Indisponibilità della pretesa IVA e irrilevanza dell'accesso al concordato preventivo

Gianluca Minniti
11 Marzo 2014

Il reato di omesso versamento dell'IVA è reato omissivo istantaneo, che si perfeziona alla scadenza del termine entro cui deve essere effettuato il pagamento, essendo del tutto irrilevante il fatto che la società tenuta all'adempimento del debito tributario sia stata ammessa alla procedura di concordato preventivo.
Massima

Il reato di omesso versamento dell'IVA è reato omissivo istantaneo, che si perfeziona alla scadenza del termine entro cui deve essere effettuato il pagamento, essendo del tutto irrilevante il fatto che la società tenuta all'adempimento del debito tributario sia stata ammessa alla procedura di concordato preventivo.

Il caso

La Cassazione ha annullato la decisione con cui il Tribunale del Riesame di Napoli aveva a sua volta annullato un decreto di sequestro preventivo per equivalente concesso dal GIP nei confronti di un amministratore indagato del reato di cui all'art. 10-ter D. Lgs. n. 74 del 2000, per omesso versamento dell'IVA. Secondo la decisione del Tribunale del Riesame successivamente annullata non sarebbe sussistita neanche l'oggettività del reato ipotizzato, in quanto la società era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo in data antecedente al momento consumativo del reato, con la conseguenza che il successivo versamento dell'IVA avrebbe comportato una palese violazione della par condicio creditorum.
La Suprema Corte ha, invece, censurato tale decisione, in base all'assunto che l'accesso alla procedura di concordato preventivo è atto di autonomia privata e, pertanto, non può escludere la configurabilità del reato di omesso versamento dell'IVA.

Il discusso dogma dell'indisponibilità della pretesa tributaria relativa all'IVA 

Il percorso motivazionale della Cassazione si fonda, almeno apparentemente, sul presupposto che la legislazione vigente imporrebbe, nel concordato preventivo, l'integrale pagamento del debito IVA, a prescindere dal ricorso o meno alla transazione fiscale.
La Suprema Corte Penale si inserisce, pertanto, anche se non con pieno convincimento, nel (criticato) solco dei precedenti di legittimità civile, per ribadire il principio dell'intangibilità del debito IVA, il cui fondamento viene individuato nella circostanza che le relative entrate costituirebbero risorse proprie iscritte nel bilancio dell'Unione Europea. Secondo i sostenitori di tale orientamento, l'indisponibilità dell'IVA non potrebbe essere derogata neanche nell'ambito di una soluzione concordataria, a prescindere o meno dal ricorso alla transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall.
Com'è noto, l'orientamento della Cassazione civile non ha riscosso un'adesione univoca da parte delle Corti di merito e, anzi, si contano, ormai, numerose decisioni di segno diametralmente opposto.
A ben vedere anche la sentenza della Cassazione penale si distoglie, per un verso, dal citato orientamento della giurisprudenza di legittimità civile, laddove precisa che la prioritaria soddisfazione del debito IVA deve essere inclusa in un piano che preveda il pagamento anche di tutti gli altri crediti aventi grado poziore rispetto al credito IVA. Per effetto di tale precisazione, i Giudici penali sembrano, pertanto, non condividere l'assunto della natura c.d. “superprivilegiata” del credito IVA.


L'irrilevanza dell'accesso alla procedura di concordato

Come anticipato, il vero passaggio nodale della decisione in commento è rappresentato, in realtà, dall'affermazione che l'assoggettamento alla procedura di concordato preventivo ed agli obblighi da essa derivanti (che potrebbero impedire il tempestivo pagamento dell'imposta) rappresenta una libera scelta del debitore e, come tale, non può avere quale conseguenza una sostanziale impunità penale. Del resto alla medesima conclusione la Suprema Corte era già pervenuta, seppur in materia di omesso versamento delle ritenute previdenziali, laddove aveva statuito che soltanto il totale e tempestivo pagamento del debito contributivo consente di ottenere l'effetto estintivo del reato, essendo irrilevanti il motivo dell'omesso pagamento e le iniziative dei debitori che abbiano attivato la procedura di concordato preventivo nell'imminenza della scadenza del momento consumativo del reato (Cass. 25 settembre 2007, n. 38502). In sostanza, la Cassazione vuole impedire che la (discrezionale) decisione del debitore di assoggettarsi al divieto di pagamento tempestivo del debito IVA derivante dall'ammissione alla procedura di concordato preventivo (o dal semplice deposito di un ricorso ex art. 161, comma 6, l. fall.) possa costituire un escamotage per conseguire l'impunità. A ben vedere, la questione è più complessa, atteso che la tutela della par condicio creditorum, che - come è noto - è oggetto di espresso riconoscimento penale (in virtù della previsione di cui all'art. 216, comma 3, l. fall.) prescinde dall'accesso o meno ad una procedura concorsuale. A partire dal momento in cui l'imprenditore si trova in uno stato di insolvenza, l'attuale ordinamento gli impone di rispettare rigidamente i gradi di privilegio, con la conseguenza che il debitore in crisi può trovarsi in un vero e proprio vicolo cieco, laddove se non paga l'IVA risponde penalmente dell'omesso versamento, ma se la paga privilegiando l'Erario rispetto ad altri creditori aventi grado poziore rischia l'incriminazione per bancarotta preferenziale.

Gli effetti della transazione fiscale

Se l'affermazione circa l'irrilevanza ai fini penalistici del mero accesso al concordato preventivo non rappresenta, pertanto, una vera novità, certamente innovativa appare, quantomeno per i Giudici di legittimità, la (seppur timida) apertura in ordine alla possibile rilevanza dell'eventuale ottenimento di una dilazione di pagamento nell'ambito di una proposta di transazione fiscale avanzata con il ricorso per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Pur ribadendo che il reato in commento ha natura istantanea e che, pertanto, l'ammissione della società alla procedura di concordato preventivo in data precedente al momento di perfezionamento del reato è del tutto irrilevante, la Suprema Corte sembra valorizzare (seppur in negativo) la circostanza del mancato ottenimento, da parte della società medesima, di una dilazione di pagamento del debito IVA.
Pur nella sua assoluta sinteticità, tale richiamo potrebbe essere inteso quale primo segnale di adesione a quell'orientamento che si sta facendo strada nei Tribunali, secondo il quale l'ottenimento (ed il successivo adempimento) di una dilazione di pagamento comporterebbe il venir meno, sul piano dell'elemento soggettivo, della configurabilità del reato di omesso versamento. Iniziano, infatti, ad essere non rare le decisioni di merito che vanno in questa direzione, come Trib. Milano, 13 luglio 2012, inedita, secondo cui "il pagamento rateale e faticoso da parte dell'imputato delle somme recate dalla imputazione rende insufficiente la prova circa la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato".
Anche in questo caso, a fronte delle indubbie esigenze di equità relative alle non poche situazioni di illiquidità dovute semplicemente alla crisi e, dunque, prive del benché minimo disvalore sociale, la soluzione potrebbe essere rappresentata da un intervento normativo che preveda espressamente l'inapplicabilità di ogni sanzione penale nel caso in cui il debito IVA sia integralmente saldato a seguito del perfezionamento di una transazione fiscale ex art. 182-ter l. fall.

Minimi riferimenti giurisprudenziali e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti e le disposizioni normative interessate direttamente nel commento.

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