per quanto ovvio, conviene peraltro puntualizzare che, però, il concordato in questi casi resterebbe comunque ammissibile se i singoli creditori di cui si preveda, o si tema, il mancato soddisfacimento anche solo in minima parte, spontaneamente rinunciassero al proprio credito concludendo con il debitore un patto in tal senso (della più varia tipologia anche concordando l'integrale postergazione)”). Infatti, un conto è la proposta concordataria che escluda del tutto il pagamento di un credito, costringendo il relativo titolare a subire l'esito di un voto a maggioranza che sia favorevole (anche) a tale esclusione – e qui non v'è dubbio che tale proposta debba ritenersi inammissibile - ; altro conto è che il creditore non pagato per nulla abbia spontaneamente rinunciato al proprio credito concludendo un patto in tal senso con il debitore.
La questione sub (c): la possibile interferenza tra la conservazione in capo al legale rappresentante di poteri di veto sul contenzioso con il Comune con quelli del liquidatore e degli organi della procedura
La questione sub (c) è legata alla problematica delle modalità di liquidazione previste dal legge e del loro rapporto con eventuali disposizioni previste nella proposta concordataria.
Al riguardo, la società, in sede di udienza camerale, ha sostenuto la legittimità della previsione che attribuiva al proprio legale rappresentante il potere di porre un diritto di veto sui termini di un'eventuale transazione nelle cause giudiziarie contro il Comune sul presupposto che tale previsione integrasse una sorta di liquidazione “vincolata” e predeterminata che, a norma dell'art. 182 l. fall., esulerebbe dal sindacato del Tribunale, una volta approvata dai creditori mediante l'approvazione della proposta concordataria nel suo complesso.
Sotto tale profilo, vale la pena ricordare che ai sensi dell'art. 181 l. fall. la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione; e che ai sensi del successivo art. 182, comma 1, l. fall., in presenza di concordato con cessione dei beni, il tribunale nomina, nel citato decreto di omologazione, uno o più liquidatori ed un comitato formato da un numero di creditori variabile da tre a cinque componenti, ai quali sono applicabili le disposizioni dettate nella legge fallimentare in tema di liquidazione. L'art. 182 l. fall. prescrive altresì che nel decreto di omologazione il tribunale determini le modalità di liquidazione e che le vendite siano regolate dagli artt. da 105 a 108-ter l. fall. Trattasi di un quadro di modalità liquidatorie volto essenzialmente alla massimizzazione del realizzo dei cespiti del debitore attraverso modalità competitive di vendita.
Orbene, secondo la giurisprudenza della corte di legittimità, le disposizioni dettate dal tribunale nel decreto di omologazione con riguardo alle modalità della liquidazione avrebbero natura meramente integrativa della volontà delle parti (Cass. 16 luglio 2008, n. 19506). Secondo taluni, l'applicazione dell'art. 182 l. fall. sarebbe comunque condizionata al fatto che il debitore non si sia preoccupato, nella proposta di concordato, di determinare anche le modalità attraverso le quali procedere alla liquidazione dei beni ceduti ai suoi creditori (M. VITIELLO, Commento sub art. 182, in Codice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2008, 1596).
Al riguardo, è stato osservato che l'incipit della norma (“se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente”) potrebbe deporre, sotto un profilo squisitamente letterale, nel senso che al debitore sia consentito prevedere liberamente la liquidazione dei propri beni secondo modalità diverse da quelle previste per la liquidazione fallimentare, secondo il gioco di una norma con carattere suppletivo e derogabile: conseguentemente, ove la proposta del debitore escludesse l'intervento giudiziale predeterminando le modalità liquidatorie, se ne dovrebbe inferire che il tribunale sarebbe in concreto sfornito del potere di determinazione della regole di svolgimento dell'attività, tra le quali la nomina degli organi della liquidazione (FILOCAMO, in FERRO (a cura di) La legge fallimentare, commentario teorico pratico, 2011, 361) .
Inoltre, alcuni hanno sostenuto che i creditori, esprimendo il proprio voto sulla meritevolezza della proposta, assumono una decisione in ordine a tutte le condizioni e/o previsioni in essa contenute, ivi incluse le modalità di liquidazione, sulle quali, pertanto, il tribunale – dovendo omologare la proposta senza poter effettuare alcuna valutazione sul merito – non avrebbe “sindacato”. Al riguardo, la Suprema Corte si è in tal senso espressa, confermando “la marcata natura privatistica che la riforma operata dal D. Lgs. n. 5 del 2006 ha voluto imprimere alla procedura concordataria, prevedendo alla L.Fall., art. 180, che, in caso di voto favorevole dell'assemblea dei creditori alla proposta di concordato ed in assenza di opposizioni, il tribunale omologhi la proposta di concordato stessa senza alcun sindacato sul merito”. Il che “sta a significare che l'accordo raggiunto tra il proponente ed i creditori riveste carattere prevalente rispetto ad ulteriori valutazioni” (Cass. 20 gennaio 2011, n. 1345).
È stato anche osservato che “ora [dopo la riforma operata dal D.lgs. n. 5 del 2006 ndr] l'accordo fra debitore e creditori si forma anche sulla condivisione del piano operativo”. Pertanto, anche le concrete modalità di esecuzione del piano (tra cui quelle di liquidazione), ove previste, sarebbero parte integrante della accordo e, ove accettate, resterebbero insindacabili in quanto “contrattualizzate”. In proposito, parte della dottrina ha recentemente rilevato che “se il tribunale dovesse procedere alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato dal debitore, o dettare talune modalità di esecuzione, in sostituzione di quelle previste dal debitore, o disporre in modo contrario al contenuto del piano, ci sembra che si finirebbe per ledere le aspettative del debitore di poter regolare la sua insolvenza, secondo quelle clausole inserite nella proposta che è stata approvata dai creditori […] dando luogo alla violazione di un diritto soggettivo” (LO CASCIO, Natura della liquidazione concordataria, in Fall. 2011, 533).
In conclusione, sarebbe la stessa natura negoziale dell'istituto a smentire la tesi per cui al concordato per cessione dei beni debbano essere applicate tout court le norme disciplinanti la liquidazione fallimentare, in forza del richiamo agli artt. da 105 l. fall. a 108-ter l. fall. contenuto nell'art. 182 l. fall.: e difatti, posto che il voto favorevole sulla proposta espresso dalla maggioranza dei creditori implicherebbe la formazione di una sorta di vincolo contrattuale, ne deriverebbe che, esprimendo detto voto favorevole, i creditori ritengano conveniente la proposta concordataria nel suo complesso, ivi comprese la scelta del soggetto cessionario e le modalità di liquidazione previste dal debitore. Ciò posto, dovrebbe ritenersi superata la concezione della procedura competitiva come presunzione di miglior realizzo, laddove sarebbero i creditori, nell'esercizio della propria autonomia privata, gli unici soggetti legittimati a stabilire quale sia l'opzione più favorevole per la sistemazione della crisi.
Alcuni Autori sostengono – prendendo le mosse dal raccordo con l'art. 160 l. fall., che sembra lasciare la volontà del debitore libera di determinare il contenuto del piano - che in presenza di deroghe negoziali alla disciplina legale (ammissibili) l'art. 182 l. fall. non trovi in radice applicazione e la cessione resti integralmente assoggettata alle modalità previste dal debitore nella proposta, senza possibilità di intervento esterno legale o giudiziale (così, M. FERRO, La legge fallimentare, commentario teorico pratico, Padova, 2011, 2091).
Ma la posizione sopra descritta è tutt'altro che pacifica. Una parte della dottrina e della giurisprudenza è infatti dell'avviso che la disciplina legale, e in particolare le previsioni contenute negli artt. da 105 a 108-ter l. fall., prevalgano anche sulla volontà negoziale in tutto (DI CECCO, in NIGRO, SANDULLI, SANTORO (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 2234) ovvero in parte (Trib. Roma, 23 luglio 2010, in relazione alle caratteristiche del soggetto liquidatore). In altri termini, si tratterebbe di un sorta di “regolamentazione minima” cogente della fase esecutiva della cessio bonorum concordataria, cui qualsiasi piano che la preveda deve adeguarsi a pena di inammissibilità o non omologabilità (così, DI CECCO, cit. Si v. anche B. CONCA, Il rapporto tra autonomia privata e controllo giudiziale nel concordato preventivo, in IlFallimentarista e le citazioni di dottrina e giurisprudenza ivi contenute. Quest'ultimo fa notare come “l'incipit della norma [art. 182 l. fall. ndr] fa riferimento al concordato (se il concordato non dispone diversamente), non alla proposta di concordato. Poiché la norma si pone a valle dell'omologazione, non può farsi riferimento alla mera proposta, ormai assorbita nel successivo iter processuale. La lex contractus è il decreto di omologazione e dunque è quest'ultimo, in ipotesi, a dover disporre diversamente, non certo l'originario atto d'impulso. Il tema, dunque, non è quello che la proposta dice, ma ciò che il tribunale può stabilire. Ed è, quest'ultimo, un tema che la lettera dell'art. 182 l. fall. non risolve, ma propone. Neppure può essere, ancora una volta, invocata la natura contrattuale del concordato quale panacea interpretativa. Affermare che la natura contrattuale esclude l'applicabilità delle regole concorsuali in materia di liquidazione finisce per risolversi (oltre che in una premessa erronea, in quanto il concordato in ogni caso non è un contratto, qualunque idea si abbia dell'attuale maggior privatizzazione dell'istituto) in una petizione di principio).
Ciò detto in linea generale, venendo ora ad esaminare la fattispecie concreta, ci pare che – a prescindere dall'indirizzo a cui si voglia aderire in materia di rapporti tra le disposizioni sulla liquidazione contenute nella proposta concordataria e quelle previste nel decreto di omologa – la previsione contenuta nella proposta di concordato che attribuisce potere di veto al legale rappresentante della società su eventuali transazioni stipulate dagli organi della procedura con il Comune non possa qualificarsi propriamente come una “modalità di liquidazione” predeterminata. Piuttosto ci pare che essa rappresenti una forma di “controllo” sull'operato degli organi di liquidazione in capo al debitore. Peccato, però, che tale controllo competa al Comitato dei Creditori, ma non certo al debitore stesso.
Ci pare, dunque, che la richiesta del Tribunale di Verona di eliminare tale previsione al fine di rendere la proposta ammissibile, possa ritenersi condivisibile.

Conclusioni

Alla luce di tutto quanto precede, il provvedimento del Tribunale di Verona pare aver fatto buona applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di sindacato del tribunale sulla “fattibilità” del piano di concordato per quel che riguarda la questione della creazione di un privilegio convenzionale e della sua incompatibilità con i principi di par condicio creditorum e di rispetto dell'ordine delle cause di prelazione.
Non ci pare, invece, che il Tribunale abbia colto nel segno laddove ha ritenuto che il possibile mancato pagamento integrale del credito dell'istituto bancario derivante dall'operazione-parcheggio (nel caso di esito negativo delle azioni giudiziarie contro il Comune) integrasse un profilo di non fattibilità della proposta (in particolare della Proposta A). Ciò in quanto, nel caso specifico della Proposta A, il rischio di mancato pagamento doveva essere espressamente accettato dal creditore che stipulava una sorta di patto extra-giudiziale con la società prima ancora che la proposta concordataria venisse sottoposta al vaglio del ceto creditorio in generale. Inoltre, anche a prescindere dall'accordo espresso tra la società ed il creditore bancario, si potrebbe discutere se, nel caso di specie, il creditore bancario non sarebbe stato pagato neppure in minima parte, considerato che esso risulta titolare anche di altri crediti garantiti da ipoteca su cespiti facenti parte dell'attivo concordatario e rispetto ai quali il piano prevede la soddisfazione nei limiti del valore di realizzo del cespite ai sensi dell'art. 160 comma 2 l. fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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