Conferimento di incarico professionale e atti di ordinaria amministrazione

Luca Jeantet
Leonarda Martino
03 Luglio 2014

Il conferimento di un incarico professionale, nella fase successiva al deposito del ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall., anche eventualmente in forma c.d. riservata, costituisce l'oggetto di un atto di ordinaria amministrazione, a condizione che l'attività professionale sia resa nel solo interesse dell'imprenditore in crisi, si esaurisca entro la data di pronuncia del decreto di omologazione della proposta di concordato e sia effettivamente finalizzata ad uno scopo di risanamento, senza che possa valere quale criterio discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione l'ammontare dei corrispettivi pattuiti con il professionista (massima).L'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni determina un vincolo di destinazione su tutti i beni dell'imprenditore, con la conseguenza che il ricavato della liquidazione non può essere utilizzato per soddisfare soggetti le cui pretese creditorie siano sorte in un momento successivo alla pronuncia del provvedimento di cui all'art. 180 l. fall., salvi i diritti dei creditori per spese di giustizia e dei creditori rispetto ai quali sia stata indicata nel piano, sottoposta al voto del ceto creditorio, una previsione di spesa in loro favore (massima).La valutazione commissariale di un attivo concordatario inferiore rispetto a quanto indicato nel piano non ne pregiudica automaticamente la fattibilità giuridica, salvo che l'accertata diversa consistenza patrimoniale non ne causi un'effettiva impossibilità di realizzazione (massima).La mancata indicazione di voci passive nella domanda di concordato preventivo non integra alcuna delle fattispecie previste dall'art. 173 l. fall., con la conseguenza di precludere la possibilità di revocare il provvedimento ammissivo di cui all'art. 163 l. fall.
Massima

Il conferimento di un incarico professionale, nella fase successiva al deposito del ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall., anche eventualmente in forma c.d. riservata, costituisce l'oggetto di un atto di ordinaria amministrazione, a condizione che l'attività professionale sia resa nel solo interesse dell'imprenditore in crisi, si esaurisca entro la data di pronuncia del decreto di omologazione della proposta di concordato e sia effettivamente finalizzata ad uno scopo di risanamento, senza che possa valere quale criterio discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione l'ammontare dei corrispettivi pattuiti con il professionista.

L'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni determina un vincolo di destinazione su tutti i beni dell'imprenditore, con la conseguenza che il ricavato della liquidazione non può essere utilizzato per soddisfare soggetti le cui pretese creditorie siano sorte in un momento successivo alla pronuncia del provvedimento di cui all'art. 180 l. fall., salvi i diritti dei creditori per spese di giustizia e dei creditori rispetto ai quali sia stata indicata nel piano, sottoposta al voto del ceto creditorio, una previsione di spesa in loro favore.

La valutazione commissariale di un attivo concordatario inferiore rispetto a quanto indicato nel piano non ne pregiudica automaticamente la fattibilità giuridica, salvo che l'accertata diversa consistenza patrimoniale non ne causi un'effettiva impossibilità di realizzazione.

La mancata indicazione di voci passive nella domanda di concordato preventivo non integra alcuna delle fattispecie previste dall'art. 173 l. fall., con la conseguenza di precludere la possibilità di revocare il provvedimento ammissivo di cui all'art. 163 l. fall.

Il caso

Una società deposita ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall. e viene ammessa alla procedura di concordato preventivo, presentando il piano e la proposta. Prima che si celebri l'adunanza di cui all'art. 174 l. fall., l'organo commissariale, all'esito delle indagini condotte in vista della predisposizione della propria relazione da sottoporre ai creditori, segnala al Tribunale, affinché valuti la possibilità e l'opportunità di revocare il provvedimento ammissivo, una serie di profili che attengono l'affidamento di incarichi di consulenza, con particolare riferimento ad attività svolte o da svolgere anche nell'interesse di altre società del gruppo; la precisazione delle spese prededucibili; la fattibilità del piano concordatario in rapporto all'attivo messo a servizio dei creditori; la mancata indicazione di debiti; e la notifica, in data posteriore alla pronuncia di cui all'art. 163 l. fall., di cartelle esattoriali e pretese impositive per importi ingenti da allocare al grado privilegiato. Il Tribunale esamina questi profili e conclude nel senso che nessuno di essi sia idoneo, allo stato degli atti e delle verifiche, a precludere la votazione dei creditori, cui spetta la valutazione di convenienza del piano e della proposta.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Il provvedimento affronta e risolve una serie di articolate, e tutte rilevanti, questioni, evidenziando le condizioni alle quali possa ritenersi ordinaria l'attività di conferimento di un incarico professionale, procedersi al pagamento di crediti prededucibili in data successiva alla pronuncia del provvedimento omologativo, giudicarsi infattibile il piano concordatario in caso di rappresentazione di un attivo difforme rispetto a quello accertato dall'organo commissariale e, da ultimo, revocarsi l'ammissione alla procedura di concordato preventivo nell'ipotesi in cui l'organo commissariale constati la presenza di maggiori poste passive, pregresse o sopravvenute, con la scelta finale d'invitare la società interessata a chiarire, in sede di eventuale modifica del proprio piano e della propria proposta, le criticità sollevate dai commissari giudiziali e rendere così possibile, all'esito di ulteriori indagini, l'espressione di un consenso pienamente informato da parte dei creditori.

Osservazioni

Il Tribunale di Roma afferma, in primo luogo, il principio secondo cui il conferimento di un incarico professionale, nella fase successiva al deposito del ricorso ai sensi dell'art. 161 l. fall., anche eventualmente in forma c.d. riservata, costituisce l'oggetto di un atto di ordinaria amministrazione, a condizione che l'attività professionale sia resa nel solo interesse dell'imprenditore in crisi, si esaurisca entro la data di pronuncia del decreto di omologazione della proposta di concordato e sia effettivamente finalizzata ad uno scopo di risanamento, senza che possa valere quale criterio discretivo tra ordinaria e straordinaria amministrazione l'ammontare dei corrispettivi pattuiti con il professionista. Il che offre lo spunto, da un punto di vista generale, per verificare le differenti declinazioni dell'ordinarietà e straordinarietà amministrativa nel corso della procedura di concordato preventivo, distinguendo e comparando la fase c.d. “riservata” dalla fase c.d. “definitiva”. Come noto, e sino alla promulgazione del Decreto Sviluppo, si è a lungo discusso se il c.d. spossessamento attenuato, proprio del concordato preventivo, decorresse dalla data di deposito del decreto ammissivo di cui all'art. 163 l. fall. oppure dalla data (anteriore) di deposito della domanda. Secondo un primo indirizzo, i limiti e le preclusioni gestionali di cui all'art. 167 l. fall. operavano solo con decorrenza dalla data di deposito del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo sul duplice presupposto che l'art. 168 l. fall. avrebbe avuto natura eccezionale e che, sino alla pronuncia del decreto di cui all'art. 163 l. fall., sarebbero mancati gli organi concorsuali deputati al rilascio delle necessarie autorizzazioni al compimento di atti dispositivi. La prevalente dottrina e giurisprudenza facevano, invece, decorrere gli effetti d'una procedura di concordato preventivo per l'imprenditore sin dal momento della presentazione della domanda di ammissione, ritenendo doversi procedere ad una interpretazione sistematica degli artt. 167 e 168 l. fall. E ciò perché sarebbe stato irragionevole e pregiudizievole ritenere che gli effetti d'una procedura di concordato preventivo si producano per l'imprenditore in un momento successivo (i.e., data dell'ammissione) rispetto a quello in cui si producono per i creditori (i.e., data della domanda), con la conseguenza che ai creditori sarebbe impedita ogni azione esecutiva dopo che un imprenditore abbia chiesto d'essere ammesso al concordato preventivo, mentre questi sarebbe libero di disporre del proprio patrimonio con evidente, e notevole, danno per gli stessi creditori. Su questa base, la Corte di cassazione aveva statuito il principio per cui gli effetti del concordato nei confronti del debitore e dei creditori, secondo l'espressa previsione degli artt. 168 e 169 l. fall., retroagivano alla data di presentazione del ricorso, con la conseguenza che a questa data dovevano essere riferiti i limiti di cui all'art. 167 l. fall. Dubbia è sempre stata la sorte degli atti, ordinari e straordinari, compiuti nel periodo compreso tra il deposito della domanda di concordato e la pronuncia del decreto ammissivo, non essendo ancora stati nominati gli organi della procedura (Giudice delegato e commissario giudiziale) e, pertanto, non potendosi questa ritenere ancora iniziata nonostante l'immediata operatività degli effetti protettivi di cui all'art. 168 l. fall. Si poneva, in altri termini, una questione autorizzativa, sostenendosi che il relativo potere fosse di spettanza del Tribunale, oppure che gli atti fossero soggetti a ratifica del Giudice delegato una volta nominato, oppure ancora che il compimento di atti di straordinaria amministrazione fosse tout court inibito. Il quadro normativo è oggi mutato, o più propriamente è stato completato, giacché il Decreto Sviluppo, lasciando immutato l'art. 167 l. fall., ha disciplinato espressamente i poteri gestori del debitore durante il periodo che precede la pronuncia del decreto di ammissione tanto in caso di domanda di concordato definitiva, quanto in caso di domanda di pre-concordato. In particolare, l'art. 161, comma 7, l. fall. stabilisce che, dopo il deposito della domanda e sino al decreto ammissivo, il debitore può compiere gli atti di straordinaria amministrazione soltanto se urgenti ed autorizzati dal Tribunale, libero invece essendo di compiere tutti gli atti d'ordinaria amministrazione. Questo essendo il contesto di riferimento, occorre domandarsi se gli atti straordinari di cui all'art. 161, comma 7, l. fall. siano o meno differenti rispetto agli atti straordinari di cui all'art. 167 l. fall. In questa verifica, è sicuramente opportuno prendere le mosse dall'interpretazione formatasi rispetto a quest'ultima norma, secondo la quale la straordinarietà di un atto, diverso da quelli elencati a titolo esemplificativo e non esaustivo dal suo secondo comma, dipende dall'incidenza negativa sul patrimonio del debitore con sua modifica in termini sostanziali, oppure dall'anormalità rispetto alla gestione dell'impresa, oppure ancora dalla sua mancata previsione nel piano concordatario, senza che possa assumere valenza discriminante decisiva la sola consistenza economica. Così identificata la straordinarietà nella prospettiva di cui all'art. 167 l. fall., occorre avere riguardo agli atti previsti dall'art. 161, comma 7, l. fall. La formula legislativa è più ampia, dato che manca un'elencazione anche solo esemplificativa, ed è soggetta al limite specifico dell'urgenza, da intendersi in termini d'incompatibilità tra il differimento dell'esecuzione d'un atto alla fase successiva all'apertura formale della procedura e le esigenze di conservazione del patrimonio del debitore a beneficio dei sui creditori. Va evidenziato, oltre a questo primo elemento distintivo, che potrebbe non esservi piena coincidenza tra gli atti autorizzabili ai sensi dell'art. 167 l. fall. e quelli soggetti ad autorizzazione nella fase anteriore. Il Decreto Sviluppo prevede, infatti, la possibilità per il Tribunale di autorizzare pagamenti di debiti anteriori relativi a beni o servizi soltanto in ipotesi di concordato o di accordo di ristrutturazione in continuità aziendale, essendo dunque logico ritenere che questi atti (che sono certamente straordinari) non possano essere autorizzati, quanto meno nella fase anteriore alla pronuncia del decreto ammissivo, in caso di concordato o di accordi liquidatori. In definitiva, gli atti autorizzabili ai sensi dell'art. 161, comma 7, l. fall. sono quelli qualificabili come straordinari secondo l'accezione di cui all'art. 167 l. fall., purché però urgenti e, qualora l'imprenditore presenti una domanda di concordato liquidatorio, diversi dal pagamento di debiti anteriori. Chiarito il rapporto che intercorre tra l'art. 167 l. fall. e l'art. 161, comma 7, l. fall., va constatato che quest'ultimo non individua, a parte l'urgenza, quali siano gli esatti presupposti che giustificano una richiesta d'autorizzazione al compimento d'un atto straordinario e, soprattutto, non specifica quale sia l'oggetto della verifica che il Tribunale è chiamato ad eseguire. Innanzi al silenzio legislativo, è ragionevole ritenere che l'imprenditore, specie in ipotesi di deposito d'una domanda di pre-concordato, non possa limitarsi ad evidenziare sole ragioni d'urgenza d'un determinato atto di straordinaria amministrazione, ma debba anche rappresentarne la necessità o, quanto meno, l'utilità del compimento in ragione del piano che intende presentare e di cui dovrà fornire i necessari dettagli, onde consentire, in sede autorizzativa giudiziale, un riscontro di funzionalità del primo rispetto al secondo; riscontro che, diversamente rispetto alla fattispecie di cui all'art. 167 l. fall., appare tutt'altro che semplice ed agevole. Il quadro che emerge, anche in considerazione dell'interpretazione giurisprudenziale affermatasi all'indomani del Decreto Sviluppo, è che la distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione presenta margini d'incertezza e d'opinabilità, soprattutto alla presenza di una situazione di crisi aziendale, che esige la massima tutela di tutti i creditori, dipendendo la qualificazione d'un determinato atto dalle caratteristiche (oggettive e soggettive) dell'imprenditore in crisi e dalla sua scelta di presentare una domanda di concordato preventivo definitiva piuttosto che una domanda di pre-concordato, e con essa un piano in continuità piuttosto che un piano liquidatorio. È tuttavia possibile ritenere, in linea di principio, che siano straordinari tutti quegli atti che, oltre ad essere urgenti nell'accezione cui s'è fatto cenno, non assolvano alla funzione di conservare il valore ed i caratteri oggettivi essenziali del patrimonio dell'imprenditore, abbiano un valore economico elevato in senso assoluto e, cumulativamente, in rapporto al valore totale dei beni aziendali, comportino un margine di rischio significativo, non siano coerenti con l'oggetto dell'attività aziendale caratteristica e, in ultima battuta, riducano o gravino gli assets imprenditoriali. Nella prospettiva generale appena descritta, s'inserisce la questione specifica del conferimento d'incarichi professionali, rispetto alla quale la giurisprudenza di legittimità e di merito, cui correttamente si allinea il Tribunale di Roma, ha ritenuto che, ai fini dell'opponibilità alla massa del relativo credito, l'incarico non è da annoverare automaticamente nella categoria degli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, potendo al contrario rientrare, indipendentemente dall'ammontare del corrispettivo pattuito con il professionista, nella categoria degli atti di ordinaria amministrazione in presenza di due elementi: la pertinenza e l'idoneità dell'incarico, anche se di costo elevato, allo scopo di conservare e/o risanare l'impresa; la proporzionalità da intendersi come adeguatezza funzionale (o non eccedenza) della prestazione alle necessità di risanamento dell'azienda, da valutarsi con giudizio prognostico ex ante. Di qui, la possibilità di escludere l'allocazione tra le passività concorsuali dei crediti attinenti ad incarichi conferiti per esigenze personali, oppure per attività che non siano riferibili direttamente all'imprenditore in crisi, ma come nel caso di specie a soggetti a lui collegati ed estranei rispetto al perimetro concordatario, oppure ancora per iniziative dilatorie unicamente dirette a procrastinare una dichiarazione di fallimento in danno dei creditori, trattandosi nel complesso di atti non funzionali alle finalità perseguite nella procedura di concordato e dunque inopponibili alla massa dei creditori.
Il Tribunale di Roma afferma, in secondo luogo, il principio per cui l'omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni determina un vincolo di destinazione su tutti i beni dell'imprenditore, con la conseguenza che il ricavato della liquidazione non può essere utilizzato per soddisfare soggetti le cui pretese creditorie siano sorte in un momento successivo alla pronuncia del provvedimento di cui all'art. 180 l. fall., salvi i diritti dei creditori per spese di giustizia e dei creditori rispetto ai quali sia stata indicata nel piano, sottoposto al voto, una specifica previsione in loro favore.
Il concordato per cessione di beni, come noto, può avere due declinazioni. La prima, riferibile al contratto tipico di cui agli artt. 1977 e ss. c.c., che ha connotazione gestoria e che si traduce in una fattispecie particolare di mandato con cui il debitore conferisce ai creditori il potere di liquidare i suoi beni e di soddisfarsi proporzionalmente nel rispetto delle cause di prelazione. La seconda, assimilabile al diverso modello della c.d. datio in solutum, che implica il trasferimento in proprietà dei beni del debitore ai creditori e che ha immediato effetto satisfattivo. Nell'una e nell'altra ipotesi, con il deposito del decreto di omologazione, che è provvisoriamente esecutivo, si chiude la procedura di concordato preventivo e si apre una nuova fase caratterizzata dalla esigenza di adempiere gli obblighi assunti ed avente una fisionomia diversa da quella tipica della fase concordataria. In particolare, cessano gli effetti del concordato, con la conseguenza che il debitore acquista di nuovo il pieno potere di amministrazione dei propri beni e di gestione dell'impresa e, pertanto, è tenuto all'adempimento degli impegni assunti con la proposta di concordato, secondo le modalità indicate nel piano come integrate dalle disposizioni dettate dal Tribunale, nei limiti consentiti dagli artt. 180 e 182 l. fall. Il risultato finale di un concordato per cessione di beni omologato è dunque quello di costituire un vincolo di indisponibilità sull'intero patrimonio del debitore e di destinarlo in via esclusiva allo specifico scopo di soddisfare i creditori. La conseguenza è che il debitore conserva formalmente la titolarità dei beni sino al momento della loro alienazione, perdendo tuttavia il potere di decidere la vendita, come pure quello di determinare il tempo, le modalità, ed il prezzo della vendita, come pure ancora quello di scegliere il soggetto acquirente. Di qui, il necessario corollario per cui le poste passive indicate nel piano sono le uniche a poter essere legittimamente pagate nella fase successiva all'omologazione, dato che soltanto il piano è soggetto alla votazione dei creditori e questa soltanto è idonea, ove positiva, a rendere leciti gli impegni di spesa assunti dall'imprenditore. Tanto trova conferma nell'art. 181 l. fall. e, in particolare, nella previsione di chiusura della procedura di concordato con il decreto omologativo, la cui data di pronuncia identifica il momento a decorrere dal quale non può più trovare applicazione l'art. 111 l.fall., sicché i debiti contratti dall'imprenditore nel corso dell'esecuzione del concordato, qualora questo venga risolto e/o annullato con conseguente dichiarazione di fallimento, hanno natura concorsuale chirografaria. Ed è proprio in ragione di questo dato normativo che il legislatore del 2010 ha introdotto l'art. 182-quater l. fall., il quale, nel disciplinare i c.d. finanziamenti in esecuzione e nell'estendere a loro favore la prededuzione oltre al limite temporale della chiusura della procedura di concordato, conferma la regola generale della non prededucibilità dei debiti contratti dall'imprenditore dopo la pronuncia del decreto omologativo e non previsti nel piano approvato dai creditori. Del resto, in caso di prosecuzione dell'attività in data posteriore all'omologazione, gli atti dell'imprenditore non sono soggetti ad autorizzazione e non possono essere qualificati straordinari, riferendosi ad un'attività svolta in piena autonomia negoziale unicamente soggetta alla vigilanza del commissario giudiziale.
Il Tribunale di Roma afferma, in terzo luogo, il principio per cui la valutazione commissariale di un attivo concordatario inferiore rispetto a quanto indicato nel piano non ne pregiudica automaticamente la fattibilità giuridica, salvo che l'accertata diversa consistenza patrimoniale non ne causi un'effettiva impossibilità di realizzazione. La statuizione non concerne un'ipotesi di divergenza di valutazioni collegata a circostanze obiettive, quale sarebbe ad esempio l'accertamento di una diversa consistenza giuridica del patrimonio, ma un'ipotesi di divergenza di valutazioni collegata a stime prognostiche di realizzo e/o di ricavo, con conseguente possibilità di discussione unicamente in termini di fattibilità economica del piano che deve, comunque, essere sottoposto al voto dei creditori. In altre parole, non può ritenersi che ogni qual volta gli organi della procedura valutino l'attivo concordatario in misura inferiore rispetto a quanto indicato nel piano, anche quando divenga incerta (ma non impossibile) la stessa possibilità di pagare integralmente i creditori privilegiati, ricorra una fattispecie di assoluta impossibilità di realizzazione del piano; e ciò perché, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione, non può escludersi la probabilità di successo economico del piano. Il sindacato del giudice è limitato alla verifica della sussistenza di un'assoluta e manifesta inattitudine del piano di concordato a raggiungere gli obiettivi prefissati. La fattibilità, intesa come prognosi di concreta realizzabilità del piano concordatario, è presupposto di ammissibilità del concordato e costituisce oggetto di un controllo diretto del giudice che non si esercita, quindi, esclusivamente sulla completezza e congruità logica dell'attestazione del professionista prevista dall'articolo 161, comma 3, della l. fall. La fattibilità va distinta tra giuridica, intesa come non incompatibilità del piano con norme inderogabili, ed economica, intesa come realizzabilità nei fatti del piano medesimo. La prima è sottoposta al sindacato del Tribunale, mentre la seconda è riservata alla valutazione dei creditori, tranne che nell'ipotesi in cui il piano appaia manifestamente inadatto a raggiungere gli obiettivi prefissati, dunque la causa concreta del concordato. Questa causa va individuata caso per caso con riferimento alle specifiche modalità indicate dall'imprenditore, fermo restando che ogni proposta deve comunque soddisfare la causa astratta comune a tutti i tipi di concordato, individuata in una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole. Con il che, le eventuali censure del commissario giudiziale sull'andamento economico futuro dell'attività aziendale oppure sulle stime di realizzo dei beni aziendali non sono sindacabili dal Tribunale, non comportando una manifesta irrealizzabilità del piano e spettando unicamente ai creditori la valutazione se votare favorevolmente alla proposta concordataria, nella consapevolezza dei rilevi, anche critici, mossi nella relazione di cui all'art. 172 l. fall.
Il Tribunale afferma, in quarto ed ultimo luogo, il principio per cui la mancata indicazione di voci passive nella domanda di concordato preventivo non integra alcuna delle fattispecie che consentono di revocare il provvedimento ammissivo. L'art. 173 l. fall., come noto, dispone che il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al Tribunale, il quale apre d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori, con la precisazione che le stesse disposizioni si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 l. fall. o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato. A questa stregua, la procedura di concordato preventivo può arrestarsi in tre ipotesi: il compimento di atti di frode anteriori o posteriori al decreto ammissivo; l'esecuzione, durante la procedura, di atti straordinari non autorizzati ai sensi dell'art. 167 l. fall.; la mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti di ammissibilità. Il tema indagato nel provvedimento in commento va riferito alla prima delle tre ipotesi appena descritte, dovendosi verificare se, ed a quali condizioni, possa ritenersi integrato un atto in frode alla legge qualora il debitore esponga, nella situazione patrimoniale di riferimento, passività inferiori rispetto a quelle accertate dal commissario giudiziale. L'art. 173, comma 1, l. fall. identifica gli atti di frode secondo un criterio misto, dato che ne prevede un'elencazione non tassativa e, al tempo stesso, impiega una formula generica a contenuto non determinato. Questi atti possono essere anteriori o posteriori al decreto ammissivo. Tra i primi vengono in evidenza l'occultamento o la dissimulazione di parte dell'attivo, la dolosa omissione di denuncia di uno o più crediti e l'esposizione di passività inesistenti, di cui per la sola seconda categoria è richiesto l'elemento soggettivo del dolo; e ciò perché l'omessa indicazione d'un credito, a differenza dell'occultamento/dissimulazione d'attivo e dell'esposizione di passività inesistenti, potrebbe anche dipendere da un comportamento involontario od inconsapevole. Tra i secondi vengono, invece, in evidenza tutti gli altri atti diretti a frodare le ragioni dei creditori nel corso della procedura. Il tema degli atti di frode e della loro rilevanza nella prospettiva di cui all'art. 173 l. fall. è stata oggetto d'un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale, il quale ha trovato composizione ad opera della Suprema Corte di cassazione. Due le tesi di segno esattamente opposto che si sono registrate prima dell'intervento dei Giudici di legittimità. La prima in base alla quale permane, anche all'indomani della riforma della legge fallimentare, un principio di meritevolezza, se pur in forma attenuata, con la conseguenza che per atti di frode devono intendersi tutti gli atti diretti a causare o aggravare il dissesto, vale a dire atti che comportino accrescimento del passivo o diminuzione dell'attivo, compiuti dal debitore con la consapevolezza di arrecare pregiudizio ai creditori. La seconda in base alla quale non qualsiasi fatto fraudolento o astrattamente idoneo a determinare un pregiudizio per i creditori dell'impresa può rilevare ai fini dell'interruzione della procedura, soprattutto se verificatosi prima della proposta di concordato, ma possono contare solo quelle condotte che siano specificatamente finalizzate a trarre in inganno il ceto creditorio in vista dell'adunanza di cui all'art. 174 l. fall., influenzandone la manifestazione di voto. Questa seconda tesi ha trovato l'adesione della Suprema Corte di cassazione, la quale ha statuito il principio per cui il minimo comune denominatore dei comportamenti indicati dall'art. 173, comma 1, l. fall., ai fini della revoca dell'ammissione al concordato e della dichiarazione di fallimento nel corso della procedura, è dato dalla loro attitudine ad ingannare i creditori sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione, sottacendo l'esistenza di parte dell'attivo o aumentando artatamente il passivo in modo da far apparire la proposta maggiormente conveniente rispetto alla liquidazione fallimentare. Si tratta, in sostanza, di comportamenti volti a pregiudicare la possibilità che i creditori possano compiere le valutazioni di loro competenza avendo presente l'effettiva consistenza e la reale situazione giuridica degli elementi attivi e passivi del patrimonio dell'impresa. Questa è, quindi, la connotazione per cui tutti gli altri indefiniti comportamenti dell'imprenditore sono qualificabili come atti di frode, potendosi così concludere nel senso che nessun intervento sul patrimonio del debitore è di per sé un atto di frode, tale invece essendo solo l'attività del proponente il concordato volta ad occultarlo in modo da alterare la percezione dei creditori circa la reale situazione debitoria e così da influenzare il loro giudizio. Ogni diversa interpretazione della norma in esame non farebbe altro che reintrodurre il requisito della meritevolezza apertamente ripudiato dal legislatore della riforma. Questo essendo il quadro di riferimento, occorre domandarsi se l'omessa esposizione di passività sia o meno una fattispecie rilevante ai sensi dell'art. 173 l. fall., tenuto conto che essa non risulta espressamente contemplata. Il Tribunale di Roma, sulla base di un'interpretazione letterale e quindi della constatazione dell'omessa menzione dell'ipotesi nella norma, conclude tout court per la sua irrilevanza. La conclusione è corretta da un punto di vista formale, ma merita d'essere emendata da un punto di vista sostanziale nel senso, condiviso dalla prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, per cui la rappresentazione non corretta della situazione patrimoniale dell'impresa, dovuta all'omessa esposizione di passività esistenti per importi significativi, successivamente rilevate dal commissario giudiziale, può rientrare nella categoria dei c.d. “altri atti in frode”, a condizione però che si ravvisi, in base ad elementi univoci, la volontarietà dei fatti costitutivi del comportamento fraudolento, atteso che il disvalore della condotta che determina la revoca del concordato preventivo è insito nella sua capacità di trarre in inganno i creditori, senza necessità che sia valorizzata la particolare finalità perseguita dal proponente.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici

Sul conferimento di incarichi professionali, anche in costanza di procedura di concordato preventivo: in giurisprudenza, Cass., 21 ottobre 2011, n. 21925 e Cass., 21 ottobre 2011, n. 21926, entrambe in ilfallimentarista.it, 2012; Cass., 25 giugno 2002, n. 9262, in Banca Dati DeJure; Cass., 8 novembre 2006, n. 23796, in Banca Dati DeJure; Cass., 4 settembre 2009, n. 19235, in Banca Dati DeJure; Trib. Milano, 30 maggio 2013, in Banca Dati DeJure; Trib. Terni, 28 dicembre 2012, in Banca Dati DeJure; Trib. Modena, 3 aprile 2009, in Fallimento, 2010, 225; Trib. Varese, 11 giugno 2007, in Banca Dati DeJure. Sul concordato per cessione di beni e sugli effetti del decreto di omologazione: in giurisprudenza, Cass., 3 agosto 2012, n. 13944, in Banca Dati DeJure; Cass., 30 giugno 2011, n. 18864, in Banca Dati DeJure; Cass., 1° giugno 1999, n. 5306, in Banca Dati DeJure. Sulla sorte dei debiti contratti in data successiva al decreto di omologazione: Trib. Milano, 23 settembre 2013, in ilfallimentarista.it., 2014; in dottrina, F. Rasile – G. Zanotti, Il liquidatore giudiziale nel concordato preventivo con cessione dei beni: poteri, legittimamente attiva e passiva, casi pratici, in ilfallimentarista.it, 2014; R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013. Sul sindacato del Tribunale sulla fattibilità del piano di concordato: in giurisprudenza, Cass., 6 novembre 2013, n. 24970, in Banca Dati DeJure; Cass., 25 settembre 2013, n. 21901, in Banca Dati DeJure; Cass., 27 maggio 2013, n. 13083, in Banca Dati DeJure; Cass., 9 maggio 2013, n. 11014, in Banca Dati DeJure; Cass., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in ilfallimentarista.it, 2013; App. Milano, 25 ottobre 2013, in ilfallimentarista.it, 2014; Trib. Busto Arsizio, 29 maggio 2013, in ilfallimentarista.it, 2014; Trib. Siracusa, 15 novembre 2013, in ilfallimentarista.it, 2014; in dottrina e tra i molti possibili riferimenti, R. Amatore, Mancata omologazione del concordato preventivo per non realizzabilità della “causa in concreto”, in ilfallimentarista.it, 2014; A. Farolfi, La verifica in ordine alla fattibilità giuridica ed alla causa concreta del concordato da parte del Tribunale, in ilfallimentarista.it, 2014; D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo; prove tecniche di action finium regundiorum, in ilfallimentarista.it, 2014. Sulla revocabilità del decreto di ammissione: in giurisprudenza, anche in termini di rappresentazione della situazione patrimoniale: Cass., 23 giugno 2011, n. 13817, in Banca Dati Fallimento Giuffrè; Trib. Bergamo, 10 ottobre 2013, in ilfallimentarista.it, 2014; Trib. Marsala, 30 luglio 2013, in Banca Dati DeJure; Trib. Padova, 30 maggio 2013, in ilfallimentarista.it, 2014; Trib. Siracusa, 20 dicembre 2012, in Banca Dati Fallimento Giuffrè; Trib. Mantova, 12 luglio 2012, in Banca Dati DeJure. In dottrina, E. Genero, Contenuto e limiti degli “atti in frode” nel procedimento di revoca del concordato preventivo ex art. 173 l. fall., in ilfallimentarista.it, 2014; R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013.

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