Sospensione dei contratti di leasing risolti prima del fallimento

Daniele Fico
05 Agosto 2014

L'art. 72-quater l. fall., nel rinviare all'art. 72 l. fall., in forza del quale il contratto di locazione finanziaria è sospeso con la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, presuppone che il contratto sia pendente tra la società concedente e l'impresa utilizzatrice, con la conseguenza che esso non si applica direttamente ai casi in cui il contratto si sia risolto prima della pronuncia giudiziale d'insolvenza che apre la procedura di liquidazione concorsuale.
Massima

L'art. 72-quater l. fall., nel rinviare all'art. 72 l. fall., in forza del quale il contratto di locazione finanziaria è sospeso con la pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, presuppone che il contratto sia pendente tra la società concedente e l'impresa utilizzatrice, con la conseguenza che esso non si applica direttamente ai casi in cui il contratto si sia risolto prima della pronuncia giudiziale d'insolvenza che apre la procedura di liquidazione concorsuale.

Il caso

La curatela di una società fallita, relativamente ad un contratto di locazione finanziaria di beni strumentali risolto prima della sentenza dichiarativa di fallimento, chiedeva al tribunale, accertato il reale valore del bene in leasing, di condannare la società concedente ai sensi e per gli effetti dell'art. 72-quater l. fall. La società di leasing si costituiva in giudizio eccependo, in primo luogo, il difetto di competenza del tribunale adito, dal momento che, in forza di quanto convenuto contrattualmente, il foro esclusivo per le controversie inerenti al contratto medesimo era individuato in quello di Reggio Emilia; in secondo luogo, l'infondatezza della domanda attorea ai sensi del citato art. 72-quater che, presupponendo la pendenza del contratto alla data della dichiarazione di fallimento, non sarebbe applicabile a quelli risolti anteriormente a tale data; infine, la compensazione del credito relativo al diritto all'equo compenso.
Il Tribunale di S.M. Capua Vetere, dopo aver dichiarato, in via preliminare, la propria competenza ad esaminare la domanda formulata ai sensi dell'art. 24 l. fall., accertata la natura traslativa del contratto di locazione finanziaria de quo e la conseguente applicazione analogica dell'art. 1526 c.c. in luogo del predetto art. 72-quater l. fall. che, al contrario, presuppone che il contratto medesimo sia pendente al momento della pronuncia giudiziale d'insolvenza che apre la procedura di liquidazione concorsuale, ha rigettato la domanda di parte attrice.

La questione giuridica e la soluzione

La sentenza oggetto del presente commento affronta l'interessante questione concernente l'applicabilità dell'art. 72-quater l. fall. ai contratti di locazione finanziaria risolti prima della dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore.
Come noto, tale articolo, al primo comma, rinvia alla disciplina prevista dall'art. 72 l. fall. che, quale primo effetto conseguente alla dichiarazione di fallimento dell'utilizzatore, prevede la sospensione automatica del contratto di leasing, con attribuzione al curatore fallimentare della facoltà di scegliere tra il subentro nel rapporto e lo scioglimento dello stesso, previa autorizzazione del comitato dei creditori.
Qualora il curatore - spontaneamente o a seguito della messa in mora - decida di subentrare nel contratto di leasing, le correlate prestazioni si considerano a carico della massa e quindi i debiti derivanti dal medesimo sono da pagare in prededuzione. In particolare, il curatore, da un lato, acquista la facoltà di esercitare, alla scadenza convenuta, il diritto di opzione ai fini dell'acquisto del bene; dall'altro, ha l'obbligo di pagare in prededuzione sia i canoni maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento, che il prezzo prestabilito per l'esercizio dell'opzione di acquisto (v. Trib. Torino 4 marzo 2008).
Nell'ipotesi in cui, al contrario, il curatore opti per lo scioglimento del contratto di leasing, si applicano le regole previste nel secondo e terzo comma dell'art. 72-quater l.fall.
Il secondo comma di tale articolo stabilisce, in primo luogo, che il concedente ha diritto alla restituzione del bene concesso in leasing. Al riguardo, è stato osservato che il concedente, in aggiunta ai diritti riconosciutigli dalla norma, non possa pretendere anche il risarcimento di danni eventualmente derivanti da tale scelta, salvi gli effetti dell'eventuale domanda proposta per l'inadempimento dell'utilizzatore prima della dichiarazione di fallimento (L. Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, in Fall., 2006, 1243). E' da escludersi, altresì, che il curatore fallimentare possa subordinare la restituzione del bene al pagamento del credito eventualmente vantato verso il concedente, non essendo ammesso alcun diritto di ritenzione (in questo senso, A. Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, in Fall., 2007, 136;; L. Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, cit., 1243).
Il terzo comma dell'art. 72-quater, a sua volta, impone al concedente di versare al curatore fallimentare l'eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene medesimo, avvenute a valori di mercato, ed il credito residuo in linea capitale del concedente stesso, ipotizzando che l'ammontare del ricavo della vendita o da altra collocazione del bene risulti, di fatto, superiore al credito residuo del concedente.
L'“altra collocazione” del bene può consistere nella vendita a terzi, nella nuova concessione del bene in locazione finanziaria, oppure nella possibilità che il concedente possa decidere di trattenere il bene per sfruttarlo altrimenti, salva la necessità, ove non si provveda alla vendita del bene, di procedere alla determinazione, attraverso perizia di stima, del suo valore residuo, al fine di consentire il meccanismo satisfattorio previsto dall'anzidetto secondo comma dell'art. 72-quater l.fall. ed accertare, di conseguenza, l'eventuale sussistenza di un credito del concedente non soddisfatto che possa essere ammesso al passivo.
Per quanto attiene, invece, al credito residuo in linea capitale (scorporato della quota di interessi contenuti nei singoli canoni periodici), l'opinione che prevale in dottrina ritiene che lo stesso sia costituito dalla differenza tra il capitale investito dalla società di leasing per l'acquisto del bene, maggiorato dei costi sostenuti per consentire il godimento dell'utilizzatore, e l'importo complessivo delle quote di capitale incluse nei canoni pagati dal fallito prima del fallimento, escluso il prezzo di opzione soltanto per la parte avente la funzione di copertura delle spese di trasferimento della proprietà del bene (A. Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, cit., 138; L. Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, cit., 1245; D. Plenteda, I rapporti giuridici pendenti nel fallimento riformato, Milano, 2008, 158).
Pertanto, qualora la somma ricavata dalla vendita o da altra collocazione del bene sia superiore al credito residuo in linea capitale, la differenza origina un credito della procedura verso il concedente che sarà tenuta a versarla alla curatela. In tale ipotesi, tuttavia, non è chiaro come il curatore fallimentare possa accertarsi dell'avvenuta vendita del bene, o della sua diversa collocazione, o pretenderne eventualmente l'effettuazione, né come il medesimo possa verificare la correttezza di quanto incassato a tal fine e la sua rispondenza ai valori di mercato. Sul punto, la giurisprudenza di merito ha suggerito che la restituzione del bene alla società di leasing sia accompagnata dalla sottoscrizione di una dichiarazione con la quale il concedente stesso si impegna a provvedere alla vendita o alla collocazione del bene entro un determinato termine, fermo restando l'obbligo per il curatore di procedere alla sua inventariazione e alla sua stima (Trib. Milano 29 aprile 2009. Secondo Trib. Milano 24 aprile 2012, il provvedimento di ammissione al passivo del credito della società di leasing deve necessariamente fissare il tempo massimo ragionevolmente necessario per la riallocazione del bene sul mercato). Altri, al contrario, hanno ravvisato in capo alla società concedente l'obbligo di informare il curatore, in maniera puntuale e tempestiva, delle iniziative assunte per la riallocazione del bene, documentandone l'esito finale e dimostrando che il valore di realizzo è il risultato migliore possibile (L. Quagliotti, La disciplina unitaria del contratto di leasing nel fallimento, cit.). Altra giurisprudenza di merito, infine, ha riconosciuto alla curatela la possibilità di domandare con un giudizio ordinario l'accertamento del valore di mercato del bene ed il pagamento della differenza risultante a proprio favore dopo l'applicazione del procedimento di conguaglio in esame (Trib. Pistoia 13 marzo 2008, n. 10, in Foro toscano, 2008, f. 10, II, 172).
Ove, invece, il credito vantato alla data della sentenza dichiarativa di fallimento sia superiore a quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene, la società di leasing ha diritto ad insinuarsi allo stato passivo per la differenza (art. 72-quater, comma 3, l.fall.), operando, in questa situazione, l'ordinario meccanismo di soddisfacimento in sede concorsuale dei diritti dei creditori ricorrenti.
Relativamente al concetto di “credito” della società di leasing, giova far presente che il “credito vantato alla data del fallimento” non corrisponde al “credito residuo in linea capitale” di cui al secondo comma del citato art. 72-quater. Il “credito residuo in linea capitale”, infatti, è rappresentato dal solo importo in linea capitale del prezzo della locazione finanziaria, al netto degli interessi incorporati nei canoni periodici dovutigli dall'utilizzatore; il “credito vantato alla data del fallimento”, al contrario, è il credito totale vantato dal concedente medesimo alla data della sentenza dichiarativa di fallimento ed è costituto dall'eventuale residuo credito in linea capitale non soddisfatto dal ricavato dalla vendita – o altra allocazione del bene, e dai ratei di interessi compresi nei canoni periodici insoluti (M.R. La Torre, Il leasing finanziario nel fallimento ed il nuovo art. 72-quater, in Fall., 2008, 293).
Secondo alcuni, il “credito vantato alla data del fallimento”, corrisponde all'eventuale credito residuo in linea capitale non soddisfatto dal ricavato della vendita o della diversa collocazione del bene, aumentato degli interessi ricompresi sui canoni periodici maturati sino alla dichiarazione di fallimento e non pagati e sui canoni successivi e degli interessi di mora maturati prima del fallimento (A. Dimundo, Commento sub art. 72-quater, in Codice commentato del fallimento, diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2008, 661). Per altri, invece, da tale voce dovrebbero essere esclusi gli interessi sui canoni non ancora scaduti ai sensi dell'art. 1186 c.c. (B. Inzitari, Commento sub art. 72-quater, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio, Bologna, 2006, 1195 s.; A. Patti, Disciplina concorsuale della locazione finanziaria nella nuova normativa, cit., 138).
Il disposto di cui all'art. 72-quater l. fall., secondo i giudici di merito campani, non si applica, tuttavia, nel caso in cui il contratto di leasing sia stato risolto antecedentemente alla sentenza dichiarativa di fallimento.
In particolare, i giudici di primo grado, al fine di esaminare nel merito la domanda di parte attrice, hanno ritenuto necessario analizzare preliminarmente la questione concernente il momento della risoluzione del contratto di locazione finanziaria oggetto di causa, ovvero se lo stesso si sia risolto anteriormente o successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, e la qualificazione del contratto di leasing finanziario di godimento o traslativo.
Il Tribunale di S.M. Capua Vetere, quindi, appurato che il contratto sopra menzionato era stato risolto anteriormente alla dichiarazione di fallimento e verificata la natura di leasing traslativo del medesimo - con conseguente applicazione del'art. 1526 c.c. che regola la modalità operativa del meccanismo risolutorio sul contratto di compravendita con riserva di proprietà prevedendone lo scioglimento con effetto ex tunc - ha concluso per l'inapplicabilità dell'art. 72-quater al caso di specie osservando, a supporto di tale conclusione, che l'articolo appena citato, nel rinviare al principio generale di cui all'art. 72 l. fall., secondo il quale il contratto di locazione finanziaria è sospeso con la sentenza dichiarativa di fallimento, presuppone che lo stesso sia pendente tra la società concedente e l'impresa utilizzatrice e, di conseguenza, non sia applicabile direttamente ai casi nei quali il contratto si sia risolto prima della pronuncia giudiziale d'insolvenza che apre la procedura fallimentare.

Osservazioni

La sentenza qui esaminata, di cui si condividono le conclusioni, è conforme alla prevalente opinione giurisprudenziale che ritiene l'art. 72-quater l. fall. non applicabile al contratto di locazione finanziaria risolto in data anteriore al fallimento (cfr., per tutte, Trib. Busto Arsizio 7 aprile 2014, Trib. Mantova 26 settembre 2013; Trib. Milano 14 maggio 2013; Trib. Milano 12 dicembre 2012. Contra, Trib. Vicenza 18 settembre 2012, in ilcaso.it; Trib. Udine 17 agosto 2012, in unijuris.it; Trib. Perugia 5 giugno 2012, in ilcaso.it, a parere del quale con l'introduzione dell'art. 72-quater l. fall. il legislatore ha inteso dettare una disciplina unitaria della locazione finanziaria per cui, nell'ipotesi di fallimento dell'utilizzatore, la portata del testo normativo di cui alla predetta disposizione può essere estesa fino a ricomprendere e disciplinare anche il caso dello scioglimento del contratto di leasing traslativo avvenuto per risoluzione prima del fallimento, restando esclusa la possibilità di fare ricorso all'art. 1526 c.c.).
Preliminare alla verifica dell'applicabilità del più volte citato art. 72-quater l. fall. al contratto di locazione finanziaria è la definizione della natura del contratto medesimo.
Al riguardo, giova evidenziare che nell'ambito del “leasing finanziario” l'elaborazione giurisprudenziale, seguendo un percorso iniziato dai giudici di legittimità nel 1989 (cfr. per tutte Cass. 13 dicembre 1989, n. 5573) e conclusosi con la pronuncia a Sezioni Unite 1 gennaio 1993, n. 65, ha individuato due possibili figure del contratto di leasing, a seconda che la funzione realizzata fosse prevalentemente il godimento del bene (c.d. “leasing di godimento”), oppure che questo fosse diretto a realizzare una funzione traslativa (c.d. “leasing traslativo”).
In particolare, il segno di confine tra queste due forme di locazione finanziaria è stato individuato in riferimento al valore che assume il bene al momento del riscatto ed alla funzione economica dei canoni periodici corrisposti dall'utilizzatore.
Nel “leasing di godimento” (definito anche “tradizionale”) l'utilizzazione della res da parte del concessionario si inquadra in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, per cui i canoni versati costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento. L'interesse principale dell'utilizzatore è quello di ottenere la disponibilità del bene medesimo ed il potere di sfruttamento, senza esborso di capitali rilevanti e fino alla sua pressoché totale obsolescenza. Il valore residuale del bene è minimo e corrisponde all'altrettanto modesto prezzo di opzione per l'acquisto della proprietà allo scadere del contratto. Nel leasing cosiddetto “di godimento”, in pratica, il finanziamento si configura finalizzato a consentire all'utilizzatore l'acquisizione della disponibilità di beni sottoposti ad accentuata obsolescenza e, quindi, non idonei a conservare alla scadenza finale del rapporto un apprezzabile valore residuale, con la conseguenza che i canoni vengono così assorbiti in una prevalente funzione di corrispettivo del godimento, mentre l'opzione di acquisto risulta rivestire un ruolo marginale.
Nel “leasing traslativo”, invece, le parti prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all'uso programmato ed alla durata del rapporto, sia destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l'utilizzatore. L'elemento principale che permette di individuare questa tipologia di leasing è costituito, infatti, dal considerevole valore economico residuo dei beni oggetto del contratto alla scadenza, valore di norma superiore al prezzo pattuito per l'opzione. Ne consegue che, nel caso del leasing traslativo, il trasferimento della proprietà del bene, dal concedente all'utilizzatore, rientra nella funzione assegnata al contratto dalle parti. L'importo dei canoni contiene anche una quota del prezzo finale per cui il valore globale degli stessi corrisponde al valore complessivo del bene, mentre la conservazione della proprietà del bene in capo al finanziatore fino alla scadenza del contratto indica lo scopo di garanzia rispetto alla riscossione di tutti i canoni (sul punto, è importante tener presente che l'orientamento fatto proprio dai giudici di legittimità nella citata sentenza a sezioni unite 65/1993 è stato ribadito da numerose pronunce successive tra le quali v., per tutte, Cass. 14 aprile 2000, n. 4848; Cass. 14 novembre 2006, n. 24214; Cass. 28 agosto 2007 n. 18195; Cass. 25 gennaio 2011, n. 1748).
Nel leasing cosiddetto “traslativo” i beni oggetto del contratto sono quindi destinati a conservare alla scadenza del rapporto un valore residuo superiore all'importo stabilito per l'opzione di acquisto; i canoni, in questo caso, vengono assorbiti da una prevalente funzione, più che di corrispettivo per il godimento, di quote di prezzo che vengono corrisposte dall'utilizzatore in previsione dell'acquisto del bene attraverso l'esercizio dell'opzione, con conseguente funzione strumentale della concessione in godimento, rispetto all'obiettivo traslativo che informa il contratto medesimo.
L'anzidetta suddivisione fra le due figure del contratto di leasing ha permesso alla giurisprudenza di legittimità di applicare, a seconda dei casi, le norme che regolano i contratti tipici che più si adattano a ciascuna fattispecie. In tale ottica, relativamente alla normativa applicabile per il caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, il leasing tradizionale o di godimento si qualifica come contratto ad esecuzione continuata o periodica, come tale non soggetto alla retroattività dell'effetto risolutivo disposta in via generale dall'art. 1458, comma 1, c.c., per cui l'effetto della risoluzione rimane limitato alle prestazioni ancora da eseguirsi ovvero ai canoni ancora da versare.
Al contrario, il leasing traslativo, avuto conto della sua diversa natura, è soggetto alla disciplina della vendita con riserva di proprietà di cui all'art. 1526 c.c., per cui l'utilizzatore inadempiente, restituito il bene, ha diritto a sua volta alla restituzione delle rate riscosse. Il concedente, da parte sua, ha invece diritto ad un equo compenso per l'uso dei beni oggetto del contratto, che costituisce la remunerazione del godimento dei beni medesimi e del deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo ed al logoramento per l'uso, oltre al risarcimento del danno.
Quanto disposto dal sopra citato art. 1526 c.c. si applica anche al contratto di leasing traslativo risolto in epoca antecedente a quella della sentenza dichiarativa di fallimento, in luogo dell'art. 72-quater l. fall., dal momento che le disposizioni contenute in quest'ultimo articolo presuppongono la pendenza del contratto di locazione finanziaria alla data di apertura della procedura concorsuale. (in senso conforme v., da ultimo, M. Vitiello, Fallimento e contratti di leasing pendenti: il rapporto tra credito del concedente per i canoni in scadenza dopo il fallimento e valore di ricollocamento del bene restituito, in Ilfallimentarista.it, 21 maggio 2014).

Conclusioni

Per il contratto di locazione finanziaria di natura traslativa risolto prima della sentenza dichiarativa di fallimento non risulta, pertanto, applicabile in via analogica la disciplina di cui l'art. 72-quater l. fall. che, rinviando al disposto di cui all'art. 72 l. fall., presuppone la pendenza del contratto alla data di apertura della procedura esecutiva concorsuale e la sua risoluzione per atto dell'ufficio fallimentare, bensì, in caso di lacune del regolamento pattizio, l'art. 1526 c.c. Tale articolo, come noto, in tema di vendita con riserva di proprietà, nel caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore prevede la restituzione dei canoni già corrisposti a quest'ultimo ed il riconoscimento al concedente di un equo compenso in ragione dell'utilizzo del bene, rappresentato dalla remunerazione del godimento del bene medesimo e dal deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo e logoramento per l'uso, oltre al risarcimento dell'eventuale danno.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e bibliografici

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire i provvedimenti ed i contributi dottrinari direttamente nel commento.

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