Controllo giudiziale sulla fattibilità giuridica e integrazioni della proposta di concordato

Alessandro Iucci
25 Luglio 2014

Dopo l'inizio delle operazioni di voto, laddove rimanga immutata l'originaria proposta, la modifica delle modalità esecutive del piano concordatario non può considerarsi inammissibile ex art. 175, comma 2, l. fall., invece rilevando ai fini dell'avviso ai creditori e dell'eventuale modifica del voto ai sensi dell'art. 179, comma 2, l. fall.
Massima

Dopo l'inizio delle operazioni di voto, laddove rimanga immutata l'originaria proposta, la modifica delle modalità esecutive del piano concordatario non può considerarsi inammissibile ex art. 175, comma 2, l. fall., invece rilevando ai fini dell'avviso ai creditori e dell'eventuale modifica del voto ai sensi dell'art. 179, comma 2, l. fall.

L'incremento della garanzia prestata dai terzi ed il più accorto riconoscimento dei valori dell'attivo e del passivo costituiscono mere integrazioni del piano, che possono essere introdotte dal debitore proponente anche successivamente all'approvazione del concordato, non incidendo sul contenuto della proposta concordataria.

Successivamente all'inizio delle operazioni di voto, la modifica della proposta di concordato è tamquam non esset, sicché il giudice deve comunque provvedere sulla omologazione della proposta originaria.

In assenza di modifiche sostanziali sia della proposta, che del piano, non è necessario il supplemento di relazione da parte del professionista attestatore ex art. 161, comma 3, l. fall.

Nel concordato preventivo il controllo giudiziale sulla fattibilità del piano può avere ad oggetto la radicale inesistenza dei crediti esposti dal debitore, quale conseguenza della mancanza di un loro adeguato riscontro documentale, rimanendo invece estranea ogni valutazione circa l'effettiva e concreta probabilità del loro incasso, profilo che involge una valutazione prognostica di esclusiva pertinenza del ceto creditorio.

Il caso

Previo rigetto della richiesta di omologa dell'accordo concordatario, con sentenza ex artt. 16 e 180 l. fall. il Tribunale di Firenze ha dichiarato il fallimento della società proponente, ritenendo che la proposta di concordato preventivo fosse stata inammissibilmente modificata dopo la conclusione delle operazioni di voto, peraltro senza nemmeno presentare la relazione integrativa ex art. 161, comma 3, l. fall.
Con successivo reclamo ex artt. 183 e 19 l. fall., la proponente società ha contestato che fossero applicabili alle modificazioni introdotte gli artt. 161, comma 3, e 175, comma 2, l. fall., assumendo che le stesse riguardavano il solo piano concordatario e che comunque erano di carattere migliorativo e non sostanziale, giacché incidenti sulle modalità esecutive della originaria ed immutata proposta concordataria. Secondo la reclamante, pertanto, la modificazione del piano sarebbe dovuta rilevare unicamente ai fini dell'avviso ai creditori ex art. 179, comma 2, l. fall. ed in ogni caso, quand'anche inammissibile, l'integrazione effettuata sarebbe stata assolutamente inidonea a travolgere l'originaria proposta, che aveva già ottenuto l'approvazione dei creditori, sebbene nella sua strutturazione economicamente “meno fattibile”.

Le questioni giuridiche

La questioni sottese alla fattispecie oggetto del provvedimento annotato riguardano un ampio spettro di problemi, tra i quali meritano precipua attenzione quelli attinenti la procedimentalizzazione dell'accordo concordatario e i limiti imposti al sindacato del Tribunale in sede di omologazione.
Sotto il primo profilo, a fronte del positivo riconoscimento della libertà di forme nella pianificazione del programma concordatario (cfr. art. 160 l. fall.), il modulo procedimentale definito dal legislatore, pur nella “straordinaria duttilità” delle soluzioni praticabili (P. F. CENSONI, Il “nuovo” concordato preventivo, in Giur. comm., 2005, 727), distingue tre elementi indefettibili: i) una domanda di accesso alla procedura, indirizzata all'organo giudiziario; ii) una proposta, rivolta ai creditori e consistente in un'offerta di soddisfazione parziale dei crediti nei tempi d'adempimento previsti; iii) un piano, che espliciti le specifiche modalità operative da seguire e le tempistiche necessarie per la realizzazione della proposta concordataria, corredato dalla documentazione indicata all'art. 161, comma 2, l. fall. e dalla relazione di un professionista “che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo” (art. 161, comma 3, l. fall.)
La scindibilità logica tra domanda, proposta concordataria e piano concordatario ritrova sicura consonanza nel dettato positivo, ove è invero esplicita la loro differenziazione (cfr. in particolare l'art. 161, comma 3, l. fall., che prescrive la redazione di una nuova relazione del professionista attestatore in ipotesi di modifiche sostanziali “della proposta o del piano”), ed è stata riconosciuta ex professo anche dal recente arresto delle Sezioni Unite in tema di concordato preventivo (cfr. Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521).
Sebbene la valutazione della causa in concreto dell'accordo concordatario ne imponga un apprezzamento necessariamente unitario (v. infra), la proposta ed il piano sono soggetti ad un trattamento sensibilmente differenziato quanto alla loro modificazione.
In particolare, fermo restando che in ipotesi di modifiche sostanziali della proposta o del piano il debitore deve comunque presentare una nuova relazione del professionista attestatore (art. 161, comma 3, l. fall.), solo per la modifica della proposta concordataria il nuovo secondo comma dell'art. 175 l. fall., superando il contrasto interpretativo sorto nella vigenza della precedente disciplina (v. T. MANFEROCE, Sub art. 174, in Codice commentato del fallimento diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2013, 2059 s., ove ampi riferimenti), individua nell'inizio delle operazioni di voto un limite temporale insuperabile.
Di converso, il comma 2 dell'art. 179 l. fall. [introdotto dalla lett. d-ter) del comma 1 dell'art. 33 D.L. 22.6.2012, n. 83, nel testo integrato dalla l. di conversione 7 agosto 2012, n. 134], chiarisce che l'approvazione della proposta non impedisce il successivo mutamento delle condizioni di fattibilità del piano, bensì impone al commissario giudiziale di darne “avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'art. 180 per modificare il voto” (art. 179, comma 2, l. fall.).
Sotto il secondo profilo, relativo all'individuazione del crinale oltre cui non è consentito il sindacato giudiziale dell'iniziativa del debitore nelle diverse fasi dell'ammissione, dell'omologazione e dell'eventuale revoca del concordato, onde dirimere l'ampio dibattito dottrinale ed orientare una giurisprudenza di legittimità non totalmente sintonica, sono recentemente intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la nota sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013 (confermata dai più recenti arresti della giurisprudenza di merito e di legittimità: cfr. Cass. 6 novembre 2013, n. 24970; Cass. 9 maggio 2013, n. 11014; Trib. Reggio Emilia 27 gennaio 2014; Trib. S. Maria Capua Vetere 17 aprile 2013; Trib. Arezzo 21 febbraio 2013).
Secondo la Corte di legittimità nella sua massima composizione, alla procedura di concordato preventivo deve attribuirsi “natura mista, essendo da una parte basata su una previsione di accordo fra le parti, raggiungibile attraverso la prospettazione di una proposta, ma trovando attuazione il detto accordo nell'ambito di una procedura che valga ad assicurare la puntuale indicazione dei dati da parte del debitore, la corretta manifestazione di volontà da parte dei creditori, l'assenza di atti di frode o comunque illecitamente posti in essere dall'imprenditore”.
All'esito delle recenti riforme legislative dell'istituto, la valorizzazione dell'elemento negoziale non può pertanto obliterare il compito della tutela della legalità del procedimento, che è istituzionalmente attribuito al giudice e che si esplica con identica estensione nei tre momenti dell'ammissione, dell'omologazione e dell'eventuale revoca del concordato, giacché la “specifica delimitazione dei poteri del giudice va effettuata in considerazione del ruolo a lui attribuito in funzione dell'effettivo perseguimento della causa del procedimento, ruolo che rimane identico nei diversi momenti ora considerati” (così ancora Cass., Sez. Un., 23.1.2013, n. 1521).
Il controllo giudiziale sarà volto a verificare sia la legalità dei singoli atti in cui si articola la procedura, sia la completezza della documentazione prodotta dal debitore e la sua idoneità a consentire l'espressione di un voto realmente cosciente e meditato da parte dei creditori, in particolare delibando sulla veridicità dei dati aziendali e sulla “correttezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano, così come analogamente deve dirsi per quanto concerne la coerenza complessiva delle conclusioni finali prospettate (si pensi ad esempio ad un giudizio di fattibilità ancorato ad un complesso di dati, la cui sommatoria deponesse viceversa in favore di conclusioni di segno opposto)” (Cass., Sez. Un., 23.1.2013, n. 1521).
Premessi tali indispensabili richiami, la specifica questione dibattuta in dottrina e giurisprudenza atteneva all'individuazione del perimetro d'intervento assegnato al giudice nell'accertare la ricorrenza del requisito della fattibilità del piano. A seguito delle modifiche apportate all'impianto normativo con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 80, infatti, l'ammissione alla procedura di concordato preventivo è ora condizionata alla positiva verifica della sussistenza dei “presupposti” di cui agli artt. 160, commi 1 e 2, e 161 l. fall. (v. il combinato disposto degli artt. 162 e 163 l. fall.), tra i quali è ricompresa la fattibilità del piano, alla cui attestazione provvede il professionista incaricato ex art. 161, comma 3, l. fall.
Secondo la Corte di legittimità a Sezioni Unite, sul presupposto che il piano, proprio perché strumento realizzativo della proposta, non può essere disgiunto dal contenuto di quest'ultima, al giudice spetta certamente un potere interdittivo della proposta allorché le sue “modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili”. Rientra dunque nell'ambito dell'esame giudiziale non soltanto la verifica della regolarità della procedura e dell'idoneità del corredo documentale prodotto dal debitore ad assolvere alla funzione informativa dei creditori, ma anche una prognosi circa “l'impossibilità giuridica di dare esecuzione (sia pure parziale) alla proposta di concordato (si pensi ancora, ad esempio, alla programmata cessione di beni di proprietà altrui), ovvero la rilevazione del dato, se emergente “prima facie”, da cui poter desumere l'inidoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti rappresentati, nel rispetto dei termini di adempimento previsti”.
Il giudice deve pertanto apprezzare la c.d. “fattibilità giuridica” della proposta, in primo luogo indagando, in una prospettiva atomistica, la realizzabilità giuridica delle specifiche modalità e soluzioni, attraverso le quali il debitore ha programmato la composizione degli interessi del proprio ceto creditorio (come ad esempio nell'ipotesi in cui, al di fuori dei presupposti ex art. 160, comma 2, l. fall., sia proposto il pagamento solo parziale dei creditori privilegiati) e successivamente valutando, in una prospettiva sintetica, la loro complessiva congruenza rispetto alla causa che la Corte di legittimità ritiene sia tipica della procedura concordataria. Secondo la Sezioni Unite, in particolare, la procedura concordataria deve necessariamente realizzare, da un parte, il “superamento della situazione di crisi dell'imprenditore (che comunque in tal modo così definisce la sua parentesi commerciale negativa)”, dall'altra, il “riconoscimento in favore dei creditori di una sia pur minimale consistenza del credito da essi vantato in tempi di realizzazione ragionevolmente contenuti”.
Alla luce della matrice negoziale dell'accordo concordatario, il giudice dovrà conseguentemente sanzionare per carenza della causa in concreto tutti quegli accordi, le cui specifiche modalità esecutive siano prima facie assolutamente inidonee a superare la crisi d'impresa e a garantire un soddisfacimento in tempi ragionevolmente contenuti, sia pure ipoteticamente parziale e modesto, del ceto creditorio: alla valorizzazione dell'elemento negoziale non può non conseguire la possibilità di una rilevazione ex officio delle eventuali deficienze genetiche del sinallagma contrattuale.
Nell'ambito di tale indagine assume valore non soltanto l'aspetto qualitativo/quantitativo della soddisfazione dei creditori (carente, ad esempio, allorché la liquidazione dell'attivo venga incentrata esclusivamente sulla dismissione dell'unico immobile aziendale, il cui valore di presumibile realizzo sia già ampiamente assorbito dalle iscrizioni ipotecarie), ma anche l'eccessiva dilatazione dei tempi di soddisfacimento della proposta esdebitatoria (su tale profilo v. in particolare R. AMATORE, Mancata omologazione del concordato preventivo per non realizzabilità della “causa in concreto”, nota adesiva a Trib. Siracusa 15 novembre 2013, decr., consultabile su ilFallimentarista.it).
Pur implicando un'indagine profonda sul complessivo assetto d'interessi predisposto dalle parti, la verifica della causa in concreto non si rivolge comunque al merito dell'accordo: altro è la valutazione della convenienza del complessivo regolamento per le controparti contrattuali; altro è l'accertamento dei requisiti essenziali del contratto, che sebbene parta dal “fatto” contrattuale, si risolve ad ogni modo in un sindacato sulla giuridicità del negozio.
Al di fuori delle ipotesi specificatamente contemplate nell'art. 180, comma 4, l. fall., invece, esorbita dal sindacato giudiziale non solo ogni valutazione circa la convenienza della proposta, ma anche ogni prognosi sulla possibilità di effettiva realizzazione del piano concordatario nei termini specificatamente prospettati (fermo ovviamente il limite, ex ante percepibile, della manifesta ed assoluta impossibilità di regolazione della crisi o di soddisfacimento minimo dei creditori).
Secondo le Sezioni Unite, infatti, anche la c.d. “fattibilità economica” è legata ad un “giudizio prognostico, che fisiologicamente presenta margini di opinabilità ed implica possibilità di errore”, sicché è del tutto “ragionevole, in coerenza con l'impianto generale dell'istituto, che di tale rischio si facciano esclusivo carico i creditori, una volta che vi sia stata corretta informazione sul punto”.

Osservazioni

Il provvedimento annotato merita parziale adesione, risultando necessario integrarne il percorso motivazionale sia in relazione alle valutazioni effettuate in punto di fattibilità del piano, sia relativamente all'applicabilità degli artt. 161, comma 3, 175, comma 2 e 179, comma 2, l. fall. in ipotesi di integrazione della proposta concordataria.
In riferimento al sindacato sulla fattibilità giuridica, l'unica questione posta all'attenzione della Corte fiorentina atteneva alla possibilità, paventata nella proposta integrativa avanzata dopo la conclusione delle operazioni di voto, di un più sollecito incasso dei crediti vantati dalla debitrice, previa riduzione prudenziale del loro ammontare.
Sulla base della premessa che “il controllo di legittimità non potrebbe che essere riferito alla inesistenza giuridica degli stessi; non mai alle effettive e concrete probabilità di incasso dei medesimi, che attiene invece ad una valutazione economica e di merito della fattibilità del piano” (sentenza annotata, p. 8), la posta di attivo segnalata viene giudicata totalmente scevra da criticità, giacché, osserva la Corte territoriale, non si poneva alcun problema di inesistenza della creditoria, di cui erano stati peraltro forniti tutti gli strumenti informativi all'uopo necessari. In particolare, considerando che il piano evidenziava l'essenzialità di un complessivo incasso pari ad almeno € 1.500.000,00, i crediti ritenuti effettivamente recuperabili nella seconda proposta integrativa – sebbene ridotti rispetto a quanto indicato nella prima proposta – erano comunque indicati in un ammontare più che doppio rispetto al fabbisogno minimo, secondo quanto indicato dal commissario giudiziale nella sua relazione ex art. 172 l. fall. (alla quale era stato allegato un loro prospetto analitico, con specifica evidenziazione della loro composizione). La Corte fiorentina, in altri termini, verosimilmente sul presupposto dell'inidoneità della relazione integrativa del professionista attestatore (che sotto tale profilo non viene in alcun modo richiamata), in maniera indubbiamente corretta sembrerebbe aver reputato sufficiente l'apporto informativo della relazione del commissario giudiziale, considerando che le correzioni in tema di fattibilità del piano proposte dal debitore si erano limitate a recepire le indicazioni ed i suggerimenti ivi elaborati.
Nel condividere il decisum della Corte di Appello, preme tuttavia segnalare l'eccessiva perentorietà del percorso motivazionale della sentenza, ove il controllo giudiziale è relegato alla mera verifica dell'inesistenza dei crediti. Alla luce del recente intervento delle Sezioni Unite l'indagine sulle effettive e concrete probabilità di incasso dei crediti fuoriesce indubbiamente dall'ambito del controllo sulla fattibilità del piano, nei limiti in cui, tuttavia, l'impossibilità di incasso non appaia ex ante connotata da assoluta certezza, potendo in tal caso reagire sulla valutazione prospettica del giudice in merito alla capacità dell'accordo di regolare la crisi e soddisfare i creditori: entro questi limiti il giudice potrà sanzionare la fattibilità giuridica dell'accordo concordatario per carenza della causa in concreto.
L'impostazione delineata dalla Sezioni Unite con la sentenza n. 1521/2013 merita, sotto questo aspetto, convinta adesione.
Rispetto ad un'intesa prettamente stragiudiziale, la soluzione concordataria della crisi d'impresa si caratterizza per l'applicazione del principio maggioritario nella formazione dell'accordo con i creditori, oltre che per la sua vincolatività generale, essendo obbligatoria non solo per la minoranza dissenziente, ma anche per coloro che alla procedura neppure abbiano partecipato (per non essere stati individuati né dal debitore, né dal commissario giudiziale). L'effetto esdebitativo della falcidia concordataria, infatti, si produce verso tutti i creditori per titolo anteriore alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (art. 184 l. fall.), dunque totalmente prescindendo dall'effettiva partecipazione alla formazione della maggioranza ponderale necessaria.
Nel paradigma societario, secondo la concezione tradizionale dell'assemblea, collegialità e principio di maggioranza sono aspetti tra loro intimamente legati, giacché l'organizzazione in senso collegiale dell'assemblea, quale specifica tecnica di ponderazione degli interessi, costituisce il contrappeso indefettibile per neutralizzare eventuali voti di dissenso. Nell'ipotesi della procedura concordataria, tuttavia, alla tutela della minoranza si intrecciano due ulteriori fattori di complicazione: da un lato, una connaturata asimmetria informativa tra il ceto creditorio e l'imprenditore in crisi, che è in una posizione a dir poco privilegiata per valutare la situazione di dissesto e la bontà della soluzione proposta; dall'altro, la circostanza che, in questa ipotesi, l'applicazione del principio maggioritario non consegue ad un'autodeterminazione di chi vi si assoggetta (ad esempio partecipando ad un'iniziativa imprenditoriale in forma societaria), bensì consegue ad un fatto episodico ed involontario, consistente nella contingenza che una platea più o meno variegata di soggetti ha assunto un rischio di controparte nei confronti dell'imprenditore ora in stato in crisi.
Il sacrificio dell'interesse individuale dei creditori, che consegue alla soggezione non volontaria al principio maggioritario, può ritenersi legittimo proprio alla luce di quella specifica procedimentalizzazione, che secondo il paradigma legale della procedura concordataria presiede alla formazione della volontà comune (imponente produzione documentale; nomina e partecipazione del commissario giudiziale; specifiche regole procedurali; etc.); procedimentalizzazione legale, che trova la sua guarentigia tipica ed ineludibile nel ruolo e nelle funzioni che sono in proposito attribuite al giudice, in primo luogo in ragione del controllo e della sanzione della completezza e della veridicità dei flussi informativi che il debitore deve garantire.
Invece, l'esecuzione puntuale del piano concordatario è inevitabilmente condizionata da una serie di variabili, che fuoriescono dal governo diretto del debitore (tanto nei concordati liquidatori, quanto nei concordati in continuità): l'analisi della fattibilità economica consiste pertanto nella valutazione previsionale di un rischio ed esprime la maggiore o minore probabilità di successo del piano concordatario. Come è di esclusiva pertinenza dell'imprenditore la decisione in ordine alla concessione di credito ad un debitore in difficoltà ovvero la determinazione di ristrutturare stragiudizialmente i propri crediti (cfr. l'art. 67, comma 3, lett. d), l. fall.), così non può che essere di esclusiva pertinenza del ceto creditorio la valutazione del rischio ricollegato alla puntuale esecuzione del piano concordatario.
In relazione alla seconda tematica che si intende approfondire, attinente al trattamento della “proposta integrativa” formulata dal debitore successivamente all'approvazione del concordato da parte della maggioranza ponderale dei creditori, correttamente la Corte fiorentina ha in primo luogo escluso l'applicabilità dell'art. 175, comma 2, l. fall.
Nella fattispecie in esame, infatti, le rettifiche pianificate dal debitore avevano chiara funzione integrativa delle modalità esecutive dell'originaria proposta, che era sostanzialmente “rimasta immutata, con il pagamento del 100% dei privilegi e del 10,57% del ceto chirografario” (sentenza annotata, p. 4). Peraltro, come rileva incidentalmente la Corte, laddove fosse stata effettivamente inammissibile, l'integrazione doveva considerarsi tamquam non esset e dunque insuscettibile di travolgere la proposta originaria, che aveva già ricevuto il voto favorevole della maggioranza dei creditori, nonostante la relazione negativa formulata dal commissario giudiziale.
La modifica in punto di fattibilità del piano è stata conseguentemente ritenuta rilevante agli effetti del disposto dell'art. 179, comma 2, l. fall., che impone al commissario giudiziale di rilevare i mutamenti sopravvenuti nelle condizioni di fattibilità del piano, tanto in senso migliorativo, che peggiorativo (L. JEANTET, Approvazione del concordato, in R. AMATORE – L. JEANTET, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 103 s.), e di darne avviso ai creditori, che possono costituirsi nel giudizio di omologazione sino all'udienza ex art. 180 l. fall. per modificare il voto.
Nel percorso motivazionale della sentenza annotata non è stato tuttavia approfondito il tema dell'eventuale inapplicabilità della norma alle modifiche volontariamente introdotte dal debitore, tema che era stato sollevato da uno dei creditori costituiti nel giudizio di reclamo e che avrebbe forse meritato maggiore considerazione.
La formulazione testuale della norma, condizionando l'avviso dei creditori ad una “rilevazione” del commissario giudiziale, sembrerebbe presupporre che il mutamento della fattibilità debba dipendere da circostanze esterne e sopravvenute, in relazione alle quali solamente può giustificarsi un onere di rilevazione in capo al commissario giudiziale.
Non vi sono tuttavia ragioni di carattere sistematico per opinare l'immodificabilità volontaria delle condizioni di fattibilità, cristallizzando il piano proposto dal debitore ed impedendone aggiustamenti successivi sia in chiave migliorativa, che peggiorativa, eventualmente al fine di tenere conto delle criticità evidenziate nella relazione ex art. 172 l. fall. (così come puntualmente avvenuto nella concreta fattispecie in esame).
Peraltro, anche laddove il mutamento si realizzi sulla base di una modificazione volontaria del piano, lo spazio per un “rilevamento” da parte del commissario giudiziale potrebbe comunque giustificarsi in funzione di filtro preliminare della significatività delle modifiche apportate, non potendo ovviamente essere indiscriminatamente rilevante ai fini del ripensamento del voto qualsiasi mutamento delle condizioni di fattibilità. In proposito, occorre in ogni caso precisare che, nonostante il mancato o l'errato avviso da parte del commissario, ai creditori che abbiano avuto notizia aliunde del mutamento deve ritenersi comunque applicabile l'art. 179, comma 2, l. fall., giacché è unicamente la sopravvenuta e significativa alterazione delle condizioni di fattibilità del piano a costituire il presupposto applicativo per il ripensamento del voto (L. JEANTET, Approvazione del concordato, cit., 104; T. MANFEROCE, Sub art. 179, in Codice commentato del fallimento diretto da G. Lo Cascio, Milano, 2013, 2092).
La lettura proposta è inoltre pienamente in linea con quell'apparato valoriale (consistente nel rafforzamento del poteri propositivi e decisionali delle parti, oltre che nelle avvertite esigenze di snellimento procedurale e di economicità dell'azione amministrativa), che all'esito delle recenti riforme legislative ha assunto un ruolo di prim'ordine in materia concorsuale in generale e nel concordato preventivo in particolare (in questi termini generali cfr. ancora una volta Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521). Il superamento delle rigidità strutturali, entro cui la proposta concordataria doveva essere congegnata, ha invero realizzato un significativo allineamento della disciplina concorsuale alle necessità dell'autonomia privata, in un contesto di generale e progressiva destrutturazione della crisi d'impresa.
Contrariamente a quanto avvenuto nel caso di specie, tuttavia, non sembra che in ipotesi di mutamenti migliorativi la comunicazione ex art. 179, comma 2, l. fall. vada effettuata unicamente a favore dei creditori dissenzienti (e, viceversa, esclusivamente a favore dei creditori non dissenzienti nel caso di integrazioni peggiorative). Unitamente alla genericità del dato testuale (dare avviso “ai creditori”), occorre infatti considerare che, come la prognosi sulla convenienza della proposta e sulla realizzabilità economica del piano è riservata all'esclusivo apprezzamento dei creditori, così anche la valutazione dell'incidenza delle modificazioni apportate sulla fattibilità del piano deve essere soppesata in via esclusiva dal ceto creditorio, senza che sia possibile operare una preventiva scrematura sulla base della qualificazione della modifica da parte del commissario giudiziale, nei termini di correzione in melius ovvero in peius. Da un lato, infatti, non è difficile immaginare situazioni di confine, in cui le conseguenze positive ovvero negative della variazione siano altamente opinabili; dall'altro, non appare affatto corretto preconizzare il contegno del ceto creditorio (assumendo ex ante l'irrilevanza di modificazioni giudicate migliorative per i non assenzienti e, viceversa, il disinteresse per quelle peggiorative da parte dei dissenzienti), essendo più consono con lo spirito e la natura della procedura concordataria rimandare ai singoli interessati ogni valutazione sulle ripercussioni che il mutamento delle condizioni di fattibilità produce sul voto già espresso (cfr. Lamanna, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, in Il civilista, Milano, 2012, 70 e ss.).
A conferma dell'assunto si possono richiamare i rilievi svolti dalla sentenza annotata sulla trasformazione del negozio dismissivo dei beni in magazzino, da contratto estimatorio a vendita immediata con pagamento dilazionato. Sul punto la Corte d'Appello “rileva come la perdita della proprietà dei beni mobili non importi poi in concreto modifiche sostanziali, ove si consideri […] che anche in caso di inadempimento al contratto estimatorio i beni, comunque nel possesso della cessionaria, dovrebbero essere recuperati con equivalenti difficoltà pratiche e giuridiche” (p. 7). La valutazione espressa involge chiaramente l'analisi del merito della proposta concordataria, sotto il profilo della prognosi della sua positiva realizzabilità, il cui apprezzamento è ormai di esclusiva pertinenza del ceto creditorio, in tal modo euristicamente dimostrando che la valutazione delle interferenze delle rettifiche proposte dal debitore sulla fattibilità economica del piano non può costituire il criterio per discernere i creditori meritevoli dell'avviso ex art. 179, comma 2, l. fall.
Problema distinto e successivo concerne invece la valutazione dell'incidenza delle integrazioni apportate dal debitore sulla realizzabilità della causa concordataria, del cui apprezzamento è competente il Tribunale in sede di omologazione.
L'ultima questione procedimentale affrontata dalla Corte fiorentina attiene alla rilevanza delle modificazioni introdotte nel piano concordatario ai fini dell'applicabilità dell'art. 161, comma 3, l. fall.
Avendo il debitore presentato un supplemento di relazione da parte del professionista attestatore, la tematica non ha ricevuto un'analisi approfondita e la Corte d'Appello si è limitata a rilevare che la marginalità delle modificazioni introdotte avrebbe reso in ogni caso superflua la suddetta produzione documentale.
Agli effetti dell'art. 161, comma 3, l. fall., la selezione delle modificazioni rilevanti va effettuata sulla base di un criterio selettivo chiaramente ambiguo, consistente nella “sostanzialità” della modifica apportata. Sul tema occorre invero considerare che anche clausole tipicamente accessorie, quali ad esempio quelle che prevedono una garanzia, concorrono innegabilmente a determinare gli elementi strutturali di uno specifico piano concordatario; se invece si pone attenzione al contenuto della proposta, il criterio discretivo della sostanzialità appare ancor più inafferrabile: quale variazione nella percentuale o nelle tempistiche di soddisfazione integra una modifica sostanziale della proposta?
Piuttosto che porre esclusiva attenzione sulla natura della modificazione, sembra più opportuno soppesarne il valore in chiave funzionale, indagando se la variazione apportata dal debitore abbisogni di un apporto informativo integrativo, ossia richieda una rinnovazione della relazione del professionista attestatore: la modifica sarà sostanziale laddove l'apparato informativo dell'originaria relazione non sia più sufficiente per una valutazione adeguata e meditata del piano.
Dalla lettura della sentenza annotata, si apprende che le modifiche intervenute in punto di fattibilità del piano concernevano: i) un più accorto riconoscimento dei valori del passivo; ii) una più prudente stima dei valori dell'attivo, identificata in un ammontare comunque ampiamente superiore al fabbisogno minimo ritenuto essenziale ai fini della fattibilità del piano, unitamente all'abbreviazione delle tempistiche della relativa liquidazione, segnatamente per mezzo della già richiamata trasformazione del contratto estimatorio dei beni in magazzino; iii) il considerevole aumento della garanzia fornita da parte dei terzi.
Alla luce delle superiori notazioni, quanto meno la trasformazione dello strumento giuridico di dismissione del magazzino merci poteva probabilmente considerarsi rilevante ai fini dell'art. 161, comma 3, l. fall.

Conclusioni

La sentenza in commento recepisce i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in tema di giudizio sulla fattibilità giuridica del piano, escludendo che il sindacato giudiziale possa riguardare la verifica della effettiva e concreta probabilità di riuscita del piano concordatario.
Alla luce delle riflessioni svolte, l'impostazione merita adesione. Si deve conclusivamente ribadire che, da un lato, la verifica della fattibilità economica implica “valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l'impianto generale prevalentemente contrattualistico dell'istituto del concordato”; dall'altro, la prognosi di irrealizzabilità del piano, in coerenza con la matrice contrattuale dell'accordo concordatario, può rilevare solo laddove si riscontri “una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato” (in questi termini v. Cass. 6 novembre 2013, n. 24970).
Non sono invece pienamente condivisibili i rilievi svolti in merito al trattamento giuridico delle modificazioni apportate alla modalità esecutive della proposta successivamente all'approvazione del concordato: la reiterata attenzione dedicata alla qualificazione in melius ovvero in peius delle rettifiche apportate non sembra invero pertinente né ai fini della relazione integrativa ex art. 161, comma 3, l. fall., né per l'eventuale mutamento del voto ex art. 179, comma 2, l. fall.
Sotto il primo profilo, possono ovviamente configurarsi modifiche sostanziali sia in senso migliorativo, che in senso peggiorativo. A fronte dell'ambiguità del criterio discretivo prescelto dal legislatore, leggendo la norma in chiave funzionale, si ritiene che l'integrazione della relazione del professionista attestatore sarà essenziale tutte le volte in cui le modificazioni apportate, in melius o in peius, evidenzino l'esigenza di un nuovo apporto informativo ai fini di una ponderata e cosciente valutazione della soluzione concordataria.
Sotto il secondo profilo, la testuale perentorietà dell'art. 175, comma 2, l. fall. difficilmente potrebbe essere superata in via interpretativa, sicché deve darsi atto della voluntas legis di cristallizzare la proposta concordataria con l'inizio delle operazioni di voto. A tale termine, tuttavia, non soggiacciono le modificazioni delle sole condizioni di fattibilità del piano, che sono possibili anche successivamente, sia in senso migliorativo, che peggiorativo ed anche se volontariamente introdotte dal debitore proponente. Nel caso in cui l'alterazione sopravvenga dopo l'approvazione del concordato, al commissario giudiziale è attribuito il compito di darne avviso a tutti i creditori, cui è consentito di modificare il voto, costituendosi nel giudizio di omologazione anche direttamente all'udienza ex art. 180 l. fall. Alla luce della rilevante conseguenza applicativa (id est il mutamento del voto), non ogni modifica in punto di fattibilità può ritenersi rilevante ed il commissario giudiziale potrà legittimamente filtrare le modificazioni meramente epidermiche del piano, non inoltrando l'avviso ai creditori. In ogni caso, non è l'avviso del commissario giudiziale a legittimare il creditore ai fini della rettifica del voto, bensì la verificazione oggettiva di un mutamente significativo e sopravvenuto delle condizioni di fattibilità del piano.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Per comodità espositiva e per agevolare il lettore si è ritenuto di inserire le pronunce rilevanti, i contributi dottrinari e le disposizioni normative interessate, direttamente nel commento.

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