Decorrenza della prescrizione dei reati fallimentari nell’ipotesi di consecutio tra procedure

Niccolò Bertolini Clerici
28 Luglio 2014

In tema di reati fallimentari, nel caso in cui all'ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, la prescrizione del reato fallimentare decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento e non dalla data di ammissione al concordato preventivo.
Massima

In tema di reati fallimentari, nel caso in cui all'ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, la prescrizione del reato fallimentare decorre dalla sentenza dichiarativa di fallimento e non dalla data di ammissione al concordato preventivo.

Nel delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, il dolo vanta una struttura complessa: esso si presenta come generico riguardo al mendacio, come intenzionale in riferimento all'inganno dei destinatari della comunicazione sociale - risultando incompatibile sul punto con letture in chiave di dolo eventuale - e come specifico rispetto al contenuto dell'offesa qualificata da ingiusto profitto.

Il caso

La fattispecie in esame riguarda le imputazioni di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta impropria societaria contestate agli amministratori di una società fallita, in precedenza ammessa all'amministrazione controllata e successivamente al concordato preventivo. Gli imputati, ricorrendo per Cassazione, avevano dedotto motivi attinenti l'individuazione del momento consumativo del reato fallimentare e della decorrenza del relativo termine di prescrizione, nonché in materia di elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria societaria.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il caso portato all'attenzione della Corte di Cassazione poneva principalmente due temi giuridici, in particolare: 1) l'individuazione del dies a quo del termine di decorrenza della prescrizione dei reati fallimentari, ai sensi dell'art. 158 c.p., nel caso in cui si verifichi una successione tra procedure concorsuali, nella specie concordato preventivo seguito dalla dichiarazione di fallimento; 2) la natura dell'elemento soggettivo richiesto per l'integrazione del delitto di bancarotta impropria societaria ai sensi dell'art. 223, comma 2 n. 1 l. fall., in particolare se sia sufficiente il dolo generico, ovvero se sia prescritta la sussistenza del dolo proprio del reato societario presupposto, nella specie quello previsto dalla contravvenzione in tema di false comunicazioni sociali di cui all'art. 2621 c.c.
La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, chiarisce che: 1) nel caso in cui all'ammissione alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, il reato fallimentare decorre dalla data sentenza che dichiara il fallimento e non dal momento dell'ammissione alla suddetta anteriore procedura concorsuale; 2) nel delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali, il dolo ha struttura complessa: è generico riguardo al mendacio previsto dal reato societario, intenzionale in riferimento ai destinatari della comunicazione sociale e specifico rispetto al contenuto dell'offesa qualificata da ingiusto profitto.

Osservazioni

Il primo tema sottoposto al vaglio della Corte di cassazione consiste nella possibilità o meno di affermare come la consecuzione tra concordato preventivo e fallimento, sul piano del momento consumativo del reato fallimentare, possa comportare un'ipotesi di sostanziale assorbimento del secondo nel primo: secondo la tesi difensiva, apertosi il concordato preventivo, l'iter si svilupperebbe secondo un tracciato ormai necessitato ed unitario, che giustificherebbe la fissazione della genesi del decorso della prescrizione nel primo, in ordine di tempo, degli interventi giudiziali.
Siffatta interpretazione, secondo la Suprema Corte, non può essere condivisa, in quanto le due procedure in esame, seppur unite da un “nesso funzionale” e accomunate da un importante denominatore (lo stato di crisi dell'impresa - che comprende anche l'insolvenza - ai sensi dell'art. 160 l. fall., dal quale sorge la legittimazione sia al concordato preventivo, sia alla procedura fallimentare), presentano tuttavia difformità di particolare rilevanza che impediscono la loro assimilazione con particolare riferimento nell'ottica degli effetti penalistici.
Al proposito la Corte traccia un panorama di tali differenze di rilievo tra i due istituti: 1) il provvedimento genetico (decreto di omologa per il concordato, sentenza per la dichiarazione di fallimento); 2) il mantenimento del possesso dell'impresa, da parte dell'imprenditore, in sede concordataria (art. 167 l. fall., con conseguente dovere di provvedere all'amministrazione ed agli obblighi di documentazione ai sensi dell'art. 170 l. fall.); 3) la diversa disciplina delle azioni esecutive, riservate soltanto ai creditori anteriori all'ammissione dell'impresa alla procedura (con riflessi in tema di prescrizione e decadenza: cfr. art. 168 l. fall.); 4) il controllo dispiegato dai creditori nel concordato preventivo; 5) la diversità dei poteri del commissario giudiziale, che esercita solo la vigilanza sulla condotta dell'imprenditore nel caso di concordato preventivo, e la diversità dei poteri giudiziari esercitati: sorveglianza sulla condotta dell'imprenditore, nel caso del concordato preventivo, mentre nel caso del fallimento lo spossessamento attuato dalla procedura impedisce del tutto l'ingerenza gestoria del fallito; 6) in ambito strettamente penalistico, il fatto che solo una parte delle fattispecie di reato fallimentari sia “esportabile” in seno all'art. 236 l. fall., in tema di concordato preventivo; 7) la possibilità, nei casi di bancarotta, di esercitare l'azione penale anche prima della sentenza dichiarativa del fallimento, eventualità invece preclusa nelle ipotesi di concordato preventivo.
Le diversità rilevate dalla Corte, in definitiva, non permettono di intravvedere nella successione delle vicende concorsuali la medesima connotazione e quell'uniformità tali da consentire l'assorbimento della dichiarazione di fallimento nel concordato preventivo (in termini, Cass. Pen - Sez. V, 30 giugno 2011, n. 31117). Anzi, spiega la Corte, nel caso sarebbe vero il contrario: è la sentenza dichiarativa del fallimento, quale momento terminale della procedura concorsuale, che ricapitola in sé quanto avvenuto in precedenza e, per il versante penale, fornisce maggiore sostanza nell'elemento costitutivo dei reati concorsuali.
Tale osservazione, del resto, è coerente con un ulteriore arresto della giurisprudenza della Corte di cassazione in materia, secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, ove alla procedura di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, poiché il concorso di norme tra l'art. 236, comma 3, n. 1 l. fall. (applicabilità al concordato preventivo delle ipotesi di bancarotta impropria previste dall'art. 223 l. fall.) e l'art. 223 l. fall., deve essere risolto utilizzando il principio di specialità, con l'applicazione della fattispecie di bancarotta fallimentare (tra le molte, Cass. Pen., Sez. V, 18 settembre 2007, n. 39307), non potendosi dare luogo ad un “assorbimento cronologico” tra il concordato preventivo ed il fallimento, ne deriva la conclusione per cui la prescrizione deve decorrere dalla – successiva – data della sentenza dichiarativa del fallimento.
Del resto, è orientamento consolidato della Corte di cassazione che la “continuità” tra concordato preventivo e fallimento, soprattutto a seguito delle ultime riforme operate sulla Legge fallimentare, sia ormai spezzata, solo che si consideri come il legislatore abbia eliminato dall'art. 180 l. fall. (in tema di approvazione del concordato e giudizio di omologazione) qualsiasi riferimento all'automatismo della conversione del concordato preventivo in fallimento (pur facendo salve le ipotesi in qualche modo “sanzionatorie” previste dall'art. 173 l.fall. Per un maggiore approfondimento sul tema, si veda Cass. Pen. SS. UU., 30 settembre 2010, n. 43428).
Il secondo tema di particolare rilievo affrontato dalla sentenza in commento concerne l'elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria societaria, nelle ipotesi previste dall'art. 223 co. 2 n. 1 l. fall., cioè laddove il fallimento sia stato cagionato – o vi sia stato un concorso nel cagionarlo – attraverso il compimento del reato di false comunicazioni sociali ai sensi dell'art. 2621 c.c. Al riguardo, la difesa del ricorrente aveva censurato la sentenza di merito in ordine alla ritenuta sufficienza del dolo generico per la configurabilità del delitto in esame, laddove, invece, sarebbe stato necessario il dolo proprio del reato societario presupposto e cioè, nella specie, quello intenzionale e specifico previsto per la fattispecie ex art. 2621 c.c..
La Corte di cassazione, nel dichiarare infondato il motivo di gravame, svolge alcune puntualizzazioni in tema di elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria societaria. La premessa dell'argomento: è indubbio - sostiene la Corte - che i reati societari rientrano nella tipologia della bancarotta impropria in forza del quid pluris rappresentato dalla loro influenza sulla causazione del dissesto della società, conservando però la loro fattispecie materiale e psicologica.
Da ciò consegue che il dolo del delitto di bancarotta impropria da false comunicazioni sociali presenta una struttura complessa, definita sulla base del concorso con l'elemento soggettivo del reato presupposto: sono dunque richiesti il dolo generico in riferimento alla rappresentazione del mendacio, il dolo intenzionale in relazione all'inganno dei destinatari sociali – previsto per escludere sul punto letture in chiave di dolo eventuale - e, infine, il dolo specifico rispetto all'offesa, qualificata da ingiusto profitto (negli stessi termini, ma in relazione al delitto di false comunicazioni sociali in danno della società, dei soci o dei creditori previsto dall'art. 2622 c.c., si veda: Cass. Pen. - Sez. V, 24 novembre 2010, n. 2784).
Quanto all'evento che caratterizza la fattispecie nell'ambito dello statuto del fallimento, la Corte di cassazione si richiama ad un proprio consolidato orientamento, in base al quale “in tema di bancarotta impropria da reato societario, il dolo presuppone una volontà protesa al dissesto, da intendersi non già quale intenzionalità di insolvenza, bensì quale consapevole rappresentazione della probabile diminuzione della garanzia dei creditori e del connesso squilibrio economico” (Cass. Pen. - Sez. V, 29 marzo 2012, n. 23091. Per completezza, si segnala che, nel vigore della precedente formulazione dell'art. 2621 c.c., la Corte di cassazione, ancora valutando il dolo prescritto per il delitto di bancarotta impropria societaria, aveva affermato che “non è dunque necessario - perché sia integrato l'elemento psicologico - il proposito di cagionare un danno, bastando la semplice previsione del suo verificarsi, quale correlativo all'ingiusto profitto perseguito”: Cass. Pen. - Sez. V, 18 settembre 1999, n. 854. Per un'interessante riflessione riguardo all'accertamento del dolo in capo ai concorrenti nel reato, si segnala Cass. Pen. - Sez. V, 8 giugno 2012, n. 42519, ove analizzando la posizione di amministratori - anche non operativi - e sindaci in relazione a fatti di bancarotta impropria societaria, la Corte ha compiuto un'approfondita riflessione, in ottica garantista, sui c.d. “segnali d'allarme”, affermando che in tanto si può discutere di dolo in quanto l'imputato sia «concretamente venuto a conoscenza di dati da cui potesse desumersi un evento pregiudizievole per la società, od almeno il rischio che un siffatto evento si verificasse, ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo”).

Conclusioni

La risposta al primo quesito, individuando il dies a quo della decorrenza della prescrizione nella data della sentenza che dichiara il fallimento, seppure preceduta da altra procedura concorsuale quale il concordato preventivo, si colloca nel solco di un orientamento consolidato della Suprema Corte, che, valorizzando le differenze sostanziali tra gli istituti, scinde nettamente i momenti di rilevanza di ciascuno in relazione all'intervento dell'apparato penale, assegnando alla dichiarazione di fallimento un ruolo sostanzialmente assorbente rispetto alle altre procedure concorsuali, oggi tese alla prosecuzione dell'attività di impresa, seppur in stato di crisi, più che alla sua liquidazione.
La sentenza appare convincente in relazione alle osservazioni svolte in punto di elemento soggettivo del delitto di bancarotta impropria da reato societario, nella specie le false comunicazioni sociali ai sensi dell'art. 2621 c.c.: rifiutando la sufficienza del dolo generico per la sussistenza del reato, la Cassazione predilige un'impostazione più garantistica del tema, individuando una fattispecie composita in cui convergono gli elementi peculiari del reato presupposto, che dovranno essere accertati in concreto dal giudice del merito, in particolare il dolo intenzionale in riferimento all'inganno dei destinatari della comunicazione sociale ed il dolo specifico rispetto al contenuto dell'offesa qualificata da ingiusto profitto.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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