La risoluzione del concordato preventivo

03 Settembre 2014

Ai fini della valutazione dei presupposti per la risoluzione del concordato preventivo viene in rilievo solo il dato oggettivo dell'inadempimento e non è necessaria alcuna indagine in ordine alle componenti soggettive quali la colpa, l'imputabilità e l'interesse soggettivo.Il Tribunale di Firenze, con il decreto in epigrafe, ha dichiarato la risoluzione di un concordato preventivo liquidatorio, attesa l'impossibilità di soddisfazione del ceto creditorio chirografario, ritenendo irrilevante l'imputabilità al debitore dell'inadempimento per la valutazione del requisito della gravità.
Massima

Ai fini della valutazione dei presupposti per la risoluzione del concordato preventivo viene in rilievo solo il dato oggettivo dell'inadempimento e non è necessaria alcuna indagine in ordine alle componenti soggettive quali la colpa, l'imputabilità e l'interesse soggettivo.

Il caso

Il Tribunale di Firenze, con il decreto in epigrafe, ha dichiarato la risoluzione di un concordato preventivo liquidatorio, attesa l'impossibilità di soddisfazione del ceto creditorio chirografario, ritenendo irrilevante l'imputabilità al debitore dell'inadempimento per la valutazione del requisito della gravità.

Osservazioni

Il caso portato all'attenzione del Tribunale di Firenze concerne la risoluzione di un concordato preventivo a seguito del venir meno di ogni possibilità di soddisfazione del ceto creditorio chirografario senza con ciò comportare alcun esame sull'imputabilità dei fatti causativi dell'inadempimento in capo al debitore.
La questione s'invera, dunque, nella decodificazione del termine “inadempimento di non scarsa importanza” utilizzato dal legislatore nell'art. 186 l. fall., in considerazione, altresì, dell'espresso riferimento ai principi civilistici in tema di inadempimento contrattuale e, segnatamente, della gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., come richiamati nella Relazione illustrativa al D.Lgs. n. 169/2007.
La questione è di non poco momento se sol si fa riferimento alla necessità di coordinare un'accezione di chiara matrice civilistica con la peculiarità della struttura del concordato preventivo.
Lungi dal ripercorrere tutte le tappe della diatriba focalizzata – alternativamente - su una concezione pubblicistica e processualistica o al contrario contrattualistica del concordato, si può affermare che l'inestricabile intreccio degli interessi privatistici e pubblicistici sottesi al concordato preventivo, o meglio a tutte le procedure concorsuali, denotano una natura giuridica dalla duplice coesistenza, pattizia e giurisdizionale, la cui privatizzazione, a seguito della riforma della legge fallimentare, deve essere letta come liberalizzazione degli strumenti giuridici deputati alla risoluzione della crisi di impresa. In particolare, l'ampliamento e la destrutturazione del modello di concordato preventivo ha esteso le opportunità di autoregolamentazione della crisi d'impresa concesse all'imprenditore al fine di accrescere la funzione dell'istituto rendendolo maggiormente adatto a conciliare l'esigenza di soddisfazione dei creditori e la necessità di tutelare il valore del patrimonio aziendale con nuovi assetti economici e finanziari .
La configurazione complessa e duplice del concordato preventivo si snoda, infatti, attraverso una fase prettamente giurisdizionale, pre-omologa, e una principalmente privatistica dell'esecuzione del concordato preventivo. Il passaggio dalla fase pre-omologa a quella esecutiva avviene con il decreto di omologazione e la chiusura della procedura di concordato ex art. 181 l. fall.
E' chiaro, dunque, che, sebbene la fase esecutiva del concordato preventivo sia essenzialmente privatistica ed "estranea" alla procedura, ciò non toglie che la stessa dipenda dalla prima, costituendo il diritto del debitore ad estinguere le proprie obbligazioni secondo le modalità e i tempi previsti nel piano e, contestualmente, il suo obbligo di adempiere agli impegni assunti nella proposta.
Si delinea così il thema decidendum: quando il mancato rispetto degli impegni presi dall'imprenditore in sede concorsuale possa determinare un inadempimento di non scarsa importanza in considerazione della duplice natura del concordato preventivo e dei diversi interessi ad esso sottesi, tra cui la necessaria stabilità della procedura.
In primo luogo, si può osservare che l'art. 186 l. fall. è stato fortemente modificato dalla riforma, stabilendo ora che la risoluzione del concordato può essere richiesta per un inadempimento di non scarsa importanza e non individuando più una disciplina riservata per il concordato con cessione dei beni, come quella contenuta nel precedente art. 186, comma 2, l. fall.
Ciò comporta l'opportunità di individuare il termine di confronto tra inadempimento e la sua importanza nelle maglie dell'art. 137 l. fall., da una parte, e dell'art. 1218 c.c., dall'altra.
Un dato è certo, cioè che elemento costitutivo della risoluzione del concordato è la non scarsa importanza dell'inadempimento, la cui valutazione va operata attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto sia in astratto per la sua entità che, in concreto, in rapporto al pregiudizio effettivamente causato.
La prima domanda da porsi, dunque, è che cosa deve essere adempiuto nel concordato preventivo.
Ebbene, l'adempimento è riferito alla proposta di concordato preventivo basata su un piano attestato, votata dai creditori e omologata. Pertanto, occorre far riferimento alle azioni programmate, ai risultati da conseguire, laddove nel piano siano previsti come vincolanti per il debitore, nonchè alle tempistiche e alle modalità esecutive pronosticate nel piano stesso.
In particolare, il mancato rispetto delle modalità esecutive del piano, salvo che incidenti direttamente o in misura considerevole sulla soddisfazione dei creditori, non possono qualificare un inadempimento grave. Anche un mero ritardo sulle tempistiche previste non può rilevare nel caso in cui si tratti di prestazioni di denaro; tuttavia potrebbe valere nel caso in cui si tratti di altre tipologie di prestazioni per le quali acquisisce importanza l'interesse del creditore al conseguimento.
Inoltre, nel caso di cessione traslativa dei beni, equivalente a una sorta di datio in solutum, l'unico inadempimento di non scarsa importanza che potrebbe comportare la risoluzione del concordato concerne l'ipotesi in cui i beni ceduti siano inesistenti ovvero gravati da diritti dei terzi che ne pregiudichino la disponibilità.
Diversa è l'ipotesi della cessione con garanzia di pagamento dei creditori in misura e termini predeterminati con il ricavato della vendita dei beni ceduti. E' chiaro, infatti, che la garanzia è diretta a rendere effettivo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale e con le tempistiche previste nella proposta di concordato; pertanto, l'importanza dell'inadempimento deve essere vagliata con riferimento ai criteri sopra detti e, in particolare, in rapporto a qualsiasi scostamento riguardante i creditori prelatizi che non votano, nonché alla mancata soddisfazione dei creditori chirografari ovvero a una percentuale divenuta assolutamente irrisoria.
Infine, nel concordato con cessio bonorum classica, la soddisfazione dei creditori è rimessa alla ripartizione del ricavato della liquidazione senza alcun impegno del debitore sulla misura e sui tempi di soddisfazione avendo i creditori accettato l'alea della liquidazione. Per questo motivo, il mancato rispetto dell'entità e dei tempi di soddisfacimento dei creditori non può comportare la risoluzione del concordato, salva l'ipotesi in cui si pervenga all'impossibilità di qualsiasi ripartizione tra i creditori ovvero al mancato soddisfacimento dei creditori prelatizi in misura integrale o nella misura prospettata dalla relazione ex art. 160, comma 2 l. fall.
Si pone, dunque, in evidenza la dibattuta questione della rilevanza della percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari.
In seguito alla riforma, la tesi prevalente ritiene necessaria una soddisfazione anche minima, ma comunque non irrisoria, dei creditori chirografari; mentre il completo mancato soddisfacimento del ceto chirografario determina il venir meno della causa concreta del concordato facendo emergere la non fattibilità del piano. La giurisprudenza, in tale ultima ipotesi, ritiene possibile la pronuncia di risoluzione del concordato prima che terminino le operazioni di liquidazione, allorchè emerga con ragionevole certezza l'impossibilità per il concordato di consentire il soddisfacimento integrale dei privilegiati e in minima parte dei chirografi (ad esempio, prezzo della vendita dei beni diventato inidoneo a coprire il fabbisogno concordatario).
Il punto cruciale, per determinare la gravità dell'inadempimento in tali ipotesi, è proprio la decodificazione del concetto di soddisfazione minima, ma non irrisoria dei creditori chirografari.
La questione deve essere considerata alla luce delle conseguenze del concordato preventivo e, quindi, dell'art. 184 l. fall., che dispone l'obbligatorietà per tutti i creditori anteriori anche dissenzienti o non partecipanti con un effetto esdebitatorio di gran lunga superiore a quello del fallimento (cfr. art. 120 l. fall.).
Orbene, prima della riforma solo alcuni Tribunali avevano affermato la necessità di una percentuale soddisfacente, in considerazione del fisiologico scollamento che avveniva tra la proposta di concordato, la quale doveva prevedere il soddisfacimento dei chirografari al 40%, e l'effettiva percentuale ricevuta poi dai creditori chirografari in sede di esecuzione. Si oscillava intorno a parametri compresi tra il 3% e il 10%, ritenendosi pacificamente insufficiente una percentuale inferiore al 3%, poiché inadeguata per il suo limitato effetto satisfattorio.
Con la nuova disciplina è stata eliminata, nella fase di ammissione, la condizione di sufficienza dei beni ceduti con riferimento alla percentuale del 40% di soddisfazione dei creditori chirografari e, quindi, la prospettiva per valutare la sufficienza della soddisfazione dei creditori chirografari deve essere stimata come consona al piano e alle sue finalità, sia liquidatorie che di ristrutturazione dei debiti con soddisfazione dei creditori.
Da ciò si evince che la percentuale concordataria offerta deve, poi, essere rispettata in considerazione del voto che i creditori hanno espresso accettando una soluzione per loro preferibile al fallimento e, quindi, dell'affidamento in loro creato. L'art. 1455 c.c. contiene, infatti, un parametro di riferimento ineliminabile fondato sulla buona fede contrattuale, con ciò determinando un criterio di proporzione con il concreto interesse alla tempestiva ed esatta prestazione, nel caso di specie, del ceto concordatario collettivamente inteso.
Al riguardo, la questione della misura del soddisfacimento si pone anche per i crediti muniti di privilegio quando il ricavato della vendita del bene è incapiente. Prima della riforma l'opinione prevalente era nel senso dell'integrale soddisfazione dei creditori privilegiati. Con l'introduzione della possibilità di falcidiare anche i creditori privilegiati prevedendosi il concorso per la parte residua con i chirografari, occorre distinguere: quando i beni vincolati non devono essere venduti ovvero manchi una fase liquidatoria, i creditori privilegiati dovranno essere soddisfatti integralmente o nei limiti di quanto avrebbero ricevuto in caso di liquidazione dei beni secondo un giudizio prognostico; quando, invece, il piano preveda la cessione dei beni con la liquidazione ex art. 182 l. fall., se non è stata prevista la falcidia in sede di relazione giurata il problema dell'incapienza può emergere in quanto la liquidazione viene effettuata in base alle stesse regole di quella fallimentare.
Il verificarsi di siffatta evenienza comporterà inevitabilmente la risoluzione del concordato, giacché il concorso dei creditori privilegiati insoddisfatti con i creditori chirografari, se non previsto nel piano, causerà inevitabilmente una grave riduzione o l'azzeramento delle percentuali dei creditori chirografari.
Altro criterio generale per vagliare l'importanza dell'inadempimento su cui si è ampiamente discusso riguarda l'interesse del ceto creditorio, ovvero se l'inadempimento inerente all'interesse dei singoli creditori possa assurgere alla qualifica di non scarsa importanza e comportare la risoluzione del concordato o se lo stesso, per essere considerato tale, debba essere rapportato all'interesse complessivo del ceto creditorio.
La complessità della questione si evince dalla contrapposizione, da una parte, della legittimazione attiva a chiedere la risoluzione del concordato da parte del singolo creditore e, dall'altra, della funzione intrinseca del concordato preventivo quale strumento di composizione della crisi d'impresa tramite un accordo tra il debitore e l'insieme dei creditori nel rispetto del principio della par condicio creditorum, sottoposto al giudizio di omologazione del Tribunale a fondamento della sua stabilità.
In primo luogo, occorre rilevare che la risoluzione del concordato è un mezzo di tutela dei creditori nella fase c.d. esecutiva, ma tale strumento di tutela non può essere considerato “del singolo creditore”. Si osserva, infatti, che il ceto creditorio deve essere collettivamente pensato in ragione del fatto che il piano di sistemazione della crisi d'impresa, attuato dal debitore con lo strumento concordatario, riguarda l'insieme dei creditori e non implica una sinallagmaticità civilistica essendo, appunto, approvato a maggioranza dei votanti.
D'altro canto, valutata la dimensione processuale in cui si svolge la risoluzione del concordato preventivo, è necessario che il vaglio giudiziale riguardi inadempimenti specifici dedotti dai creditori ricorrenti i quali, a loro volta, devono avere un interesse ad agire riconducibile, appunto, al fatto che l'inadempimento incida direttamente nella propria sfera giuridica.
Tuttavia, la complessità degli interessi coinvolti nella procedura di concordato preventivo non può significare che la risoluzione dello stesso possa essere pronunciata con riferimento alla mancata soddisfazione, seppur grave, di un unico creditore, ma sembra più coerente con le premesse sopra esposte tener presente che il singolo inadempimento dedotto, per rivestire quella gravità necessaria alla pronuncia di risoluzione, debba essere valutato in relazione al complessivo assetto di interessi recepito nel piano concordatario determinando la frustrazione delle finalità concordatarie.
Questa sorta di scollamento tra legittimazione attiva e inadempimento di non scarsa importanza trova conferma nell'eliminazione del potere officioso del Tribunale su eventuale segnalazione del commissario giudiziale, gravando, dunque, sul ceto creditorio il controllo nella fase esecutiva.
Infine, l'avvicinamento della risoluzione del concordato preventivo a quella contrattuale ha posto la questione se fosse necessaria anche una valutazione sull'imputabilità dell'inadempimento al debitore ai sensi dell'art. 1218 c.c.
L'opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza nega la rilevanza dell'imputabilità dell'inadempimento al debitore ritenendo che, nell'ambito della disciplina speciale del concordato preventivo, lo stesso debba essere valutato nella sua dimensione esclusivamente oggettiva.
Ragionando diversamente, sarebbero espunte dall'area della risoluzione del concordato preventivo tutte quelle ipotesi in cui la non fattibilità del piano sopravvenga all'omologa per cause non imputabili al debitore. E', infatti, assai difficile ritenere applicabile al concordato preventivo la disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta considerata la sua specialità.
Esaminando la questione in un'ottica generale si può osservare che, vincolare la risoluzione concordataria all'imputabilità dell'inadempimento in capo al debitore, oltre a ridurre la tutela del ceto creditorio in tale sede per i motivi sopra esposti, sottintenderebbe un rapporto sinallagmatico con i creditori nella sfera dei quali l'inadempimento verrebbe a incidere, così esasperandosi la privatizzazione del concordato fino all'esito di una innaturale contrattualizzazione dello stesso.
Si nota, infine, che la lettura coordinata dell'art. 186 l.fall. con l'art. 173 l.fall. depone nel senso di un completamento della tutela dei creditori in fase esecutiva secondo il criterio della funzionalizzazione del concordato a ripianare la crisi di impresa: infatti, in sede di revoca del concordato l'elemento soggettivo dei comportamenti posti in essere dal debitore deve essere valutato dal tribunale, ad eccezione dell'ultima ipotesi residuale, al fine di verificare la persistenza delle condizioni di ammissibilità soprattutto nell'ottica della tutela informativa del ceto creditorio. La protezione del ceto creditorio trova dunque il proprio completamento in sede di esecuzione, laddove, indipendentemente dal comportamento del debitore, ai fini risolutori occorre un inadempimento che comprometta la funzionalità del concordato preventivo, così come approvato e omologato.

Conclusioni

La risoluzione del concordato preventivo per inadempimento, nella sua nuova formulazione, si pone come strumento di tutela del ceto creditorio anche nella fase esecutiva, nella quale si affievolisce il controllo giudiziale, essendo in gran parte rimessa alla disponibilità delle parti. Ciò trova la sua ragione nell'evoluzione dello strumento concordatario, per il quale il legislatore ha previsto un attento controllo nella fase di ammissione e di omologazione, soprattutto per garantire la formazione di una volontà consapevole dei creditori in un sistema di asimmetria informativa.
La risoluzione per inadempimento del concordato, seppur mutuando i principi civilistici, deve tuttavia tener conto della particolarità dell'accordo intervenuto tra il debitore e la collettività dei creditori, accordo, inoltre, volto a risolvere la crisi di impresa e non a perseguire interessi egoistici dei singoli soggetti. Proprio questo è l'aspetto che determina quel bilanciamento d'interessi che deve essere considerato nella valutazione dell'inadempimento di non scarsa importanza.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

In giurisprudenza si vedano Cass., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass, 20 giugno 2011, n. 13446; Cass. 31 marzo 2010, n. 7942; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860; Cass., 20 agosto 2009, n. 18515; Cass. 4 febbraio 2009, n. 2706; Cass. 7 giugno 2007, n. 13357; Cass. 28 marzo 2006, n. 7083; Cass. n. 23 gennaio 2006, n. 1227; Cass. 5 gennaio 2005, n. 166; Cass. 18 novembre 2005, n. 24460; Cass. 6 novembre 2002, n.15553; Cass., 14 aprile 1999, n. 3679; Cass., sez. un., 2 luglio 1965, n. 1373, Cass. 3 ottobre 1988, n. 5327; Trib. Monza 9 gennaio 2013; Trib. Vicenza 7 maggio 2012; Trib. Milano 17 dicembre 2012; Trib. Vicenza 11 giugno 2012; App. L'Aquila, 31 maggio 2012; Trib. Benevento 1 febbraio 2012; Trib. Ravenna 7 giugno 2012; Trib. Perugia 18 luglio 2011; Trib. Siracusa 11 novembre 2011; Trib. Milano 21 Gennaio 2010; Trib. Ascoli Piceno 18 dicembre 2009; Trib. Venezia 2 ottobre 2008; Trib. Roma 14 marzo 2007; Trib. Ancona 19 novembre 2007; Trib. Bologna 25 gennaio 2006; Trib. Milano 12 dicembre 2005; Trib. Bari 21 novembre 2005; Trib. Sulmona 14 luglio 2004; Trib. Padova, 9 novembre 1999; Trib. Padova 23 maggio 1997; Trib. Napoli 6 marzo 1997;Trib. Padova 29 giugno 1995; Trib. Milano 2 maggio 1985; App. Bologna 3 ottobre 1980; Trib. Roma 8 luglio 1970.
In dottrina: Filocamo, in La legge fallimentare commentario teorico pratico, Ferro (a cura di), Padova, 2011, 2237 ss.; De Crescienzo – Panzani, Il nuovo diritto fallimentare. Dal maxiemendamento alla legge n. 80 del 2005, Milano, 2005, 7 ss.; Marrollo, L'inadempimento nella risoluzione del concordato preventivo dopo il D.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in Fall. 2009, 977 ss.; Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova 2006, 572 ss.; Vitiello, in Codice commentato del fallimento, Lo Cascio (diretto da), Milano, 2008; Rago, La risoluzione del concordato preventivo fra passato, presente e… futuro, in Fall., 2007, 1209 ss.; Fauceglia, in Fallimento e altre procedure concorsuali, Fauceglia – Panzani (a cura di), Torino, 2009, 1757 ss.; Casa, Interpretazioni (a)simmetriche dell'art. 186 l.fall., in Fall., 2013, 63 ss.; Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011, 127 ss.; Giammaria, in Commentario alla legge fallimentare, Cavallini (diretto da), Milano, 2010, 882 ss.; Guglielmucci, Diritto Fallimentare, Torino, 2011, 340 ss.; Restuccia, La risoluzione per inadempimento del concordato preventivo, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 2010, II, 328 ss.; Rivolta–Pajardi, in Codice del fallimento, Pajardi (fondato da), Bocchiola – Paluchowski (a cura di), Milano, 2013, 2108 ss.; Audino, in Commentario breve alla legge fallimentare, Maffei Alberti (diretto da), Padova, 2013, 1049 ss.; Ambrosini, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di diritto commerciale, Cottino (diretto da), XI, Padova, 2008, passim.

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