Atti di frode anteriori al concordato tra disclosure e poteri del commissario giudiziale

19 Marzo 2014

L'accertamento di atti di frode commessi dal debitore in epoca antecedente alla presentazione della domanda di concordato è causa di improcedibilità della domanda ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 161, comma 6 e 173 l. fall. cui consegue la dichiarazione di fallimento qualora sussistano i relativi presupposti.
Massima

L'accertamento di atti di frode commessi dal debitore in epoca antecedente alla presentazione della domanda di concordato è causa di improcedibilità della domanda ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 161, comma 6 e 173 l. fall. cui consegue la dichiarazione di fallimento qualora sussistano i relativi presupposti.

Non tutte le condotte distrattive poste in essere dal debitore antecedentemente alla presentazione della domanda di concordato sono di per sé ostative alla prosecuzione della procedura concordataria, essendo l'applicazione dell'art. 173, comma 1, l. fall. limitato a quei soli comportamenti che per gravità ed importanza siano tali da rendere illegittimo il ricorso da parte dell'imprenditore ad un istituto che assicura, a differenza del fallimento, il beneficio della esdebitazione.

Il criterio per selezionare la rilevanza degli “altri atti di frode” non può che dipendere dall'impatto che la condotta in esame abbia avuto sulla causazione della crisi e soprattutto sull'entità della stessa, assumendo rilievo diversi elementi quali l'entità della diminuzione della garanzia patrimoniale del debitore, da considerarsi in rapporto alle dimensioni del dissesto, la maggiore o minore prossimità della sottrazione al momento di manifestazione della crisi, il maggiore o minore disvalore sociale della condotta fraudolenta.

Il c.d. ravvedimento operoso del debitore che manifesti la propria disponibilità a retrocedere beni ceduti a terzi non è idoneo ad escludere l'operatività dell'art. 173 l. fall. quando l'elisione del danno prodotto da parte del debitore in concordato consegua agli accertamenti del commissario e non ad una spontanea volontà espressa sin da subito al momento della presentazione della domanda di concordato.

Il caso

Una società per azioni propone dinanzi al Tribunale di Bergamo domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo “in bianco” ai sensi dell'art. 161 comma 6 l. fall.
Il Tribunale concede al debitore il termine di sessanta giorni ai fini del deposito della documentazione prevista dall'art. 161, commi 2 e 3, l. fall. (la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa, lo stato analitico estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, il piano attestato e la relazione dell'attestatore).
In prossimità della scadenza del termine il debitore formula richiesta di ulteriore proroga ex art. 161, comma 6, l. fall.
Il Commissario giudiziale nella relazione ex art. 172 l. fall. depositata medio tempore porta all'attenzione del Tribunale una serie di fatti ostativi alla prosecuzione della procedura concordataria e rilevanti ai sensi dell'art. 173 l. fall. in quanto configuranti atti di frode, così che il Tribunale denega l'ulteriore proroga richiesta dal debitore ed apre ufficiosamente procedimento ai sensi dell'art. 173 l.fall. ai fini della declaratoria di inammissibilità ed improcedibilità della proposta concordataria.
Il Tribunale, revocato il decreto di ammissione alla procedura di concordato, rilevata la sussistenza di plurime istanze e valutata la sussistenza dei presupposti di fallibilità dell'imprenditore, dichiara il fallimento della società.
Le condotte rilevanti quali “altri atti di frode” ai sensi dell'art. 173, comma 1, l. fall. poste in evidenza dall'organo commissariale ed ostative alla prosecuzione della proce-dura concordataria nel caso in esame si sostanziano nella cessione, in periodo ravvicinato rispetto alla proposizione della domanda di ammissione, di assets strategici quali beni immobili, mobili strumentali, giacenze di magazzino, licenze ed autorizzazioni e crediti corrispondenti ai SAL a favore di società controllata al 100%.
Tutte le operazioni si collocano in un periodo ravvicinato ricompreso tra i tre mesi dalla proposizione della domanda di concordato (in particolare la prima cessione dei beni) ed i quindici giorni dalla pubblicazione della domanda di concordato.
Nei quindici giorni antecedenti la pubblicazione della domanda di concordato nel regi-stro delle imprese, la società controllata (cessionaria dei beni) “lancia” un aumento di capitale sociale con contestuale ed espressa rinuncia da parte del socio unico conferente a sottoscriverlo. La conferente quindi cede il 90% della partecipazione societaria nella controllata a soggetti correlati tutti appartenenti alla famiglia titolare del capitale sociale della controllante.
La pattuizione del prezzo avviene in assenza di garanzie e con previsione di pagamento differito al 2018.
L'operazione si conclude con la sottoscrizione da parte della conferitaria di un contratto di affitto di ramo di azienda con opzione di acquisto a favore di un soggetto terzo.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il Tribunale di Bergamo affronta la problematica degli atti di frode posti in essere dal debitore anteriormente alla apertura della procedura di concordato preventivo nel contesto della recente riforma della legge fallimentare del 2012 che ha introdotto la figura del concordato “in bianco” o “con riserva” (il tema è stato affrontato diffusamente sia anteriormente che a seguito della riforma della legge fallimentare; v. LICCARDO, Commento all' art. 173 l. fall., in Nigro-Sandulli-Santoro, La legge fallimentare dopo la riforma, vol III, Torino, 2010, 2168 ss; FILOCAMO, L'art. 173 primo comma l. fall. nel “sistema” del nuovo concordato preventivo, in Fall., 2009, 1467).
L'attribuzione al debitore del potere di anticipare l'automatic stay (art. 168 l. fall.) alla data di deposito del ricorso senza che sia ancora formulata una effettiva proposta al ceto creditorio e che sia disvelato il piano di soluzione concordata della crisi ha senz'altro favorito la diffusione di condotte opportunistiche finalizzate a protrarre artificiosamente la vita dell'impresa in mancanza di una programmazione della crisi.
Non sono infrequenti, infatti, nella prassi, casi di utilizzo del concordato come negozio indiretto in frode alla legge in quanto funzionale non a realizzare la sua “causa tipica” di soluzione “concordata” della crisi, ma a frodare i creditori, consentendone l'esdebitazione.
In questo senso assume rilevanza la condotta del debitore anteriore alla proposizione della domanda che si caratterizzi per la sua connotazione frodatoria nel senso di trarre in inganno i creditori sulle prospettive di soluzione della crisi alternative al fallimento.
L'attribuzione allo strumento concordatario di maggiori connotazioni “contrattualistiche” o, se si preferisce, “privatistiche” a seguito della riforma del 2005 non ha di certo agevolato il lavoro degli interpreti.
La convinzione invalsa in molti che, essendo il concordato un contratto, le parti possano di esso “fare quello che vogliono” per effetto della eliminazione dei requisiti soggettivi ed oggettivi di ammissibilità previsti dall'art. 160 l. fall. (ante riforma), è stata la ragione dell'incremento di accesso alla procedura di domande in bianco prive di ogni requisito di “fattibilità giuridica” in quanto chiaramente elusive.
Con il recente pronunciamento delle SS.UU. della Corte di cassazione 23 gennaio 2013, n. 1521 si è cercato di individuare un compromesso tra visione contrattualistica e pubblicistica del concordato nel senso di confermare, da una parte, l'insindacabilità di merito della proposta sul piano della fattibilità economica; e, dall'altra, di riaffermare con vigore il ruolo di controllo della legalità della procedura da parte del tribunale in ogni sua fase.
Tale controllo poggia sull'art. 173 l. fall. che è posto al centro del sistema come “unico strumento” attraverso il quale può esplicarsi il controllo di legittimità della procedura da parte del tribunale.
La dottrina, ancor prima della introduzione del concordato in bianco definiva lo strumento del 173 l. fall. come “chiave di volta del sistema”, attribuendogli la funzione di unica àncora di salvaguardia della legalità della procedura in pendenza di condotte scor-rette del debitore insorgendo di fronte alle interpretazioni abrogative dell'istituto (cfr. GALLETTI, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo, in Giur. Comm, I, 2009, 734 ss., che nell'istituto del concordato in bianco individuava lo strumento per “sopperire alle gravi carenze del nuovo sistema concorsuale, ed all'improvvido indebo-limento di tutti gli strumenti volti a stigmatizzare le condotte scorrette dell'imprenditore, alla base della genesi dell'insolvenza”. Contra CENSONI, La revoca dell'ammissione al concordato preventivo dopo le riforme della legge fallimentare, in Crisi d'Impresa e Fallimento, 2013, 9, nt 16, il quale ritiene che la norma dell'art. 173 l. fall. non sia avulsa dal sistema e che non possa essere utilizzata come grimaldello per scardinare l'impianto della riforma dell'istituto che ne impone una interpretazione (diversa dal passato) che sia coerente con la volontà del legislatore di facilitarne l'accesso agli imprenditori ancorché immeritevoli e di lasciare fondamentalmente ai creditori la decisione relativa all'esperimento concordatario salvo limitate eccezioni).
Interpretazione accolta nel recente arresto delle SSUU in cui, seppure si conferma la voluntas legis di favorire quanto più possibile l'accesso agli strumenti di soluzione della crisi alternativi al fallimento, viene rivendicato e riaffermato con vigore il ruolo del tri-bunale come organo di garanzia della fattibilità giuridica della proposta concordataria. Fattibilità che non può prescindere dalla ammissibilità della domanda che ne sarebbe per definizione compromessa ab origine in presenza di condotte scorrette del debitore che inficino la causa concordataria.
L'art. 173 l. fall. nella interpretazione “orientata” della Cassazione non costituisce affatto uno strumento sanzionatorio, bensì un elemento di riequilibrio delle asimmetrie in-formative tra il debitore, propenso naturalmente ad un atteggiamento opportunistico (i.e. a perorare la propria salvezza ad ogni costo), ed il ceto creditorio.
Non a caso è rimesso al Tribunale il potere, anche ufficioso, di revocare l'ammissione alla procedura in caso di atti frodatori del debitore.
Alla luce della abrogazione del criterio di meritevolezza non possono rientrare nella nozione di atti di frode né le condotte, seppure riprovevoli, del debitore che non abbiano attinenza al concordato sotto il profilo oggettivo, né quelle che siano ininfluenti sul consenso informato del ceto creditorio quale unico bene giuridico protetto dalla disciplina riformata.
Le questioni poste al vaglio del Tribunale di Bergamo sono sostanzialmente tre: quella relativa (i) alla rilevanza di atti depauperativi o dispositivi del patrimonio del debitore in epoca anteriore alla proposizione della domanda di concordato (rectius: apertura della procedura di concordato); (ii) al discrimine tra atti leciti ed atti illeciti; (iii) all'influenza o meno della disclosure del debitore e al potere di accertamento del commissario.

Osservazioni

Procedendo secondo quest'ordine, bisogna prendere le mosse dal concetto di atti di frode stabilito dall'art. 173 l. fall.
Nonostante la legge fallimentare sia stata negli ultimi anni oggetto di diverse riforme , il legislatore non è mai intervenuto in maniera incisiva sul disposto di cui all'art. 173 l. fall.: fatta eccezione per gli aspetti procedurali relativi alla rilevazione delle condotte ed all'apertura ufficiosa da parte del tribunale del sub-procedimento di revoca dell'ammissione al concordato preventivo in presenza di rilievi dell'organo commissariale, risulta sostanzialmente immutato.
Con tecnica similare a quella utilizzata in altri contesti nomativi (si veda, per es.: l'art. 2598 c.c. in materia di atti di concorrenza sleale), il legislatore, oltre a tipizzare alcune condotte di natura commissiva ed omissiva, ha previsto una formula di chiusura che ispira tutta la disciplina, ricomprendendo anche condotte non tipizzate che siano caratte-rizzate dalla connotazione fraudolenta dell'atto.
Escluso che il carattere frodatorio sia necessariamente connesso ad una condotta sottrattiva del patrimonio (ben potendo configurare frode anche l'omissione o sottovalutazione di elementi del passivo come anche la loro sopravalutazione: v. Trib. Padova, 30 maggio 2013, secondo cui seppure l'esposizione di passività inesistenti non produca distrazione, dall'altro lato è comunque idonea ad alterare la volontà dei creditori) nel contesto del diritto riformato assume predominanza la tutela dell'informazione in sé quale valore perseguito dal legislatore per garantire l'espressione da parte del ceto creditorio di un consenso informato.
La qualificazione frodatoria dell'atto pone seri problemi interpretativi nell'ambito della riforma della legge fallimentare, che, come è noto, non attribuisce la legittimazione all'accesso alla procedura concordataria al solo imprenditore specchiato e meritevole (come è noto, per effetto della riforma del diritto fallimentare di cui al D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito in L. 14 maggio 2005, n. 80, vengono eliminate tutte le condi-zioni di ammissibilità del concordato che attenevano alle qualità soggettive del debitore: iscrizione nel registro imprese da due anni, assenza di procedure concorsuali collegate all'insolvenza nei cinque anni anteriori, mancanza di condanne per reati fallimentari o contro il patrimonio, la fede pubblica, l'economia pubblica l'industria ed il commercio; oltre al requisito di meritevolezza di cui all'art. 181 l. fall. che permeava tutta la proce-dura, non solo in fase di omologazione: cfr. VITIELLO, Concordato preventivo (dall'apertura della procedura all'approvazione della proposta), in Il correttivo della riforma fallimentare – Riflessioni degli operatori, a cura di Di Marzio, Itaedizioni, 2008, 126).
In via astratta è del resto possibile che la proposta concordataria sia compatibile con condotte dispositive patrimoniali poste in essere dal debitore in un momento che precede l'attivazione della procedura, o nel corso della stessa (purché autorizzate ex art. 160 comma 7 l. fall., come correttamente evidenziato dal Tribunale di Bergamo nella sentenza che si commenta).
Il fatto che il debitore, prima dell'apertura della procedura, possa aver realizzato condotte che configurano illeciti (civili o penali) non necessariamente, infatti, condiziona l'ammissibilità della domanda concordataria in quanto la nozione di frode contemplata dall'art. 173 l. fall. “non coincide con gli atti di natura civilistica quali i contratti in frode alla legge con causa o motivo illecito simulati ovvero soggetti a revocatoria né con quelli di natura penalistica bensì con gli atti che abbiano una rilevanza interna alla procedura in quanto finalizzati a frodare le ragioni di creditori inficiando il percorso formativo del consenso con una falsa o erronea rappresentazione della realtà” (cfr. Trib. Roma, 21 settembre 2010, in Red. Giuffré, 2010; parla di “nesso strumentale” tra atto di frode e procedura concorsuale Trib. Bari, 7 aprile 2010, in Giurisprudenza barese.it, 2010).
L'assunto è pacifico e coerente con la funzione dell'istituto dell'art. 173 l. fall. che, come già evidenziato, non ha carattere sanzionatorio.
Del resto la tutela offerta dall'art. 173 l. fall. non investe la par condicio creditorum, ma il principio del c.d. voto consapevole. Ne consegue che devono essere considerati di per sé irrilevanti ai fini della apertura del sub procedimento di revoca anche atti di disposizione patrimoniale suscettibili di revocatoria ai sensi dell'art. 67 l. fall. (o dell'art. 2901 c.c. come nel caso di specie, in cui addirittura i creditori della cedente avevano esperito l'azione revocatoria ordinaria ritenendo sussistente il consilium fraudis tra controllante e controllata), che non abbiano natura decettiva in funzione del concordato (cfr. Cass. 23 giugno 2011, n. 13817 sulla non coincidenza tra atti frodatori ed atti pregiudizievoli per i creditori. Per un commento generale sulla sentenza delle SS.UU v. DE SANTIS, La fattibilità del piano concordatario nella lettura delle Sezioni Unite, in Fall. 2013, 279). In questo senso si coglie la ratio dell'istituto ed il discrimen rispetto ad altri istituti che sono preposti a tutelare la massa dei creditori sotto il profilo reintegrativo.
L'atto di frode deve possedere una duplice attitudine: sotto il profilo soggettivo deve denotare l'intento frodatorio del debitore (l'intenzionalità è valutata in re ipsa da una parte della giurisprudenza: v. Trib. Monza, 2 novembre 2011), inteso come la volontà di concorrere unitamente o disgiuntamente con altri atti ad alterare la percezione dei creditori sulla qualità della proposta concordataria di modo da alterarne il libero consenso; diversamente, sotto il profilo oggettivo, l'atto deve poter arrecare una “danno” alla massa dei creditori.
Con riguardo a quest'ultimo aspetto, in particolare, sono state nel tempo offerte interpretazioni differenti, che hanno talvolta identificato la frode con l'atto sottrattivo della garanzia patrimoniale del debitore (v. Tribunale di Milano, 28 aprile 2011), sull'assunto che il debitore sia tenuto a mettere a disposizione tutti i suoi beni ai fini del concordato quale massima espressione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c. (nel senso che gli atti devono ridurre in maniera considerevole la garanzia patrimoniale del debitore ai sensi dell'art. 2740 c.c. Trib. Cagliari, 12 marzo 2009); in altri casi, invece, l'attenzione dell'interprete si è incentrata sulla violazione dell'informazione in sé (cfr. CASSANDRO, I provvedimenti immediati, in Trattato di diritto delle procedure concorsuali diretto da Apice, vol. III, Torino, 2011, 311).
Su tale ultimo presupposto la S.C. ha di recente precisato che gli atti o condotte rilevanti sono solo quelli che alterano la percezione dei creditori con la conseguenza che solo al ceto creditorio spetterebbe attribuire rilevanza a determinate condotte anche esplicitate in domanda non potendo tale giudizio essere rimesso al tribunale (Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2013, n. 23387; Trib. Padova, 30 maggio 2013, cit.).
Si può, pertanto, dubitare che la frode ai creditori si sostanzi necessariamente in atti a contenuto depauperativo o sottrattivo, in quanto la distrazione patrimoniale parrebbe assumere rilevanza non come “atto”, ma come “fatto” in funzione della proposizione della domanda. Ciò a maggior ragione se si considera che l'art. 173 l. fall. non è volto a sanzionare il disvalore degli atti posti in essere dal debitore, ma si sostanzia in uno strumento di tutela del consenso dei creditori.
Fermo restando che l'intenzione frodatoria deve permeare tutte le condotte previste dall'art. 173 l. fall., anche quelle tipizzate, occorre comprendere quale significato debba essere attribuito all'espressione “altri atti di frode”.
Il riferimento, dunque, è ad una operazione che impone una interpretazione ermeneutica tutt'altro che semplice, specie ove si ritenga che la valutazione dell'atto frodatorio rilevante debba essere scisso da una valutazione di tipo etico o morale sulla persona dell'imprenditore: in altri termini, questi non è più soggetto al giudizio di meritevolezza soggettiva connesso alla specchiatezza delle sue pregresse condotte. Piuttosto, il com-portamento tenuto dall'imprenditore deve essere valutato in funzione e nel contesto della domanda concordataria.
Già in epoca anteriore alla riforma della legge fallimentare non parevano sussistere dubbi sul fatto che la connotazione frodatoria degli “altri atti” andasse valutata sotto il profilo dell'elemento soggettivo dell'atto, ed in particolare di quello doloso, mentre non acquistavano rilievo gli atti di mala gestio o, come già evidenziato, quelli rilevanti sotto il profilo della lesione della par condicio creditorum (FAUCEGLIA, Revoca dell'ammissione al concordato e dichiarazione di fallimento in corso di procedura, in Fallimento e altre procedure concorsuali, a cura di Fauceglia e Panzani, 2009, 1700: AMBROSINI, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Trattato di dir. comm., diretto da Cottino, vol. XI, 1 Padova, 2008, 81 ss.).
Oggi, abolito il canone di meritevolezza, è ancor più acuita la necessità che il dolo, ai fini della sua rilevanza ex art. 173 l. fall., sia orientato a frodare i creditori esclusivamente in funzione della domanda di concordato e non in senso astratto.
In altri termini, il dolo è ravvisabile in tutte quelle fattispecie a formazione progressiva in cui non assume rilevanza l'atto di disposizione patrimoniale in sé, ma la sua diretta correlazione con la diminuzione dell'attivo disponibile ai fini concordatari incidendo sulla percezione che il ceto creditorio ha della effettiva disponibilità patrimoniale del debitore in “funzione” della proposta concordataria (iIn tal senso Trib. Milano 19 luglio 2007 in cui viene dato rilievo alla diminuzione della garanzia patrimoniale generica di cui all'art. 2740 c.c. a favore dei creditori. Così anche più di recente Trib. Roma, 20 aprile 2010, in Red. Giuffré, 2010).
In questo senso si coglie il disvalore giuridico dell'atto espoliativo connesso ad una domanda concordataria in cui il debitore “simuli” di mettere a disposizione dei creditori tutti i beni di cui dispone (adempiendo con tutto il suo patrimonio presente e futuro ai sensi dell'art. 2740 c.c.) dopo essersene spogliato, denotando così di voler utilizzare (rectius: piegare) il concordato in senso abusivo o quale negozio indiretto in frode dei creditori, che avrebbe solo quale finalità egoistica l'esdebitazione.
Da questo punto di vista assume importanza, come rilevato dal Tribunale di Bergamo nel provvedimento in commento, la vicinanza cronologica degli eventi distrattivi rispetto alla data di proposizione della domanda concordataria. Infatti, se come si ritiene, anche la garanzia patrimoniale astratta del debitore assume rilevanza ai fini della sua esdebitazione (anche se tale fattore può non essere dirimente in quanto la funzionalità del piano può dipendere anche da elementi patrimoniali e finanziari messi a disposizione da terzi) non può essere attribuita la stessa valenza ad atti dispositivi compiuti in epoca “non sospetta”, e comunque non incidenti sulla situazione patrimoniale e finanziaria dell'impresa alla data di proposizione della domanda di concordato, rispetto a quelli che si pongono a ridosso della domanda medesima e che hanno una incidenza causale sulla crisi o sul suo aggravamento (iIn tal senso cfr. Trib. Mondovì, 17 dicembre 2008, in Red. Giuffré, 2009).
Di qui la necessità che vi sia una correlazione tra atto e concorso nel dissesto dell'impresa come è stato correttamente affermato di recente (così Trib. Milano, 29 maggio 2013, in Red. Giuffré, 2013).
In questo senso, e solo in questo, può censurarsi la condotta seppure riprovevole del debitore che distragga i propri beni, in quanto tale condotta è destinata ad incidere sulla fattibilità giuridica del piano che sarebbe privo sul piano oggettivo della propria “causa tipica” di strumento di soluzione della crisi alternativo al fallimento.
Il concetto di atto di frode che oggi assume rilevanza nel contesto del diritto fallimentare riformato sembra coincidere con quello della condotta consapevolmente orientata al fine di frodare i creditori sulle possibilità di effettivo realizzo del proprio credito e di condizionarne il consenso informato quale valore assoluto in un contesto di esclusione di un sindacato di convenienza economica del tribunale.
Secondo il suddetto orientamento, la condotta rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall. sarebbe solo quella che sia stata volta ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, cioè tali che, se conosciute, avrebbero comportato una valutazione diversa e negativa della proposta.
La S.C. ha ribadito in più occasioni che “i comportamenti del debitore anteriori alla domanda di concordato sono rilevanti esclusivamente nel caso in cui abbiano valenza decettiva e siano quindi tali da pregiudicare l'espressione di un consenso informato da parte dei creditori. La rilevanza di detti comportamenti è, infatti, data dalla loro attitu-dine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liqui-dazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da fare apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. Detta attitudine deve ricorrere ai fini in questione anche per gli “altri atti di frode” (Cass., 15 ottobre 2013, n. 23387).
E non si pone in dubbio che il principio del voto consapevole debba ispirare la ratio della disciplina concordataria legittimando il potere di controllo di legalità del tribunale che sino al giudizio di omologa può arrestare la procedura in presenza di condotte frodatorie ed aprire d'ufficio il procedimento per la dichiarazione di revoca di apertura della procedura concordataria.
Ma fin a che punto il consenso informato può assorbire la causa del concordato piegandola a negozio privo di causa in concreto pur in presenza della volontà dei creditori?
Bisogna domandarsi se davvero l'autonomia contrattuale attribuita alle parti (debitore e creditori) possa spingersi al punto di ritenere ammissibile una proposta in cui le condotte frodatorie siano persino confessate dal debitore o residui un potere del tribunale in senso “riclassificatorio” delle condotte del debitore istante al fine di ricondurre il negozio in concreto alla sua causa astratta.
Anche se le SS.UU. nel recente arresto hanno riaffermato il ruolo di controllo del tribunale funzionale non solo alla regolarità della procedura, ma alla stessa riconduzione causale del concordato in termini di ammissibilità, sembrerebbe ancora permanere in capo al ceto creditorio un potere di derivazione contrattuale di disporre anche in senso ad esso pregiudizievole dei propri diritti accettando proposte oggettivamente sconvenienti.
Ma se il bene giuridico protetto coincide con il c.d. consenso informato quale presupposto di validità del negozio concordatario del ceto creditorio bisogna stabilire se la disclosure delle condotte frodatorie abbia sempre e comunque efficacia scriminante ai fini della ammissibilità e procedibilità della domanda concordataria. Vale a dire: può ritenersi comunque legittima la condotta di chi distragga beni rendendo edotti i creditori nella domanda concordataria?
Il problema attiene ancora alla percezione del ceto creditorio della convenienza della proposta concordataria, che non può prescindere dalla “qualità” dell'informazione resa dal debitore su cui insiste il ruolo di centralità dell'organo commissariale.
Procedendo secondo la ricostruzione normativamente orientata dell'istituto, anche alla luce del recente arresto delle SS.UU della Corte di cassazione, il controllo del tribunale non ha ad oggetto la convenienza economica della proposta concordataria, che è rimessa alla decisione dei creditori i quali possono pure decidere di accettare anche proposte svi-lenti le ragioni di credito.
E' altresì vero, tuttavia, che il ruolo del tribunale non è relegabile a quello di mero spet-tatore o ancor peggio di omologatore di un contratto privatistico che sia del tutto privo di ogni requisito di idoneità ad assolvere alla sua funzione tipica e che per tale ragione sarebbe pure nullo (secondo la prospettazione in senso contrattualistico) per mancanza di causa ai sensi dell'art. 1418, comma 2, c.c.
In base all'art. 173, comma 3, l. fall. il tribunale può revocare il decreto di ammissione alla procedura di concordato qualora “in qualunque momento” risulti che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato. Condizioni che devono sussistere dalla introduzione della procedura sino all'omologa.
L'ammissibilità della proposta è precondizione per poter sottoporre la proposta (ed il piano) al vaglio del ceto creditorio, in quanto di converso non ci si troverebbe di fronte ad un negozio concordatario, ma ad un atto avente finalità diverse da quelle della soddi-sfazione seppure parziale dei creditori.
Il rafforzamento della connotazione privatistica non può tuttavia escludere il controllo di legalità del tribunale.
In questo senso, il correttivo istituzionalistico attribuito dal legislatore al tribunale as-sume particolare pregnanza, in quanto il tribunale deve poter verificare la correttezza delle informazioni che il ceto creditorio riceve dal debitore proprio per garantire la funzione dell'istituto. Non si tratta di un controllo che afferisce alla sola informazione di c.d. primo grado, ovvero alla rilevazione (o se si preferisce, alla scoperta) del fatto rappresentato (o omesso), ma anche all'informazione di c.d. secondo grado, che viceversa presuppone un'attività di accertamento di tipo qualitativo da parte dell'ausiliario del tribunale che è funzionale ad una informazione obiettiva.
Qui entra in gioco il ruolo del Tribunale (PATTI, Il sindacato del tribunale nella fase di ammissione al concordato preventivo, in La crisi d'impresa – questioni controverse nel nuovo diritto fallimentare, Padova, Cedam, 2010, 328), ma soprattutto del commissario giudiziale, al quale è riservata una funzione importante che attiene al suo munus di vero e proprio organo preposto a garantire la legalità della procedura.
A tal proposito si coglie un elemento di ambiguità rappresentato dal convincimento che la condotta decettiva, per dirsi tale, debba necessariamente essere omessa al ceto creditorio e, successivamente, “scoperta” dall'organo commissariale, come a voler legittimare gli atti di frode posti in essere anteriormente alla proposizione della domanda di con-cordato che viceversa siano stati esplicitati nella domanda.
Il dubbio è instillato da una interpretazione fornita dalla S.C. del dettato normativo dell'art. 173 l. fall. in cui tautologicamente si è relegato il ruolo del commissario a quello di “scopritore” delle condotte non dichiarate dal debitore nella proposta sulla base dell'interpretazione della norma ai sensi dell'art. 12 preleggi, che attribuirebbe al verbo accertare significato di scoperta (cfr. Cass., 23 giugno 2011, n. 13817. In senso critico V. TEDOLDI, Il sindacato giudiziale sulla fattibilità del piano e l'art. 173 l. fall. nel concordato preventivo: ovvero, la Cassazione e il “cigno nero”, in www.ilcaso.it.).
Nell'arresto della S.C. si legge, infatti, che “la circostanza che l'evento accertato per essere tale dovesse essere prima ignoto è logicamente desumibile dalla considerazione che se la norma si volesse riferire alla segnalazione di eventi già noti al momento della ammissione alla procedura la segnalazione degli stessi da parte del commissario costi-tuirebbe una sollecitazione al tribunale a riprendere in considerazione e a diversamente valutare fatti già ritenuti non ostativi alla ammissione e quindi in sostanza l'esercizio di un potere di sollecitazione di una pronuncia giurisdizionale modificativa di una precedente che costituirebbe una straordinaria deviazione dalle funzioni proprie dell'organo che sono unicamente consultive”.
In realtà può dubitarsi che l'atto dispositivo patrimoniale finalizzato a frodare i creditori nell'ambito di una proposta concordataria sia solo quello occultato e successivamente scoperto dall'organo commissariale, come se l'attività di accertamento fosse sinonimo di quella di vera e propria scoperta di un fatto non noto.
La motivazione non appare convincente sotto due profili: il primo, quello della pretesa intangibilità del decreto di ammissione alla procedura di concordato che collide con il dettato dell'art. 173, comma 3, l. fall. e del potere del tribunale in ogni momento di revocare il decreto di ammissione alla procedura di concordato rilevata la sussistenza di fatti censurabili ai sensi dell'art. 173 l. fall.
Il secondo aspetto attiene proprio alle funzioni del commissario, che in quanto pubblico ufficiale ed ausiliario tecnico del tribunale non può ritenersi semplicemente consulente del tribunale, ma diviene organo della procedura finalizzato a tutelare la legalità della stessa sotto la propria responsabilità.
Si ritiene, di contro, che il commissario giudiziale assolva ad una attività di cognizione finalizzata a contestualizzare un determinato atto in base agli affetti giuridici prodotti a prescindere dal modus in cui la prova dell'esistenza del fatto viene acquisita.
Se il bene giuridico protetto è il voto consapevole dei creditori, non è necessario che si tratti di condotte scoperte ex post, ma dell' “accertamento” da parte del commissario giudiziale della loro attitudine a dare una rappresentazione distorta della situazione pa-trimoniale e finanziaria dell'impresa debitrice (Trib. Siracusa, 20 dicembre 2012). Ciò anche sulla base di una riqualificazione degli stessi elementi oggetto di disclosure da parte del debitore.
Si tratta di un potere valutativo “critico”, che si esplica attraverso l'utilizzo di tutte le informazioni assumibili che può indurre ad attribuire ad un fatto prospettato dal debitore una rilevanza diversa da quella esposta anche sulla base di elementi aliunde reperiti, an-che di natura presuntiva.
In tal senso sembrerebbe porsi l'intervento normativo di cui all'art. 82 del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, che all'art. 161, comma 6, l. fall. con effetto dal 22 giugno 2013, ha aggiunto i seguenti periodi « Con decreto motivato che fissa il termine di cui al primo periodo, il tribunale può no-minare il commissario giudiziale di cui all'articolo 163, secondo comma, n. 3, e si ap-plica l'articolo 170, secondo comma. Il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall'articolo 173, deve riferirne immediatamente al tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all'articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore con contestuale sentenza reclamabile a norma dell'articolo 18 ».
Se la facoltà di nomina dell'organo commissariale da parte del tribunale sorge anche in presenza di domanda in bianco, cioè quando il debitore non ha formulato alcuna proposta e a tale data non ha dichiarato su quali basi si fonderebbe il piano, ed il legislatore ha inteso anticipare l'attività di accertamento commissariale ad un momento anteriore, è chiara l'intenzione di rafforzare il potere non di semplice consulente del commissario, ma di organo che, a prescindere dalle prospettazioni del debitore, può svolgere una intensa ed autonoma attività di accertamento e trarre le conseguenze dei fatti ancora non esposti ai fini della dichiarazione di inammissibilità della domanda in bianco.
Sulla base delle considerazioni ora esposte è possibile ritenere allora che anche la disclosure delle condotte rilevanti da parte del debitore non possa eliminare il disvalore giuridico di tali condotte ai fini dell'art. 173 l. fall., in quanto il legislatore si preoccupa di fornire al ceto creditorio l'informazione c.d. di secondo grado che, pur non potendo prescindere dalla esternazione del fatto sotto il suo profilo materiale, richiede un'opera critica ed analitica da parte del commissario, che, per poter assolvere a tale compito, non può limitarsi alla “informazione passiva”, ma deve potere acquisire ogni elemento di valutazione.
Uno spunto argomentativo in tal senso sembra desumersi da una recente giurisprudenza, la quale, riguardo all'“effetto decettivo” sul ceto creditorio di determinate operazioni o condotte, ha precisato che, pur potendosi trattare di operazioni rilevabili dalla contabilità ed annotate nelle scritture contabili, l'effetto decettivo si verifica allorché esse non siano state comunque richiamate ed evidenziate in sede di proposta concordataria onde consentire ai creditori di venire adeguatamente a conoscenza delle vicende societarie per giungere poi ad esprimersi con un voto informato (cfr. App. Bologna, 25 febbraio 2013, n. 213; Trib. Napoli, 4 dicembre 2012). A dimostrazione che l'effetto decettivo dipende non dalla condotta in sé, ma dalla sua percezione da parte dei creditori.
Appare opportuno quindi distinguere le condotte tipizzate (omissione o occultamento di elementi dell'attivo o di passività) in cui la connotazione fraudolenta è in re ipsa (anche se resta sempre da valutare l'impatto oggettivo sul patrimonio del debitore) da quelle atipiche il cui disvalore può essere evidenziato dal commissario giudiziale anche se di-svelato dal debitore.
Per gli altri atti di frode ciò che assume rilevanza non è la scoperta ex post dell'atto, ma l'accertamento del loro disvalore da parte dell'organo commissariale, che implica una valutazione qualitativa dell'atto da parte di detto organo (nel senso della possibilità di riqualificare come frodatorio un atto esplicitato nella domanda concordataria v. Trib. Monza, 2 novembre 2011).

Conclusioni

In conclusione, il Tribunale di Bergamo ha correttamente interpreta-to la nozione di atti di frode alla luce della riforma della legge fallimentare e della interpretazione orientata delle SS.UU. della Corte di Cassazione, tutelando il consenso in-formato quale valore assoluto e distinguendo gli atti semplicemente lesivi della par condicio creditorum da quelli funzionalmente orientati a rappresentare in maniera distorta al ceto creditorio la condizione patrimoniale e finanziaria del debitore in modo da annullarne la volontà.
La visione contrattualistica del concordato propugnata di recente ha posto seri dubbi interpretativi riguardo ai limiti entro cui la libertà negoziale delle parti (il debitore ed i creditori) può esplicitarsi.
L'esigenza di tutelare, da una parte, il potere delle parti (debitore proponete e creditori) di decidere se preferire la soluzione concordataria rispetto all'ipotesi liquidatoria fallimentare anche in presenza di proposte concordatarie “svilenti” le ragioni dei creditori; e, dall'altra, quella di sottrarre alla disponibilità delle parti la tutela di esigenze di ordine pubblico (quale è quella di tutelare gli stessi creditori contro le asimmetrie informative che possono inficiare l'esercizio del diritto di voto concordatario in modo consapevole) ha ispirato la recente riforma fallimentare ed in particolare l'istituto del concordato.
L'attribuzione al debitore insolvente del beneficio della esdebitazione non riceve più quale pendant in termini di prerequisiti soggettivi la specchiatezza della condotta del debitore anteriore alla proposizione della domanda o la predeterminazione di condizioni oggettive di carattere economico per l'accesso stesso alla procedura.
L'abbandono da parte del legislatore del 2007 della visione “etica” del concordato, che poggiava sulla meritevolezza soggettiva dell'imprenditore (il quale non doveva avere precedenti specifici per reati di bancarotta o per reati contro il patrimonio e la fede pubblica), ha portato il legislatore ad eliminare in seno all'art. 160 l. fall. tutti i prerequisiti soggettivi di ispirazione etica dell'imprenditore lasciando all'imprenditore proponente ampia libertà sui contenuti della proposta.
Se per effetto del diritto riformato appare neutro chi sia l'imprenditore che chiede accesso alla procedura di concordato, ed ancor meno la sussistenza di precedenti che po-trebbero mettere in discussione la affidabilità soggettiva del proponente, è altresì vero che il potere di controllo attribuito al tribunale in funzione della rilevazione di condotte fraudolente è senz'altro acuito.
In linea con l'interpretazione di recente espressa dalla Suprema Corte di cassazione, la ammissibilità della domanda di concordato non presuppone il sindacato del Tribunale sulla fattibilità economica della proposta (come accadeva in forza della disciplina vigente in data anteriore alla riforma di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35), ma l'assenza di condizioni che incidono sulla ammissibilità giuridica della domanda, tra cui la possibilità giuridica ovvero la attitudine del negozio ad assolvere alla sua funzione tipizzata.
La rilevazione in corso di procedura di elementi ostativi alla fattibilità giuridica del piano ed idonei ad alterare la percezione dei creditori e che sul piano oggettivo comportino la diminuzione (in danno dei creditori) dell'attivo usufruibile ai fini concordatari, impone al tribunale, secondo il ruolo ad esso attribuito di garante della legalità della procedura, di arrestare il procedimento e dichiarare inammissibile la domanda.
Tale prerogativa, che è attribuita pacificamente al tribunale fino al decreto di omologa-zione del concordato, poggia ancora in forza del diritto riformato sull'applicazione dell'art. 173 l. fall., il quale permane immutato nell'attribuire rilevanza agli altri atti aventi contenuto frodatorio.
Ecco che in tale contesto la condotta fraudolenta del debitore non assume rilevanza in quanto promanante da soggetto “indegno” o poco meritevole per la sua “storia”, ma sul piano oggettivo, in quanto tale condotta abbia un impatto negativo sulla proposta con-cordataria in termini di infattibilità giuridica.
Sotto tale profilo si evince dalla pronuncia del Tribunale di Bergamo la necessità che l'atto abbia un impatto eziologico sotto il profilo oggettivo-patrimoniale in modo da avere una chiara ricaduta sullo stato di dissesto patrimoniale e finanziario dell'imprenditore e soprattutto quanto ad entità della causazione.
L'attività frodatoria commessa in un momento precedente al deposito della domanda o all'apertura della procedura concordataria assume rilevanza come fattispecie illecita a formazione progressiva in cui l'atto frodatorio non viene considerato in sé (in quanto non sarebbe censurabile in tale sede), ma in connessione alla richiesta di accesso alla procedura concordataria, la quale in un siffatto contesto si presterebbe ad essere uno strumento abusivo a danno dei creditori, in quanto dissimulante una soluzione migliorativa per i creditori (quella fallimentare), che vedrebbero pregiudicate le ragione di soddisfazione (o migliore soddisfazione) dei propri crediti.
In tale contesto, come correttamente osservato, ai fini della indagine sulla attitudine frodatoria di tali azioni del debitore deve guardarsi al tempo in cui tali atti sono commessi: la vicinanza rispetto alla proposizione di una domanda di concordato preventivo attribuisce a tali atti una connotazione frodatoria, in quanto distrattivi del patrimonio del de-bitore (rectius: distrattivi del patrimonio che il debitore deve mettere a disposizione del ceto creditorio). Tale ricostruzione appare correttamente inquadrata nella funzione attribuita all'istituto del concordato, il quale non può divenire lo strumento di comoda esde-bitazione del debitore a costo zero.
La condotta del debitore che distragga elementi dell'attivo in prossimità della proposizione della domanda di concordato assume disvalore, ancorché giuridico, soprattutto sul piano sociale, in quanto rende riprovevole la stessa domanda concordataria, che costituisce frutto di un autentico abuso del diritto, poiché lo strumento del concordato in sé viene piegato ad instrumentum sceleris come atto finale di una condotta illecita.
L'attenzione dell'interprete anche in questo caso non viene riposta sull'atto isolatamente considerato, di per sé non censurabile (nel caso di specie il Tribunale di Bergamo ha infatti escluso la rilevanza di atti anteriori alla proposizione della domanda di concordato che però erano stati esplicitati nella domanda da parte del debitore), ma sull'atto in funzione della causa del concordato, assumendo rilevanza la tempistica degli atti rispetto alla iniziativa concordataria ed il disvalore della singola condotta.
Tale disvalore giuridico non è eliminabile attraverso il c.d. ravvedimento operoso, ovvero la situazione in cui si venga a trovare il debitore che una volta “smascherato” dal commissario manifesti la disponibilità a modificare la proposta concordataria mettendo a disposizione del ceto creditorio assets che avevano formato oggetto di preventiva distrazione. Infatti, nessun ravvedimento può eliminare ex post l'occultamento o più sem-plicemente la rilevanza dell'atto di frode in quanto fatto che si consuma nel momento stesso in cui esso non viene disvelato spontaneamente al ceto creditorio.
Giurisprudenza e dottrina concordano nel ritenere che la procedura di concordato sia unitaria, e che pertanto in pendenza di una procedura di concordato che non abbia for-mato oggetto di rinuncia da parte del debitore con accettazione da parte degli altri soggetti processuali (come ad es. le parti che abbiano instato per il fallimento) l'eventuale modifica della domanda non possa che essere considerata una domanda nuova, come ta-le inammissibile (in quanto già pendente altra domanda non definita; cfr. GALLETTI, Una riflessione sulla revoca dell'ammissione del concordato: la rinunzia alla proposta con “nuova domanda” dopo l'atto di frode, in ilfallimentarista.it. Anche a fronte del principio di unitarietà della procedura concordataria secondo cui, allorché penda una procedura di concordato preventivo non sarebbe configurabile altra domanda di concor-dato con carattere di autonomia rispetto a quella originaria). Ma anche la modifica della domanda concordataria non avrebbe il pregio di eliminare la rilevanza frodatoria dell'atto accertato dal commissario.
Seguendo tale impostazione, assunta dal Tribunale di Bergamo, nessun rilievo sanante può avere la c.d. disclosure effettuata successivamente alla proposizione della domanda quando l'organo commissariale ha già effettuato rilievi e segnalazioni ai sensi dell'art. 173 l. fall., non potendo avere alcun valore giuridico (se non la sua nullità per contrarietà a norme imperative di legge) la clausola di riserva che il debitore dovesse apporre alla domanda concordataria in cui si facesse riferimento all'eventuale accertamento della le-sione connessa ad una determinata condotta individuata dall'organo commissariale.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, diret-tamente nel commento.

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